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Licenziamento prima del comporto illegittimo se l’azienda ha rifiutato le ferie

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Illegittimo il rifiuto delle ferie da parte del datore di lavoro alla scadenza del periodo di comporto
Illegittimo il rifiuto delle ferie da parte del datore di lavoro alla scadenza del periodo di comporto - Diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la recente ordinanza del 21 settembre 2023, n. 26997 ha stabilito che il licenziamento per superamento di periodo di comporto è considerato illegittimo nel caso in cui l’azienda abbia precedentemente rifiutato la richiesta di fruire delle ferie arretrate e, al contempo, approvato una richiesta di aspettativa non retribuita, per poi procedere a intimare il licenziamento prima che il periodo di comporto fosse stato completato.

Illegittimo il rifiuto delle ferie da parte del datore di lavoro alla scadenza del periodo di comporto
Illegittimo il rifiuto delle ferie da parte del datore di lavoro alla scadenza del periodo di comporto – Diritto-lavoro.com
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Il licenziamento di un dipendente può derivare da diverse ragioni. Una di queste è la scadenza del periodo di comporto, ovvero il superamento del numero massimo di assenze per malattia consentito. In queste circostanze, superare il limite di giorni stabilito dal contratto collettivo nazionale può comportare la perdita del posto di lavoro. Tuttavia, esiste un caso in cui il lavoratore può cercare di evitare questa spiacevole conseguenza. Di seguito esamineremo questa possibilità sulla base delle linee guida fornite dalla Corte di Cassazione.

Cos’è il periodo di comporto

Il periodo di comporto è un intervallo di tempo durante il quale un dipendente può assentarsi per malattia (oltre che per infortunio, gravidanza o puerperio) senza il rischio di perdere il proprio posto di lavoro. Questo significa che, anche se il dipendente non è in grado di lavorare, l’azienda non può licenziarlo durante questo periodo.

È importante notare che, nonostante il periodo di comporto, ci sono situazioni in cui il licenziamento è ancora possibile. Ad esempio, l’azienda potrebbe decidere di licenziare un dipendente per motivi diversi dall’assenteismo per malattia, come una ristrutturazione aziendale, una crisi grave, la chiusura dell’attività o la necessità di eliminare una specifica mansione.

Inoltre, il licenziamento potrebbe verificarsi se il comportamento del dipendente è così grave da minare la fiducia tra il datore e il lavoratore. Questo potrebbe includere casi in cui il dipendente non rispetta le visite mediche previste durante l’assenza per malattia o presenta un certificato medico falso.

Licenziamento per superamento del periodo di comporto: modalità

Una volta che il periodo di comporto giunge al termine, il datore ha il diritto di licenziare un dipendente malato, senza necessità di fornire spiegazioni aggiuntive al di là dell’assenza stessa. Qualunque licenziamento intimato prima della scadenza del comporto è da considerarsi illegittimo, anche se l’assenza si prolunga oltre i limiti stabiliti dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL). Il datore di lavoro ha, inoltre, la possibilità di consentire al dipendente di tornare al suo posto di lavoro dopo il periodo di comporto. E ciò al fine di valutare la sua capacità nello svolgere le mansioni attribuitegli precedentemente. Qualora tale “prova” non risulti soddisfacente sarà possibile procedere prontamente al licenziamento. In tale caso, è necessario inviare una lettera di licenziamento rispettando il periodo di preavviso previsto.

Prima che scada il periodo di comporto, il dipendente ha la possibilità di richiedere l’utilizzo delle sue ferie arretrate e non ancora godute. Questa opzione gli consente di modificare il motivo dell’assenza da “malattia” a “ferie”, evitando così di consumare il suo periodo di comporto. Tuttavia, è fondamentale che le ferie siano richieste e approvate prima della scadenza del comporto. Ma è possibile che l’azienda possa negare tale richiesta? La Suprema Corte fornisce una risposta nell’ordinanza del 21 settembre 2023, n. 26997, ricordando l’indirizzo di legittimità prevalente confermato tra le altre dalla Cassazione 19062/2020.

