martedì, Settembre 3, 2024
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Imu, come mettersi in regola per l’omessa dichiarazione

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Imu tasse immobili
Il saldo dell'Imu di quest'anno si dovrà pagare entro il 18 dicembre 2023

A dicembre, come tutti i contribuenti sanno, si dovrà pagare il saldo dell’Imu, l’imposta municipale unica sugli immobili di proprietà in vigore da 12 anni (che in pratica sostituì l’Ici). Quest’anno c’era una doppia scadenza per la dichiarazione Imu.

Entro il 30 giugno scorso si doveva infatti presentare sia la dichiarazione per l’anno 2022 che quella relativa al 2021. Il decreto Milleproroghe aveva infatti differito i termini della dichiarazione di due anni fa.

Imu, le regole

Ricapitolando per chi non lo avesse ben presente, la dichiarazione di variazione Imu è il documento che il contribuente deve presentare solo nei casi in cui si siano verificate modificazioni soggettive e oggettive. Ovvero fatti tali da dar luogo a una diversa determinazione dell’imposta dovuta al Fisco, che però non sono immediatamente conoscibili dal Comune a cui l’Imu si riferisce.

Dunque esiste un ‘termine ultimo’ per regolarizzare la propria posizione. In primo luogo per quello che riguarda l’omessa dichiarazione Imu. In questo caso la scadenza per il ravvedimento, relativamente all’anno in corso, è disciplinata in modo preciso. Anche all’imposta municipale unica è applicabile l’istituto che consente di rimediare alle dimenticanze presentando la dichiarazione omessa entro 90 giorni dal termine ordinario (articolo 16 Dlgs n. 473/1997).

Il ravvedimento operoso

Le dichiarazioni Imu si devono presentare al Comune in cui sono ubicati gli immobili dal soggetto passivo, cioè da chi deve pagare il tributo. In caso di variazioni rispetto alle dichiarazioni relative agli anni precedenti e in linea generale nei casi di variazioni non conoscibili dal Comune. Inoltre questi documenti hanno effetto anche per gli anni successivi, ricorda lalentepubblica.it, sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta.

I contribuenti che non hanno trasmesso entro il 30 giugno 2023 le dichiarazioni Imu o Imu Enc per gli anni 2021 e 2022 possono pertanto presentare la dichiarazione entro il 28 settembre 2023, avvalendosi dello strumento del ravvedimento operoso. Per regolarizzare la propria posizione tramite ravvedimento operoso, i contribuenti devono presentare la dichiarazione Imu non trasmessa e versare inoltre in aggiunta la sanzione minima prevista per l’omessa dichiarazione. Sanzione che si riduce a un decimo del minimo, con l’eventuale imposta dovuta e i relativi interessi.

Il gettito Imu è insostituibile?

Stando ai dati di Italia Oggi, il gettito annuale dell’Imu si è attestato mediamente a circa 22 miliardi di euro da quando l’imposta esiste. Nel 2023, considerando anche la seconda rata da pagare il 18 dicembre, il peso della patrimoniale sugli immobili raggiungerà – dal 2012, anno della sua istituzione con la manovra Monti – la cifra di oltre 270 miliardi di euro. Italia Oggi calcola che se fosse rimasta la precedente Imposta Comunale sugli Immobili (Ici) nello stesso periodo di tempo non si sarebbero superati i 110 miliardi.

Confedilizia ricorda che l’Imu la si deve pagare persino per gli immobili inagibili e inabitabili, sia pure con base imponibile ridotta alla metà. Tra il 2011 e il 2021 (ultimi dati disponibili), gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 594.094 (+ 113,61%). Si tratta di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo. Ma anche per effetto di atti concreti dei proprietari, che operano con lo scopo di evitare il pagamento dell’Imu.

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Codice degli appalti: cosa è cambiato dal 2023

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Codice appalti
Lavoratore presso un cantiere edile - Diritto Lavoro

Dal mese di luglio 2023 è diventato operativo il nuovo Codice degli appalti, introdotto dal Decreto Legislativo. A tal proposito, potrebbe risultare interessante capire quali novità sono previste dal nuovo documento in merito ai rapporti di lavoro privati nell’ambito di appalti pubblici.

Entrato in vigore lo scorso 1° aprile 2023, da luglio dello stesso anno è diventato operativo il nuovo Codice degli appalti, introdotto dal Decreto Legislativo n. 36/2023. Le novità che riguardano i rapporti di lavoro privati nell’ambito di appalti pubblici sono numerose. Ed inoltre, dal 1° luglio 2023 risulta abrogato il precedente Codice dei contratti pubblici regolante la materia. Nello specifico, ci proponiamo di andare ad approfondire le informazioni inerenti ai contratti collettivi nazionali di settore, le irregolarità contributive, il pagamento di retribuzioni in ritardo e le clausole sociali.

