giovedì, Gennaio 16, 2025
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Imu, dal 2025 aliquote predeterminate dal ministero dell’Economia

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Imu aliquota ministero Economia
Foto X @sole24ore

Nel 2025 entrerà in vigore “il sistema di determinazione delle aliquote Imu sulla base di fattispecie imponibili individuabili dai Comuni esclusivamente tra quelle predeterminate con un decreto del ministro dell’Economia”. Lo ricorda il direttore generale del ministero dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Spalletta, che sul punto ha riferito in Parlamento alla Commissione sull’Anagrafe tributaria.

Si tratta di un esempio – ha affermato – “di quelli che potranno essere i futuri assetti della riscossione“: quello appunto concernente l’Imu, l’imposta diretta sul patrimonio immobiliare. “Il sistema tende verso l’adempimento guidato dell’obbligazione tributaria, mediante la realizzazione di un’applicazione informatica da rendere disponibile ai contribuenti sul portale del Federalismo fiscale. Utile a mettere a disposizione elementi informativi per la determinazione e il versamento dell’imposta, compresi gli elementi che già sono a disposizione dell’Agenzia delle Entrate e di altre amministrazioni pubbliche“, ha aggiunto Spalletta.

Come cambierà l’Imu

Si tratta, ha argomentato, poi, il dirigente di Via XX settembre, di “una novità che consente da un lato di delimitare il perimetro entro il quale il Comune può esercitare la sua potestà regolamentare nel rispetto dei principi costituzionali che ne regolano l’autonomia impositiva. E dall’altro rende possibile che i contribuenti, comprese le software house, dispongano di un valido supporto per il corretto pagamento dell’Imu. L’obiettivo è quello di rendere gli Enti locali consapevoli della potenzialità di tali strumenti e di assisterli nella loro concreta utilizzazione, attraverso una migliore riscossione ed un più efficiente controllo delle entrate“, ha concluso Spalletta.

Nel 2024, considerando anche la seconda rata da pagare il 16 dicembre, il peso dell’Imu raggiungerà – dal 2012, anno della sua istituzione con la manovra Monti – la cifra di quasi 300 miliardi di euro in 13 anni. Il calcolo è dell’associazione dei proprietari, che evidenzia come l’imposta sia “dovuta persino per gli immobili inagibili e inabitabili. Sia pure con base imponibile ridotta alla metà“. Inoltre “eliminare – simbolicamente – questa forma di tassazione particolarmente odiosa costerebbe poco più di 50 milioni di euro.

Una patrimoniale de facto

Tra il 2011 e il 2022 gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 610.085 (+119%). Si tratta di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo. Ma anche per effetto di atti concreti dei proprietari finalizzati a evitare almeno il pagamento dell’Imu, afferma ancora Confedilizia.

L’Imu, come tutte le patrimoniali, è un’imposta progressivamente espropriativa dei beni che colpisce” dichiara il presidente Giorgio Spaziani Testa. “Il fatto che questi beni siano gli immobili, vale a dire la tradizionale forma di investimento degli italiani, rende particolarmente pesante l’impatto del tributo, anche sul piano sociale. Chiediamo al Governo di avviare una graduale riduzione di questa imposta nemica del risparmio e della crescita. Si potrebbe cominciare eliminandola sulle case in affitto con i contratti a canone concordato, per estendere l’offerta abitativa, e sugli immobili dei piccoli centri, per agevolare la rinascita di borghi e aree interne. Si scelgano delle priorità, ma occorre iniziare“.

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Riscatto laurea: come e quando si può fare

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Riscatto laurea
Laurea @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Il riscatto della laurea è una forma di investimento che consente di convertire gli anni di studio in contribuiti ai fini pensionistici. A tal proposito, è utile sapere come e quando si può effettuare questa procedura.

Il riscatto della laurea consente di integrare contribuiti ai fini del diritto e del calcolo delle prestazioni pensionistiche future. Tra le prime considerazioni da valutare, vi è la possibilità di detrarre il costo del riscatto dal modello 730 al 19% oppure di poterlo dedurre integralmente.

Come riscattare gli anni di studio universitari

Il riscatto della laurea è aperto a tutti coloro che hanno conseguito una laurea o un titolo equivalente. Ed in più, i plurilaureati hanno la possibilità di riscattare tutti i titoli ottenuti. Il periodo che può essere riscattato equivale alla durata effettiva del percorso di laurea e non degli anni fuori corso. Per poter chiedere il riscatto, tuttavia, è importante che durante il periodo di studi universitari non si siano percepiti contributi lavorativi. In questo ultimo caso sarà possibile riscattare solo il periodo in cui non sono stati percepiti contribuiti di lavoro.

