domenica, Settembre 1, 2024
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Garante Privacy: quando il dipendente ha accesso ai suoi dati personali?

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Privacy
Dati e privacy @Foto Crediti EnvatoElements - DirittoLavoro

L’Autorità Garante della Privacy chiarisce quando un dipendente può avere accesso ai suoi dati personali, evidenziando un importante principio legato al diritto del lavoro e alla riservatezza.

Con la newsletter GPDP n. 522 del 3 maggio 2024, l’Autorità Garante della Privacy chiarisce se un lavoratore dipendente abbia sempre accesso o meno ai suoi dati personali. A far scaturire l’esigenza di chiarire in questi giorni questo aspetto, un caso giudiziario in cui è stata coinvolta una lavoratrice e l’azienda presso la quale lavorava. La materia del caso: l’accesso ai propri dati personali da parte della dipendete.

Dal caso sulla privacy al diritto

La dipendente del caso citato aveva fatto un reclamo al Garante per la privacy, richiedendo un controllo sulla possibile violazione dei suoi dati personali. In particolare, la dipendente aveva chiesto l’accesso alla sua cartella, in seguito ad una sanzione disciplinare alla quale era stata sottoposta e che era scaturita nel licenziamento. Tuttavia, l’azienda non aveva accordato il permesso alla dipendente, limitandosi a fornire alcuni documenti che, a detta dell’azienda, potevano giustificare la sanzione, ma che non sono apparsi sufficienti alla lavoratrice per giustificare il licenziamento.

Nella newsletter sopracitata, l’Autorità Garante della Privacy ha fatto notare che solo dopo l’inizio dell’istruttoria di rito da parte dell’Autorità stessa, l’azienda in questione aveva acconsentito a fornire nuovi documenti. Dopo tutti i dovuti accertamenti del caso e gli ulteriori esami di conferma, il Garante per la privacy ha ricordato che, in linea generale, il diritto di accesso previsto dalla legge: “Mira a permettere all’interessato, o all’interessata, di avere il pieno controllo sui propri dati personali e di controllarne l’effettiva corrispondenza alla realtà“. Di conseguenza non può mai essere né limitato né circoscritto l’accesso ai propri dati.

Diritto tutelato anche dal Comitato europeo

Inoltre, in base alle disposizioni del Regolamento sulla protezione dei dati personali, altresì, il dipendente interessato all’accesso ai propri dati non è tenuto a fornire una motivazione circa l’esigenza dell’esercizio dei diritti e il titolare non ha il potere di sentenziare o indagare sulle motivazioni. Come chiarisce ancora il Garante della privacy, tale diritto rispetto al libero accesso ai propri dati personali è in coerenza con il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), come emerge dai contenuti delle Linee guida sul diritto di accesso. Inoltre, sempre sulla stessa linea si trova un indirizzo giurisprudenziale della Corte di Giustizia UE.

Dunque, in conclusione, dall’esito dell’istruttoria l’Autorità Garante per la Privacy non ha potuto che dare ragione alla dipendete che aveva fatto reclamo per tutelare i suoi diritti nei confronti dell’azienda ex datrice di lavoro. Al termine della causa, il Garante ha sanzionato l’azienda con una multa dal valore di 20mila euro. Per stabilire l’importo l’Autorità Garante ha considerato sia la gravità che la natura della violazione, ma anche la durata a cui si è aggiunta la mancanza di casi simili in precedenza. In definitiva, volendo rispondere alla domanda che titola questo articolo, ovvero “Quando il dipendente ha accesso ai suoi dati personali?“, si può senza remore rispondere: sempre e senza essere tenuto a nessuna spiegazione.

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Dehors strutturali, scoppia la polemica

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Dehors locali pubblici Italia
Foto X @bbbb1_2_

Il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ha scatenato una dura polemica da parte delle associazioni dei consumatori e di varie amministrazioni comunali sui dehors di bar, locali e ristoranti. “Siamo elaborando – ha dichiarato – all’interno del disegno di legge sulla concorrenza, un provvedimento per rendere strutturali i tavolini all’aperto. I dehors, così che siano anche un elemento di decoro urbano”.

La dichiarazione del ministro è arrivata a margine della Giornata della ristorazione, il 16 maggio. “Su questo provvedimento – ha detto Urso – ci stiamo confrontando con le associazioni settoriali e ovviamente anche con l’Anci, quindi con i Comuni. Pensiamo che possa essere un’occasione per rendere la ristorazione ancora più funzionale alla socialità e a quel decoro urbano che nei centri storici va sempre più affermato“.

In pratica il Governo Meloni ipotizza di inserire nel decreto legge Concorrenza una norma che vada nella direzione di rendere strutturale la normativa sui dehors, i tavolini all’aperto. Così da coniugare la fruizione degli spazi commerciali con quelli culturali e residenziali. “Su questo – ha scritto il ministro Urso su Twitter – siamo al lavoro con l’Anci e le soprintendenze. Affinché la norma possa essere frutto di una condivisione con tutte le parti coinvolte“.