Cosa prevede il Codice degli appalti per il contratto collettivo

Innanzitutto è utile specificare che l’Art. 11 del nuovo Codice degli appalti, Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Inadempienze contributive e ritardo nei pagamenti, prevede l’applicazione nei confronti del personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni del contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si svolge il lavoro. Questo deve essere stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia prettamente relativo all’attività presente nell’appalto o della concessione svolta dall’impresa. I bandi di gara e gli inviti devono indicare il contratto collettivo applicabile al personale dipendente.

Tuttavia, chi partecipa alla gara può indicare nella propria offerta il contratto collettivo da essi applicato. Quest’ultimo, però, deve garantire ai dipendenti le stesse tutele offerte dalla stazione appaltante o dall’ente concedente. In questo caso, la stazione o l’ente devono acquisire una dichiarazione nella quale l’operatore si impegni per tutta la durata del contratto all’equivalenza di tutte le tutele. Inoltre, il nuovo Codice degli appalti prevede che stazioni e enti assicurino le stesse tutele anche ai lavoratori in subappalto.

Irregolarità contributiva, ritardo pagamenti e clausole sociali

Passando poi all’irregolarità contributiva è utile specificare che ogni inadempienza risultante dal documento unico di regolarità contributiva relativo sia personale dipendente dell’affidatario, così come del subappaltatore oppure dei soggetti titolari di subappalti e cottimi, la stazione appaltante è autorizzata a trattenere dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi. Tali ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, ma solo dopo la verifica di conformità da parte della stazione appaltante e soprattutto solo dopo aver rilasciato il documento unico di regolarità contributiva.

Il nuovo Codice degli appalti si esprime anche in materia relativa alle retribuzioni in ritardo. In questo il responsabile unico è invitato a procedere per iscritto con una richiesta al soggetto inadempiente a procedere entro 15 giorni. In caso in cui non sia contestata formalmente la fondatezza della richiesta entro il termine, il Legislatore stabilisce che il pagamento degli arretrati spetta alla stazione appaltante direttamente ai lavoratori. Detraendo le somme dovute all’affidatario del contratto o al subappaltatore inadempienti.

Un altro aspetto da chiarire è che i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, devono prevedere al loro interno specifiche clausole sociali. Queste prevedono: pari opportunità generazionali, di genere e inclusione lavorativa per soggetti svantaggiati o con disabilità. Inoltre le clausole sociali di cui parla il nuovo Codice degli appalti si riferiscono anche alla stabilità occupazionale del personale impiegato, così come l’applicazione dei contratti collettivi tenendo conto delle specifiche illustrate sopra. Ed infine, clausola sociale anche la previsione di tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore.

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Contributi figurativi: cosa sono e quando vengono usati

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Contribuiti figurativi
Contribuiti - DirittoLavoro

Conoscere cosa s’intende per contributi figurativi INPS e conoscere quando e perché vengono usati è importantissimo. In certi casi, infatti, essi risultano necessari ed è fondamentale sapere chi e come effettua i versamenti. 

Quando si parla di contributi figurativi INPS si fa riferimento a contribuiti, senza onere a carico del lavoratore, che sono accreditati per alcuni periodi in cui non ha prestato, come scrive direttamente INPS: “Attività lavorativa né dipendente né autonoma, ha percepito un’indennità a carico dell’INPS, ha percepito retribuzioni in misura ridotta“. Ovvero un lavoratore che, per diversi motivi che chiariremo, non può svolgere la propria attività lavorativa per un certo periodo di tempo, continua comunque a ricevere la contribuzione che serve a formare la pensione che sarà percepita al momento opportuno.

Come si ottengono i contributi figurativi

I contributi figurativi non prevedono un esborso da parte del dipendente o del datore di lavoro. La copertura è accreditata sul conto assicurativo della persona che ne ha fatto richiesta o che ne ha diritto d’ufficio. Si tratta di un’agevolazione pensata per i lavoratori come strumento economico/assicurativo importante per diversi fattori. Infatti, i contribuiti figurativi coprono il tempo in cui una persona non può versare i contribuiti obbligatori, integrano contributi che derivano da una retribuzione ridotta o incrementano la contribuzione per i lavori svolti nel settore agricolo. Inoltre, è bene sapere che i contribuiti figurativi possono essere ottenuti d’ufficio rispetto ad alcuni motivi o con una richiesta scritta per altri motivi.

Sono versati d’ufficio quando subentra la cassa integrazione, quando vi è un’assunzione con contratto di solidarietà, quando si svolgono lavori socialmente utili o come indennità di mobilità o disoccupazione. Sempre d’ufficio la contribuzione figurativa per assistenza antitubercolare a carico dell’INPS.

Perché qualcuno li rifiuta?

