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Compenso per lavoro straordinario e assenza di autorizzazione del datore

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Il dipendente non ha diritto ad alcun compenso per prestazioni di lavoro straordinario in mancanza di una formale autorizzazione da parte del datore di lavoro.

Quindi anche per l’amministrazione datrice di lavoro vale la regola secondo cui le prestazioni di lavoro straordinario sono facoltative, effettuate in aggiunta al normale orario di lavoro e come tali soggetti al potere organizzativo del datore di lavoro (in questo caso la P.A.)(Cass. Civ., SS. UU., 25.10.1996, n.9336).

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Concorsi pubblici e punteggi per titoli non allegati

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Concorsi pubblici e punteggi per titoli non allegati

Con la sentenza n. 21 dell’11.01.2013, la Sezione II del TAR Sicilia, Palermo, ha affermato che in caso di concorsi pubblici, non possono essere attribuiti al candidato punteggi per titoli non allegati, se il bando prevede l’onere di allegazione documentale.

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Procedura concorsuale e incarico non vacante

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Procedura concorsuale e incarico non vacante

La sentenza n. 50 dell’11.01.2013, resa dal TAR Campania, Napoli, Sezione II, ha statuito che è illegittima l’indizione di una procedura concorsuale per ricoprire un incarico non vacante e per il quale risulta esservi personale in ruolo.

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Pensione del pubblico dipendente

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Pensione anticipata, i requisiti necessari

Pensione del pubblico dipendente

Con la sentenza n. 54 dell’11.1.2013, in tema di pensione di pubblici dipendenti, il TAR Calabria, Catanzaro, Sezione II ha precisato che sulle controversie relative all’an o al quantum del trattamento pensionistico, decide la Corte dei Conti.

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Reclutamento dipendenti pubblici e scorrimento graduatoria

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Licenziamento collettivo annullabile e non nullo se violati i criteri di scelta

Reclutamento dipendenti pubblici e scorrimento graduatoria

Il TAR dell’Emilia Romagna, Bologna, Sezione I, con sentenza n. 19 dell’11.01.2013, in tema di procedure concorsuali per il reclutamento dei dipendenti pubblici, ha affermato che spetta al giudice ordinario la controversia instaurata dal candidato idoneo che aspiri allo scorrimento della graduatoria.

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Valutazione delle prove di concorso pubblico

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Con la sentenza n. 108 dell’11.01.2013 la Sezione V del Consiglio di Stato è intervenuta sull’argomento relativo alla valutazione delle prove di concorso pubblico. È stato da questa ritenuto che le valutazione delle prove da parte delle Commissioni giudicatrici è una valutazione tecnica ad alto tasso di soggettività, che tuttavia il giudice amministrativo non può sostituire con una propria valutazione parimenti opinabile. Infatti per giurisprudenza consolidata non è sindacabile la concreta attribuzione del punteggio da parte della Commissione esaminatrice, esprimendosi compiutamente il giudizio di quest’ultima (senza necessità di ulteriore specifica motivazione) attraverso l’attribuzione del punteggio e la graduazione dello stesso (cfr. VI Sez. 4.4.2000 n.1925).

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Prescrizione crediti di lavoro

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 Con la sentenza n. 105 dell’11.01.2013, la V Sezione del Consiglio di Stato, affrontando il tema della prescrizione dei crediti di lavoro, ha affermato il seguente principio “Conformemente a giurisprudenza di questa sezione (Cons. Stato, V: 24 novembre 2011, n. 6218; 18 agosto 2010, n. 5824; 17 settembre 2008, n. 4429), deve ritenersi che il termine prescrizionale non decorre per i crediti di lavoro durante il rapporto lavorativo non assistito dalla garanzia di stabilità e non dotato della resistenza che caratterizza invece il rapporto di pubblico impiego, qual è quello in questione“.

Nel giudizio in esame alla V Sezione, veniva impugnata la sentenza resa dal TAR, che accoglieva in parte il ricorso proposto da una lavoratrice, nella parte in cui il Tribunale riteneva maturata la prescrizione, poichè non erano stati posti in essere dall’interessata, atti interruttivi della stessa, prima della notifica del ricorso e ciò sul presupposto che le pretese patrimoniali per spettanze retributive che, come è noto, trovano la propria fonte direttamente nella legge, ivi comprese quelle dovute in forza dell’art. 2126 c.c., soggiacciono in ogni caso, anche in costanza del rapporto di lavoro, al termine quinquennale di prescrizione ai sensi dell’art. 2948 c.c.

Sotto tale profilo quindi la ricorrente ha proposto appello al Consiglio di Stato sostenendo che, nel caso di specie, la prescrizione non decorreva in costanza di rapporto di lavoro, e conseguentemente richiedeva il riconoscimento del suo diritto ad ottenere il trattamento economico relativo all’intera prestazione di fatto svolta, ivi compresa l’indennità di fine servizio maturata. Il Consiglio di Stato ha ritenuto, come sopra, fondata la censura sollevata, affermando il principio di cui sopra.

Viene riportato di seguito il testo integrale della sentenza n. 105/2013 per chi avesse la curiosità di conoscere per intero i presupposti da cui è scaturita la suddetta decisione. (fonte giustizia-amministrativa.it):

N. 00105/2013REG.PROV.COLL.

N. 03346/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3346 del 2005, proposto da:
Salzillo Maria Matrona, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Taglialatela, con domicilio eletto presso Giovanni Taglialatela in Roma, viale Castrense, n. 7;

contro

Comune di S. Maria C. Vetere, in persona del Sindaco in carica, non costituito;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE V n. 10208/2004, resa tra le parti, concernente diritto alle differenze retributive e mancato pagamento indennità di fine servizio.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2012 il Cons. Carlo Schilardi e udito per l’appellante l’avvocato P. Videtta su delega di G. Taglialatela;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La sig.ra Salzillo Maria Matrona, a partire dal 26 ottobre 1985 e fino al 9 marzo 1990, prestava attività lavorativa in qualità di docente di matematica e scienze presso la scuola Magistrale Comunale “Cappabianca” nel Comune di Santa Maria Capua Vetere.

Il rapporto di lavoro, per il quale la medesima percepiva una retribuzione mensile lorda di £. 150.000 (pari ad €. 77,47), veniva regolato annualmente attraverso la sottoscrizione di convenzione-contratto con l’Amministrazione comunale.