Il riscatto della laurea può essere chiesto sia da un lavoratore che da un disoccupato e senza alcun limite d’età. Per i periodi di studio universitario all’estero occorre fare riferimento al documento ufficiale in cui sono riportati i termini per il riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella regione europea. Nello specifico possono essere riscatti: diploma universitari (della durata non inferiore a due anni e non superiore a tre); lauree (della durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sei);
diploma di specializzazione, di durata superiore ai due anni, conseguiti dopo la laurea; dottorati di ricerca regolati da specifiche disposizioni di legge; lauree triennali, specialistiche o magistrali; diplomi AFAM rilasciati dagli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale.

Il riscatto della laurea può essere totale, ovvero per tutta la durata del corso di laurea, o parziale, ovvero per singoli periodi di studio. Non sono riscattabili periodi coperti da contribuzione obbligatoria, figurativa o da riscatto, non solo presso il fondo cui è destinata la richiesta, ma anche in altri regimi previdenziali indicati dall’articolo 2, comma 1, del Decreto Legislativo 30 aprile 1997, n. 184. Anni di studi che non hanno portato al conseguimento della laurea non sono riscattabili.

Quanto costa il riscatto della laurea

L’INPS individua quattro diverse metodologie per definire il costo del riscatto della laurea. Nel dettaglio, vi è il sistema di calcolo contributivo per gli anni di studio dopo il 1996, nel quale il costo è determinato in base al reddito (dei 12 mesi meno remoti) e all’aliquota contributiva personale (33% per i dipendenti, 24% per gli autonomi), moltiplicati per il numero di anni da riscattare. Altra metodologia è il sistema di calcolo retributivo per gli anni di studio fino al 1995, in questo caso il costo è determinato in base alla maggiore pensione che si riceverà a seguito del riscatto di anni nel sistema retributivo.

Esiste poi il riscatto agevolato della laurea dove è previsto il pagamento in quota fissa, basato esclusivamente sul numero di anni da riscattare. Per il 2024 il costo agevolato è di 6.076,95 euro. Ed infine vi è il riscatto in quota fissa per chi non ha ancora contribuiti, qui il costo è come il riscatto agevolato.

Nei primi tre casi, il lavoratore è tenuto a coprire il costo del riscatto della laurea, il quale è completamente deducibile dal proprio reddito. Lo Stato contribuisce a finanziare una percentuale variabile del costo attraverso rimborsi diretti in busta paga o mediante una riduzione delle imposte. Il costo del riscatto si può suddividere il 120 rate mensili, senza l’applicazione di interessi aggiuntivi. Infine, un genitore può assumersi il costo del riscatto della laurea per un figlio ancora a proprio carico, godendo di una detrazione fiscale del 19% sulla spesa sostenuta.

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Musk, stipendio da 56 miliardi? Azionisti Tesla in rivolta e lui potrebbe lasciare

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Musk stipendio miliardario
Foto Ansa/Epa Lukasz Gagulski

Alla prossima assemblea degli azionisti di Tesla, la casa automobilistica di Elon Musk che produce avveniristiche auto elettriche, il fondo sovrano dello Stato norvegese voterà contro la retribuzione da 56 miliardi di dollari per l’amministratore delegato. Vale a dire per lo stesso Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo che, secondo alcuni rumors, Donald Trump vorrebbe come consigliere alla Casa Bianca se dovesse vincere le elezioni presidenziali di novembre. 

A riportare la notizia è l’agenzia di stampa statunitense Bloomberg evidenziando che il fondo norvegese a fine 2023 possedeva una partecipazione dello 0,98% di Tesla per un valore di 7,72 miliardi di dollari. “Rimaniamo preoccupati per la dimensione totale del premio, la struttura data ai fattori della performance“, evidenzia Norges bank investment management. La decisione di dire no al maxi stipendio per Musk è “coerente con il nostro voto sullo stesso premio nel 2018” spiega ancora il fondo, aggiungendo che “continuerà a dialogare in modo costruttivo con Tesla su questo e altri argomenti“.

Musk, anche un fondo Usa contro di lui

Risale infatti a 6 anni fa l’approvazione di un pacchetto retributivo senza precedenti, che prevedeva che Musk ricevesse azioni della Tesla in base al raggiungimento di una serie di obiettivi nell’arco di 10 anni. Al momento dell’approvazione il valore era stimato in 56 miliardi di dollari. Un tribunale del Delaware lo scorso gennaio aveva annullato la decisione aziendale sulla maxi retribuzione, accogliendo il ricorso di un azionista.

Se adesso Tesla dovesse riuscire a riapprovarlo, lo ‘stipendio’ da 56 miliardi di dollari farebbe di Musk l’amministratore d’azienda più pagato nella storia moderna. Ma la contrarietà del fondo sovrano norvegese è in linea con quella di altri soci di Tesla, fra cui il fondo statunitense Calvert. Anche per Calvert, infatti, il “valore del premio rimane eccessivo. Anche considerando il successo della società“.