I contributi figurativi si possono richiedere con domanda apposita, invece, in caso di servizio militare, malattia e infortunio, assenza dal lavoro per donazione sangue, congedo per maternità durante il rapporto di lavoro. Ancora sempre su richiesta scritta, per maternità al di fuori del rapporto di lavoro, congedo parentale durante il rapporto di lavoro, riposi giornalieri, assenze dal lavoro per malattie dei figli minori o congedo per gravi motivi familiari. Rientrano sempre tra i contribuiti figurativi attraverso domanda apposita, il permesso retribuito ai sensi della legge 104/92 e congedo straordinario ai sensi della legge 388/2000. Ed infine, anche per periodi di aspettativa per lo svolgimento di funzioni pubbliche elettive o per l’assunzione di cariche sindacali.

In tutti questi casi elencati l’assenza da lavoro è ritenuta giustificata e quindi meritevole di un supporto alla persona. Tuttavia, è interessante chiarire che il lavoratore ha diritto anche a rinunciare ai contributi figurativi (ma solo quelli ottenibili per domanda). Anche se questo aspetto può apparire contraddittorio, esistono casi (come quando il contribuito figurativo può essere dannoso per il calcolo della pensione) che il rifiuto risulta, persino, necessario. Infine, per quanto riguarda le quote occorre chiarire che esse possono differire anche a seconda del tipo di contributi figurativi. Nel dettaglio, il calcolo cambia quando i contributi sono di copertura o di integrazione. Il calcolo, inoltre, può cambiare anche in base al motivo che giustifica la contribuzione.

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Rapporto Inps, pensioni e spesa previdenziale: tutti i dati

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inps pensioni operai
Foto Twitter @RaiNews

Il rapporto annuale dell’Inps svela alcuni dati su cui riflettere per ciò che riguarda le pensioni degli italiani. Gli uomini pur essendo solo il 48% del totale dei pensionati attirano il 56% della spesa pensionistica, ovvero 180,4 miliardi contro i 141,5 che l’Inps eroga alle donne.

Per gli uomini italiani l’importo annuale medio delle pensioni è di circa 23.182 euro, ossia il 36% circa superiore a quello delle donne. Dividendo l’importo annuale per 12 mesi (con la tredicesima inclusa nei singoli mesi) l’importo medio mensile del reddito da pensione è di 1.931 euro per i pensionati e 1.416 per le pensionate.

Il rapporto Inps

Sempre il Rapporto annuale dell’Inps sottolinea come la differenza nella speranza di vita sia di 5 anni tra chi era nel Fondo lavoratori dipendenti nel primo quintile di reddito (16 anni di speranza di vita) e chi era nel quintile di reddito dal Fondo dirigenti (Inpdai) con 20,9 anni. Le donne ricevono in media 515 euro in meno al mese, circa il 26,67% in meno di quanto erogato in media ai pensionati.

Il dato risente del fatto che ci sono molte donne con carriere lavorative brevi o semplicemente inesistenti, e che ricevono quindi pensioni in media più basse. Dei pensionati italiani (uomini e donne), il 96% circa percepisce almeno una prestazione dall’Inps e ha un reddito lordo mensile medio di circa 1.687 euro. Il restante 4% non beneficia di prestazioni da parte dell’Inps, ma percepisce rendite Inail o pensioni di guerra o ancora pensioni da Casse professionali, Fondi pensione ed Enti minori.

I trattamenti previdenziali, ovvero le pensioni di anzianità/anticipate, vecchiaia, invalidità e superstite, assorbono il 92% della spesa pensionistica, rileva l’Inps nel suo rapporto. Mentre quelli assistenziali, ovvero le prestazioni agli invalidi civili e le pensioni e gli assegni sociali, il restante 8%.

La voce che incide di più sulla spesa sono le pensioni di anzianità o anticipate con il 56% del totale, seguite dalle pensioni di vecchiaia che assorbono il 18% e dalle pensioni ai superstiti che assorbono oltre il 13%. Le prestazioni agli invalidi civili rappresentano il 6% del totale. Per ultime ci sono le pensioni di invalidità e le pensioni e assegni sociali che rappresentano rispettivamente il 4% e il 2%. In totale, le prestazioni previdenziali e assistenziali erogate dall’Inps nel 2022 sono 20,8 milioni.

La speranza di vita

Dal rapporto Inps emerge anche che i pensionati che appartengono al primo quintile di reddito hanno una speranza di vita a 67 anni di circa 2,6 anni inferiore a quelli che appartengono al quintile con il reddito più alto. Ma la differenza cresce a seconda del comparto nel quale si è lavorato e delle mansioni avute. L’Inps sottolinea come la differenza nella speranza di vita sia di 5 anni tra chi era nel Fondo lavoratori dipendenti nel primo quintile di reddito (16 anni di speranza di vita) e chi era nel quintile di reddito dal Fondo dirigenti (Inpdai) con 20,9 anni.