Duro attacco del Codacons

I dehors liberi, però, sostiene il Codacons, associazione dei consumatori, “sono uno stupro ai danni dei centri storici e delle città. E un immenso regalo a bar e ristoranti sulla pelle dei cittadini“. Una bocciatura totale, dunque, del provvedimento che il ministro delle Imprese e del Made in Italy ha annunciato. “Nonostante non sussistano più i presupposti dell’emergenza Covid che avevano permesso a bar e ristoranti di occupare il suolo pubblico con un’invasione selvaggia di pedane e tavolini, il Governo vuole rendere strutturale una misura che ha causato solo caos e degrado” ha detto Carlo Rienzi, presidente del Codacons.

Dehors, ombrelloni, pedane, tavoli e sedie su strade e piazze arrecano un enorme danno ai cittadini, che restano privi di spazi pubblici e costretti a camminare facendo lo slalom tra le strutture piazzate da bar e ristoranti. Un caos che danneggia anche il decoro urbano e il turismo, rovinando l’immagine delle nostre città agli occhi dei visitatori stranieri. Senza contare l’abusivismo e l’assenza di controlli, che porta spesso all’occupazione di più spazio pubblico rispetto a quello consentito dai regolamenti locali“.

Stoppani (Fipe): “Dehors contrastano il degrado”

Di parere esattamente opposto, ovviamente, il presidente di Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani. Sui dehors “è chiaro che siamo favorevoli” ai progetti per renderli strutturali. “Perché si mette mano a un tema molto delicato dove molto spesso c’è la fantasia delle amministrazioni comunali. C’è un tema di desertificazione commerciale. Allora il pubblico esercizio sta diventando uno strumento formidabile di rigenerazione urbana grazie anche alle occupazioni esterne che danno sicurezza, vivibilità, animazione. E contrastano il degrado che si vede nelle zone caratterizzate da desertificazione commerciale” ha osservato Stoppani. Il progetto anticipato dal ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, aggiunge Stoppani, “ha la finalità di favorire queste occupazioni esterne e semplificare gli adempimenti“. Per il presidente di Fipe, “sta cambiando il modo di usufruire le città“.

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Mantova, bonus affitto: 150 euro al mese per gli under 36

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Bonus affitto Mantova giovani under 36
Foto X @Reddo_it

Uomini e donne con meno di 36 anni, con famiglia o come single, avranno un incentivo economico per trasferirsi a vivere a Mantova. Il Comune ‘premierà’ con 150 euro al mese – per un anno – i giovani non residenti che si insedieranno in città.

Per ricevere il bonus affitto basta partecipare al bando Benvenuti in città destinato appunto a lavoratori under 36 (single o con famiglia) che spostino la residenza e paghino un canone di locazione abitativa di almeno 350 euro al mese. Il Comune di Mantova ha indetto, inoltre, anche un secondo bando, Abitare Borgochiesanuova. L’obiettivo è quello di sostenere i giovani e aiutarli sotto il profilo economico affinché lascino la la casa dei genitori. Si tratta di single, famiglie e nuovi residenti con reddito da lavoro. Potranno vivere in uno dei 67 nuovi appartamenti del quartiere.

Salari fermi e gli affitti aumentano

L’iniziativa dei bandi di Mantova nasce dal fatto che sul territorio comunale della città lombarda si stanno insediando alcuni importati poli industriali e logistici. In particolare quello dell’Adidas, che conterà in tutto 700 dipendenti. C’è poi quello della multinazionale svizzera Nestlé che richiamerà circa 500 lavoratori. Ma queste persone devono anche poter trovare un alloggio che gli consenta di vivere dignitosamente. Se si considerano le famiglie al seguito dei lavoratori è chiaro che stiamo parlando di migliaia di persone.

In questi giorni il sindaco di Mantova, Mattia Palazzi, ha presentato l’iniziativa. “La politica nazionale sembra non pensare a un problema reale e concreto che noi viviamo tutti i giorni” ha detto. “Il costo degli affitti aumenta, mentre i salari non crescono da anni. Sui salari non possiamo fare nulla, ma sul costo affitti con questa misura agganciamo alla offerta di nuovo lavoro. E Mantova ha una politica di incentivi per la residenza nella nostra città“.

Mantova, le condizioni per il bonus

Tramite il progetto Benvenuti in città il primo cittadino e la sua giunta mirano a rendere più attrattivi Mantova e il suo territorio per chi viene da fuori e pensa di insediarsi nell’area comunale. Per ottenere il contributo di 150 euro al mese occorre tuttavia osservare alcune condizioni. Bisogna, in primo luogo, dimostrare che si deve far fronte a un affitto di almeno 350 euro mensili (del resto con i prezzi attuali delle case è quasi impossibile trovare un canone di locazione inferiore).