La questione

In sintesi, la questione esaminata dalla sentenza in oggetto riguarda i seguenti fatti: una dipendente è stata licenziata a causa del superamento del periodo di comporto. Inizialmente, il tribunale di primo grado ha condannato l’azienda datrice di lavoro a risarcire la dipendente per il danno biologico derivante da mobbing, annullando il licenziamento e ordinando la sua reintegrazione, insieme al pagamento delle differenze salariali relative al lavoro domenicale e festivo.

In seguito, durante il processo d’appello, la Corte ha in parte accettato le argomentazioni dell’azienda, respingendo la richiesta di risarcimento per mobbing e riducendo l’importo delle differenze salariali. La Corte ha anche esaminato il licenziamento della dipendente e lo ha giudicato illegittimo. Questo perché la dipendente aveva richiesto di utilizzare le ferie arretrate prima della scadenza del periodo di comporto e aveva anche manifestato l’intenzione di richiedere un’aspettativa non retribuita nel caso in cui non fosse stata in grado di riprendere il lavoro a causa di un’eventuale inabilità. Nonostante l’azienda avesse accettato l’aspettativa non retribuita, la Corte d’appello ha ritenuto ingiustificato il rifiuto di concedere le ferie e ha confermato l’illegittimità del licenziamento, poiché era stato notificato prima della scadenza del periodo di comporto. Avverso tale sentenza l’azienda ha presentato ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, nella sua ordinanza, ha confermato un principio già precedentemente stabilito: un dipendente assente per malattia ha il diritto di richiedere la fruizione delle ferie accumulate per interrompere il conteggio del periodo di comporto. Infatti, a meno che non sussistano circostanze eccezionali, l’azienda è tenuta a concedere tale richiesta. Nel caso specifico, il rifiuto dell’azienda di accogliere questa richiesta è stato giudicato ingiustificato.

Da una parte, il lavoratore assente per malattia non ha il diritto incondizionato di sostituire le ferie all’assenza per malattia al fine di interrompere il periodo di comporto. Dall’altra, il datore di lavoro, quando si trova di fronte a una richiesta di questo tipo, nell’esercitare il potere conferitogli dall’art. 2019, comma 2 del Codice civile per stabilire quando il lavoratore può usufruire delle ferie durante l’anno, è tenuto a considerare adeguatamente gli interessi del dipendente, che rischia di perdere il posto di lavoro al termine del periodo di comporto.

 

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Lavoro e burnout, 3 italiani su 4 hanno avuto almeno un sintomo

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Si diffonde maggiormente anche in Italia la sindrome da burnout sul lavoro. Foto Twitter @Startupbusiness

Come in molti paesi, anche in Italia è più frequente che in passato la sindrome del burnout sul lavoro, ossia l’esito patologico di un processo di stress. Il 76% dei lavoratori e delle lavoratrici italiani ha infatti sperimentato almeno uno dei principali sintomi del burnout.

Si tratta di sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale e cinismo rispetto al lavoro. Con un aumento del 14% rispetto allo scorso anno. Il sintomo più diffuso tra i lavoratori? La sensazione di sfinimento. Il 56% dei giovani deve fare i conti con un calo dell’efficienza lavorativa. Sono i numeri che emergono dalla ricerca di Bva Doxa presentata dalla società di consulenza psicologica Mindwork, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale (World Health Mental Day).

Burnout, ansia anche a casa

La ricerca indaga anche l’effettiva diagnosi di burnout: l’ha ricevuta una persona su cinque. Ciononostante, è diffusa la difficoltà ad assentarsi dal lavoro per prendersi cura di . Solo il 19% delle persone ha effettuato più di 5 giorni di assenza dall’impiego a causa di questo fenomeno. Il malessere nella vita personale, inoltre, si porta a lavoro. Il 58% delle persone che sperimenta malessere psicologico nella propria vita personale, vive la stessa condizione anche a lavoro e viceversa.

In particolare, una persona su due dichiara di soffrire di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro. Inoltre, una persona su due sperimenta condizioni di stress elevato. L’ambiente lavorativo si conferma come meno adatto a esprimere il proprio malessere rispetto al contesto familiare. Dall’indagine emerge che il 54% delle persone lascia il lavoro per motivi di malessere emotivo legato a a esso durante la propria carriera. Fanno questa scelta soprattutto i lavoratori giovani della Generazione Z (i nati fra il 1995 e il 2010) o i Millennials (i nati fra il 1980 e il 2000) rispettivamente il 66% e il 59%.