Nel rapporto Inps si legge poi che il taglio del cuneo contributivo porterà a un vantaggio di circa 98 euro lordi in busta paga, a parte il lavoro precario. Il rapporto prevede dal luglio 2023 un esonero del 7% per i lavoratori con un imponibile pensionistico fino a 25mila euro su base annua, e del 6% per i lavoratori con un imponibile pensionistico fino 35mila euro su base annua. L’Inps spiega che circa il 57% dei lavoratori beneficerebbe di importi superiori ai 100euro mensili. Considerando, invece, solo i lavoratori full time e full month, l’ammontare dell’esonero arriverebbe a 123 euro. Solo circa il 2% dei beneficiari riceverebbe meno di 80 euro.

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Fisco e cartelle esattoriali, come mettersi in regola

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Cartelle esattoriali. Foto Twitter @ItaliaOggi

Per le cartelle esattoriali del fisco non è mai troppo tardi, malgrado tutto. Chi non ha presentato domanda di adesione alla definizione agevolata entro il 30 giugno scorso è fuori dalla possibilità di poter sanare la propria posizione con il fisco grazie alla sanatoria prevista dalla legge di Bilancio 2023. Ma non è detta l’ultima parola.

Si tratta sempre di situazioni delicate, in ogni caso. Infatti sebbene la possibilità di aderire alla rottamazione sia svanita, la cartella esattoriale si deve comunque saldare. Se non si vuole incorrere in seri rischi che potrebbero portare fino a pignoramento, fermo amministrativo e ipoteca. Da tenere conto, inoltre, che se non si versano le somme dovute entro le scadenze indicate, il debito aumenta maggiorato da sanzioni e interessi di mora che maturano giorno dopo giorno da quello di notifica.

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Cartelle esattoriali. Foto Twitter @ItaliaOggi

Fisco, i conti da saldare

Proprio per questo, se si vogliono dormire sonno tranquilli, è sempre bene sanare la propria situazione debitoria nei confronti del fisco. Ma cosa fare se non si è colta l’occasione della rottamazione delle cartelle esattoriali? Pagare una cartella esattoriale senza rottamazione non riguarda solo coloro che non sono riusciti a presentare domanda entro la data di scadenza del 30 giugno 2023. Bensì anche chi ha presentato istanza. Perché potrebbe ricevere come risposta dell’Agenzia delle Entrate un diniego. Questa eventualità può accadere perché non tutte le cartelle esattoriali rientrano nella sanatoria del fisco.

Senza la rottamazione, ovviamente, le somme che si devono al fisco saranno più alte, ma questo non significa per forza che la cosa sia un male. Bisogna infatti ricordare che se anche la sanatoria prevede forti sconti, obbliga al tempo stesso il contribuente a saldare il 20% del proprio debito con le prime due rate (quella del 31 ottobre e quella del 30 novembre). Le successive rate, un massimo di 16, sono poi diluite nei successivi anni con cadenza trimestrale. Il problema principale, però, è che la rottamazione non permette molta flessibilità. Pagare una rata al fisco con un ritardo maggiore di 5 giorni o saltare un pagamento, comporta la decadenza del beneficio.

La rateazione ordinaria

Proprio in questi casi, mancata adesione alla rottamazione o decadenza della stessa, la soluzione per sanare la propria situazione con il fisco è quella di ricorrere alla rateizzazione ordinaria. È pur vero che in questo modo non si ha diritto agli sconti previsti dalla definizione agevolata, ma si avrà diritto a una maggiore flessibilità nel corso del pagamento delle rate.

La rateazione ordinaria prevede inoltre, sottolinea Money.it, di dilazionare il debito in un massimo di 72 rate mensili. Vale a dire in un arco temporale di 6 anni. Si può scegliere se pagare rate costanti o crescenti. In caso di comprovata difficoltà economica, invece, si potrà ottenere un piano di dilazione straordinario in un massimo di 120 rate. Ma in questo caso occorre presentare la documentazione che attesti, appunto, la difficoltà economica in cui la persona versa effettivamente. La rateazione ordinaria, a differenza della rottamazione, non decade al mancato pagamento di una rata. Dal 16 luglio 2022, infatti, occorre non pagare 8 rate, anche non consecutive, per far decadere il piano di dilazione.

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Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo: differenze

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Licenziamento
Licenziamento - DirittoLavoro

In tema di licenziamento esistono diversi fattori da tenere in considerazione. Per questo si parla di ‘giusta causa’, ‘giustificato motivo oggettivo’ e ‘giustificato motivo soggettivo’. Analizziamo le differenze.

Parlare di licenziamento presuppone, spesso, addentrarsi in una questione annosa. Si tratta dell’interruzione del rapporto di lavoro per decisione del datore. In questa area si distinguono diversi tipi di licenziamento, poiché sono altrettanto diversi i motivi che possono portare a questa decisione. A tal proposito è importante che tutti siano a conoscenza delle procedure a partire dai manager, dalle risorse umane e dai dirigenti. A questo punto analizziamo la differenza tra: giusta causa, giustificato motivo oggettivo e giustificato motivo soggettivo.

