domenica, Settembre 1, 2024
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Obblighi datore tutela maternità e paternità

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Obblighi datore tutela maternità e paternità

Obblighi datore tutela maternità e paternità:

Il datore di lavoro oltre agli obblighi di cui al precedente articolo sulla tutela della lavoratrice in caso di gravidanza e puerperio, a norma dell’art. 11 del T.U. ha il dovere di valutare irischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell’Unione europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare“.

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Tutela lavoratrice in gravidanza e puerperio

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Lavoratrice madre, nullo il licenziamento e risarcimento danni

Tutela lavoratrice in gravidanza e puerperio:

La salute della lavoratrice in quel particolare e delicato periodo della sua vita legato alla gravidanza e alla nascita di un bambino, è stato avvertito dal nostro ordinamento con particolare interesse, poiché è attinente proprio ad eventi che toccano le ragioni profonde dell’esistenza di una donna, ma anche di un uomo, legati alla continuazione della vita. Tali eventi proprio per l’importanza che rivestono non solo a livello personale ma anche per gli interessi generali e della collettività, richiedono una adeguata protezione per la madre, per il padre ed anche per il nascituro.

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Calcolo indennità congedi per maternità e paternità

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Esonero post parto calcolato sull’imponibile dal giorno del rientro. Chiarimenti INPS

Calcolo indennità congedi per maternità e paternità:

Per quanto concerne il trattamento economico e normativo durante il congedo per maternità e paternità la disciplina è la medesima sia per le lavoratrici che per i lavoratori (art. 29 T.U.). L‘art. 22 del T.U. prevede la corresponsione in favore delle lavoratrici, sia operaie che impiegate, di “un’indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità“; tale indennità ha carattere previdenziale ed è a carico dell’ente pubblico che gestisce l’assicurazione obbligatoria. Inoltre è previsto che:

  • I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie“;

  • Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti;

  • “Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternità”.

Per quanto concerne invece il cacolo della indennità, l’art. 23 del T.U. stabilisce che per la determinazione della sua misura, occorre tenere presente la retrbuzione, cioè la retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga, che può essere stabilito in 4 settimane o mensile, già scaduto e immediatamente precedente a quello nel quale ha avuto inizio il congedo di maternità.

A tale importo andrà aggiunto il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità o agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori che la lavoratrice evetualmente percepisce.

Si evidenzia inoltre che secondo il comma 3, del citato art. 23, “concorrono a formare la retribuzione gli stessi elementi che vengono considerati agli effetti della determinazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le indennità economiche di malattia.” Mentre il comma 4, precisa che “per retribuzione media globale giornaliera si intende l’importo che si ottiene dividendo per trenta l’importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo“.

Nel caso in cui le lavoratrici “non abbiano svolto l’intero periodo lavorativo mensile per sospensione del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto, per interruzione del rapporto stesso o per recente assunzione“, l’importo della retribuzione media globale giornaliera, “si ottiene dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati, o comunque retribuiti, risultanti dal periodo stesso“.

Invece per quanto concerne le operaie dei settori non agricoli, per retribuzione media globale giornaliera si ottiene, a norma del comma 5: “a) nei casi in cui, o per contratto di lavoro o per la effettuazione di ore di lavoro straordinario, l’orario medio effettivamente praticato superi le otto ore giornaliere, l’importo che si ottiene dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero dei giorni lavorati o comunque retribuiti; b) nei casi in cui, o per esigenze organizzative contingenti dell’azienda o per particolari ragioni di carattere personale della lavoratrice, l’orario medio effettivamente praticato risulti inferiore a quello previsto dal contratto di lavoro della categoria, l’importo che si ottiene dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero delle ore di lavoro effettuato e moltiplicando il quoziente ottenuto per il numero delle ore giornaliere di lavoro previste dal contratto stesso. Nei casi in cui i contratti di lavoro prevedano, nell’ambito di una settimana, un orario di lavoro identico per i primi cinque giorni della settimana e un orario ridotto per il sesto giorno, l’orario giornaliero è quello che si ottiene dividendo per sei il numero complessivo delle ore settimanali contrattualmente stabilite“.