Secondo la ricerca sul burnout fra gli italiani, oltre 9 persone su 10 ritengono essenziale la promozione del benessere psicologico da parte dell’azienda. Tuttavia, nel 67% delle organizzazioni italiane il servizio di supporto psicologico non è presente. Nelle aziende in cui è disponibile, il 51% dei lavoratori e delle lavoratrici lo valuta positivamente. Il 73% delle persone giudicano positivamente la messa a disposizione del servizio di supporto psicologico nella loro impresa. “Le aziende hanno la grande opportunità e la responsabilità di fare scelte etiche e inclusive della sfera psicologica. Non solo perché è giusto farlo, ma perché solo così garantiranno la loro stessa sostenibilità, riuscendo ad attrarre e trattenere i migliori talenti“, afferma Mario Alessanda, fondatore e amministratore delegato di Mindwork.

World Health Mental Day

Intanto, per la Giornata mondiale della salute mentale, il 10 ottobre, la Società Italiana di Psichiatria (Sip) ha lanciato l’allarme anche quest’anno. La pandemia da Covid-19, in tre anni, ha accelerato i tempi di un’altra pandemia, affermano gli psichiatri italiani. “Ancora più pericolosa per il futuro: con un incremento delle diagnosi del 30%, come indica l’Oms. Ma che ogni specialista ha potuto verificare nella quotidianità del proprio lavoro, la prevalenza dei disturbi mentali sta per superare quella delle patologie cardiovascolari. Depressione e altre patologie psichiche saranno le più diffuse nel mondo già prima del 2030, anno in cui, sempre l’Oms, aveva stimato il ‘sorpasso’”. Numeri che valgono in Italia il 4% del prodotto interno lordo tra spese dirette e indirette. Senza contare la diminuzione dell’aspettativa di vita di 10 anni.

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Pensioni, perché la riforma sta per saltare

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Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti. Foto Ansa/Angelo Carconi

La riforma globale delle pensioni dei lavoratori italiani non ci sarà. Nel migliore dei casi il Governo Meloni la rinvierà: non la inserirà nella manovra di bilancio di quest’autunno, se non parzialmente. C’è poco da fare, in Italia nascono troppo pochi bambini per immaginare che nel futuro si continui a poter finanziare il sistema pensionistico diminuendo al tempo stesso l’età pensionabile.  

Lo ha spiegato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, già al meeting di Rimini di Cl, definendo la prossima manovracomplicata” ed ammettendo che “non si potrà fare tutto”. Fra le cose che non si potrà fare ci saranno sicuramente le pensioni, la cui riforma è improbabile con gli attuali numeri di nascite. “Il tema della natalità è un tema fondamentale. Non c’è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo con i numeri della natalità che abbiamo oggi in questo Paese”, ha sottolineato il titolare del Mef

I numeri attuali delle nascite

Il Rapporto annuale 2023, pubblicato dall’Istat lo scorso 7 luglio, rivela che gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti. Con conseguenze sul sistema delle pensioni che non si potranno ignorare. Nel 2022 c’è stato un consistente calo delle nascite rispetto al 2019 – circa 27mila in meno – dovuto per l’80% alla diminuzione del numero di donne tra 15 e 49 anni di età. E per il restante 20% al calo della fecondità. Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite: 393mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400mila. Ma anche per l’elevato numero di decessi: 713mila. Dal 2008, anno di picco relativo della natalità, le nascite si sono ridotte di un terzo.

Nel primo quadrimestre del 2023 le nascite (-118mila unità) continuano a diminuire: -1,1 per cento sul 2022. Così come -10,7 per cento sul 2019. Per quanto riguarda i decessi si assiste a una decisa inversione della tendenza negativa che aveva drammaticamente interessato il precedente triennio: sono 232mila nei primi 4 mesi del 2023, 21mila in meno sul 2022, 42mila in meno rispetto al 2020 (che però è stato l’anno del Covid) e quasi 2mila unità in meno rispetto al 2019.