I tipi di licenziamento

Per licenziamento per giusta causa si intende un’interruzione del lavoro che scaturisce dalla condotta del dipendente. L’interruzione avviene, in questo caso, con effetto immediato poiché l’evento che l’ha causata è ritenuto particolarmente grave. Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo si verifica, invece, come conseguenza di un’inadempienza o una condotta negativa del dipendente, ma non talmente grave da causare un licenziamento in tronco. Per fare qualche esempio in questo secondo caso, si parla di assenza ingiustificata, mancato rispetto delle direttive aziendali, diffusione di dati aziendali sensibili. Il terzo caso citato, poi, fa riferimento al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Questo ultimo si verifica quando subentrano eventi che influenzano l’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro.

Nel caso del giustificato motivo oggettivo, la legge prevede che l’interruzione del lavoro avvenga solo in presenza di circostanze, appunto, oggettive e verificabili. In questo caso, ancora per fare qualche esempio, si fa riferimento ad una crisi nel settore di riferimento o ad una crisi economica-finanziaria. Chiariti i diversi tipi di licenziamento, è opportuno capire quali rientrano nella categoria di tipo disciplinare. Ovvero quelli che hanno a che fare con la condotta del dipendente.

Quindi si parla di licenziamenti disciplinari nel caso di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo. Entrambi, infatti, dipendono dal comportamento del lavoratore. Come spiega l’Art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, tuttavia, per eseguire questi tipi di licenziamento il datore di lavoro deve seguire una procedura precisa. Nella sostanza tale procedura prevede l’affissione preventiva, in luogo visibile, del codice di condotta disciplinare. In secondo luogo la contestazione del comportamento al dipendente seguita dalla concessione di almeno 5 giorni di tempo al dipendente per addurre giustificazioni. La procedura prevede, inoltre, la partecipazione ad azione legale difensiva o al collegio di conciliazione ed arbitrato e per finire l’eventuale accettazione delle giustificazioni o il licenziamento.

Differenze tra giusta causa e giustificato motivo

La principale differenza tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo sta nella gravità dell’inadempienza da parte del lavoratore. Se nel primo caso, come detto, il licenziamento avviene in tronco, nel secondo caso è concesso al dipendente un preavviso per permettere al lavoratore di cercare un altro lavoro. Nel caso del giustificato motivo oggettivo la condotta non è la causa scatenante del provvedimento, ma si tratta piuttosto di ragioni economiche o organizzative.

Un’altra importante precisazione che vale la pena di fare è quella relativa ai tipi di provvedimento che si attuano in maniera collettiva e non solo individuale. Il licenziamento collettivo fa parte dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, e si verifica quando l’interruzione del rapporto di lavoro riguarda almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni. Regolato prima dallo Statuto dei Lavoratori e poi da successive leggi e decreti legislativi, il licenziamento collettivo può essere adottato solo nelle aziende con più di 15 dipendenti e per motivi precisi.

Questi motivi sono: il ridimensionamento dell’azienda per il contenimento di costi aziendali, la trasformazione dell’attività d’impresa o la cessazione dell’attività. Ovviamente questo provvedimento dovrà sempre essere valutato in maniera oggettiva e verificabile. La semplice riduzione del personale, ad esempio, non basterà per giustificare una decisione che interessa un gruppo di lavoratori.

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Scuola, concorsi per i docenti: cosa c’è da sapere

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docenti concorsi scuola
Col mese di settembre il rientro a scuola per gli studenti.

Conto alla rovescia per l’avvio del nuovo anno 2023/24 a scuola, con gli studenti in classe. Intanto però gli insegnanti cominciano a ritrovarsi, fra collegi docenti e preparazione della didattica.

C’è grande attesa per i concorsi che si svolgeranno nel corso dei prossimi mesi. Si tratta di procedure già annunciate da diverso tempo, ma che in gran parte ancora non vedono la luce.

Scuola, i tempi del concorso

In un comunicato di qualche giorno fa, ricorda Tecnicadellascuola.it, il Movimento 5 Stelle ha parlato di “concorsi in ritardo” riferendosi al ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara. Quest’ultimo, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva annunciato di voler bandire una procedura concorsuale per l’assunzione di circa 35mila docenti, che abbiano maturato tre anni di servizio negli ultimi cinque. Oppure che siano in possesso dei 24 crediti formativi universitari conseguiti entro il 31 ottobre 2022.

Entro il corrente mese di settembre dovrebbe apparire il bando di concorso per posto comune per la scuola secondaria di primo e secondo grado. Oltre chiaramente al bando per i docenti specializzati sul sostegno. Grazie alla conversione in legge del decreto 75 del 22 giugno 2023, a decorrere dalla data di entrata in vigore dalla legge di conversione e per tutto il periodo di attuazione del PNRR, entro il mese di settembre 2023 dovrebbe arrivare la procedura concorsuale. Poi anche nel 2024, per coprire i posti che si renderanno vacanti e disponibili annualmente in ogni singola regione.