Anche per quanto concerne il trattamento previdenziale, le regole sono le medesime sia per le lavoratrici che per i lavoratori (art. 29 T.U.). Esso è regolato dall’art. 25 del T.U. e prevede innanzi tutto che il periodo di congedo di maternità non richiede, in costanza di rapporto, “alcuna anzianità contributiva pregressa ai fini dell’accreditamento dei contributi figurativi per il diritto alla pensione e per la determinazione della misura stessa“. Al comma 2, inoltre viene previsto che per i “soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro“. Ed infine al comma 3, dedicato a coloro che sono iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti ed ai fondi sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, “gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono addebitati alla relativa gestione pensionistica“. Mentre per coloro che sono iscritti ai fondi esclusivi dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, “gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono posti a carico dell’ultima gestione pensionistica del quinquennio lavorativo richiesto nel medesimo comma“.

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Congedo paternità diritti del lavoratore

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Congedo obbligatorio e facoltativo per padri lavoratori

Congedo paternità diritti del lavoratore:

Il D.Lgs. n. 151/2001Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità (come modificato dal D.Lgs. n. 119/2011) prevede la possibilità anche per il padre lavoratore di godere, al verificarsi di determinate circostanze (morte o grave infermità della madre, abbandono, affidamento esclusivo del bimbo al padre), delle garanzie già previste in favore delle lavoratrici madri, favorendo e garantendo in tal modo l’aspetto affettivo relazionale del rapporto genitoriale, nonchè l’aspetto legato alla vita professionale. Il congedo per paternità soggiace alla medesima disciplina, sia normativa che economica, che viene applicata al congedo per maternità. Lo stesso discorso vale anche per il divieto di licenziamento del lavoratore padre nel periodo che va dall’inizio del congedo e fino ad un anno di età del bambino. Il congedo per paternità viene regolato dall’art. 28 del citato T.U., il quale prevede testualmente che: “1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. 2. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445“. Anche in caso di adozioni e affidamenti e adozioni e affidamenti preadottivi internazionali il lavoratore padre usufruisce degli stessi congedi previsti per la lavoratrice, ma a condizione che questi non siano già stati richiesti dalla lavoratrice (art. 31 del T.U.). Nello specifico il lavoratore avrà diritto al congedo per paternità di tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino in famiglia nel caso di adozione o affidamento di un bambino di età non superiore a sei anni all’atto dell’adozione o dell’affidamento. In caso di adozioni e affidamenti preadottivi internazionali il lavoratore avrà diritto al congedo per paternità di tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino in famiglia anche se il minore adottato o affidato abbia superato i sei anni e sino al compimento della maggiore età. Inoltre il lavoratore avrà altresì il diritto a fruire di un congedo di durata corrispondente al periodo di permanenza nello Stato straniero richiesto per l’adozione e l’affidamento. Il congedo non comporta indennità né retribuzione. Sarà poi l’Ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione a certificare la durata del congedo, nonché la durata del periodo di permanenza all’estero.

 

 

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Tutela lavoratrice per maternità adozioni e affidamenti

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Tutela lavoratrice per maternità adozioni e affidamenti

Tutela lavoratrice per maternità adozioni e affidamenti

Il regime di tutela della donna durante la gravidanza e il puerperio prevede dei periodi di interdizione dal lavoro e regola altresì le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa in tale fase delicata e particolare della vita della lavoratrice.

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Tutela paternità e maternità nel testo unico

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Tutela paternità e maternità nel testo unico

Tutela paternità e maternità nel testo unico:

La materia della tutela paternità e maternità sono state disciplinate dapprima dalla L.n. 1204/1971, poi dalla L.n. 53/2000 ed infine dal D.Lgs. n. 151/2001Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità (come modificato dal D.Lgs. n. 119/2011), che ha abrogato la precedente normativa (quella del 1971 e del 2000). Nel Testo Unico sono in parte confluite alcune norme previste nella L.n. 1204/1971 e nella L.n. 53/2000 ed in particolare la possibilità anche per il padre lavoratore di godere delle garanzie già previste in favore delle lavoratrici madri, favorendo e garantendo in tal modo “una più equa ripartizione delle responsabilità familiari” all’interno della famiglia.