Posizioni che rispecchiano le indicazioni dei proxy advisor: le società di analisi specializzate nel fornire consulenza agli investitori su come votare alle assemblee degli azionisti. Il proxy Glass Lewis, ad esempio, ha formulato la sua raccomandazione, citando le “dimensioni eccessive” dell’accordo sulla retribuzione.

Tesla: “Così Elon se ne andrà”

Da parte sua Tesla ha replicato seccamente alla raccomandazione di Glass Lewis affinché Calvert si opponga alla maxi retribuzione di Elon Musk. E ha affermato che l’advisor “omette considerazioni chiave, usa una logica errata e si basa su speculazioni e ipotesi“. Una bocciatura in assemblea della retribuzione dell’amministratore delegato, seppur solo consultiva, potrebbe mettere in grande imbarazzo Elon Musk. E potrebbe indurlo, secondo le indiscrezioni di mercato, a dare l’addio alla sua creatura per continuare a dedicarsi a tutte le altre sue aziende: da SpaceX a X (l’ex Twitter), passando per Neuralink, che si occupa di sviluppare interfacce neurali impiantabili nel corpo umano.

Nei giorni scorsi la presidente di Tesla, Robyn Denholm, in una lettera agli azionisti, ha spiegato che il massiccio pagamento del Ceo consta di un piano d’assegnazione titoli che si sviluppa in un decennio. E serve “a mantenere l’attenzione di Elon e a motivarlo a concentrarsi sul raggiungimento di una crescita sorprendente per la nostra azienda“. Insomma, Musk ha bisogno di una retribuzione da 56 miliardi di dollari permantenere attenzione” e “concentrarsi” sull’azienda.

Le polemiche scoppiano in una fase delicata per Tesla, in particolare per una serie di iniziative che guardano al futuro del gruppo. In particolare il mercato guarda al progetto di un veicolo a basso costo e allo sviluppo della tecnologia di guida autonoma. Tesla sta “attraversando un periodo difficile di crescita e quindi bisogna avere pazienza“, spiegano gli analisti finanziari. Non è ancora chiaro se la stessa pazienza l’avranno tutti gli azionisti Tesla nei confronti di Elon Musk, all’assemblea del 13 giugno.

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Trump, le sue società ai massimi a Wall Street dopo l’attentato

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Donald Trump attentato Usa
Foto Ansa/Epa David Maxwell

Con un rialzo di oltre il 30%, Trump Media & Technology Group, la società quotata a Wall Street dell’ex presidente statunitense scampato a un attentato sabato scorso 13 luglio, vola sui listini d Borsa. Nei primi momenti di contrattazione, lunedì 15 luglio, il balzo era ancora maggiore con un rialzo del 50%.

La società controlla la piattaforma di social media Truth Social, lanciata dopo il divieto contro Trump a seguito alla rivolta del Campidoglio del 2021, per la quale il tycoon è sotto processo con l’accusa di aver ispirato l’assalto armato di migliaia di sostenitori nel giorno dell’Epifania di 3 anni fa.

Trump e la Borsa

A questo punto, da inizio anno, il valore del titolo della Trump Media è più che raddoppiato (+ 134%) ma con un percorso molto accidentato, fatto di forti oscillazioni. Il 27 marzo scorso ad esempio il titolo valeva 66 dollari, tre settimane dopo meno di 23. La spinta arriva adesso dalla supposizione che il tentato assassinio del 13 luglio spinga Trump ancora più vicino a un secondo mandato alla Casa Bianca. La volatilità delle azioni di Trump Media si spiega anche con le altalenanti prospettive di un secondo mandato. L’ex presidente possiede una quota di maggioranza nella società.

Altri titoli a cui viene associato un beneficio da una nuova presidenza Trump (ad esempio Geo Group a + 10%) sono a loro volta in forte rialzo. Discorso analogo per le criptovalute. Bene pure i produttori di armi con Smith & Wesson Brands, in rialzo di oltre il 12%, e Sturm Ruger & Company, in crescita di circa il 8%. Le compagnie di assicurazione sanitaria, che sono viste come potenziali beneficiarie di una minore regolamentazione sotto un’amministrazione Trump, salgono seppur in minor misura. Viceversa sono in discesa le azioni di energie rinnovabili.

L’attentato del 13 luglio

Come è noto il 13 luglio durante un comizio in Pennsylvania il tycoon, colpito da spari e ferito all’orecchio destro, è rimasto cosciente e si è subito rialzato. Immediatamente si è rivolto alla folla alzando il pugno prima di essere portato via dal Secret Service. Un ex capo dei vigili del fuoco, partecipante al comizio, ha perso la vita e altre due persone sono rimaste gravemente ferite. L’attentatore, che è stato ucciso dalla polizia, è stato identificato come Thomas Matthew Crooks, 20enne della Pennsylvania. Il ragazzo ha sparato da un tetto di un edificio nelle vicinanze. Aveva materiale esplosivo nell’auto e in casa.