Con ricorso notificato in data 3 febbraio 1995, la sig.ra Salzillo adiva il T.A.R. per la Campania al fine di ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il Comune di Santa Maria Capua Vetere e il conseguente diritto alle differenze retributive tra il trattamento economico spettante ai docenti statali in base ai relativi contratti collettivi di lavoro ed il compenso di fatto percepito, oltre interessi e rivalutazione.

La ricorrente richiedeva, altresì, la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle somme corrispondenti ed alla regolarizzazione della posizione previdenziale attraverso il versamento dei relativi contributi.

Il T.A.R. per la Campania, con sentenza n. 10208 del 15 luglio 2004, accoglieva in parte il ricorso dichiarando l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ma accogliendo la domanda di pagamento delle differenze retributive solo relativamente al periodo 3 febbraio 1990/9 marzo 1990, per effetto dell’intervenuta prescrizione eccepita dalla difesa del Comune, decorrente anche durante lo svolgimento del rapporto. Ordinava all’Ente di regolarizzare la posizione previdenziale, soggetta invece a prescrizione decennale.

Con l’atto di appello in esame, viene impugnata la sentenza in parte qua, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 cod. civ.; inesistenza dei presupposti; omessa valutazione del comportamento processuale della Amministrazione; error in judicando; applicazione degli artt. 2934 e 2935 cod. civ., sul presupposto che al rapporto di lavoro a tempo determinato non si applicherebbe la prescrizione quinquennale e, comunque, perché non potrebbe decorrere in costanza del rapporto.

Si deduce poi l’ erroneità della sentenza appellata nella parte in cui non ha disposto la liquidazione dell’indennità di fine servizio maturata e non coperta dall’eccezione di prescrizione sollevata.

Il Comune di Santa Maria Capua Vetere non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 16 novembre 2012, precisate le conclusioni nei termini di cui agli atti difensivi e richiamata giurisprudenza sulla questione controversa della prescrizione quinquennale, il giudizio è stato assunto in decisione.

L’appello è fondato nei termini di cui di seguito.

La sentenza impugnata ha accolto in parte il ricorso, avendo ritenuto l’esistenza di un rapporto di impiego di fatto tra l’attuale appellante e il Comune, dedotto sulla base dell’esistenza di una richiesta di prestazione in regime di subordinazione, collegata al potere organizzativo della direzione didattica, esplicatosi a mezzo della predisposizione degli orari di lavoro.

Secondo il T.A.R., il rapporto è da reputarsi nullo in quanto instaurato in contrasto con il divieto di legge, pur spettando al soggetto nominato con provvedimento radicalmente nullo il diritto al trattamento economico corrispondente alla prestazione di fatto svolta.

Nella fattispecie secondo il T.A.R., è tuttavia maturata la prescrizione, non essendovi stati atti interruttivi della stessa, prima della notifica del ricorso avvenuta il 3 febbraio 1995 e ciò sul presupposto che le pretese patrimoniali per spettanze retributive che trovano la propria fonte direttamente nella legge, ivi comprese quelle dovute in forza dell’art. 2126 c.c., soggiacciono in ogni caso, anche in costanza del rapporto di lavoro, al termine quinquennale di prescrizione ai sensi dell’art. 2948 c.c.

La ricorrente oppone che, nel caso, la prescrizione non decorre in costanza di rapporto di lavoro, con il conseguente diritto ad ottenere il trattamento economico relativo all’intera prestazione di fatto svolta, ivi compresa l’indennità di fine servizio maturata.

La censura è fondata.

Conformemente a giurisprudenza di questa sezione (Cons. Stato, V: 24 novembre 2011, n. 6218; 18 agosto 2010, n. 5824; 17 settembre 2008, n. 4429), deve ritenersi che il termine prescrizionale non decorre per i crediti di lavoro durante il rapporto lavorativo non assistito dalla garanzia di stabilità e non dotato della resistenza che caratterizza invece il rapporto di pubblico impiego, qual è quello in questione.

Non si condivide, in conseguenza, la statuizione del T.A.R. Campania.

Quanto alla questione sull’applicazione della prescrizione decennale, va osservato che, trattandosi di corrispettivi che devono pagarsi periodicamente in termini più brevi dell’anno, sono soggetti alla prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 cod. civ., seppure decorrente, nella particolare fattispecie, dalla cessazione del rapporto di lavoro di fatto.

La circostanza che la domanda di accertamento del rapporto di pubblico impiego sia soggetta alla prescrizione ordinaria è del tutto irrilevante, trattandosi di domande diverse, ciascuna soggetta ad un proprio regime giuridico.

Ciò posto in diritto, l’appello è fondato e va accolto, atteso che il termine di prescrizione quinquennale decorrente dal 9 marzo 1990 non era maturato alla data di proposizione del ricorso di primo grado, avvenuta con atto notificato il 3 febbraio 1995.

Va, inoltre, disposta la liquidazione dell’indennità di fine servizio maturata.

Pertanto, in riforma della sentenza appellata, alla parte interessata vanno riconosciuti i compensi correlati al livello retributivo di docente di matematica e scienze comprensivi degli accessori per il periodo della prestazione lavorativa dal 26 ottobre 1985 al 9 marzo 1990, oltre alla liquidazione dell’indennità di fine servizio maturata.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, come da dispositivo, in favore della parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi indicati in motivazione e, conseguentemente, riforma in parte la sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in E. 1.500,00 (millecinquecento) in favore della parte appellante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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Concorsi pubblici e regola dell’anonimato

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 L’osservanza del principio dell’anonimato nei concorsi pubblici impedendo il riconoscimento dei candidati partecipanti al concorso pubblico da parte delle commissioni esaminatrici chiamate a valutare gli elaborati costituenti prove d’esame, di fatto garantisce non solo la par condicio dei candidati stessi ma anche la trasparenza del concorso. Con la sua osservanza inoltre vengono garantiti gli scopi fondamentali perseguiti dalla Pubblica Amministrazione che sono la trasparenza e l’imparzialità del suo operato.

Infatti grazie all’anonimato i candidati sono posti tutti nella medesima condizione, senza privilegio alcuno, e con la garanzia di un equo trattamento nella valutazione degli elaborati da parte della commissione esaminatrice, Viene in tal modo assicurata e garantita la tutela del loro interesse legittimo ad una imparziale procedura concorsuale.