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Licenziamento disciplinare i passaggi da osservare

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Licenziamento per giusta causa, falsità delle firme e ratifica

Licenziamento disciplinare i passaggi da osservare

Nel caso in cui il datore di lavoro abbia intenzione di licenziare un dipendente per giusta causa, dovrebbe rispettare in linea di massima questi adempimenti:

  • la violazione al codice disciplinare commessa dal lavoratore deve essere contestata immediatamente o quanto meno non appena si viene a conoscenza del fatto e subito dopo aver accertato, mediante indagine interna, le modalità di verificazione dell’evento;

  • la contestazione dell’addebito va fatta per iscritto a mezzo di raccomanda a.r. e seguendo la procedura prevista dal CCNL di settore ed in particolare segnalando nella medesima il termine entro il quale dovrà inviare le sue difese e/o richiedere di farsi ascoltare dal datore anche alla presenza di un rappresentante sindacale;

  • la mancata osservanza della forma scritta della contestazione disciplinare determina l’illegittimità del licenziamento irrogato se impugnato in sede giudiziale;

  • far decorrere il termine minimo di 5 giorni (o altro eventualmente differente previsto dai contratti collettivi) dalla contestazione dell’addebito e poi procedere alla irrogazione della sanzione (in questo caso il licenziamento) che deve essere fatta sempre per iscritto;

  • se il lavoratore non ritira la raccomandata, occorre comunque attendere cinque giorni dalla restituzione della comunicazione non ritirata dal lavoratore, prima di irrogare la sanzione;

  • in caso di dubbi sul procedimento da seguire non esitare a farsi assistere da un legale, possibilmente esperto in diritto del lavoro.

Si evidenzia che l’art. 7 della L.n.l 300/1970 dispone quanto segue in tema di licenziamento disciplinare:

  • il codice disciplinare e le relative sanzioni in caso di violazioni deve essere affisso nei locali aziendali ove i lavoratori abbiano libero accesso;

  • Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato per iscritto l’addebito. La mancanza della forma scritta, sia della contestazione disciplinare che del licenziamento (o sanzione minore) comporta la illegittimità/nullità di tutta la procedura compreso il licenziamento

  • In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.

Le conseguenze in caso di licenziamento intimato senza la forma scritta, in caso di impugnativa innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro da parte del lavoratore, sono la dichiarazione di illegittimità e/o inefficacia. Pertanto il datore di lavoro potrà essere condannato, in base al regime di tutela reale o tutela obbligatoria applicabile alla fattispecie in base alle dimensioni dell’azienda (vedi gli articoli al riguardo sull’argomento, nel sito), alla riassunzione e/o reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato e comunque al risarcimento di tutti i danni conseguenti, ivi compresi la regolarizzazione della posizione contributiva ed assistenziale.

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Tutale reale e tutela obbligatoria – Risarcimenti

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Sanzioni disciplinari, solo il datore di lavoro può sceglierne la misura

La tutela reale è disciplinata, come si è detto, dall’art. 18 della L.n. 300/1970, il quale prevede che in caso di licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, il giudice : “ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro”. Inoltre, prevede che: “Il giudice … condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno … al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetto”.

Ciò significa che con il regime di stabilità reale, nel caso in cui il licenziamento venga dichiarato illegittimo, il datore di lavoro avrà l’obbligo di:

  • reintegrare effettivamente il lavoratore illegittimamente licenziato nelle mansioni in precedenza occupate,

  • riconoscere tutti i diritti ed interessi lesi,

  • garantire la continuità del rapporto di lavoro;

  • versare al lavoratore illegittimamente licenziato tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino a quello della effettiva reintegra (e comunque non inferiore alle cinque mensilità) detratto l’eventuale aliunde perceptum, ossia le retribuzioni percepite in caso di nuova occupazione successiva al licenziamento;

  • regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale con il relativo versamento..