La seconda procedura

Oltre alla procedura suddetta è prevista una seconda procedura con bando entro il 2024, alla quale possono partecipare oltre ai docenti di scuola in possesso dei requisiti della prima procedura. Ma non solo. C’è spazio per i candidati che hanno acquisito 30 CFU o li stanno per conseguire. Le due procedure si interromperanno dal primo gennaio del 2025 quando prenderà il via la procedura prevista dal Dpcm che prevede l’acquisizione di 60 CFU.

Altra attesa è quella per il bando riguardante il concorso ordinario per dirigenti scolastici, che doveva arrivare tra fine agosto e inizio settembre in considerazione che entro tale data doveva essere definito l’organico dei dirigenti scolastici sulla base di un coefficiente tra 900 e 1.000 alunni per scuola. Dopo tani anni e altrettanti rinvii, il Decreto PA bis ha previsto anche una procedura concorsuale per i docenti di religione cattolica a scuola. I posti da suddividere – fra le due procedure concorsuali – dovrebbero essere all’incirca 6.400. Per un 30% saranno destinati al concorso ordinario, quindi circa 1.920 posti. Il 70% al concorso straordinario, pari a 4.480 posti circa.

Concorso per la motoria

Infine, l’unica procedura già in partenza attualmente è quella per i docenti di educazione motoria alla scuola primaria. È scaduto il 6 settembre il termine per presentare domanda di partecipazione al concorso per titoli ed esami per l’accesso ai ruoli del personale docente relativi all’insegnamento dell’educazione motoria nella scuola primaria, per la copertura di 1.740 posti comuni vacanti e disponibili nell’anno scolastico 2023/2024, per le classi quarte e quinte della scuola primaria. Il concorso è a livello nazionale e organizzato su base regionale e si articola in una prova scritta, in una prova orale e nella valutazione dei titoli.

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Maternità o congedo parentale: a chi spetta e novità 2023

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Congedo parentale
Genitori e figlio - DirittoLavoro

La Legge Bilancio e il Decreto Lavoro hanno comportato delle modifiche in merito alla maternità o più specificatamente al congedo parentale. Proviamo a comprendere quali sono le novità e a chi spetta questo periodo di astensione lavorativa.

Nel 2023 si sono attivate diverse misure di ampliamento a favore della genitorialità e dei genitori lavoratori dipendenti. La Legge di Bilancio e il Decreto conciliazione vita lavoro hanno favorito, a tal proposito, dei cambiamenti relativi alla maternità o al congedo parentale per essere più precisi. Quest’ultimo si caratterizza per essere un periodo facoltativo di astensione dal lavoro che spetta sia al padre che alla madre nei primi 12 anni di vita di un figlio. Questo periodo di astensione facoltativo dura 10 mesi da ripartire fra i due genitori. Per 9 mesi è indennizzato dall’INPS e i genitori possono fruire dei congedi parentali anche contemporaneamente.

Come funziona il congedo parentale

In generale, anche se con alcune differenze, il congedo parentale spetta a tutti i lavoratori in costanza di rapporto di lavoro che siano genitori naturali, adottivi o affidatari. Che essi siano dipendenti del settore privato e del settore pubblico, iscritti alla Gestione Separata o lavoratori e lavoratrici autonomi. Il congedo parentale non spetta, invece, a genitori disoccupati o sospesi, a genitori lavoratori domestici o a genitori lavoratori a domicilio. Inoltre, nel caso in cui il rapporto di lavoro termini all’inizio o durante la fruizione del congedo, anche la stessa agevolazione cessa.

Il congedo parentale dà diritto a un’indennità pari al 30% per 8 mesi, e all’80% per l’ultimo mese, della retribuzione media giornaliera del genitore lavoratore interessato. Il mese indennizzato all’80% però, come spiegato nella Circolare INPS 45 del 16-05-2023, spetta solo ai lavoratori dipendenti del settore privato e pubblico ed entro i primi 6 anni di vita (o di ingresso in famiglia in caso di adozioni) del minore. Come chiarito dall’INPS, dal 2023, il genitore che usufruisce del congedo parentale ha diritto all’indennità se il proprio reddito individuale è inferiore a due volte e mezzo l’importo annuo del trattamento minimo di pensione (18.321,55 euro per il 2023).

La differenza con la maternità e i limiti

È bene precisare che il congedo facoltativo (o parentale) è diverso dalla maternità e dalla paternità per i nuovi nati (oppure adottati o affidati). Quest’ultime, infatti, durante il periodo indennizzato sono retribuite dall’80% al 100% dall’INPS. Un’altra precisazione che vale la pena di fare è relativa al fatto che un congedo parentale può essere usufruito anche ad ore o a giorni. La durata precisa, però, varia a seconda se i genitori ne fruiscano separatamente o congiuntamente. Infine, è opportuno chiarire che per ogni tipologia di lavoratore sono previste delle regolamentazioni precise relative all’indennizzo. L’INPS ha, inoltre, previsto diverse ‘combinazioni’ (nel caso in cui i due genitori svolgano delle tipologie di lavoro differenti) per le quali il congedo parentale varia a seconda delle diverse categorie lavorative.