Dimesso dopo un paio d’ore dall’ospedale, Trump si è fatto sentire sui social: “Non mi arrenderò mai“. E in alcune interviste descrive l’attentato come “un’esperienza surreale”. Sostiene di essere “vivo solo perché in quel momento ho distolto lo sguardo dalla folla“. Si è effettivamente voltato e la cosa sembra sia stata provvidenziale, altrimenti probabilmente sarebbe stato centrato alla testa. L’ex presidente ha quindi partecipato alla convention repubblicana di Milwaukee del 15 luglio: “Farò un discorso completamente diverso” dal solito, ha detto.

Da parte sua il presidente Usa, Joe Biden, ha dichiarato: “Sono felice che sia salvo“. Col presidente c’è stata anche una telefonatabreve e rispettosa“. Stephen Moore, consigliere senior della campagna di Trump esprime dubbi sulla preparazione del Security Service. Un testimone afferma di aver visto il presunto tiratore “spostarsi da un tetto all’altro” prima del tentativo di assassinio e di aver avvisato la polizia. L’FBI indaga per “terrorismo interno: l’attentatore ha agito da solo“. E sono ormai esplose le polemiche e i rimpalli di responsabilità fra polizia federale e polizia locale della Pennsylvania.

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Boschi e ‘superforeste’, ecco perché crearli è un investimento

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Boschi e superforeste investimento per il futuro
Foto Ansa

Creare un nuovi boschi e foreste in Italia può essere un buon business. Certo, si parla di un investimento a lungo termine. Non si tratta soltanto di un semplice atto di piantumazione ma di una scommessa sul futuro sostenibile del nostro ambiente e della nostra comunità. Eppure quanto costa davvero portare alla vita una nuova area boschiva, e quali benefici possono derivare da tale investimento?

Come riporta Adnkronos, stando a ricerche di Etifor, B Corp e spin-off dell’Università di Padova specializzata in consulenza ambientale, il costo di creazione di un nuovo bosco può variare. Un progetto standard può oscillare tra i 14mila e i 23mila euro a ettaro (10mila metri quadrati di superficie). Mentre i boschi progettati scientificamente, in grado di soddisfare criteri di multifunzionalità e standard qualitativi internazionali più elevati, possono costare fino a 38mila euro per ettaro.

Boschi e biodiversità

La tutela della biodiversità è una delle principali ragioni dietro la creazione di nuovi boschi. Le foreste non sono solo degli ecosistemi vitali per il pianeta, ma sono anche fondamentali per la conservazione della biodiversità. Con oltre l’80% delle specie terrestri che chiamano le foreste la loro casa, proteggere questi habitat è essenziale per preservare la varietà di flora e fauna del nostro pianeta.

L’Italia vanta 11 milioni di ettari di foreste, più di un terzo del territorio nazionale, con oltre 58mila specie animali e 6.700 specie di piante vascolari. Perciò investire nella creazione di nuove foreste è cruciale per proteggere e preservare questo prezioso patrimonio.

Le finalità dietro la creazione di un nuovo bosco influenzano le decisioni progettuali e gli investimenti economici. Mentre in passato si prediligevano boschi con finalità specifiche, come la produzione di legname, oggi si tende a favorire boschi con finalità multiple. In grado, cioè, di offrire una vasta gamma di benefici: dalla protezione della biodiversità alla produzione di materie prime. Fino alla mitigazione del dissesto idrogeologico.

Le fasi di creazione di una foresta

Le fasi che portano alla nascita di una nuova foresta sono ben definite e richiedono un impegno costante. Dalla progettazione, affidata a esperti tecnici forestali, alla preparazione del terreno, all’impianto delle piantine e alla successiva manutenzione. Ogni passo è fondamentale per garantire il successo a lungo termine di un progetto per nuovi boschi. La progettazione spetta a un tecnico forestale che studia il contesto, sceglie le specie e gli interventi più adatti e consulta gli stakeholder.

Poi c’è la preparazione del terreno, col tracciamento dei filari e del sesto d’impianto e varia a seconda del contesto del terreno. Quindi c’è l’impianto dei boschi, tramite l’acquisto di piantine forestali certificate, la messa a dimora, la protezione delle piante e altre attività. La manutenzione dei boschi comporta invece sfalci, potature e monitoraggio della crescita delle piante, soprattutto nei primi anni.