Inoltre per poter accedere a questo aiuto da parte dell’amministrazione comunale i giovani come meno di 36 anni dovranno avere un reddito Isee compreso tra i 9.500 e i 40mila euro. Tutti gli altri lavoratori tra i 14mila e i 40mila euro all’anno. Come sopra accennato, oltre al contributo di 150 euro, il Comune di Mantova ha deciso di mettere a disposizione di giovani e famiglie che si trasferiscono nella città lombarda 67 nuovi appartamenti nel quartiere Borgochiesanuova.

Si tratta di una storica zona della città, dove è stata da poco completata un’importante opera di riqualificazione sul piano urbanistico ed edilizio. Insomma, l’obiettivo del sindaco Palazzi è che nessuno abbia più scuse per non voler andare a vivere e lavorare nella città che fu dei Gonzaga.

 

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Bonus badanti, fino a 3mila euro: come richiederlo

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Bonus badanti 2024
Foto Ansa/Daniel Da Zennaro

C’è tempo fino alla fine del prossimo anno ma è bene affrettarsi a chiedere il bonus badanti 2024. Una misura che il Governo ha varato durante il Consiglio dei ministri del 26 febbraio scorso. A disposizione ci sono 137 milioni di euro spendibili dal 2024 al 2028. Il contributo rientra negli aiuti previsti dal decreto sul PNRR e attinge, in particolare, al programma nazionale Giovani, donne e lavoro 2021-2027. 

Nel decreto PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) il Governo precisa che questo esonero contributivo ha lo scopo di promuovere il miglioramento del livello qualitativo e quantitativo dell’assistenza alle persone non autosufficienti. Serve inoltre a “favorire la regolarizzazione del lavoro di cura prestato al domicilio“. Nel decidere questa misura si è tenuto conto del fatto che gli anziani in Italia sono in aumento e che i non autosufficienti sono quasi 4 milioni di cittadini.

E inoltre che, secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Domina, nel 2022 si è registrata una diminuzione del 7,9% di assunzioni di colf e badanti. Il motivo è l’esaurimento degli effetti della sanatoria che ha permesso di regolarizzare molti lavoratori domestici stranieri. Gli assunti in regola sono tornati ai livelli del 2016. Tuttavia, si deve anche segnalare che, secondo i dati di Family Care, l’agenzia per il lavoro autorizzata dal Ministero del Lavoro, nel corso del 2023 le assunzioni di badanti sono aumentate del 17%.

Il bonus badanti 2024

Il bonus badanti 2024 è un esonero contributivo previsto per le persone di almeno 80 anni di età, non autosufficienti e titolari di indennità di accompagnamento, in possesso di un Isee inferiore a 6 mila euro. Secondo quando previsto nel decreto Pnrr, chi si trova in queste condizioni potrà non pagare integralmente i contributi pensionistici per l’assunzione di un badante con mansioni di assistenza. La misura, che scade nel dicembre del 2025, permette un risparmio massimo di 3mila euro annui per un totale di 24 mesi.

Le condizioni per poter accedere a questo esonero contributivo sono molto stringenti. Per questo motivo è stato rinominato “mini-bonus badanti“. C’è chi ha calcolato che, alla fine, potranno usufruirne solo 25mila italiani. A fine aprile l’Inps aveva ancora pubblicato sul proprio sito una circolare al riguardo né le modalità di domanda. In ogni caso, il bonus durerà fino al 31 dicembre 2025, o fino a esaurimento fondi. Per il 2024 sono stati stanziati 10 milioni di euro, che diventeranno 39,9 milioni per il 2025.

Chi ne ha diritto

Hanno diritto all’agevolazione coloro che, essendo in possesso di un Isee inferiore a 6mila euro, assumeranno per la prima volta una (o un) badante. L’aiuto è previsto anche per la trasformazione di un contratto già esistente in uno a tempo indeterminato. La misura del bonus badanti prevede per il datore di lavoro che soddisfa i requisiti per poter accedere all’aiuto una decontribuzione al 100% sia dei versamenti contributivi all’Inps e sia di quelli assicurativi Inail.

Badanti, ci sono anche altre misure

L’agevolazione del bonus badanti consiste in una esenzione dal pagamento dei contributi per il lavoro domestico. Normalmente il datore di lavoro li versa ogni 3 mesi tramite bollettini Mav inviati dall’Inps o sul sito dell’Inps stesso. Le scadenze per i pagamenti sono: 10 gennaio, 10 aprile, 10 luglio e 10 ottobre.

Questa misura non è comunque l’unico aiuto previsto per le famiglie in difficoltà: esistono, infatti, diversi bonus per il 2024. Il 25 gennaio 2024 il Cdm ha dato l’ok alla “prestazione universale“, che prevede fino a mille euro in più. Esiste, infatti, il bonus assistenza non autosufficienti, che prevede la possibilità per il datore di lavoro di detrarre il 19% del costo complessivo a carico sostenuto per gli addetti all’assistenza personale dei non autosufficienti. A prescindere dall’età e dall’Isee. In questo caso, la spesa massima detraibile è di 2.100 euro all’anno. Può detrarla, in sede di dichiarazione dei redditi, solo chi ha un reddito personale inferiore a 40 mila euro. Inoltre, si possono dedurre anche i contributi pensionistici versati per colf e badanti regolarmente assunti entro un limite massimo annuo di 1.549,37 euro.