Nei concorsi pubblici, come è noto, l’anonimato si realizza mediante il principio della segretezza delle prove scritte in modo tale che la commissione esaminatrice, chiamata a correggere gli elaborati, non possa in alcun modo risalire alla paternità degli stessi.

Di recente con la sentenza 11.1.2013, n. 102, la Sezione V del Consiglio di Stato, è intervenuta sul tema dei concorsi pubblici e rispetto del principio dell’anonimato emanando il seguente principio:

Ogni fase della procedura concorsuale deve essere espletata dalla Commissione esaminatrice e dall’Amministrazione in modo da garantirne la più completa e assoluta trasparenza, allo scopo di soddisfare l’interesse pubblico all’individuazione del candidato più meritevole.

Durante le fasi concorsuali, deve dunque essere garantito il rispetto del principio dell’anonimato, anche al fine di soddisfare il criterio generale di imparzialità che deve sottendere l’azione amministrativa, a salvaguardia della “par condicio” tra i partecipanti.

È regola generale che, al fine di garantire la trasparente e imparziale valutazione nelle procedure di concorso pubblico, la prova scritta non deve riportare la sottoscrizione dei candidati, né altri segni di riconoscimento idonei a rivelarne l’identità.

Sono considerati tali quegli elementi che assumono carattere anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta, da cui si desume la volontà e l’intenzionalità di rendere riconoscibile l’elaborato.

Secondo l’orientamento consolidato di questo Consiglio di Stato, a cui si conforma anche questa decisione, ai fini della riconducibilità di segni presenti sui compiti ai relativi autori, deve escludersi che le commissioni giudicatrici possano legittimamente ispirarsi a concezioni rigorosamente formalistiche per le quali la semplice apposizione di un segno o la presenza di una cancellatura negli elaborati comporterebbe l’esclusione del candidato dal concorso.

Ed invero, nelle procedure concorsuali la regola dell’anonimato degli elaborati scritti, anche se essenziale, non può essere intesa in modo assoluto e tassativo tale da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sia solo ipotizzabile il riconoscimento dell’autore del compito.

Se infatti tutte le prove dovessero in tal caso venire annullate, sarebbe materialmente impossibile svolgere concorsi con esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori la possibilità che un commissario riconosca la scrittura di un candidato, benché il relativo elaborato sia formalmente anonimo.

A partire da tali considerazioni si ritiene, pertanto, che la regola dell’anonimato deve essere intesa nel senso che non deve essere presente nell’elaborato alcun segno che sia “in astratto” ed “oggettivamente” suscettibile di riconoscibilità.

Questa Sezione ha avuto modo di evidenziare che “ciò che rileva non è tanto l’identificabilità dell’autore dell’elaborato attraverso un segno a lui personalmente riferibile, quanto piuttosto l’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione. Ciò ricorre quando la particolarità riscontrata assuma un carattere oggettivamente ed incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta, in tal caso a nulla rilevando che in concreto la commissione o singoli componenti di essa siano stati, o meno, in condizione di riconoscere effettivamente l’autore dell’elaborato scritto” (Con. Stato, Sez. V, del 26 marzo 2012, n. 1740).”.

Viene riportato di seguito il testo integrale della sentenza n. 102/2013 per chi avesse la curiosità di conoscere per intero i presupposti da cui è scaturita la suddetta decisione. (fonte giustizia-amministrativa.it):

N. 00102/2013REG.PROV.COLL.

N. 02938/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2938 del 2012, proposto da:
Vincenza Silvana Toscano, rappresentata e difesa dall’avv. Domenico Colaci, con domicilio eletto presso Maria Giuseppina Lo Iudice in Roma, via Ennio Quirino Visconti, N. 55;

contro

Comune di Rizziconi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Gaetano Vizzari e Giorgio Vizzari, con domicilio eletto presso Marida Leonardo in Roma, via Principessa Clotilde N. 2;

nei confronti di

Maria Grazia Papasidero, rappresentata e difesa dall’avv. Michele Salazar, con domicilio eletto presso Michele Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini N. 20;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00874/2011, resa tra le parti, concernente concorso per esami e titoli per l’assunzione di n. 2 istruttori direttivi amministrativi cat. d1 a tempo pieno ed indeterminato

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rizziconi e di Maria Grazia Papasidero;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2012 il Cons. Carlo Schilardi e uditi per le parti gli avvocati Domenico Colaci, Rosario Infantino, su delega degli avv.ti Gaetano e Giorgio Vizzari, nonché Michele Salazar;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il Comune di Rizziconi bandiva una procedura selettiva, per titoli ed esami, per la copertura di due posti (50% di riserva) a tempo pieno ed indeterminato, con profilo Istruttore direttivo amministrativo Cat. D1.

Il concorso prevedeva lo svolgimento da parte dei candidati di due prove scritte e di una prova orale.

Alla procedura concorsuale partecipavano la sig.ra Vincenza Silvana Toscano e la sig,ra Maria Grazia Papasidero che conseguivano, alla prima prova scritta espletata in data 2.12.2010, rispettivamente un punteggio di 27/30 e di 24/30; alla seconda prova scritta, di carattere pratico-attitudinale espletata in data 3.12.2010, rispettivamente la votazione di 23/30 e di 25/30.

A seguito, della prova orale espletata in data 23.12.2012, la sig.ra Vincenza Silvana Toscano si classificava al secondo posto con il punteggio complessivo di 57,60 e al primo posto si classificava la sig.ra Maria Grazia Papasidero con il punteggio di 59,40.

La graduatoria finale di merito, compilata con il verbale del 23.12.2010, veniva approvata con determinazione del segretario comunale n. 10 del 28.12.2010.

Con istanza acquisita al protocollo del Comune di Rizziconi con il n. 83 del 5.1.2011, la sig.ra Vincenza Silvana Toscano chiedeva copia degli atti della procedura e degli elaborati dei candidati collocatisi ai primi tre posti.

A seguito di esame di tale documentazione la sig.ra Vincenza Silvana Toscano, rilevate alcune presunte irregolarità, adiva il T.A.R. per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, per l’annullamento della determinazione del segretario comunale n. 10/2010 nonché di ogni altro atto connesso, collegato, presupposto, precedente o consequenziale ed in particolare il verbale della Commissione esaminatrice n. 9 del 23.12.2010 con il quale era stata formulata la graduatoria finale ed i verbali nn. 2, 3, 4, 5, 6, e 7 concernenti l’espletamento e la correzione delle prove scritte dei candidati.

