domenica, Settembre 1, 2024
Home Blog Pagina 7

In Italia non ci sono abbastanza bagnini. I sindacati: “Pagati poco e sfruttati”

0
Bagnini Italia
Foto X @fattoquotidiano

Da Jesolo a Tropea, da Rimini a Porto Cesareo, passando per Maccarese e Fregene, secondo i sindacati nel nostro Paese manca almeno il 10% dei bagnini che sarebbero necessari. Eppure l’Italia possiede 8mila chilometri di coste: ci sarebbe lavoro per tutti. Com’è possibile? Le risposte dei gestori degli stabilimenti, contattati da Adnkronos/Labitalia con un cronista che si è proposto come assistente bagnanti, mostrano una realtà che sembra parzialmente diversa: “No, siamo a posto, grazie”. Oppure: “Hai il brevetto? Manda il cv, questa è la mail”. O ancora “il posto lo avrei, ma è meglio vederci di persona, quando puoi passa dal lido”.

Dietro questo scollamento c’è una realtà denunciata da diversi sindacati. Per gli assistenti bagnanti – i bagnini appunto – è previsto per legge il contratto nazionale di lavoro del turismo. Con 40 ore settimanali di lavoro su 6 giorni e stipendio netto che parte dai 1.200 euro per poi salire a seconda dell’inquadramento. Ma i gestori non sempre vogliono pagare queste cifre. E i giovani non si accontentano più di paghe non adeguate. Lo dice bene Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari: “I tempi sono cambiati. Noi da ragazzi facevamo la fila per fare i bagnini e avere qualche soldo in più in tasca d’estate. Oggi è difficile che un giovane si avvicini a questo lavoro“, spiega ad Adnkronos/Labitalia.

Bagnini sulle coste tirreniche

Sul litorale pontino, tra Terracina e Sperlonga, “da tempo denunciamo paghe orarie al ribasso, istituti contrattuali non rispettati e tante altre anomalie contrattuali“, spiega ad Adnkronos/Labitalia il segretario generale della Uiltucs Latina, Gianfranco Cartisano. “Nei giorni scorsi siamo stati anche convocati dall’Inps – aggiunge – e abbiamo la necessità di intervenire a sostegno di questi lavoratori. Abbiamo da giorni inviato a tutti i Comuni costieri richieste d’incontro finalizzate a limitare il danno che inevitabilmente ricadrà sui bagnini del territorio. I bandi di gara e gli affidamenti devono tenere conto del costo orario previsto dal contratto nazionale. Con alcuni Comuni il confronto è già in fase avanzata“.

Per il sindacato, la situazione sul territorio è chiara. “A Terracina – avverte Cartisano – riscontriamo le maggiori anomalie. I soggetti che contrattualizzano i lavoratori con gli stabilimenti balneari sono sempre gli stessi. Da anni cambiano ragione sociale e denominazione aziendale, boicottando e raggirando i bagnini. I quali a fine stagione devono inseguire pezzi di salario mancante, mancata contribuzione e soprattutto dignità e mancato rispetto del lavoro svolto sulle spiagge“.

Situazione particolare in Abruzzo

Dal Tirreno all’Adriatico, dal litorale pontino a quello abruzzese: le criticità denunciate sono spesso analoghe. Anche se l’azione del sindacato e le proteste dei lavoratori già l’anno scorso hanno portato a qualche risultato come spiega ad Adnkronos/Labitalia Davide Frigelli, segretario generale della Fisascat Cisl Abruzzo-Molise. “Sul litorale abruzzese -racconta – abbiamo una particolarità. C’è un’agenzia, una srl, che si occupa di rifornire di bagnini l’80% degli stabilimenti balneari abruzzesi“.

“Si occupa di far loro prendere il brevetto di salvataggio durante l’inverno e poi li colloca nelle varie spiagge, con una busta paga però intestata alla srl. Lo stabilimento così non si deve preoccupare di trovare il bagnino già col brevetto, pensano a tutto loro, gestiscono tutto loro. Senonché l’estate scorsa abbiamo ricevuto diverse denunce da parte di bagnini che denunciavano di essere pagati 4,50 euro all’ora, al di sotto di quanto previsto dal contratto nazionale. Mentre la società incassava dallo stabilimento balneare 17-18 euro l’ora per ogni bagnino“, sottolinea il sindacalista.

Chi sono i lavoratori sfruttati

Raccolte le denunce il sindacato si è mosso con le vertenze e qualcosa è cambiato. “Se andiamo a vedere l’identikit di questi lavoratori – racconta – sono tutti ragazzi, studenti o giovani che da poco hanno finito l’università. Grazie alla nostra azione la srl ha cambiato registro, alzando la paga. E in più adesso i bagnini riescono ad accedere alla disoccupazione speciale del settore turismo. Mentre prima non era possibile perché la srl attraverso diverse voci in busta paga faceva in modo che non raggiungessero le 51 ore stagionali previste per averne diritto“, sottolinea Frigelli.