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Eurostat: “In Italia si lavora di più che nel resto d’Europa” (ma la produttività è bassa)

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Produttività lavoro Italia
Foto Ansa/Epa Clemens Bilan

Gli italiani, certifica Eurostat, lavorano tanto in termini di tempo dedicato al mestiere o alla professione; molto di più rispetto ai cittadini di altri Stati dell’Unione Europa. Ma la loro produttività resta bassa. Un’apparente contraddizione, se non fosse che la produttività del lavoro non dipende tanto dal numero di ore lavorate quanto da vari altri fattori. Come ad esempio la sicurezza e la salute del personale in azienda o nell’ente, e la qualità del lavoro più che la quantità.   

Secondo l’Eurostat gli orari di lavoro lunghi (49 ore la settimana) nel nostro Paese nel 2023 hanno riguardato quasi una persona su dieci tra i 20 e i 64 anni, il 10% appunto, contro una media Ue del 7,1%. Ci superano solo Grecia, Francia e Cipro. Si tratta di numeri legati all’alta presenza degli autonomi, un settore in cui tradizionalmente si è impegnati per un numero di ore maggiore rispetto alla media (il 29,3% della categoria lavora almeno 49 ore).

I dati di Eurostat sugli autonomi

Un lavoratore su dieci è impegnato circa un giorno in più a settimana rispetto agli altri, considerando che l’orario standard in molti casi oscilla tra le 36 e le 40 ore. In Italia, sottolineano i ricercatori di Eurostat, l’istituto statistico della Ue, i lavoratori dipendenti impegnati almeno 49 ore la settimana sono in media il 3,8%. La media europea è del 3,6%. Gli autonomi con dipendenti che lavorano con questi orari sono il 46% del totale (41,7% la media Ue).

I lavoratori autonomi senza dipendenti che lavorano 49 ore alla settimana sono il 27,4% (il 23,6% in Ue). Coloro che sono impegnati in un lavoro di aiuto all’attività familiare e che raggiungono le 49 ore sono il 20,1% (il 14% in Ue). La percentuale degli ‘stakanovisti’ sale se si considerano solo gli uomini, con il 12,9% degli occupati che lavorano almeno 49 ore a settimana (il 9,9% in Ue). Tra gli autonomi con dipendenti la percentuale supera il 50% in Italia (50,8%) e si attesta sul 46,3% in Ue.

I lavoratori dipendenti

Anche tra i dipendenti la percentuale di chi lavora almeno 49 ore alla settimana aumenta tra gli uomini, con il 5,1% in Italia a fronte del 5% della media Ue. Tra le donne le autonome con dipendenti lavorano a lungo nel 32,5% dei casi (quasi una su tre) a fronte del 29,6% in Ue. Tra le dipendenti sono invece il 2,3% a fronte del 2,1% in Ue. Nel complesso, le donne che lavorano almeno 49 ore alla settimana sono il 5,1% del totale contro il 3,8% nel resto dell’Unione europea

In Italia, emerge ancora dai numeri di Eurostat, hanno orari lunghi soprattutto i dirigenti (40,5% del totale a fronte del 21,9% in Ue) con una percentuale del 24,4% per i manager dipendenti (il 14,3% in Ue). Il 10,3% dei professionisti in Italia dichiara di lavorare almeno 49 ore e il 10,9% dei lavoratori dei servizi e delle vendite (6,5% in Ue). Tra i lavoratori dell’agricoltura in Italia il 36,3% lavora almeno 49 ore a settimana (siamo al 27,5% in Ue).

I paesi dove si lavora di più al mondo

Oltre all’Eurostat anche l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo in Europa) diffonde periodicamente le cifre sul mondo del lavoro. Secondo dati relativi al 2020, il paese dove si lavora più ore al mondo è il Messico (2.257 ore all’anno), seguito dal Costa Rica (2.179): due Stati in cui, a fronte di ricche risorse naturali, la povertà è molto diffusa.

I paesi dove al contrario si lavora il minor numero di ore annue sono: Germania (1.356), Danimarca (1.408), Norvegia (1.419), Olanda (1.433), Svezia (1.453), Islanda (1.461), Austria (1.487), Francia (1.514) e Regno Unito (1.681). Tutti paesi ricchi. Come detto, non sempre più ore di lavoro implicano maggiore produttività. Malgrado che l’Italia sia nelle prime posizioni per numero di ore lavorate alla settimana, è invece agli ultimi posti per livelli di produttività del lavoro. Per produttività del lavoro s’intende il risultato del rapporto tra valore aggiunto e ore lavorate.