La ricorrente lamentava l’illegittimità dell’intera procedura, invocando l’esclusione della controinteressata e censurando l’esito del giudizio tecnico – discrezionale della Commissione valutatrice nella parte in cui non era stata collocata al primo posto della graduatoria finale.

Il T.A.R. per la Calabria con sentenza n. 874 del 23 novembre 2011, ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato.

Avverso tale pronuncia ha proposto appello la sig.ra Vincenza Silvana Toscano deducendo la presunta erroneità della sentenza appellata e il difetto assoluto di motivazione, reiterando, sostanzialmente, gli stessi motivi formulati in primo grado.

In particolare, con il primo motivo, l’appellante lamenta la violazione della regola dell’anonimato, di cui all’art. 14 del D.P.R. n. 487/1994, nella parte in cui la sentenza non avrebbe ritenuto gli elaborati, relativi alle due prove scritte della sig.ra Maria Grazia Papasidero, manifestatamene riconoscibili.

Con il secondo motivo l’appellante lamenta difetto di istruttoria, violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, motivazione insufficiente, violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, violazione del principio di uguaglianza e contraddittorietà, atteso che la Commissione valutatrice avrebbe motivato i giudizi sulle prove scritte dei candidati col solo voto numerico.

Si è costituito in giudizio il Comune di Rizziconi che ha chiesto di rigettare l’appello proposto dalla sig.ra Vincenza Silvana Toscano eccependone la sua inammissibilità e comunque infondatezza.

Si è costituita la controinteressata sig. Maria Grazia Papasidero che ha chiesto il rigetto dell’appello perché infondato.

L’appello è infondato e va respinto

Con il primo motivo l’appellante lamenta la violazione dell’art. 14 del D.P.R. n. 487/1994 che impone la regola dell’anonimato degli elaborati scritti nelle procedure concorsuali, in quanto la controinteressata sig.ra Maria Grazia Papasidero, risultata vincitrice del concorso, avrebbe reso manifestatamene riconoscibili i propri elaborati.

In particolare, dall’esame degli atti prodotti in giudizio, è emerso che la sig.ra Papasidero nel redigere gli elaborati ha scritto la traccia sulla prima facciata dei fogli protocollo e, dopo aver lasciato completamente in bianco la successiva parte della stessa prima facciata, ha iniziato a svolgere il suo lavoro a partire dal secondo rigo della seconda facciata.

La stessa ha poi apposto sul margine alto di sinistra della prima facciata del foglio una cancellatura che, a parere dell’appellante, sembrerebbe nascondere il nome “Maria”, ossia il primo nome di battesimo della controinteressata.

La censura non è condivisibile.

Ogni fase della procedura concorsuale deve essere espletata dalla Commissione esaminatrice e dall’Amministrazione in modo da garantirne la più completa e assoluta trasparenza, allo scopo di soddisfare l’interesse pubblico all’individuazione del candidato più meritevole.

Durante le fasi concorsuali, deve dunque essere garantito il rispetto del principio dell’anonimato, anche al fine di soddisfare il criterio generale di imparzialità che deve sottendere l’azione amministrativa, a salvaguardia della “par condicio” tra i partecipanti.

È regola generale che, al fine di garantire la trasparente e imparziale valutazione nelle procedure di concorso pubblico, la prova scritta non deve riportare la sottoscrizione dei candidati, né altri segni di riconoscimento idonei a rivelarne l’identità.

Sono considerati tali quegli elementi che assumono carattere anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta, da cui si desume la volontà e l’intenzionalità di rendere riconoscibile l’elaborato.

Secondo l’orientamento consolidato di questo Consiglio di Stato, a cui si conforma anche questa decisione, ai fini della riconducibilità di segni presenti sui compiti ai relativi autori, deve escludersi che le commissioni giudicatrici possano legittimamente ispirarsi a concezioni rigorosamente formalistiche per le quali la semplice apposizione di un segno o la presenza di una cancellatura negli elaborati comporterebbe l’esclusione del candidato dal concorso.

Ed invero, nelle procedure concorsuali la regola dell’anonimato degli elaborati scritti, anche se essenziale, non può essere intesa in modo assoluto e tassativo tale da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sia solo ipotizzabile il riconoscimento dell’autore del compito.

Se infatti tutte le prove dovessero in tal caso venire annullate, sarebbe materialmente impossibile svolgere concorsi con esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori la possibilità che un commissario riconosca la scrittura di un candidato, benché il relativo elaborato sia formalmente anonimo.

A partire da tali considerazioni si ritiene, pertanto, che la regola dell’anonimato deve essere intesa nel senso che non deve essere presente nell’elaborato alcun segno che sia “in astratto” ed “oggettivamente” suscettibile di riconoscibilità.

Questa Sezione ha avuto modo di evidenziare che “ciò che rileva non è tanto l’identificabilità dell’autore dell’elaborato attraverso un segno a lui personalmente riferibile, quanto piuttosto l’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione. Ciò ricorre quando la particolarità riscontrata assuma un carattere oggettivamente ed incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta, in tal caso a nulla rilevando che in concreto la commissione o singoli componenti di essa siano stati, o meno, in condizione di riconoscere effettivamente l’autore dell’elaborato scritto” (Con. Stato, Sez. V, del 26 marzo 2012, n. 1740).

Nel caso di specie, i giudici di primo grado hanno correttamente ritenuto che la stesura dello scritto a partire dal secondo rigo della facciata non è una anomalia tale da poter mettere la Commissione o un suo componente in condizione di riconoscerne l’autore. Tale modalità, peraltro, è del tutto consueta e assai frequente.

Seppur meno frequente, anche la scelta, da parte della candidata Papasidero, di lasciare in bianco la facciata su cui è stata scritta la traccia, per iniziare la stesura dell’elaborato dalla seconda facciata, non può essere considerata una anomalia sufficiente a comprovare in modo inequivoco l’intenzione della candidata di rendere conoscibile il proprio elaborato alla Commissione.