Una popolazione di anziani

La popolazione ultrasessantacinquenne ammontava a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, costituendo il 24,1% della popolazione totale. Tra le persone ultraottantenni, si rileva comunque un incremento, che li porta a 4 milioni 530mila e a rappresentare il 7,7% della popolazione totale. Una situazione che non migliorerà in futuro. L’invecchiamento della popolazione è destinato anzi ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi anche sulla sostenibilità del sistema pensionistico. Gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”. Nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 4 milioni.

Pensioni per le donne

In questo contesto, comunque, il Governo ripensa gli scivoli” delle donne per accedere alle pensioni. Oltre al ripristino di Opzione Donna con le condizioni più vantaggiose vigenti sino al 31 dicembre 2021, sul tavolo dell’esecutivo spunta l’ipotesi di una uscita con 64 anni e 20 di contributi. In sostanza una Quota 84, attualmente a disposizione dei lavoratori privi di anzianità contributiva al 31.12.1995 (anche uomini). L’estensione sarebbe destinata a trovare applicazione sia per le lavoratrici autonome che per le dipendenti.

Lo riporta Il Messaggero. In questo modo le pensioni per le donne sarebbero accompagnate da alcuni correttivi rispetto alle attuali regole del sistema contributivo. Per poter accedere alla pensione non sarebbe necessario aver maturato una pensione almeno 2,8 volte l’assegno sociale (cioè circa 1.400€ lordi al mese). Questa soglia si dovrebbe abbassare a 2-2,5. Ovviamente per le lavoratrici che sceglieranno di utilizzare il nuovo scivolo ci sarà il consueto ricalcolo della pensione in base al metodo contributivo.

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Legge di bilancio, è una fase decisiva per il Governo Meloni

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Giorgia Meloni. Foto Ansa/Fabio Frustaci

Sul tavolo del Consiglio dei ministri, lunedì 16 ottobre, dovrebbe arrivare oltre alla legge di bilancio, anche il Documento programmatico di bilancio. Un testo che il Governo dovrà inviare a Bruxelles. Assieme alla presidente del Consiglio i ministri dovranno esaminare il decreto legge fiscale collegato alla manovra.

In vista del Cdm, nella serata dell’11 ottobre c’è stato un vertice di oltre un’ora e mezza a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e la maggioranza. Secondo quanto si apprende la premier ha prima avuto una riunione con i leader dei partiti di maggioranza e poi ha incontrato i capigruppo di Camera e Senato.

Bilancio, l’auspicio di Giorgetti

Non do alcun tipo di indicazioni” alla maggioranza sugli emendamenti alla Legge di Bilancio ha dichiarato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Tuttavia, spero che la sessione di bilancio sia veloce, fruttuosa e che arrivi al risultato per dare un quadro di certezze per tutti“. Il tempo stringe. Entro le prossime settimane, prima della fine dell’anno, il Governo deve varare la normativa sulla spesa pubblica che è sempre la più importante per qualsiasi esecutivo.

La guerra in Israele-Gaza

In una nota Palazzo Chigi evidenzia un clima di grande collaborazione e determinazione nella maggioranza parlamentare in vista della Legge di Bilancio. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, spiega il comunicato, ha svolto una relazione sull’impostazione della Legge che andrà in approvazione, come detto, nel prossimo Cdm di lunedì 16 ottobre. Da parte sua, la premier Meloni ha invitato alla “prudenza“, visto anche il contesto mutato per il conflitto in Israele. E ha invitato la maggioranza a ridurre al minimo gli emendamenti.

Diminuiscono i risparmi delle famiglie

Ma i ministri, nell’occuparsi delle questioni relative alla manovra di bilancio, dovranno far fronte anche alla diminuzione del potere d’acquisto e del risparmio delle famiglie. Nel secondo trimestre del 2023, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Mentre i consumi sono cresciuti dello 0,2%. La propensione al risparmio, che già da diversi trimestri si attesta sotto i livelli pre-Covid, è stimata al 6,3%, in diminuzione di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Lo rende noto l’Istat sottolineando che a fronte di una sostanziale stazionarietà dei prezzi, il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente.