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Camila Giorgi, pignoramento da mezzo milione di euro

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Camila Giorgi fisco ritiro tennis pignoramento
Foto Ansa/Epa Francisco Guasco

“L’Agenzia delle Entrate ha presentato un atto di pignoramento verso terzi alla Federtennis” perché Camila Giorgi deve 464 mila euro al fisco di tasse non pagate. Lo conferma all’Agenzia di stampa Ansa la Federazione tennis e padel.

Questo non esclude che il debito della tennista azzurra – il cui caso sta facendo scalpore sui social media dopo l’inconsueta procedura di ritiro dall’attività agonistica – sia anche maggiore. Il valore economico che l’esattore chiede formalmente a Giorgi è pari a 464mila euro. Ma si tratta semplicemente la cartella esattoriale girata alla Federazione italiana tennis e padel. In realtà, secondo voci non confermate, la campionessa azzurra di tennis avrebbe debiti con l’Erario per milioni di euro.

Giorgi, sparita e poi riapparsa

La Federazione è coinvolta nella questione perché paga premi e gettoni di presenza in Nazionale agli atleti. Dovrà dunque girare all’Agenzia delle Entrate eventuali premi non pagati alla Giorgi dall’atto di pignoramento, vale a dire da luglio 2023. O anche quelli futuri, che però ora non sono ipotizzabili visto che la 32enne maceratese si è ritirata. La Guardia di Finanza aveva convocato la ormai ex tennista il 13 aprile per notificare a lei e alla sua famiglia documenti su accertamenti fiscali. Non avrebbero presentato la dichiarazione dei redditi per anni.

Sabato 11 maggio Camila Giorgi aveva rotto il silenzio dopo giorni di indiscrezioni sul suo conto. La giovane ex tennista era infatti sparita dalla circolazione, risultando irreperibile. Di fatto, ancora adesso, non è chiaro dove si trovi. Forse, secondo alcune ipotesi, all’estero, in America. Tuttavia l’11 maggio ha ufficializzato il ritiro dal tennis e ha invitato i suoi fans a non credere a presunti e non indicati “articoli fake“. “Sono felice di annunciare formalmente il ritiro dalla mia carriera tennistica“.

La storia su Instagram

Come detto, dopo essere sparita da giorni, alimentando voci e supposizioni, Giorgi ha scritto una storia sul suo profilo Instagram. “Per favore seguite la mia pagina perché finora stanno uscendo solo articoli fake” ha scritto la 32enne maceratese. “Sono così grata per il vostro meraviglioso amore e sostegno per così tanti anni. Conservo tutti i bellissimi ricordi. Ci sono state molte voci inesatte sui miei piani futuri, quindi non vedo l’ora di fornire maggiori informazioni sulle entusiasmanti opportunità future. È una gioia condividere la mia vita con voi e continuiamo questo viaggio insieme“. Un messaggio che potrà forse soddisfare i fan ma non il Fisco italiano che ha proceduto a un pignoramento da quasi mezzo milione di euro nei confronti dell’ex campionessa.

Una carriera in chiaroscuro

Il quotidiano la Repubblica ha scritto di aver saputo da alcuni vicini di casa di Giorgi (che ha la residenza a Calenzano, poco fuori Firenze) che lei e la sua famiglia non si vedono da settimane. I vicini hanno raccontato che, alcuni mesi fa, davanti all’abitazione della ex tennista si sarebbe presentato il furgone di una ditta di traslochi.

Giorgi ha 32 anni, e durante la sua carriera è stata una tennista molto promettente. Al tempo stesso, però il suo rendimento in campo è stato non poco altalenante. Fra le altre cose, è stata la seconda tennista italiana della storia (dopo Flavia Pennetta nel 2014) a vincere un torneo WTA 1000. Vale a dire il più importante dopo i 4 tornei del Grande Slam (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open). Prima del ritiro occupava la 116ª posizione nel ranking mondiale femminile della Women’s Tennis Association (WTA), l’associazione che riunisce le tenniste professioniste di tutto il mondo

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Superbonus, scontro fra il ministro dell’Economia Giorgetti e il vicepremier Tajani

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Giorgetti Tajani decreto Superbonus polemica
Giancarlo Giorgetti (a sin.) e Antonio Tajani. Foto Ansa/VelvetMag

Un secco botta e risposta tra i ministri Giorgetti e Tajani con al centro il tema del nuovo decreto sul Superbonus edilizio sta scuotendo il Governo Meloni. Il provvedimento è ora all’esame della Commissione Finanze del Senato. Il vicepremier forzista si è affrettato a stemperare i toni in tarda mattinata, l’11 maggio: “Giancarlo Giorgetti è un caro amico, ottimo ministro. Non è che per un emendamento traballa il Governo”.