Con il secondo motivo l’appellante lamenta la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 degli artt. 24 e 113 della Costituzione, atteso che la Commissione valutatrice ha motivato i giudizi sulle prove scritte dei candidati col solo voto numerico.

Anche tale censura non è condivisibile.

Va premesso che nella fattispecie in esame la Commissione ha fatto puntuale applicazione dei criteri di valutazione indicati nel bando, fermo restando che per prevalente giurisprudenza, nei concorsi a posti di pubblico impiego, la Commissione esaminatrice deve stabilire preventivamente ed in astratto i criteri di massima solo in relazione alla valutazione dei titoli e non anche per la valutazione delle prove scritte o pratiche, che è rimessa alla sua discrezionalità tecnica (C.d.S., Sez. IV, 24.7.2003, n. 4238; Sez. V, 11.5.2009, n. 2880).

Circa l’onere di motivazione delle valutazioni effettuate di un esame o delle prove di un concorso pubblico, si osserva che esso è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico, configurandosi quest’ultimo come formula sintetica, ma eloquente, che esterna la valutazione tecnica compiuta dalla Commissione esaminatrice.

In tali sensi si è anche espressa la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (ex multis : C.d.S., Sez. VI, 10.12.2010, n. 8694).

Se l’onere di motivazione della valutazione delle prove scritte è sufficientemente adempiuto con il solo punteggio numerico, un obbligo di motivazione integrativa può invece sussistere solo laddove la valutazione tecnica investa giudizi legati all’espressione di nozioni di particolare complessità, nei quali l’aderenza ai criteri preventivamente costituiti, la correttezza delle soluzioni e la coerenza nell’esposizione concettuale, si rilevi determinante nella scelta sulla reciproca prevalenza dei candidati nel senso della loro idoneità a ricoprire posizioni lavorative di significativa importanza per l’Amministrazione.

Il voto numerico attribuito dalla competente commissione alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame esprime e sintetizza, infatti, il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa e la sindacabilità di tali giudizi, per tale loro natura, è da considerare potenzialmente possibile solo in caso di manifesta illogicità od erroneità (C.d.S., Sez. I, par. 15.5.2010, n. 5002/09).

Attesa la infondatezza nel merito dell’appello, si prescinde dall’esame delle eccezioni di inammissibilità e di merito proposte dal Comune di Rizzigoni e dalla controinteressata signora Maria Grazia Papasidero, per sopravvenuta carenza di interesse.

La natura e la materia del contendere, giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Francesco Caringella, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)”

 

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Modalità di computo del TFR dei dirigenti sanitari e ospedalieri

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Innanzi tutto occorre premettere che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 119/2012, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2 e 3, del D.L.vo 19 giugno 1999, n. 229, promossa dal Tribunale di Monza, in relazione all’art. 3 della Costituzione.

Conseguentemente, le citate disposizioni, modificando l’art. 3 bis, comma 11, del D.L.vo30 dicembre 1992, n. 502, hanno individuato – quale base di computo del trattamento di fine servizio – la retribuzione effettivamente percepita dai dipendenti pubblici, con qualifica di direttori generali, amministrativi e sanitari delle Asl e delle aziende ospedaliere.

A tal fine l’INPS, con la circolare n. 8 del 10/1/2013, dopo aver acquisito il parere dei Ministeri Vigilanti, ha dichiarato che “si atterrà … all’indirizzo interpretativo della giurisprudenza di merito, di legittimità e costituzionale risultando, di conseguenza, superata ogni diversa indicazione precedentemente impartita“.

Pertanto l’Istituto, nella citata circolare n. 8, ha precisato che “con riferimento ai direttori generali, amministrativi o sanitari di un’azienda sanitaria locale o di un’azienda ospedaliera, già dipendenti di una pubblica amministrazione e collocati in aspettativa per il periodo di svolgimento dell’incarico, che cessano dal servizio durante l’incarico stesso ovvero in coincidenza del suo termine, il trattamento di fine servizio dovrà essere calcolato tenendo conto del trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito entro i limiti del massimale di cui all’art. 3, comma 7, del decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 181 (massimale annuo della base contributiva valevole per i dirigenti delle aziende industriali) rivalutato annualmente sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, così come calcolato dall’Istat, secondo quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 11 dell’art. 3bis del d.lgs. 502/1992“. Ove il massimale per le cessazioni relative all’anno 2012 è pari ad Euro 175.265,00.

Ancora si legge nella circolare n. 8 Inps che “le Aziende sanitarie locali e le Aziende ospedaliere possono regolarizzare, senza aggravio di sanzioni e di interessi, entro 3 mesi dall’emanazione della presente circolare, la posizione assicurativa e contributiva dei Direttori Generali, dei Direttori Amministrativi e dei Direttori Sanitari, a decorrere dalla data (31 luglio 1999) di entrata in vigore dell’art. 3bis del d.lgs. 502/1992, introdotto dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 229/1999, provvedendo al versamento, presso la Gestione ex INPDAP – INADEL, del differenziale contributivo corrispondente alla differenza tra la contribuzione ai fini del TFS/TFR, già versata sull’imponibile virtuale e quella calcolata sulla retribuzione contributiva utile corrisposta, nei limiti del massimale di cui sopra, secondo le aliquote previste ai sensi dell’art.11 della legge n.152/68 (6,10% della retribuzione annua considerata in ragione dell’80%, ripartito nella misura del 3,60% a carico del datore di lavoro e del 2,50% a carico del dipendente)“.

Inoltre l’Istituto ha precisato che la suddetta regolarizzazione dovrà essere effettutata, a decorrere dala predetta data del 31 luglio 1999, ed interesserà sia il personale in servizio che ancora ricopre la carica di Direttore Generale, amministrativo o sanitario, che il personale rientrato nei ruoli delle amministrazioni di provenienza.

Infine, per tutte le controversie in atto in sede giurisdizionale, “i dirigenti degli uffici competenti, prima di procedere nei termini sopra indicati alla riliquidazione del trattamento di fine servizio dei ricorrenti, decurtato della somma corrispondente alla contribuzione a carico dell’iscritto, dovranno autorizzare gli avvocati, che rappresentano in giudizio l’Istituto, ad adottare ogni iniziativa per la rinuncia agli atti dei giudizi in corso, al fine di ottenere la dichiarazione di cessazione della materia del contendere connessa alla decisione di conformarsi all’indirizzo interpretativo dianzi descritto. La contribuzione a carico della Struttura sanitaria verrà recuperata mediante il ricorso agli strumenti ordinari di recupero contributivo ed inserita tra i dovuti d’ufficio nel primo ECA utile”.