Superforeste, grandi benefici

Oltre al discorso sui boschi, la Etifor ha introdotto il concetto di ‘superforeste‘. Ovvero qualcosa che rappresenta un nuovo approccio alla riforestazione. Ben oltre la semplice piantumazione di alberi. Questi boschi, nati da un approccio scientifico e multidisciplinare, sono progettati per innescare circoli virtuosi di benefici sia per l’uomo che per l’ambiente.

Contrariamente alle foreste tradizionali, le superforeste sono concepite per massimizzare la multifunzionalità, producendo una vasta gamma di servizi ecosistemici. Oltre alla protezione della biodiversità, esse possono contribuire alla produzione di legname, alla fissazione del carbonio, alla regolazione del ciclo dell’acqua e molto altro. Creare nuovi boschi è un investimento significativo, ma i benefici che può generare sono inestimabili.

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Manpower: “L’Intelligenza Artificiale cambierà l’80% delle professioni”

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Intelligenza Artificiale Italia mondo
Foto X @Lisahughes64714

Entro il 2030 l’intelligenza artificiale trasformerà l’80% delle professioni. La transizione green porterà, in parallelo, 30 milioni di posti di lavoro in più, con un conseguente gap di competenze in un contesto in cui generazioni diverse lavorano insieme con esigenze e obiettivi differenti.

Su queste tematiche e sulle sfide correlate nel mondo del lavoro si confronteranno i protagonisti della prima Annual Conference di ManpowerGroup Italia dal titolo “The Exchange – Disegniamo insieme il futuro del lavoro” in programma il 30 maggio presso il Superstudio Events di via Tortona 27 a Milano.

Il lavoro cambierà, ecco come

L’appuntamento indagherà le nuove tendenze che stanno rimodellando il lavoro, al fine di delineare i contorni delle organizzazioni del futuro. Il dibattito che alimenterà la giornata costituirà lo spunto per stilare il primo Manifesto sul futuro del lavoro al tempo dell’intelligenza artificiale, un progetto di co-creazione per comprendere gli impatti dell’IA sulle aziende del domani. “In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale è protagonista e si fanno strada nuovi paradigmi e modelli di lavoro, anche in relazione alle sfide per la sostenibilità, sentiamo l’urgenza di fornire strumenti utili a leggere le trasformazioni che stanno interessando le aziende“. Questo il commento di Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia.

Il lavoro di dibattito che faremo nel corso della giornata – prosegue – e da cui nascerà il Manifesto rappresenta un invito a immaginare e disegnare insieme il futuro. Con questo appuntamento vogliamo raccogliere la sfida di plasmare collettivamente le prossime fasi di sviluppo del mondo del lavoro“. Imprenditori, manager, esperti e istituzioni discuteranno in diversi panel di tematiche varie. Quali lo sviluppo di un’IA etica e sostenibile, strategie per ridisegnare nuovi modelli organizzativi, economia circolare, geopolitica e generazioni di lavoratori a confronto.

Intelligenza artificiale e nuove competenze

Secondo Manpower da qui al 2030 aumenterà sempre più la domanda di professioni tecniche e ad alta qualifica. Non solamente legate all’informatica e alla tecnologia, ma anche alla cura e ai servizi legati alle persone, incluso l’orientamento, la formazione e l’inserimento socio-lavorativo.

D’altra parte, la domanda calerà per i gruppi professionali a qualifica più bassa. Così come per le professioni qualificate e quelle imprenditoriali collegate ai settori a bassa crescita. Ad esempio il settore primario e le industrie tradizionali. La nuova edizione dello Studio Predittivo “Il futuro delle competenze nell’era dell’Intelligenza Artificiale”, realizzato da EY, ManpowerGroup e Sanoma, deriva da tecniche di Intelligenza Artificiale e algoritmi di machine learning. Evidenzia come la domanda di lavoro in Italia sarà in crescita per i prossimi anni.

Lo scopo dello Studio è di costruire un modello predittivo della domanda di professioni e competenze in Italia da qui al 2030. Con l’obiettivo di fornire a decisori pubblici, aziende e operatori dell’istruzione e della formazione gli strumenti utili a mettere in campo i giusti investimenti. Bisogna prepararsi. Il mondo sta cambiando vorticosamente. Serve essere attenti e affrontare al meglio opportunità e rischi che si presenteranno entro la fine del decennio. Da quel momento in poi sarà ancora più rapido e in un certo senso naturale il cambiamento e l’adeguamento ai progressi dell’Intelligenza Artificiale.

 

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Aumento in busta paga: a chi spetta e come richiederlo

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Aumento busta paga
Concept salario @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Esistono circostanze per le quali un dipendete ha la possibilità di richiedere un aumento in busta paga. Ecco allora a chi spetta e quali procedure effettuare pe richiederlo.