Ha poi aggiunto che il confronto “è normale amministrazione“. Ma incombe l’assunto che ha dato adito allo scontro: “Rimane un principio in contrasto con la nostra civiltà giuridica: non si possono imporre norme con effetto retroattivo“. Non rinuncia comunque a una precisazione piccata, Tajani. “Anche il ministro Giorgetti se ne farà una ragione. Perché prima di votare un emendamento che non è del Governo, ma del Ministero, noi in Parlamento vogliamo valutare se è un emendamento che rispetta le regole fondamentali della nostra civiltà giuridica“.

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Superbonus e sismabonus

A innescare la miccia è stato il testo del decreto legge emendato dal Governo. Un testo che contiene la norma che prevede la ripartizione della detrazionein dieci quote annuali di pari importo” per le spese legate al Superbonus sostenute nell’anno 2024. La novità, quindi, sarà retroattiva fino al gennaio 2024 e si applicherà anche al sismabonus. La norma, che vale anche per gli studi finanziari, non tocca invece le persone fisiche.

La retroattività non è piaciuta neppure alla Confindustria, sebbene l’associazione degli industriali ammetta e comprenda le ragioni di sostenibilità dei conti pubblici per le quali il Governo può disporre lo spalma-crediti per decreto legge a vigenza immediata. “Ma allora lo si applichi solo per crediti maturati da spese sostenute successivamente a quella data“, ha detto Maurizio Mareschini, numero due di Confindustria.

Parole ‘incendiarie’

Di prima mattina, l’11 maggio, avevano acceso gli animi sul Superbonus le parole di Giorgetti alla presentazione delle liste della Lega per le elezioni europee. “Tajani quando leggerà l’emendamento capirà il buon senso che l’ha ispirato” aveva asserito il ministro. “Credo che se ne farà una ragione anche lui, perché altrimenti dovremo andare a ridiscutere tante spese che abbiamo“. “Io ad esempio – ha aggiunto il ministro dell’Economia – non è che introduco il tema se è opportuno tenere tutte queste missioni militari che abbiamo nel mondo. Magari potremo ridispiegare nel Mediterraneo“.

Il testo dell’emendamento

La detraibilità in 10 anni delle spese per interventi col Superbonus riguarda un ammontare di detrazioni fruibili pari a quasi 12 miliardi tra il 2024 e il 2025. Emerge dalla relazione tecnica all’emendamento del Governo al decreto. “Ai fini della stima si considerano l’ammontare di detrazioni fruibili per l’anno 2024 pari a circa 6.211 milioni di euro e per l’anno 2025 pari a circa 5.780 milioni di euro. Scontati nelle previsioni di bilancio” si legge.

Le nuove norme non si applicano ai soggetti che abbiano acquistato le rate dei predetti crediti a un corrispettivo pari o superiore al 75% dell’importo delle corrispondenti detrazioni. In pratica, la norma non penalizza gli istituti finanziari che hanno acquistato i crediti senza un eccessivo sconto. Negli altri articoli dell’emendamento al decreto Superbonus si prevede un fondo da 35 milioni per il 2025 per gli interventi di riqualificazione nelle aree interessate da piccoli interventi sismici. E finanziamenti per 100 milioni per il 2025 la riqualificazione energetica e strutturale. Che a farla siano enti del terzo settore, onlus, organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale.

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Legge 104 e assistenza a domicilio: come si ottiene

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104 e assistenza a domicilio
Assistenza medica a domicilio @Foto Crediti EnvatoElements - Diritto Lavoro

All’interno delle misure previste nella Legge 104 è compresa anche l’assistenza a domicilio. Ovviamente per ottenerla esistono dei parametri precisi in cui l’assistito e/o il richiedente devono rientrare.

La Legge 104 è la norma italiana che garantisce i diritti delle persone con diversi gradi di disabilità. All’interno di questa legge, infatti, sono previste indennità e prestazioni specifiche che coinvolgono anche i familiari (o i tutori) che rivestono il compito di assistente. Per la famiglia, ad esempio, sono previsti anche servizi e congedi retribuiti. Tra i servizi che possono spettare ad un beneficiario della Legge 104 anche l’assistenza a domicilio. Per ottenere quest’ultima, tuttavia, è necessario rientrare nel quadro di parametri stabiliti.

Assistenza a domicilio oltre la Legge 104

Partendo dal presupposto che l’assistenza a domicilio può spettare, in taluni casi, anche a chi non rientra nella Legge 104, è bene precisare che tale servizio assistito è offerto a soggetti che non sono autosufficienti e nello specifico a chi soffre di particolari patologie (croniche o terminali), agli anziani non più autosufficienti e a persone affette da una qualche forma di disabilità. In genere, nei casi citati, l’assistenza a domicilio è offerta in maniera gratuita. Tuttavia, una specifica percentuale di invalidità può essere la soglia richiesta secondo le disposizioni delle Asl di competenza sul territorio.