Invece, per quanto concernono le istruzioni circa la compilazione della denuncia mensile, l’Istituto ha evidenziato che per i dipendenti pubblici collocati in aspettativa a far data dall’emanazione della circolare n. 8 di cui sopra, “l’Amministrazione di appartenenza deve indicare nell’UniEmens, Lista PosPA, il relativo codice di sospensione con il quadro E0 o V1 (causale 2 o 5) relativo all’ultimo periodo denunciato antecedente alla data di collocamento in aspettativa“. Inoltre, le strutture sanitarie, per i dipendenti, collocati in aspettativa, a cui è stato affidato l’incarico di Direttore generale, amministrativo o sanitario, saranno tenute a trasmettere le denunce mensili contributive, con l’indicazione dei propri dati “in riferimento all’elemento azienda, ente di appartenenza, sede di servizio e valorizzando, eventualmente, la sezione Altro Ente Versante per i contributi versati direttamente dall’Amministrazione di appartenenza. La gestione previdenziale da valorizzare è quella prevista per le aziende sanitarie e cioè la gestione INADEL, codice 6. Gli imponibili devono essere valorizzati nei limiti del massimale contributivo, specificando l’eventuale parte eccedente il massimale nello specifico elemento.”.

Per quanto concere la regolarizzazione contributiva, relativa ai c.d. Periodi pregressi, occorrerà distinguere a seconda che i periodi da regolarizzare siano antecedenti al 2005, o successivi.

Regolarizzazione dipendenti in servizio per periodi successivi a gennaio 2005

Si legge nella citata circolare n. 8 che per “l’aggiornamento della posizione assicurativa e la regolarizzazione contributiva del personale ancora in servizio, anche nell’ipotesi in cui il personale sia rientrato nei ruoli delle amministrazioni di provenienza, la Struttura sanitaria presso la quale l’interessato ha prestato o presta servizio come Direttore generale, sanitario o amministrativo, deve inviare dei quadri V1, casuale 7, per ciascun periodo di riferimento, valorizzando, se già disponibili, l’elemento CodiceMotivoUtilizzo con il codice “regolarizzazione da circolare” e l’elemento DescrizioneMotivoUtilizzo con i riferimenti della presente circolare (numero e data). Il periodo di riferimento del V1, casuale 7, non potrà essere superiore al mese. Nei quadri V1, casuale 7, dovrà essere indicata la gestione INADEL, tenendo conto che i relativi elementi dovranno essere quantificati per il differenziale derivante dalle operazioni di ricalcolo della base imponibile riferita alla retribuzione contributiva utile nei limiti del massimale. Per le regolarizzazioni contributive effettuate oltre il terzo mese dalla data di emanazione della presente circolare, la sezione Ente versante dovrà essere valorizzata indicando il codice fiscale del dichiarante nonché l’anno e il mese corrispondente al terzo mese successivo alla data di emanazione della presente circolare“. L’Istituto ha inoltre evidenzato che “nel caso in cui le denunce mensili siano state inviate con l’erronea valorizzazione della gestione ENPAS, occorrerà compilare, oltre ai quadri V1, casuale 7,anche i quadri V1, casuale 5, valorizzando la gestione INADEL,al fine di annullare le denunce inviate in precedenza e sostituirle con quelle con l’iscrizione alla gestione INADEL“.

Regolarizzazione dipendenti in servizio per periodi anteriori a gennaio 2005

Infine, per tale ipotesi, l’Istituto ha precisato che ove “l’incarico sia stato espletato nel periodo intercorrente tra il 1999 e il 2005, le Sedi ex INPDAP dovranno acquisire dalle Strutture sanitarie i dati riepilogativi, distinti per anno, delle retribuzioni contributive utili, nei limiti del massimale e il valore dei corrispondenti elementi da inserire nella posizione assicurativa. Gli imponibili discendenti dalle retribuzioni contributive utili dovranno essere confrontati con quelli virtuali, acquisiti dalle amministrazioni di provenienza, al fine di ricavarne il differenziale contributivo da corrispondere a questo Istituto. Detto differenziale dovrà essere inserito dalle Sedi stesse tra i dovuti d’ufficio del primo ECA utile”.

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Ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

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ANF telematico

Novità importanti sono state introdotte dal D.L.vo n. 192 del 9.11.2012 che dallo scorso 1 gennaio 2013 impone alla Pubblica Amministrazione di pagare quanto dovuto ai propri fornitori nel termine massimo di 30 giorni, esteso a 60 in alcuni casi particolari. Ma la novità importante sta nel fatto che in caso di inosservanza di tali termini, le Amminisrtazioni saranno obbligate, alla luce delle previsioni di tale Decreto, a corrispondere altresì gli interessi legali di mora la cui decorrenza inizierà dal giorno successivo alla data ultima fissata per il pagamento del debito. Il calcolo di tali interessi di mora avverrà sommando otto punti percentuali rispetto al tasso base fissato dalla Banca Centrale Europea.

Tale Decreto verrà applicato anchea tutte letransazioni commerciali, cioè a tutti “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo“.

 

Quindi, in caso di ritardo di pagamento, gli interessi di mora inizieranno a decorrere (dal giorno successivo rispetto alla data di scadenza prevista dal contratto) senza che sia necessario un sollecito in tal senso da parte del creditore qualora questi abbia adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge, ovvero, qualora non abbia ricevuto la somma nei termini previsti, ovvero, qualora l’importo dovuto e il ritardo sia imputabile al debitore.

Se la data di scadenza o il periodo di pagamento non sono previsti dal contratto, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi di mora alla scadenza di uno dei seguenti termini:

  • 30 giorni dal ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta equivalente di pagamento;

  • 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o di erogazione del servizio, nel caso in cui non vi sia certezza sulla data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;

  • 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o di erogazione del servizio, se la data in cui in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore rispetto a quella di ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;

  • 30 giorni se la legge o il contratto prevedono una procedura di accettazione o di verifica diretta ad accertare la conformità delle merci o dei servizi e se il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento anteriormente o alla stessa data dell’accettazione o della verifica.