Advertisement

Separazione delle carriere, via libera dal Consiglio dei ministri alla riforma di Nordio

0
Nordio separazione carriere magistrati riforma
Il ministro Guardasigilli, Carlo Nordio. Foto Ansa/Massimo Percossi

Via libera alla separazione delle carriere dei magistrati, fra pubblici ministeri e giudici. Lo ha stabilito il Consiglio dei ministri che ha approvato il disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale. La riunione, il 29 maggio, è durata appena 20 minuti. In mattinata, prima del Cdm, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha fatto un punto con il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, il viceministro Francesco Paolo Sisto, il sottosegretario Andrea Delmastro e i presidenti delle commissioni Giustizia (Ciro Maschio della Camera e Giulia Bongiorno del Senato).

Il “provvedimento epocale” si articola su tre principi fondamentali. “Il primo è la separazione carriere, che attua il principio fondamentale del processo accusatorio voluto da Vassalli, gli altri sono la composizione e la elezione del Csm” ha spiegato il ministro della Giustizia Carlo Nordio, in conferenza stampa.

Non solo separazione delle carriere

Il secondo punto della riforma, ha sottolineato il ministro Nordio, “è la composizione e elezione del Consiglio superiore della magistratura. Questo organo di autogoverno della magistratura in questi ultimi anni, non solo a detta mia o altri esponenti della maggioranza ma di moltissimi magistrati, non ha dato buona prova di sé. Scandali come quelli di Palamara o di altri hanno eccitato le varie proteste” che non hanno portato a “rimedi circa la degenerazione correntizia”.

Con l’Anmil discorso è e deve essere sempre aperto, noi accettiamo le critiche, sono il sale della democrazia” ha detto ancora il Guardasigilli. “Accettiamo contributi e suggerimenti ma anche loro devono accettare un principio fondamentale che la volontà popolare è sacra e si esprime attraverso le elezioni. E se ci viene dato mandato per la separazione delle carriere noi obbediamo alla sovranità che appartiene al popolo, secondo quello che è scritto nella Costituzione. “Non abbiamo operato modifiche all’obbligo dell’azione penale proprio perché abbiamo accolto le osservazioni fatte dall’Associazione nazionale dei magistrati“.

L’Anm sul piede di guerra

A puntare il dito contro le nuove regole annunciate, a cominciare dalla separazione delle carriere dei magistrati, è appunto l’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe. L’Anm ha convocato con urgenza la Giunta esecutiva centrale. Nella serata del 28 maggio il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, erano stati ricevuti dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, dopo un incontro con Ugo Zampetti, segretario generale della Presidenza della Repubblica. Nordio ha illustrato lo schema della riforma costituzionale, anche per recepire eventuali pareri e rilievi del Presidente. Il ddl non prevede modifiche all’articolo 112 della Costituzione, ovvero quello che riguarda l’obbligatorietà dell’azione penale.

La nascita dell’Alta Corte

Nella nuova riforma, come più volte annunciato anche dal Guardasigilli Nordio, “la dignità della figura dell’avvocato entra in Costituzione. Avrà una menzione autonoma come elemento strutturale della giurisdizione”. Sarà inoltre introdotta l’Alta Corte, formata da 9 membri. Si tratterà di un organo di tutela giurisdizionale contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria, amministrativa e tributaria. Anche qui resta aperta però anche l’ipotesi che l’Alta Corte possa disciplinare in prima istanza e non in appello. Questo passaggio potrebbe probabilmente trovare anche il favore delle forze politiche esterne alla maggioranza.

Advertisement

Ecobonus auto 2024: domande dal 3 giugno

0
Ecobonus auto decreto ministeriale governo
Foto mimit.gov.it

L’ecobonus auto 2024 – l’incentivo ecologico per l’acquisto di veicoli meno inquinanti possibile – è accessibile dal prossimo 3 giugno. Questa, infatti, la data da segnare sul calendario per poter fare domanda. Per quanto riguarda l’anno in corso il Governo mette a disposizione un miliardo di euro. A tanto ammontano le risorse complessive che andranno a incentivare l’acquisto di veicoli a basse emissioni inquinanti.

In Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) con le nuove misure. Il contributo massimo che si può ottenere in vista dell’acquisto di un’auto elettrica sale da 5mila a 13.750 euro per chi ha un Isee inferiore a 30mila euro. Attenzione, però: l’ecobonus lo si riceve a fronte della rottamazione di un veicolo vecchio. Del livello fino a Euro 2.

La piattaforma Ecobonus

Allo scopo di rendere possibili le prenotazioni sarà attiva dalle 10 del mattino di lunedì 3 giugno una specifica piattaforma su un sito gestito da Invitalia per conto del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Da lì si potranno scaricare i moduli per chiedere il bonus e le tabelle che, distinte per categorie di veicoli, riportano i criteri di attribuzione dei contributi.