L’assistenza a domicilio può essere richiesta per monitorare i sintomi, somministrare cure e terapie o anche avere un supporto psicologico. Tutto questo senza che l’assistito debba recarsi in una struttura ospedaliera, soprattutto quando la persona a cui spettano le cure ha bisogno di assistenza quotidiana. L’assistenza a domicilio è fornita dal Sistema Sanitario Nazionale ed è dedicata a tutte le persone nelle quali si riconoscono stati di fragilità. Difatti, come chiarisce l’art. 22 del DPCM 12 gennaio 2017, le cure hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della persona assistita, stabilizzandone (laddove sia possibile) il quadro clinico nell’ambiente domestico e familiare.

Come si ottiene il servizio domiciliare

Nel cuore della La Legge 104 sono previste due tipologie di assistenza a domicilio. Ovvero: ADP, Assistenza Domiciliare Programmata (livello di cura di base, per prestazioni mediche e riabilitative, per chi non è in grado di deambulare); ADI, Assistenza Domiciliare Integrata (prestazioni professionali specifiche per chi si trova in gravi condizioni di salute, secondo diversi gradi di assistenza). Per richiedere l’assistenza domiciliare è sufficiente presentare domanda agli uffici competenti Asl sul territorio. La domanda può essere presentata dal paziente stesso, dal medico, dal caregiver dell’assistito oppure da un familiare.

Qualora il problema per cui è richiesta l’assistenza richieda un tempo breve, si garantiscono cure base. Se, invece, si tratta di periodi lunghi si valutano (caso per caso) le esigenza della persona e dalla famiglia. In generale l’assistenza a domicilio è gratuita. Infatti, le linee guida LEA stabiliscono che le prestazioni sono a carico del Sistema Sanitario Nazionale per i primi 30 giorni successivamente alla dimissione ospedaliera e del 50% per i giorni che seguono. L’altro 50% può spettare al paziente, ma solo in base ad alcuni parametri (ISEE, ad esempio); in altri casi tale restante 50% è corrisposto dal Comune. Infine, sulla base di richieste particolari da parte di servizi sociali specifici, si possono registrare eccezioni di caso in caso.

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L’Istat: “Tasso di occupazione in Italia al 62%”

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Occupazione disoccupazione Italia Istat
Foto X @istat_it

Buone notizie per l’Italia sul piano dell’economia: stando ai dati Istat, a marzo l’occupazione cresce del +0,3% e tasso di occupazione sale al 62,1% (+0,2 punti): è record. Un aumento pari a 70mila lavoratori in più, uomini e donne, dipendenti e autonomi. Il dato copre tutte le classi d’età lavorativa a eccezione dei 35-49enni che registrano un calo.

Complessivamente, in termini assoluti, il numero di occupati a marzo 2024, secondo la consueta stima provvisoria, supera quello di marzo 2023 dell’1,8%. Vale a dire di  +425mila unità. L’aumento coinvolge uomini, donne e tutte le classi d’età, a eccezione appunto dei 35-49enni per effetto della dinamica demografica negativa. Nella classe d’età fra i 35 e i 49 anni il tasso di occupazione, che nel complesso è in aumento di 1,0 punti percentuali, sale (+0,6 punti) perché la diminuzione del numero di occupati è meno marcata di quella della corrispondente popolazione complessiva.

I dati Istat per l’Italia

A marzo “la crescita dell’occupazione è effetto dell’aumento sia dei dipendenti, che raggiungono i 18 milioni 793mila, sia degli autonomi, pari a 5 milioni 56mila“, commenta l’Istat. Il numero degli occupati risulta pari a 23 milioni 849mila. A marzo 2024, rispetto al mese precedente, aumentano gli occupati e gli inattivi, mentre diminuiscono i disoccupati.

Sempre a marzo 2024, dunque, secondo l’Istat, la crescita dell’occupazione ha una doppia origine. Ovvero è l’effetto dell’aumento sia dei dipendenti, che raggiungono i 18 milioni 793mila, sia degli autonomi, pari a 5 milioni 56mila. Il numero degli occupati – 23 milioni 849mila – è superiore di 425mila unità rispetto a marzo 2023, come conseguenza dell’incremento di 559mila dipendenti permanenti e di 46mila autonomi. A fronte della diminuzione di 180mila dipendenti a termine.

Disoccupazione ai minimi

A marzo il tasso di disoccupazione, secondo le stime dell’Istat, scende al 7,2% toccando i minimi da fine 2008. Per trovare un dato più basso, infatti, bisogna tornare indietro di sedici anni, al mese di dicembre 2008 quando il tasso di disoccupazione era al 6,9%. Anche per i giovani, a marzo, la disoccupazione risulta in calo al 20,1% toccando il valore più basso da luglio 2007 quando era pari al 19,8%.

I dati in Europa

A marzo 2024 il tasso di disoccupazione destagionalizzato dell’area dell’euro è stato del 6,5%, stabile rispetto a febbraio 2024 e in calo rispetto al 6,6% di marzo 2023. Il tasso di disoccupazione dell’Ue invece è stato del 6,0% a marzo 2024, in calo rispetto al 6,1% di febbraio 2024 e stabile rispetto a marzo 2023. Questi dati sono pubblicati da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea. Nell’Eurozona il leggero calo ha riguardato anche la disoccupazione giovanile, che è scesa al 13,8% (in miglioramento di uno 0,1% rispetto al mese di luglio 2023).