Prima di scoprire in che modo poter richiedere un aumento in busta paga è importante conoscere quali solo le condizioni affinché tale incentivo possa essere richiesto. E tal proposito vale la pena evidenziare che i dipendenti aventi diritto a questa richiesta sono coloro i quali: usufruiscono di un’indennità e superminimi, svolgono mansioni superiori alle precedenti, passano dall’orario part-time all’orario full-time. Di seguito approfondiamo le diverse circostanze.

Aumento in busta paga: supermini e mansioni superiori

Prima di richiedere un aumento in busta paga è utile fare un’autovalutazione. Con essa s’intende l’analisi dei proprio successi e contribuiti all’azienda, così come le competenze acquisite. Nell’autovalutazione rientra poi anche il livello di anzianità. Dopo questa prima fase, il dipendete può richiedere un aumento in busta paga a seguito di una o più voci retributive aggiuntive a quelle minime previste dal contratto collettivo nazionale o territoriale. Il superminimo è da intendersi come un compenso pattuito. E nello specifico esso è di tipo individuale nell’ambito del contratto individuale e riconosciuto per particolari meriti o esperienze.

Nel contratto collettivo, invece, si riconosce in base a determinate categorie contrattuali. Altra condizione che dona la possibilità ad un dipendete di richiedere un aumento in busta paga è lo svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle attribuite nel contratto di assunzione o nelle intese successivamente intercorse. Quando si parla di mansioni superiori si fa riferimento ad attività che richiedono un più alto contributo professionale e quindi un più alto livello di inquadramento. In questo caso, è bene ricordare che il datore di lavoro può assegnare mansioni superiori temporanea.

Da part-time a full-time: diritto di precedenza

Ad eccezione fatta per la sostituzione, temporanea, di un altro lavoratore assente, in tutti gli altri casi il tempo determinato per mansioni superiori non può superare i sei mesi. A scadenza di questi, il dipendente ha diritto al riconoscimento definitivo del trattamento economico corrispondente e quindi può richiedere l’aumento. Al diniego del datore di lavoro, il dipendete può ricorrere in giudizio. Altra condizione è il passaggio da part-time a full-time. La normativa, a tal proposito, riconosce il diritto di precedenza. Esso opera con riguardo a nuove assunzioni che il datore intende effettuare per mansioni di pari livello e categoria legale.

Ricevuta la richiesta di precedenza, il datore di lavoro è tenuto a dare priorità alla trasformazione a tempo pieno del dipendente piuttosto che ricorrere a nuove assunzioni. Anche in questo caso, il datore che non rispetta il diritto di precedenza può essere chiamato in giudizio. Fatte queste dovute precisazioni, è bene specificare che la richiesta d’aumento in busta paga va eseguita con documentazione opportuna e richieste che non sminuiscano sé stessi, ma che siano ben ponderate. Sono diverse, infatti, le circostanze in cui un’azienda potrebbe opporsi ad un aumento, ma è bene sapere che (nella maggior parte di esse) esistono normative pronte a tutelare il lavoratore e far sì che i suoi diritti siano sempre rispettati.

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L’Inps rischia il tracollo fra meno di 10 anni

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Inps conti in rosso il rischio c'è
Foto X @Radio1Rai

Nell’arco di pochi anni, meno di 10, il bilancio dell’Inps, l’Istituto di previdenza sociale che eroga le pensioni, potrebbe sprofondare. Sarebbero allora guai grossi per tutto il sistema dello Stato sociale che regge l’Italia. Invecchiamento della popolazione e calo demografico, ma anche carriere frammentate e discontinue, sono al tempo stesso cause ed effetti di redditi (e quindi di contributi) sostanzialmente bassi. E i flussi migratori non stanno compensando. 

Sono i fattori che in modo combinato peseranno sulle pensioni future. E che, appunto, potrebbero gettare i conti dell’Inps in un profondo rosso. La previsione è doppia e arriva da una parte dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Istituto, oltre che dallo stesso Inps, e dall’altra dall’Ocse. Secondo l’organizzazione internazionale l’Italia è maglia nera tra tutti i Paesi membri per la scarsissima fecondità registrata negli ultimi anni. Nel nostro Paese si registra uno dei tassi più bassi (insieme alla Spagna), con 1,2 figli per donna, superato in negativo solo dalla Corea che conta 0,7 figli per donna.

L’Inps e i dati sulla popolazione

Una tendenza rischiosa per il sistema di welfare state, riscontrata in tutti i Paesi ricchi del mondo, perché, avverte l’Ocse, “mette in pericolo la prosperità delle generazioni future“. A livello nazionale emerge peraltro, ancora una volta, la crescente longevità dei cittadini italiani. Nel 2050, ha spiegato il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, gli over 65 rappresenteranno fino al 35% della popolazione e “questo determina la necessità di ripensare il sistema del welfare“, ha sottolineato, cogliendone l’opportunità occupazionale legata alla cosiddetta “silver economy“.