L’ecobonus 2024 è una misura promossa dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy guidato dal ministro Adolfo Urso. In dettaglio sono disponibili risorse pari a 950 milioni di euro a cui si aggiungono 50 milioni per i veicoli per l’anno in corso stanziati dalla legge 178 del 30 dicembre 2020. Per un ammontare totale che raggiunge la cifra di un miliardo di euro.

I veicoli da scegliere

Tra le novità che il testo sull’ecobonus definisce, ci sono i contributi proporzionali alla classe ambientale di appartenenza del veicolo da rottamare. Ciò comprende vetture di classe Euro 5. Si agevola l’acquisto di auto elettriche, ibride plug-in e a motore termico con un livello di emissioni di CO2 fino a 135 grammi per chilometro. Nonché di motocicli e ciclomotori elettrici e non elettrici e di veicoli commerciali leggeri. Il prezzo di listino compresi optional e Iva esclusa non deve essere superiore ai 35mila euro per le autovetture delle fasce 0-20 gr/km (elettriche) e 61-135 gr/km (termiche) e ai 45mila euro per la fascia 21-60 g/km (ibride plug-in).

Vediamo ora quale sia il contributo massimo che il provvedimento sull’ecobonus 2024 mette a disposizione per l’acquisto di un veicolo elettrico nuovo, a fronte della rottamazione di un veicolo fino a Euro 2. Come detto, sale da un minimo di 5mila a un massimo di 13.750 euro per coloro che siano in possesso di un Isee inferiore ai 30mila euro.

L’obiettivo del provvedimento è di incentivare la rottamazione delle auto più inquinanti: classi Euro 0, 1, 2 e 3) che oggi rappresentano il 25% dell’attuale parco circolante. Con questa finalità, è previsto un contributo fino a 2mila euro per l’acquisto di veicoli usati di classe Euro 6 con emissioni fino a 160 g/km CO2, a fronte della rottamazione di un’auto fino ad Euro 4. Il provvedimento introduce, infine, un contributo all’installazione di impianti nuovi a Gpl o a metano per autotrazione su autoveicoli di classe fino a Euro 4: il contributo è di 400 euro per gli impianti a Gpl e 800 euro per quelli a metano.

Advertisement

Il decreto Salva Casa di Salvini, ecco in cosa consiste

0
Salvini decreto salva casa
Foto Alessandro Di Marco

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge “Salva Casa” proposto dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Il testo contiene “misure urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica”. Un decreto “di buonsenso che regolarizza piccole difformità, liberando finalmente gli uffici comunali da milioni di pratiche edilizie e restituendo il pieno utilizzo degli immobili ai legittimi proprietari. È una rivoluzione liberale”, ha commentato Salvini.

Il vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture ha ribadito sul decreto: “Sono molto soddisfatto dell’intervento, una volta pubblicato in Gazzetta Ufficiale entrerà nelle case di milioni di italiani in maniera risolutiva. È una rivoluzione liberale, passiamo dal silenzio rigetto al silenzio assenso“. “È una bellissima giornata non solo per i proprietari ma per tutto il settore edilizio” ha sottolineato.

A cosa serve il decreto Salva Casa

Di cosa si tratta Matteo Salvini ha quindi spiegato a grandi linee il piano: “Il Comune incassa, il cittadino paga e rientra in possesso del suo bene. Può vendere“. Le norme consentiranno di sanare “piccole irregolarità – ha ribadito – non è un condono sull’esterno“. Si affronta un “problema decennale per le suddivisioni interne diverse” da quelle registrate. “Spero da lunedì, quando il decreto sarà pubblicato, di vedere moltissima gente in comune a pagare: così gli uffici si liberano di 4 milioni di pratiche stimate“.

Tra le norme indicate da Salvini c’è “il superamento della doppia conformità, il meccanismo del silenzio assenso, la semplificazione anche per il cambio di destinazione d’uso“. Insomma si tratta di una “grande opera di semplificazione e sburocratizzazione” sulla casa oltretutto “spero che una grande quantità di immobili che tornano sul mercato abbiano un affetto sul mattone“.

Dai dehors alla destinazione d’uso

Nel decreto inoltre si estendono i limiti di tolleranza, cioè le difformità nella realizzazione rispetto ai progetti originari. Si consente anche di mantenere le strutture esterne installate durante la pandemia da coronavirus, come per esempio i dehors dei locali. A patto che sia possibile dimostrare che servono a garantire il rispetto delle norme sanitarie.

Per ciò che riguarda il cambio di destinazione d’uso, le procedure, come detto, si semplificano. Ogni immobile infatti è classificato, secondo le leggi, a seconda dell’uso che se ne fa e non può essere utilizzato in altro modo: ci sono immobili residenziali, cioè le case; quelli industriali per le attività artigianali e manifatturiere; quelli turistici, come alberghi o ostelli e simili; quelli commerciali, e così via.

Rispetto alle norme finora in vigore, grazie al decreto Salva Casa approvato sarà sempre possibile modificare la destinazione d’uso, trasformando per esempio le case private in strutture ricettive. Sarà necessario presentare la SCIA, cioè la Segnalazione certificata di inizio attività, quella con cui le imprese segnalano al Comune l’avvio, il cambiamento o la cessazione di un’attività produttiva.