Da parte sua il lavoratore illegittimamente licenziato potrà:

  • rinunciare alla reintegra nel posto di lavoro;

  • e in sostituzione della reintegra, richidere al datore di lavoro il versamento di una indennità pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto;

In tale ultima ipotesi ovviamente il datore di lavoro sarà ugualmente tenuto a:

  • regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale del lavoratore per il periodo tra il licenziamento e la data stabilita dal giudice di “effettiva” reintegrazione;

  • versare al lavoratore una indennità non inferiore alle 5 mensilità di retribuzione (detratto l’eventuale aliunde perceptum) a titolo di risarcimento per illegittimo licenziamento;

  • versare al lavoratore una indennità pari a quindici mensilità di retribuzione a titolo di rinuncia alla reintegrazione.

La tutela obbligatoria è invece disciplinata dall’art. 2 della L.n. 108/1990, il quale prevede testualmente che: Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fin a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro“.

Ciò significa che, con il regime di stabilità obbligatoria, il datore di lavoro, in caso in cui il licenziamento sia dichiarato illegittimo, potrà scegliere tra due possibilità alternative tra loro:

  • riassumere il dipendente (e quindi il rapporto di lavoro si considera come appena iniziato, come un nuovo rapporto di lavoro) entro tre giorni;

  • o risarcire i danni al lavoratore (il licenziamento irrogato è idoneo a produrre gli effetti estintivi del rapporto di lavoro: infatti nel caso di tutela obbligatoria si parla di riassunzione, mentre in regime di tutela reale si parla di reintegrazione del lavoratore nel medesimo posto e mansioni rivestite prima del licenziamento) con il versamento di un importo compreso tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione; oppure fino a 10 mensilità per un lavoratore con una anzianità di servizio superiore a dieci anni o fino a 14 mensilità per un lavoratore con una anzianità di servizio superiore a 20 anni.

Va evidenziato che se dopo il licenziamento e nel corso del giudizio volto ad accertare la illegittimità del licenziamento, il lavoratore trova una nuova occupazione e percepisce una retribuzione, l’importo della nuova retribuzione (c.d. aliunde perceptum) verrà detratto dalla somma dovuta a titolo di risarcimenton per licenziamento illegittimo. Tale detrazione trova la sua giustificazione nel fatto che non può ritenersi legittimo che per lo stesso periodo un lavoratore percepisca due retribuzioni una per il nuovo lavoro e l’altra per il lavoro perduto.

Si evidenzia ancora che per “retribuzione globale di fatto” si intende la retribuzione base più ogni compenso percepito dal lavoratore con continuità (es. premi di produzione, straordinari versati con continuità, mensilità aggiuntive, premi in natura, ecc.).

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Licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo

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Inadempimento contributivo, il lavoratore non ricorrere contro l’INPS

Il licenziamento intimato dal datore di lavoro senza la sussistenza della giusta causa o giustificato motivo è illegittimo. La giusta causa e il giustificato motivo trovano la loro previsione e disciplina nella L.n. 604/1966, e negli art. 2118 e 2119 del codice civile.

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Dimissioni per giusta causa del lavoratore, le ipotesi più frequenti

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Rinnovo contratto a termine oltre i 24 mesi senza deroga assistita

Le dimissioni per giusta causa si verificano quando il lavoratore decide di recedere dal rapporto per ragioni legate a fatti direttamente o indirettamente imputabili al datore di lavoro e tali da rendere impossibile la prosecuzione, pure provvisoria, del rapporto per il venire meno dei presupposti di una proficua e serena collaborazione. Pertanto in caso di dimissioni per giusta causa, il lavoratore avrà diritto di recedere senza preavviso dal rapporto ed avrà diritto altresì alla corresponsione della indennità sostitutiva del preavviso.

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