Un italiano su 3 in età da pensione

D’altra parte però, il fatto che più di un italiano su tre sarà tra pochi decenni in età pensionabile non potrà che avere un effetto sui conti pubblici. E su quelli dell’Inps stesso. La combinazione di longevità e bassa fecondità, che provocano la cosiddetta inversione nella piramide delle età, non riuscirà ad essere bilanciata dai flussi migratori.

Ma se al momento il bilancio dell’Inps resta fondamentalmente in equilibrio, i conti potrebbero presto peggiorare. Se nulla cambierà, la situazione patrimoniale girerà in passivo: da +23 miliardi nel 2023 a -45 miliardi nel 2032. Si tratta di una prospettiva drammatica che prelude, in teoria, a un generale impoverimento degli italiani. L’Inps si è affrettato a rassicurare che i dati non sono numeri inediti. Nessun allarme attuale, dunque. Lo scenario prospettato “potrebbe prendere forma solo in assenza di efficaci politiche di contrasto” hanno spiegato ancora dall’Istituto.

Che fare per evitare il peggio

In pratica occorrerebbe mettere in campo politiche che possano incidere sulla “crescita della massa salariale e reddituale e del conseguente gettito contributivo“. In Italia oggi i salari e gli stipendi dei lavoratori sono fra i peggiori d’Europa. Per non parlare del fatto che nel nostro Paese, fondatore dell’Unione europea e membro del G7, vige ancora il caporalato in agricoltura sia in certe zone del Sud che del Centro che del Nord.

Per evitare il tracollo dell’Inps bisogna quindi rafforzare le politiche del lavoro mirate a mettere in gioco “i bacini occupazionali ancora ampiamente sottoutilizzati“. Vale a dire le donne, i giovani, il Meridione. E occorre “un’attenta politica di gestione dei flussi migratori, che in questo contesto demografico posso rappresentare una risorsa importante“. Lo scorso anno la spesa pensionistica è stata pari a 304 miliardi, con un incremento rispetto all’anno precedente del +7,4%, incremento determinato sostanzialmente dalla rivalutazione delle pensioni a fronte dell’impennata inflazionistica.

 

 

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Ferie forzate: il datore di lavoro può imporle?

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Ferie forzate
Ferie @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Il periodo estivo si coniuga, spesso, alle vacanze. Nel merito delle ferie forzate, tuttavia, occorre fare alcune dovute precisazioni. 

Quando si parla di ferie forzate è logico chiedersi a chi spetta stabilire questo periodo di assenza dal lavoro. Non è raro, infatti, domandarsi se tale scelta spetti al dipendente o al datore. Ed è proprio a tal proposito che fare un po’ di chiarezza potrebbe giovare a tanti. Innanzitutto, è bene precisare che l’azienda, in caso di ragioni oggettive e apprezzabili, potrebbe stabilire le ferie forzate per i dipendenti. Questo però, in genere, si verifica quando non si adempie all’osservanza delle scadenze normative, oppure per evitare danni o situazioni di pericolo per cose o persone.

Quando subentrano le ferie forzate

Sebbene è il caso di specificare casi e situazioni, in generale, si può affermare che la decisione concernete le ferie (in giorni e ore) rientra tra i poteri organizzativi del datore di lavoro. Tuttavia, all’azienda spetta anche il dovere di prendere in considerazione le esigenze di ogni dipendete. In merito all’organizzazione delle ferie è bene distinguere tra ferie collettive e ferie individuali. Nel primo caso si fa riferimento al periodo che riguarda l’intera azienda, una sede, un’unità produttiva, un’unità operativa, un singolo reparto, un singolo ufficio o un singolo settore. Anche a fronte di quanto specificato, le ferie collettive si collocano tra Pasqua, Natale ed estate e si possono estendere per una o due settimane.

Le ferie individuali, invece, sono quelle concesse ad ogni singolo dipendete dopo specifica richiesta di quest’ultimo. Possono durare anche uno o due giorni e possono interessare qualsiasi periodo dell’anno. Tornando alle ferie collettive, esse coinvolgono un numero considerevole di dipendete e sono organizzate, di norma, dall’azienda in base ad un piano ferie. Quest’ultimo un documento attraverso il quale il dipendete può scegliere il proprio periodo di ferie. Completato il piano ferie, esso è esaminato dalla direzione aziendale e poi approvato con, eventuali, necessarie variazioni.