Ci sarà un secondo provvedimento

Il decreto sulla casa di oggi è un primo passaggio” ha sottolineato il titolare del dicastero dei Trasporti. “Il secondo passaggio, quello dell’edilizia residenziale pubblica sarà una seconda tranche di un importante secondo intervento“. “Quello di oggi crea ricchezza – ha evidenziato Salvini – perché i sindaci incasseranno e per i cittadini che io penso faranno la corsa” per richiedere il provvedimento.

Advertisement

Zoom, dal boom durante il lockdown alla caduta

0
Zoom perdita di valore
Foto X @GNDRising

Le imprese come Zoom, che avevano registrato guadagni record durante la pandemia di Covid, stanno ora subendo perdite significative. Complessivamente hanno segnato un calo del valore di mercato di 1,5 miliardi di dollari. E ciò in quanto gli investitori hanno voltato le spalle a molti dei titoli che erano stati ‘premiati’ durante i primi lockdown.

Secondo i dati di S&P Global, riportati dal Financial Times, i gruppi aziendali tecnologici dominano ancora l’elenco delle 50 società con un valore di mercato superiore a 10 miliardi di dollari. Si tratta di big tech che avevano registrato i maggiori guadagni percentuali nel 2020: l’anno dell’esplosione della pandemia di Covid. Tuttavia, adesso, 4 anni più tardi, questi ‘vincitori’ – economicamente parlando – della pandemia hanno collettivamente perso più di un terzo del loro valore di mercato totale.

Il caso di Zoom

Ovvero, come sopra accennato, l’equivalente di 1,5 miliardi di dollari, dalla fine del 2020 a oggi. È il caso della società di videoconferenze Zoom, le cui azioni sono salite fino al +765% nel corso del solo anno 2020. Prima di allora Zoom non era così conosciuta dagli utenti, come oggi. Grazie al passaggio delle aziende allo smart working a causa del lockdown, quindi della chiusura di pressoché tutte le attività lavorative esterne, la società è stata al top delle connessioni alla sua piattaforma di riunioni virtuali.

Adesso, finito non tanto lo smart working – che anzi si è imposto come una nuova e diffusa modalità lavorativa – quanto piuttosto il massiccio ricorso a esso da parte delle aziende, Zoom è stata fra le società che più hanno perso. Dalla fine del 2020 a oggi le sue azioni sono scese di circa l’80%. Ciò significa un calo del valore di mercato di oltre 77 miliardi di dollari.

Crollo per le cyclette

Fra i big che stanno perdendo di più non c’è però soltanto Zoom. C’è anche RingCentral. Si tratta di una società di comunicazione basata sul cloud, che aveva registrato un’impennata nel boom del lavoro a distanza del 2020. Ebbene, RingCentral ha perso circa quasi il 90% del suo valore, più di Zoom. E ciò in quanto che si trova a competere con giganti della tecnologia come Alphabet e Microsoft.

La perdita di valore delle azioni di Peloton, invece – un produttore di cyclette e tapis roulant – è stato di oltre il 97% dalla fine del 2020. Pari a una perdita di valore di mercato di circa 43 miliardi di dollari. Di conseguenza, oltre alle dimissioni dell’amministratore delegato Barry McCarthy, Peloton ha annunciato un taglio del 15% della sua forza lavoro, l’ultima di una serie di misure di risparmio.

Perché così tante perdite

Le forti perdite delle aziende tecnologiche come Zoom, ma non solo, sono dovute a una serie di motivi. In primo luogo al fatto che la forte accelerazione di tendenze come la videoconferenza e gli acquisti online si è rivelata meno duratura del previsto. Un maggior numero di lavoratori è tornato in ufficio; gli alti tassi di interesse sui prestiti finanziari e l’aumento dell’inflazione hanno colpito la domanda di e-commerce.

Il caso Tesla

In termini percentuali, Tesla è stata la più grande vincitrice del 2020. Il valore di mercato del produttore di auto elettriche è balzato del +787% a 669 miliardi di dollari alla fine di dicembre. Tuttavia in 3 anni e mezzo è scivolato a 589 miliardi di dollari. Sea, società Internet con sede a Singapore, si è piazzata al secondo posto. Il suo valore di mercato è balzato da 19 a 102 miliardi di dollari in seguito a un’impennata durante la pandemia. E questo per per tutte e tre le sue attività principali: giochi, commercio elettronico e pagamenti digitali. Da allora, però, l’azienda ha perso oltre il 60% del suo valore a fine 2020 a causa dei timori di un rallentamento della crescita. Anche i gruppi di e-commerce Shopify, JD.com e Chewy, che inizialmente hanno prosperato con l’aumento della spesa online, hanno subito forti perdite.