Concludendo, anche per quanto riguarda il lavoro part-time, l’INPS fa delle precisazioni. In caso di lavoratrice con due rapporti di lavoro dipendente part-time, qualora sia disposta l’interdizione prorogata su uno solo degli stessi, la lavoratrice madre può, comunque, fruire di congedo parentale sull’altro lavoro anche negli stessi giorni. Per quanto riguarda il lavoratore padre, titolare di due rapporti di lavoro dipendente part-time di tipo orizzontale, l’astensione a titolo di congedo parentale spetta solo da uno dei rapporti di lavoro proseguendo l’attività lavorativa sull’altro.

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I lavori che nessuno vuole più fare (ma sono ben pagati)

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piattaforma petrolifera lavori duri
Fra i lavori più duri: essere addetto a una piattaforma petrolifera. Foto Twitter @notiveri

La ricerca di un lavori ben retribuiti e soddisfacenti resta al centro delle preoccupazioni di molti cittadini. Tuttavia in Italia esistono mestieri e professioni che sempre meno persone vogliono fare.

Si tratta di lavori ben retribuiti che però la maggior parte degli italiani non prende neppure in considerazione. I motivi possono essere i più disparati: il rischio, la lontananza da casa e dalla famiglia, gli orari scomodi, le condizioni difficli, l’ambiente di lavoro e non solo.

Lavori duri: il settore petrolifero

Stiamo parlando di mestieri che richiedono molto impegno e una certa forza d’animo. In alcuni casi lavori che si percepiscono come ‘sporchi’, troppo pericolosi, stressanti o faticosi. Chi lavora nel settore petrolifero, ad esempio, oltre ad avere turni molto faticosi, è di solito relegato su piattaforme in mezzo al mare o nel deserto per diversi mesi all’anno.

Ciò significa, nella maggior parte dei casi, rinunciare quasi del tutto alla vita sociale e familiare per lunghi periodi. Oltre a essere un lavoro stancante, il lavoro sulle piattaforme comporta anche diversi rischi. Sulle piattaforme bisogna sempre indossare dispositivi di sicurezza come tute, elmetti e scarpe rinforzate per proteggersi, data la presenza di esplosivi e attrezzature di perforazione. Si tratta però di lavori in cui le spese di viaggio, di vitto e di alloggio sono pagate e gli stipendi sono molto buoni.

Pompe funebri e amianto

Com’è logico, il lavoro nel settore delle pompe funebri non è adatto a tutti. Gli addetti alle pompe funebri sono responsabili di tutto ciò che ruota intorno ai cadaveri. Compresa la burocrazia, la gestione delle spoglie, le operazioni di vestizione, l’interramento e la cremazione. Si tratta, quindi, di un lavoro che richiede grande concentrazione, pazienza e sensibilità. La professione di necroforo, però, può essere un’ottima scelta dal punto di vista retributivo.

Ecco un altro dei lavori che nessuno vuole fare: operare nel settore della bonifica dell’amianto. Non è facile, e le aziende sono sempre alla ricerca di personale. L’amianto è un materiale molto pericoloso, la cui gestione e smaltimento richiedono una formazione specifica. Chi vuole lavorare come addetto alla rimozione, bonifica e smaltimento dell’amianto deve prima frequentare con successo un corso professionale. In ogni caso, anche questo è un lavoro ben retribuito, con guadagni proporzionati ai rischi che si corrono.

Fra i lavori più duri anche quello dell’idraulico. Svolgendo questo mestiere si lavora costantemente a contatto con batteri e acque reflue, in condizioni spesso poco igieniche. Ciò significa che è necessario proteggersi in ogni momento da microrganismi e da sostanze chimiche pericolose. In più, bisogna tenere conto del fattore disponibilità: gli idraulici sono infatti richiesti anche nei giorni festivi e nei weekend. D’altro canto, fare l’idraulico può essere conveniente dal punto di vista dei guadagni, soprattutto se si lavora con tariffe orarie. Secondo i dati di Indeed, lo stipendio medio di un idraulico è di circa 1535 euro al mese.

Netturbino e camionista

Lavorare come netturbino significa invece avere a che fare ogni giorno con sacchi della spazzatura, discariche e grandi quantità di rifiuti. Ed essere costantemente esposti a batteri, agenti patogeni e parassiti. In più, molto spesso gli operatori ecologici fanno turni davvero faticosi: cominciano i loro lavori anche prima delle 6 di mattina. In Italia, lo stipendio medio di un operatore ecologico è di 1122 euro al mese. Ma ovviamente i guadagni aumentano con l’aumentare dell’esperienza.