Tali disposizioni però si applicano solo nel caso in cui le parti non abbiano previsto una regolamentazione differente tra le clausole contrattuali in merito ai ritardi di pagamento.

Il D.L.vo 09/11/2012, n. 92, recante «Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180» è stato pubblicato sulla G.U. n. 167 del 15/11/2012(1).

Giova evidenziare, come sopra che la disciplina prevista dal decreto legislativo n. 92/2012 si applica ai contratti conclusi dal 01/01/2013.

Si evidenzia altresì che tale Decreto è stato emanato per dare attuazione alla delega di cui all’art. 10, co. 1, L. 11 novembre 2011 n. 180(2) e mira a recepire la Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (rifusione)

Di seguito si riporta il testo del D. Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, con le modifiche introdotte indicate in carattere grassetto, nonché, di seguito, il testo integrale del D. Lgs. 9 novembre 2012 n. 192.

(1) La direttiva Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo dovrebbe trovare applicazione anche in favore delle professioni liberali, come si evince dal considerando nr. 10: “Il fatto che le professioni liberali ricadano nell’ambito di applicazione della presente direttiva non dovrebbe obbligare gli Stati membri a trattarle come imprese o attività commerciali per fini diversi da quelli della presente direttiva” e dalla definizione di cui all’art. 2 nr. 3) “«impresa»: ogni soggetto organizzato, diverso dalle pubbliche amministrazioni, che agisce nell’ambito di un’attività economica o professionale indipendente, anche quando tale attività è svolta da una sola persona;”. Ne conseguerebbe il diritto per le professioni liberali a godere di quanto previsto dall’art.10) per le procedure di recupero di crediti non contestati.

(2) Art. 10, co. 1, L. 11 novembre 2011 n. 180

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: a) contrasto degli effetti negativi della posizione dominante di imprese sui propri fornitori o sulle imprese subcommittenti, in particolare nel caso in cui si tratti di micro, piccole e medie imprese; b) fermo quanto previsto dall’articolo 12 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, previsione che l’Autorità’ garante della concorrenza e del mercato possa procedere ad indagini e intervenire in prima istanza con diffide e irrogare sanzioni relativamente a comportamenti illeciti messi in atto da grandi imprese. (…)”)

MODIFICHE AL DECRETO LEGISLATIVO 9 OTTOBRE 2002, n. 231 A SEGUITO DEL D. LEG.VO 09/11/2012, N. 92

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

(omissis)

Emana il seguente decreto legislativo:

Art.1

Ambito di applicazione

1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.

2. Le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per:

a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;

b) richieste di interessi inferiori a 5 euro;

c) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.

Art.2

Definizioni

1. Ai fini del presente decreto si intende per:

a) “transazioni commerciali”, i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo;

b) “pubblica amministrazione”, le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e ogni altro soggetto, allorquando svolga attività per la quale e’ tenuto al rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c) “imprenditore”, ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione;

d) “interessi moratori”: interessi legali di mora ovvero interessi ad un tasso concordato tra imprese;

e) “interessi legali di mora”: interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che e’ pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali;

f) “tasso di riferimento”: il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali;

g) “importo dovuto”: la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di pagamento.

Art.3

Responsabilità del debitore

1. Il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori sull’importo dovuto ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Art.4

Decorrenza degli interessi moratori

1. Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.

2. Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, ai fini della decorrenza degli interessi moratori si applicano i seguenti termini:

a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;

b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non e’ certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;

c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;

d) trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

3. Nelle transazioni commerciali tra imprese le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell’articolo 7, devono essere pattuiti espressamente. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.

4. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.

5. I termini di cui al comma 2 sono raddoppiati:

a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333;

b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine.

6. Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell’articolo 7. L’accordo deve essere provato per iscritto.

7. Resta ferma la facoltà delle parti di concordare termini di pagamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dal presente decreto sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti.

Art.5

Saggio degli interessi

1. Gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora. Nelle transazioni commerciali tra imprese è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall’articolo 7.

2. Il tasso di riferimento è così determinato: a) per il primo semestre dell’anno cui si riferisce il ritardo, è quello in vigore il 1° gennaio di quell’anno; b) per il secondo semestre dell’anno cui si riferisce il ritardo, e’ quello in vigore il 1° luglio di quell’anno.

3. Il Ministero dell’economia e delle finanze da’ notizia del tasso di riferimento, curandone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare.(3)

(3) Per il periodo 1° gennaio – 30 giugno 2005 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione prevista, è pari al 2,09% , ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 8 gennaio 2005.

Per il periodo 1° luglio-31 dicembre 2005 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 2,05%, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 28 luglio 2005.

Per il periodo 1° gennaio – 30 giugno 2006 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 2,25%, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 13 gennaio 2006.

Per il periodo 1° luglio-31 dicembre 2006 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 2,83%, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 10 luglio 2006.

Per il periodo 1° gennaio-30 giugno 2007 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 3,58%, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 5 febbraio 2007.

Per il periodo 1° luglio-31 dicembre 2007 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 4,07 per cento ai sensi di quanto disposto dall’ articolo unico del comunicato 30 luglio 2007.

Per il periodo 1° gennaio – 30 giugno 2008 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 4,20 per cento ai sensi di quanto disposto dall’ articolo unico del comunicato 11 febbraio 2008.

Per il periodo 1° luglio-31 dicembre 2008 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 4,10 per cento ai sensi di quanto disposto dall’ articolo unico del comunicato 21 luglio 2008.

Per il periodo 1° gennaio-30 giugno 2009 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari a 2,50 per cento ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 2 febbraio 2009.

Per il periodo 1° luglio-31 dicembre 2009 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari all’1 per cento, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 28 agosto 2009.

Per il periodo 1° gennaio-30 giugno 2010 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari all’ 1 per cento, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 18 febbraio 2010.

Per il periodo 1° luglio – 31 dicembre 2010 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari all’1 per cento, ai sensi di quanto disposto dall’ articolo unico del comunicato 16 agosto 2010.

Per il periodo 1° gennaio – 30 giugno 2011 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, èpari all’1 per cento, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 8 febbraio 2011.

Per il periodo 1° luglio-31 dicembre 2011 il saggio d’interesse di cui al presente comma, al netto della maggiorazione ivi prevista, è pari al 1,25 per cento, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 18 luglio 2011.