Advertisement

NASpI lavoratori dello sport: le istruzioni INPS

0
Lavoratori sport
Partita di calcio @Foto Crediti EnvatoElements - Diritto Lavoro

L’INPS ha pubblicato la circolare attraverso la quale spiega importanti novità per i lavoratori dello sport. In essa si trovano le istruzioni dettagliate in merito alle nuove disposizioni del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, riguardanti la NASpI e DIS-COLL.

Secondo quanto chiarito anche dall’INPS, il decreto avrebbe esteso l’accesso alla NASpI anche ai lavoratori dello sport nel settore professionistico e nel settore dilettantistico. La circolare chiarisce anche che, in particolare, i lavoratori del settore dilettantistico con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) possono accedere alla DIS-COLL. La nuova circolare INPS, inoltre, chiarisce anche i limiti di cumulabilità e compatibilità della NASpI e della DIS-COLL, con redditi da lavoro dipendete o autonomo.

NASpI e DIS-COLL per lavoratori dello sport

Dal 1° luglio 2023, i lavoratori dello sport subordinati possono beneficiare della NASpI. Questa estensione riguarda anche tutti i lavoratori iscritti al Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi, questo a prescindere dal settore sportivo in cui operano. Come specifica l’INPS, per accedere alla NASpI, è necessario che i lavoratori dello sport abbiano requisiti specifici. Ovvero che abbiano accumulato 13 settimane di contribuzione contro la disoccupazione negli ultimi quattro anni e che rispettino le condizioni generali di disoccupazione involontaria. Per quanto riguarda l’importo dell’indennità, quest’ultimo è calcolato in base alla retribuzione mensile, ma prevede un limite massimo.

Parlando, invece, della DIS-COLL per i lavoratori dello sport nel settore dilettantistico, è bene precisare che con co.co.co. hanno diritto all’assicurazione previdenziale e assistenziale. Questi lavoratori sono infatti iscritti alla Gestione separata dell’INPS al superamento dei 5.000 euro di compensi annui. In particolare, nei contributi previdenziali è prevista anche una quota, con un’aliquota del 2,03%, per la tutela della maternità, malattia e disoccupazione. L’indennità DIS-COLL è calcolata in base al reddito medio mensile derivante dai versamenti contributivi, con un massimo per il 2023 di 1.470,99 euro mensili.

Termini e condizioni

La DIS-COLL è corrisposta mensilmente per un periodo che equivale ai mesi o frazioni di essi di durata del rapporto o dei rapporti di collaborazione presenti nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno precedente alla fine del rapporto di lavoro fino alla data della cessazione attuata. Tuttavia, la prestazione non può superare i 12 mesi. Nella suddetta circolare dell’INPS è chiarito anche che i percettori di NASpI, durante il periodo di fruizione dell’indennità, devono comunicare all’INPS il reddito annuo presunto nel caso in cui svolgano attività sportiva attraverso un rapporto di lavoro subordinato, autonomo o di collaborazione coordinata e continuativa. Questa comunicazione è obbligatoria entro i termini previsti dagli articoli 9 e 10 del decreto legislativo n. 22 del 2015, pena la decadenza della prestazione.

Ugualmente, anche i beneficiari DIS-COLL, che svolgono attività autonoma, di impresa individuale o para-subordinata, devono comunicare il reddito annuo presunto entro i termini stabiliti dall’articolo 15, comma 12, del decreto stesso. In conclusione, è bene specificare che per i lavoratori dello sport nel settore dilettantistico, la comunicazione del reddito annuo presunto è necessaria al superamento dei 5.000 euro annui. Mentre, nel caso in cui i lavoratori hanno più rapporti di lavoro, il limite di 5.000 euro annui si applica alla somma dei compensi ricevuti da tutti i committenti. Ed in questo contesto, anche i compensi per lavoro autonomo occasionale si aggiungono al raggiungimento del limite sopraindicato.

Advertisement

L’Istat: “In 10 anni molta più povertà fra chi lavora, soprattutto gli operai”

0
Istat lavoratori poveri in crescita in Italia
Foto Ansa

Il reddito da lavoro ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico: lo sottolinea l’Istat nel suo Rapporto annuale. L’istituto di statistica ha spiegato che tra il 2014 e il 2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023.

Per gli operai l’incremento è stato più rapido passando da poco meno del 9% nel 2014 al 14,6% nel 2023. Nel 2023 l’8,2% dei dipendenti era in povertà assoluta a fronte del 5,1% degli indipendenti. Il fatto è che sebbene il Pil stia migliorando, il potere d’acquisto è eroso dall’inflazione e ha perso molto negli ultimo decennio. Nel nostro Paese i salari sono sostanzialmente fermi da trent’anni: siamo l’unico paese d’Europa in queste condizioni. E a pagare di più sono i deboli.