Altri lavori, come quello del camionista, sono adatti a persone con una grande pazienza, che non si irritano per il traffico troppo intenso e non hanno problemi a passare intere giornate alla guida. Come si può immaginare, le persone disposte a viaggiare in solitudine guidando un mezzo pesante per molte ore di fila non sono molte. Gran parte delle aziende, però, si affidano totalmente al trasporto su gomma per portare i loro prodotti a destinazione e sono sempre alla ricerca di personale. Si tratta di un lavoro pesante e stressante, ma dal quale è lecito aspettarsi un buon stipendio.

 

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Lavoro precario in Italia: numeri e dati

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Lavoro precario
Lavoro - DirittoLavoro

Secondo i dati formulati dagli enti specializzati il quadro relativo al lavoro precario in Italia nel 2023 è cambiato particolarmente rispetto agli anni precedenti.

Secondo un rapporto dell’Eurispes, la precarietà sarebbe da considerare la “nuova normalità” che caratterizza la società contemporanea. Questo, se non altro, l’elemento di fondo che sembra emergere dal Rapporto 2023 sulla precarietà sociale che l’Eurispes ha elaborato in collaborazione con la Rete Europea sulla Incertezza, Precarietà, Disuguaglianza Sociale – SUPI. Anche l’INPS ha elaborato dati precisi sul lavoro precario in Italia, sottolineando in modo specifico quali sono, oggi, le tipologie di contratto più in vigore e cosa è cambiato rispetto al 2022.

Il lavoro precario

Dai dati dell’Osservatorio sul precariato e le rivelazioni periodiche ISTAT è possibile scoprire in che modo il lavoro precario sia cambiato nel 2023. Innanzitutto, è bene chiarire cosa si intende per lavoratori precari. Infatti, con precariato si intende l’insieme di lavoratori che vivono una generale condizione lavorativa di incertezza che, seppur involontariamente, si protrae nel tempo. Il lavoro precario si caratterizza per una discontinuità nel rapporto di lavoro e una mancanza di reddito certo e sicurezza per il futuro. In Italia, come rivela l’ISTAT, i lavoratori precari sono risultati circa 3 milioni a luglio 2023. Inoltre, a maggio 2023, come rivela l’INPS, sono stati assunti con un contratto di lavoro precario o a tempo determinato 633.159 persone.

In base al 2022 si sono registrati il -9% di contratti di somministrazione, il -5% di contratti a tempo indeterminato, il -4% di contratti di apprendistato, il +5% di contratti stagionali, il +4% di contratti di lavoro intermittente e il +2% di contratti a tempo determinato. Cambiamenti inerenti anche alle cessazioni rispetto alle quali si sarebbero registrate delle contrazione. Nel dettaglio i dati parlano del -9% per i contratti a tempo indeterminato, del -6% per i contratti in apprendistato e del -8% per i contratti di somministrazione. Risultano in aumento le cessazioni di contratti a tempo determinato, i contratti stagionali e i contratti per il lavoro intermittente. Negative, sempre nei primi 5 mesi del 2023, anche le attivazioni di rapporti di lavoro incentivati.

Cosa è cambiato: la situazione attuale

Rispetto alle analisi sul lavoro precario, l’Osservatorio INPS ha analizzato anche la differenza tra i flussi di assunzione e cessazioni che si sono registrati negli ultimi mesi. Si parla di dati aggiornati il 24 agosto 2023 e nei quasi si identifica una variazione delle posizioni di lavoro. In generale si registra un saldo in positivo con 478.000 posizioni di lavoro. E nel dettaglio l’INPS indica: +385.000 per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, +30.000 per i contratti intermittenti, +28.000 per i contratti di apprendistato, +18.000 per i contratti a tempo determinato, +21.000 per i contratti stagionali. Cala invece rispetto ai contratti di somministrazione per i quali si registra un -4.000.

L’analisi del numero dei precari in Italia si basa su diversi elementi ed in particolare sul rapporto tra i contratti in somministrazione, all’interno dei quai si distinguono determinati e indeterminati. Nei contratti a termine rientrano inoltre anche quelli stagionali. In generale, per quanto concerne le cessazioni, si registra un aumento relativo ai contratti a tempo indeterminato e una diminuzione per i contratti a termine.

Inoltre, la consistenza dei lavoratori con Contratti di Prestazione Occasionale (CPO) a maggio 2023 si attesta intorno alle 17.000 unità, in aumento del 9% rispetto allo stesso mese del 2022. A tal proposito occorre chiarire, dunque, che l’importo medio mensile lordo della remunerazione effettiva risulta pari a circa 250 euro. Infine, per chiarire ancora nel dettaglio le condizioni del lavoro precario in Italia, INPS evidenzia che i lavoratori pagati con i titoli del Libretto Famiglia (LF) risultano circa 12.000 con una remunerazione media mensile pari a 192 euro.

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