Quando il datore di lavoro è “costretto”

Nel caso delle ferie individuali, il dipendente può usufruire di un certo numero di giorni e/o ore in un arco di tempo determinato. Tale richiesta va inoltrata al datore di lavoro che valuterà se poterla accogliere o meno. Quando si parla di ferie forzate occorre specificare che essere fanno riferimento ad un periodo obbligatorio. Per garantire un certo benessere aziendale, tuttavia, il datore di lavoro dovrebbe mettere in pratica alcune accortezze come confrontarsi con le organizzazioni sindacali di categoria o comunicare al dipendente la motivazione che conduce al periodo di ferie ‘imposto’. Per quanto riguarda le motivazioni, di cui sopra accennato, esse dovrebbero fare riferimento a condizioni oggettive come, ad esempio, rispettare le scadenze di legge.

Analogamente un datore di lavoro può sottoporre un dipendete alle ferie forzate per evitare infortuni ed in questo caso si parla, ad esempio, di lavoratori che hanno accumulato troppe ore di straordinario in settimane o mesi (situazione che può generare stanchezza mentale e fisica). Ed infine, occorre precisare che esistono condizioni imprescindibili per le quali un datore di lavoro è costretto a somministrare le ferie forzate. In questo ultimo caso si elencano: la chiusura dell’azienda per ristrutturazioni o per lavori strutturali non procrastinabili; la chiusura definitiva dell’azienda ordinata dalle autorità pubbliche; eventi di forza maggiore.

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Auto elettriche, bonus colonnine domestiche: come funziona

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Auto elettriche
Colonnina di ricarica auto elettrica @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Dall’8 luglio 2024 al via le prenotazioni per i bonus colonnine domestiche (wallbox) adatti alle auto elettriche. A questo punto è utile scoprire a chi si indirizza l’incentivo e in che modalità è possibile fare domanda.

Aperta dalle ore 12.00 dell’8 luglio 2024 la piattaforma per inoltrare le istanze di richiesta del Bonus wallbox 2024. Si tratta dell’incentivo previsto per le spese sostenute dal 1° gennaio 2024 e relativo all’acquisto e alll’installazione di infrastrutture di ricarica adatte al funzionamento delle auto elettriche presso abitazioni private o condomini, così come stabilito dal decreto del 12 giugno. Tale iniziativa è promossa direttamente dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con una dotazione finanziaria da 20 milioni di euro, ed è il MIMIT stesso a porre alcuni chiarimenti in merito, grazie ad una serie di faq sul profilo ufficiale .

Dettagli sul bonus colonnine auto elettriche

Favorire l’utilizzo di auto elettriche e di colonnine di ricarica sposa l’obiettivo della transazione ecologica, ma allo stesso tempo rispetta le indicazioni delle UE. L’Italia, ad oggi, è il quinto paese in Europa per numero di installazioni di colonnine di ricarica per veicoli elettrici, così come indicato dalle informazioni dell’ultima analisi ACEA, l’Associazione Europea dei Costruttori di Automobili. Per quanto riguarda il bonus, si apprende che esso giungerà direttamente dal MIMIT. Non si tratterà, dunque, di una detrazione fiscale. L’incentivo è incluso nel DPCM di agosto per il settore automotive, il quale prevede lo stanziamento di fondi fino al 2030.

Il contributo riguarda gli acquisti e le installazioni effettuate dal mese di gennaio 2024 da persone fisiche residenti in Italia e da condomìni rappresentati dall’amministratore pro tempore o da un condomino delegato. Per ciò che concerne gli incentivi relativi all’installazione di colonnine domestiche per auto elettriche, il contributo corrisponde all’80% del prezzo di acquisto e posa in opera.

Come inviare la domanda

Importante specificare che per ciascuna situazione è comunque previsto un limite massimo di erogazione. Nello specifico, il limite massimo è fissato a 1.500 euro per ogni persona singola che presenta la domanda per l’incentivo. Il limite massimo arriva ad 8.000 euro se, invece, la richiesta arriva da parte di strutture condominiali. In questo ultimo caso, per quanto riguarda gli interventi condominiali, le regole del nuovo bonus colonnine elettriche o wallbox prevedono il raggiungimento di un quorum in assemblea, che equivale alla maggioranza degli intervenuti alla riunione e almeno un terzo del valore del caseggiato.

Per fare domanda del bonus per colonnine domestiche di ricarica dedicata alle auto elettriche, è necessario presentare richiesta in modalità telematica tramite un servizio predisposto sul portale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e gestito da Invitalia. Come per ogni procedura online ufficiale, per accedere all’istanza è necessario possedere SPID, CIE o CNS oltre ad una PEC per successive comunicazioni. Per agevolare le procedure, è importante evidenziare che al decreto direttoriale del 4 ottobre è allegato anche un facsimile di modulo di domanda in formato PDF, in cui sono riportati sia i dati del richiedente e della localizzazione della struttura di ricarica. Infine, occorre precisare che l’erogazione del bonus dovrebbe avvenire a partire da 90 giorni dall’ultima data disponibile per presentare domanda, fino ad esaurimento delle risorse.

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