Il Pil e il lavoro nel nostro Paese

Il Pil reale (quello in volume) in Italia, solo a fine 2023 è tornato ai livelli del 2007: in 15 anni si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Lo si legge nel Rapporto annuale dell’Istat. Rispetto al 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna. Se si guarda al Pil nominale, tra il 2019 e il 2023 l’Italia è cresciuta a un ritmo più elevato tra le quattro maggiori economie della Ue, con un +4,2% a fine 2023 sull’ultimo trimestre del 2019 (+2,9% in Spagna, +1,9% in Francia e + 0,1% in Germania).

Nel 2023 in Italia, segnala l’Istat, il Pil è aumentato dello 0,9% a fronte dello. 0,7% in Francia e del 2,5% in Spagna, mentre la Germania ha registrato un calo (-0,3%). Secondo le stime preliminari, nel primo trimestre del 2024, la crescita congiunturale dell’economia è stata dello 0,7% in Spagna, lo 0,3% in Italia e lo 0,2% sia in Francia sia in Germania. Al netto degli effetti di calendario, sottolinea l’Istat, la crescita acquisita per il 2024 sarebbe dell’1,6% in Spagna, dello 0,5% in Francia e Italia mentre la Germania dovrebbe registrare un -0,2%.

Il problema della bassa produttività

L’Istat sottolinea che “la stagnazione della produttività del lavoro è uno degli elementi che ha caratterizzato il debole andamento del Pil in volume negli ultimi vent’anni. E il conseguente allargamento del divario di crescita con le altre principali economie dell’Ue. In volume, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto di solo l’1,3% tra 2007 e 2023, contro il 3,6% in Francia, il 10,5% in Germania e il 15,2% in Spagna“.

Nel sistema delle imprese, in Italia, il livello della produttività (valore aggiunto per addetto) a prezzi correnti nella manifattura è inferiore a quello osservato in Francia e Germania solo nel segmento delle micro e piccole imprese. Che però hanno un peso maggiore nel nostro Paese. Nei servizi, invece, le imprese italiane mostrano una produttività inferiore in tutte le classi dimensionali.

Istat: “Giù il potere d’acquisto

Uno degli elementi che concorre a spiegare la bassa crescita delle produttività, spiega l’Istat, lo si può rintracciare nella dinamica degli investimenti. Questa è rimasta a lungo depressa, recuperando però decisamente nell’ultimo triennio, anche nei confronti delle altre maggiori economie europee. La debolezza degli investimenti tocca in particolare quelli in beni immateriali e nelle attrezzature ICT, le componenti che più incidono sull’ammodernamento dello stock di capitale.

In questo caso l’Italia mostra un livello sul Pil ancora inferiore rispetto alle altre grandi economie Ue, nonostante la crescita registrata nel periodo più recente. L’occupazione è aumentata negli ultimi anni ma il potere d’acquisto dei salari lordi dei lavoratori dipendenti è diminuito negli ultimi 10 anni del 4,5%. “Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni – si legge nel rapporto Istat – l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica“.

Advertisement

Permesso allattamento: cos’è e come funziona

0
Permesso allattamento
Madre e figlio neonato - Diritto Lavoro

Tra le misure atte a tutelare le figuri genitoriali, specialmente nei primi anni di vita dei bambini, anche il permesso allattamento. 

Il permesso allattamento è una misura che offre la possibilità di usufruire di ore di riposo retribuito, nelle quali il genitore può assentarsi per prendersi cura del figlio. Il riferimento normativo di tale misura è il D.lgs. 151/2001 ovvero il Testo Unico sulla maternità e paternità. A tal proposito, primo importante chiarimento dovuto fa riferimento al fatto che tale permesso spetta anche in caso di adozione e affidamento, nel primo anno di ingresso del figlio.

Misura prevista per entrambi i genitori

Le ore giornaliere di permesso allattamento sono due e possono essere consecutive. Il genitore, dunque, può in questo periodo anche recarsi a lavoro due ore dopo l’orario effettivo di ingresso o uscire due ore prime dalla fine dell’attività lavorativa. Altro importante aspetto da chiarire è che, sebbene lo scopo di queste ore sia pensato per la nutrizione del figlio da parte della madre, il permesso allattamento in taluni casi può spettare anche al padre. In questo ultimo caso, tuttavia, occorre rimanere all’interno di condizioni precise.

Il permesso allattamento può spettare al padre: nei casi in cui non vi sia la madre (considerando anche grave infermità); nei casi in cui la madre sia una lavoratrice dipendente e non si avvale del permesso; nei casi in cui la madre sia una lavoratrice indipendente e non beneficiaria della misura; in caso di affidamento esclusivo al padre.

Chiariti questi aspetti è bene specificare che, in genere, le ore giornaliere per il permesso allettamento sono due, ma in alcuni casi la durata può variare. Come chiarisce la legge, tale durata può variare, innanzitutto, se l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a 6 ore. In questo caso il permesso cala ad un’ora. E la durata può variare anche se all’interno del luogo di lavoro è previsto un asilo nido o una struttura attrezzata per la cura del neonato. In questo secondo caso il permesso maternità è di mezz’ora. Nel caso di parto gemellare, invece, i permessi sono raddoppiati.