Tuttavia, nell’intera Unione europea il valore risulta stabile al 14% (con un calo dal 22,1 al 22% in Italia). I dati di Eurostat si basano sulla definizione di disoccupazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Si considerano disoccupate le persone senza un impiego, che ne hanno cercato attivamente uno nel corso delle quattro settimane precedenti. E che dichiarano di essere disponibili a cominciare un lavoro nelle due settimane successive. Un tema, questo della ricerca di lavoro che angoscia molti e che necessità di essere affrontato con determinazione ma anche con consapevolezza. Oggi gli strumenti non mancano, a partire da quelli online.

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AstraZeneca ritira il vaccino Covid dal commercio in Europa (e affronta una class action in Uk)

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Covid vaccino AstraZeneca
Foto X @mdenaxa

AstraZeneca non commercializza più in Europa il suo vaccino contro il Covid-19, Vaxzevria, su sua stessa richiesta. Lo ha reso noto l’azienda britannico-svedese in un comunicato. La Commissione europea ha notificato che, su richiesta del proprietario – AstraZeneca – ha ritirato l’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco a partire dal 7 maggio. AstraZeneca giustifica il ritiro con la mancanza di domanda e l’eccedenza di vaccini attualmente disponibili sul mercato.

Il gruppo farmaceutico multinazionale specifica in una nota come “secondo stime indipendenti, solo nel primo anno di utilizzo, sono state salvate più di 6,5 milioni di vite” grazie al vaccino anti Covid. L’azienda ha fornito “più di 3 miliardi di dosi in tutto il mondo“. Ma il primo maggio scorso, in una notizia diffusa dal Telegraph e rimbalzata sui media britannici, c’è stata un’ammissione shock dell’azienda.

AstraZeneca, il vaccino e la trombosi

Ossia che il vaccino anti-Covid di AstraZenecain casi molto rari può causare Tts“, la cosiddetta ‘sindrome da trombosi con trombocitopenia‘. Una patologia che si caratterizza per i coaguli di sangue e bassi livelli ematici di piastrine. La formale ammissione è avvenuta per la prima volta: il gruppo farmaceutico anglo-svedese sta affrontando una causa giudiziaria collettiva nel Regno Unito.

Il meccanismo causale” con cui il vaccino può provocare Ttsnon è noto“, ha precisato l’azienda nei documenti legali depositati in febbraio. “La Tts – ha puntualizzato inoltre AstraZeneca – può verificarsi anche in assenza della somministrazione del vaccino. Il nesso di causalità in ogni singolo caso sarà oggetto di prove da parte di esperti“, ha aggiunto la società.

Il vaccino Covid-19 di AstraZeneca, Covishield – ricorda l’Independent – è stato sviluppato dal colosso anglo-svedese in collaborazione con l’Università di Oxford e prodotto dal Serum Institute of India. Le autorità sanitarie lo hanno largamente somministrato in oltre 150 paesi, tra cui Gran Bretagna e India. Alcuni studi durante la pandemia avevano indicato per il vaccino un’efficacia anti-Covid del 60-80%, ma in alcune persone che avevano ricevuto l’iniezione sono emersi casi di trombosi anche potenzialmente fatali.

Risarcimenti milionari

I cittadini che nel Regno Unito anno intentato la causa collettiva contro AstraZeneca sostengono che il vaccino Covishield ha provocato morti e lesioni gravi. Chiedono danni fino a 100 milioni di sterline per risarcire circa 50 vittime. Uno dei denuncianti ha riferito che il vaccino gli ha causato una lesione permanente al cervello, successiva a un evento trombotico, che gli ha impedito di lavorare. Pur contestando l’accusa, in uno dei documenti giudiziari depositati AstraZeneca ha riconosciuto che il vaccino può causare Tts in casi molto rari. Finora, invece, il gruppo farmaceutico aveva sempre tenuto il punto. Anche nel 2023, riporta sempre l’Independent, insisteva nel non accettare l’affermazione generale secondo cui la Tts è provocata dal vaccino.

L’Organizzazione mondiale della sanità, rammenta l’Independent, ha confermato che “dopo la vaccinazione con Covishield è emerso un evento avverso molto raro chiamato trombosi con trombocitopenia, che comporta eventi insoliti e gravi di coagulazione del sangue associati a una bassa conta piastrinica“. Secondo il Council for International Organizations of Medical Sciences, si definiscono effetti collaterali molto rari quelli segnalati in meno di 1 caso su 10mila. Per l’Oms, comunque, “nei paesi con trasmissione Sars-CoV-2 in corso il beneficio della vaccinazione nella protezione contro Covid-19 supera di gran lunga i rischi“.

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