Per il periodo 1° gennaio – 30 giugno 2012 il saggio d’interesse di cui al comma 1 del presente articolo, al netto della maggiorazione ivi prevista, e’ pari all’1 per cento, ai sensi di quanto disposto dall’ articolo unico del comunicato 27 gennaio 2012.

Per il periodo dal 1° luglio – 31 dicembre 2012 il saggio d’interesse di cui al comma 1 del presente articolo, al netto della maggiorazione ivi prevista, e’ pari all’1 per cento, ai sensi di quanto disposto dall’articolo unico del comunicato 13 luglio 2012.

Art. 6

(Risarcimento delle spese di recupero).

1. Nei casi previsti dall’articolo 3, il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte.

2. Al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a titolo di risarcimento del danno. E’ fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito.

Art.7

(Nullità)

1. Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.

2. Il giudice dichiara, anche d’ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero.

3. Si considera gravemente iniqua la clausola che esclude l’applicazione di interessi di mora. Non e’ ammessa prova contraria.

4. Si presume che sia gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all’articolo 6.

5. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione e’ nulla la clausola avente ad oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura. La nullità è dichiarata d’ufficio dal giudice.

Art. 8

Tutela degli interessi collettivi

1. Le associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), prevalentemente in rappresentanza delle piccole e medie imprese di tutti i settori produttivi e degli artigiani, sono legittimate ad agire, a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente:

a) di accertare la grave iniquità, ai sensi dell’articolo 7, delle condizioni generali concernenti il termine di pagamento, il saggio degli interessi moratori o il risarcimento per i costi di recupero e di inibirne l’uso;

b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;

c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento possa contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.

2. L’inibitoria è concessa, quando ricorrono giusti motivi di urgenza, ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile.

3. In caso di inadempimento degli obblighi stabiliti dal provvedimento reso nel giudizio di cui ai commi 1 e 2, il giudice, anche su domanda dell’associazione che ha agito, dispone il pagamento di una somma di denaro, da Euro 500 a Euro 1.100, per ogni giorno di ritardo, tenuto conto della gravità del fatto.

Art.9

Modifiche al codice di procedura civile

(omissis)

Art.10

Modifiche alla legge 18 giugno 1998, n. 192

1. All’articolo 3, della legge 18 giugno 1998, n. 192, il comma 3 è così sostituito: “In caso di mancato rispetto del termine di pagamento il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, un interesse determinato in misura pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di otto punti percentuali, salva la pattuizione tra le parti di interessi moratori in misura superiore e salva la prova del danno ulteriore. Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i successivi sei mesi. Ove il ritardo nel pagamento ecceda di trenta giorni il termine convenuto, il committente incorre, inoltre, in una penale pari al 5 per cento dell’importo in relazione al quale non ha rispettato i termini.”.

Art.11

Norme transitorie finali

(omissis)

2. Sono fatte salve le vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore.

3. La riserva della proprietà di cui all’articolo 1523 del codice civile, preventivamente concordata per iscritto tra l’acquirente ed il venditore, è opponibile ai creditori del compratore se è confermata nelle singole fatture delle successive forniture aventi data certa anteriore al pignoramento e regolarmente registrate nelle scritture contabili.

(omissis)

D. Lgs. 9 novembre 2012 n. 192

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Vista la legge 11 novembre 2011, n. 180, recante norme per la tutela della liberta’ d’impresa. Statuto delle imprese, ed in particolare l’articolo 10;

Vista la direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (rifusione);

Visto il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, recante attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 31 ottobre 2012;

Sulla proposta dei Ministri per gli affari europei e della giustizia, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, dell’economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e la semplificazione;

Emana il seguente decreto legislativo:

Art. 1

Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231

1. Al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, recante attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l’articolo 1 è sostituito dal seguente: «Art. 1 (Ambito di applicazione). – 1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale. 2. Le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per: a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito; b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.»;

b) l’articolo 2 è sostituito dal seguente: «Art. 2 (Definizioni). – 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) “transazioni commerciali”: i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo; b) “pubblica amministrazione”: le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e ogni altro soggetto, allorquando svolga attività per la quale e’ tenuto al rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; c) “imprenditore”: ogni soggetto esercente un’attività’ economica organizzata o una libera professione; d) “interessi moratori”: interessi legali di mora ovvero interessi ad un tasso concordato tra imprese; e) “interessi legali di mora”: interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che e’ pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali; f) “tasso di riferimento”: il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali; g) “importo dovuto”: la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di pagamento.»;

c) all’articolo 3, dopo le parole: «interessi moratori» sono inserite le seguenti: «sull’importo dovuto»;

d) l’articolo 4 è sostituito dal seguente: «Art. 4 (Decorrenza degli interessi moratori). – 1. Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. 2. Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, ai fini della decorrenza degli interessi moratori si applicano i seguenti termini: a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento; b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non e’ certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento; c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento e’ anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi; d) trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data. 3. Nelle transazioni commerciali tra imprese le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell’articolo 7, devono essere pattuiti espressamente. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto. 4. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto. 5. I termini di cui al comma 2 sono raddoppiati: a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333; b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine. 6. Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell’articolo 7. L’accordo deve essere provato per iscritto. 7. Resta ferma la facoltà delle parti di concordare termini di pagamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dal presente decreto sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti.»;

e) l’articolo 5 è sostituito dal seguente: «Art. 5 (Saggio degli interessi). – 1. Gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora. Nelle transazioni commerciali tra imprese è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall’articolo 7. 2. Il tasso di riferimento e’ così determinato: a) per il primo semestre dell’anno cui si riferisce il ritardo, è quello in vigore il 1° gennaio di quell’anno; b) per il secondo semestre dell’anno cui si riferisce il ritardo, è quello in vigore il 1° luglio di quell’anno. 3. Il Ministero dell’economia e delle finanze da’ notizia del tasso di riferimento, curandone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare.»;

f) l’articolo 6 è sostituito dal seguente: «Art. 6 (Risarcimento delle spese di recupero). – 1. Nei casi previsti dall’articolo 3, il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte. 2. Al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a titolo di risarcimento del danno. È fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito.»;

g) l’articolo 7 è sostituito dal seguente: «Art. 7 (Nullità). – 1. Le clausole relative

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