Come richiedere il permesso allattamento

Il permesso allettamento non è obbligatorio è dipende dal lavoratore la decisione di volerlo richiedere o meno. E anche il periodo temporale di quando utilizzarle è a discrezione dei genitori. Dunque, per esempio, se al termine dell’astensione obbligatoria la madre desidera tornare a lavorare, senza usufruire del congedo parentale, può richiedere il permesso allattamento. Come, allo stesso tempo, può decidere di utilizzare in modo frazionato il congedo parentale e i riposi per allattamento.

Per richiedere il permesso allattamento occorre fare una apposita domanda telematica all’INPS. Si può accedere all’area riservata tramite le credenziali SPID, CNS o Carta d’Identità elettronica 3.0. In alternativa, la domanda può inoltrata anche tramite Patronato o tramite contact center integrato dell’INPS. La retribuzione spettante in questo caso è pari alle ore lavorative. Il datore di lavoro dovrà inserire le ore di permesso in busta paga e poi potrà riprendere la somma dall’INPS tramite modello F24.

Infine, è bene chiarire che per quanto riguarda il permessi per allattamento non esiste alcuna variazione rispetto all’anzianità di servizio, né può andare ad incidere sulla maturazione di ferie, mensilità aggiuntive e altri permessi.

Advertisement

Nord Italia destinato a spopolarsi: più che ‘inverno’ è glaciazione demografica

0
glaciazione demografica nord italia
Foto X @HuffPostItalia

Milano e tutto il Nord Italia – una delle zone più ricche d’Europa – è a rischio di ‘glaciazione’ demografica. I decessi superano di gran lunga le nascite, come del resto in tutta Italia, uno dei paesi più ‘vecchi’ del mondo. Se non arriveranno presto nuovi emigrati dall’estero e non ci sarà un’inversione nel trend negativo delle nascite, entro il 2040 mancheranno 2,3 milioni di residenti. Ciò significa che si restringerà il mercato interno, così come i consumi e gli investimenti.

I dati parlano chiaro. Tra 17 anni si passerà dai 27,4 milioni di abitanti del Nord (dato del 2023) a 25,1 milioni. Lo si afferma in uno studio della Fondazione Nordest, partendo dal record negativo di natalità registrato lo scorso anno nel nostro Paese. Gli effetti più pesanti si vedranno in Lombardia: -673mila residenti entro il 2040. Ma anche in Piemonte (-493mila) e in Veneto (-387mila). Per il Veneto in particolare la Fondazione Nordest ipotizza che la popolazione diminuirà dagli attuali 4.849.553 residenti ai 4.688.294 del 2030. Per scendere ulteriormente ai 4.461.849 del 2040: una perdita dell’8%.

Il Nord quasi senza bambini

Nel dettaglio, l’Istat ha certificato l’undicesimo anno di calo delle nascite 2013. Rispetto ai 577mila del 2008, nel 2023 sono nati appena 379mila bambini. Un crollo dei numeri differenziato a livello regionale con riduzioni importanti al Nord. “Il numero medio di figli per donna che scende da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, diminuisce in tutto il territorio nazionale“. Al Nord passa da 1,26 nel 2022 a 1,21 nel 2023, nel Centro da 1,15 a 1,12; il Mezzogiorno, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra una flessione inferiore rispetto all’1,26 del 2022.

Nel 2023 i nati residenti in Italia sono stati, come detto, 379mila con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%). Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995.

Residenti in calo in Italia

In Italia anche la popolazione residente è in lieve diminuzione. All’1 gennaio 2024 è pari a 58 milioni 990mila unità (dati provvisori), in calo di 7mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti). Confermando quanto già emerso nel 2022 (-33mila unità) prosegue il rallentamento del calo di popolazione che, dal 2014 al 2021 (-2,8 per mille in media annua), ha contraddistinto il nostro Paese nel suo insieme. La variazione della popolazione rivela un quadro eterogeneo. Nel Mezzogiorno la variazione è negativa (-4,1 per mille). Al Nord, invece, aumenta del 2,7 per mille. Stabile quella del Centro (+0,1 per mille).

Calano i decessi: nel 2023 sono 661mila, l’8% in meno sul 2022, con una diminuzione di 54mila unità sull’anno precedente. Il calo del numero totale coinvolge soprattutto la popolazione anziana. Il 75% della diminuzione rilevata interessa, in particolare, i cittadini con più di 80 anni, sia al Nord che altrove. Il calo della mortalità si traduce in un cospicuo balzo in avanti della speranza di vita alla nascita che si porta a 83,1 anni nel 2023, guadagnando sei mesi sul 2022. Tra gli uomini la speranza di vita alla nascita raggiunge gli 81,1 anni (+6 mesi sul 2022) mentre tra le donne si riscontra un dato di 85,2 anni e un guadagno sul 2022 leggermente inferiore a quello maschile (+5 mesi).

Ci sono più 80enni che bambini

All’1 gennaio 2024 la popolazione residente al Nord e in tutta Italia presenta un’età media di 46,6 anni, in crescita di due punti decimali (circa tre mesi) rispetto al primo gennaio 2023. La popolazione ultrasessantacinquenne, che nel suo insieme a inizio 2024 conta 14 milioni 358mila individui, costituisce il 24,3% della popolazione totale, contro il 24% dell’anno precedente. Aumenta il numero di ultraottantenni, i cosiddetti grandi anziani. Con 4 milioni 554mila persone, quasi 50mila in più rispetto a 12 mesi prima, questo contingente ha superato quello dei bambini sotto i 10 anni di età: 4 milioni 441mila individui. La Liguria è la regione più anziana. Il numero stimato di ultracentenari raggiunge a inizio 2024 il suo più alto livello storico, superando le 22mila e 500 unità, oltre 2mila in più rispetto all’anno precedente.

Advertisement

Lavoro, ecco le lauree più richieste nei prossimi anni

0
lauree lavoro Italia
Foto X @RaiNews

Per trovare lavoro una buona laurea serve e per questo è bene sapere quali sono i titoli di studio più utili nell’arco dei prossimi anni. A indicarli è il Sistema informativo Excelsior di Unioncamere nel recente report Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine. Fra il 2024 e il 2028 quasi 4 posti di lavoro su 10 saranno rivolti a personale con un titolo di studio di livello terziario. Quindi non solo università ma anche ITS Academy e accademie equiparate.

Poi, però, non tutte le lauree avranno lo stesso valore. Ce ne saranno alcune, infatti, che daranno nettamente maggiori opportunità. E non sempre sono quelle più scontate o pubblicizzate. Sul podio troviamo le aree afferenti alle discipline economico-statistiche, al settore medico-sanitario ma anche a quello dell’istruzione e della formazione. Oltre, naturalmente, alle più volte citate materie STEM (tecnico-scientifiche), ingegneria in cima.

Lavoro e titoli di studio

Le stime per il quinquennio 2024-2028 indicano che circa il 40% del fabbisogno occupazionale, equivalente a circa 1,2-1,3 milioni di lavoratori, riguarderà personale in possesso di una formazione terziaria. Un dato che si fa ancora più significativo se messo a paragone con il recente passato. Esaminando i dati Istat risulta che nel 2022 i lavoratori in possesso almeno di una laurea rappresentavano solo il 24% degli occupati.

Gli unici che potrebbero fare meglio sono giusto i diplomati tecnico-professionali, i quali sono attesi da 1,4-1,7 milioni di posti di lavoro, corrispondenti al 46% delle offerte totali. Mentre i diplomati liceali, al momento, sembrano quasi spacciati: mediamente appena il 4% delle occupazioni (120-145 mila unità) sarà dedicato a quanti si fermeranno dopo questo titolo. Il problema, nel caso dei diplomati è che non si è sempre si è consapevoli delle professioni più richieste con questo titolo, motivo per cui Unioncamere ha predisposto il punto informativo “Che ci faccio col diploma?” sul portale Skuola.net.

Lauree e percorsi formativi

A ogni modo, laurearsi resta una buona scelta per cercare poi un buon lavoro. Il momento dell’immatricolazione, però, potrebbe essere già una prima fonte di selezione. Tra i percorsi STEM – che dovrebbero offrire in media tra i 72mila e gli 82 mila posti di lavoro all’anno – quelli che spiccano di più in termini di fabbisogno atteso sono gli indirizzi ingegneristici. Oscillano tra le 36 e le 41mila unità all’anno. Da questo calcolo si deve escludere l’ingegneria civile, analizzata a parte e per la quale si prevede l’assorbimento di circa 13-15mila persone all’anno. Mentre l’ambito strettamente scientifico, a cui fanno capo matematica, fisica, informatica dovrebbe attestarsi sulle 12-14mila nuove unità lavorative annue.

Laureati e affini, infatti, saranno preziosi soprattutto per la pubblica amministrazione. Qui il fabbisogno di profili in possesso di un titolo di livello terziario dovrebbe schizzare al 79% del totale, un numero ben più alto di quello previsto per il settore privato, fermo al 27%. Tutto il contrario per quanto riguarda il fabbisogno dei profili in possesso di una formazione di livello secondario. Ma, di nuovo, a patto che siano di tipo tecnico-professionale. Per il lavoro, nel settore privato la richiesta di queste figure coprirà il 55% del suo fabbisogno, mentre nel pubblico la quota scende al 17%. L’appeal delle figure con un background liceale, invece, rimane residuale: 4% per la pubblica amministrazione, 5% per il privato.

Advertisement

I nostri SocialMedia

27,994FansMi piace
2,820FollowerSegui

Ultime notizie

Diritto alla disconnessione

Diritto globale necessario per tutti: disconnessione dal lavoro

0
In Australia è stato introdotto il diritto alla disconnessione per tutelare il tempo libero dei lavoratori fuori dall'orario di lavoro. L'Australia ha introdotto il diritto...