In buona sostanza, è emerso dalla riunione di maggioranza con la premier Meloni sulle questioni di bilancio, la manovra economico-finanziaria del Governo sarà seria. Ossia nel quadro della sostenibilità della finanza pubblica. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha più volte ribadito in questi ultimi giorni come non sarà assolutamente possibile correre il rischio di sforare troppo i margini stretti della spesa pubblica. E il Consiglio dei ministri concentrerà la sua attenzione su redditi e pensioni medio bassi, così come sulla famiglia e sulla sanità. Nell’ambito di un processo che sarà in continuità con il lavoro che l’esecutivo ha portato avanti fin dalla precedente legge di Bilancio del 2022.

Tutto questo a fronte di una situazione internazionale che rischia di far precipitare gli italiani nella più completa sfiducia verso il futuro. Basti pensare alla doppia guerra alle porte dell’Europa: in Ucraina e in Palestina.

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Gender gap e lavoro femminile: cosa ci rivela il Nobel di Claudia Goldin

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Claudia Goldin
Claudia Goldin, Premio Nobel per l'Economia 2023 @Crediti Ansa - VelvetMag

Claudia Goldin è il Premio Nobel per l’Economia 2023 che ci ha fornito una ‘lezione’ importante sul gender gap e il lavoro femminile. Prima donna Professor of Economics ad Harvard, ha studiato partecipazione e retribuzione femminile nel mondo del lavoro negli ultimi tre secoli.

Il Nobel per l’Economia 2023 è andato a Claudia Goldin che, con i suoi studi, ha permesso di comprendere meglio il gender gap e gli esiti del mercato del lavoro femminile. Terza donna a vincere il Premio e anche le altre due lo hanno vinto solo negli ultimi 14 anni. È co-direttore del Gender in the Economy Study Group della Nber ed è stata direttrice del programma Development of the American Economy della Nber dal 1989 al 2017. Come ha dichiarato Jakob Svensson, Presidente del Comitato per il Premio in Scienze Economiche: “Comprendere il ruolo delle donne nel mercato del lavoro è importante per la società. Grazie alla ricerca innovativa di Claudia Goldin, ora sappiamo molto di più sui fattori sottostanti e sulle barriere che potrebbero essere affrontate in futuro“.

Gli studi di Claudia Goldin

Claudia Goldin, difatti, ha fornito nuovi importanti risultati rispetto al ruolo della donna nel mercato del lavoro. È suo il primo resoconto completo sulle retribuzioni e sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro nel corso dei secoli. Con il suo studio, la docente americana, ha scoperto quali sono i punti cardine della differenza tra uomini e donne nel mercato del lavoro. Innanzitutto, un primo fattore è la nascita del primo figlio e di come questo influisca più sul lavoro delle donne che degli uomini. Difatti, in percentuale, sono più le mamme abbandonano il lavoro, dopo la nascita del primo figlio, rispetto ai papà.

Per quanto riguarda le donne sposate, invece, Claudia Goldin ha spiegato che il lavoro femminile è diminuito con la transizione da una società agricola ad una società industriale all’inizio del XIX secolo. Tendenza che si è tuttavia invertita con la crescita del settore dei servizi all’inizio del XX secolo. La studiosa ha spiegato questo modello come il risultato del cambiamento strutturale e delle norme sociali inerenti alla responsabilità delle donne verso la famiglia e la casa. Anche l’istruzione ha avuto un ruolo fondamentale. Dal XX secolo in poi sono aumentati i livelli di istruzione delle donne e oggi, nei paesi ad alto reddito, sono persino superiori a quelli degli uomini.

Tuttavia, nonostante l’emancipazione e la crescita del mercato del lavoro femminile, il gender gap sulla retribuzione è stato caratterizzato da un importante divario. Secondo quanto spiegato da Claudia Goldin, questo potrebbe essere spiegato dal fatto che le decisioni educative, che influiscono sulla carriera, sono prese in età molto giovane. In questo caso, se le giovani donne hanno un’influenza che arriva, per esempio, dalle madri (che riprendono a lavorare molto tardi, dopo la nascita di un figlio) potrebbero essere portate ad uno sviluppo più lento. In generale, la differenza nei guadagni tra uomini e donne potrebbe essere, storicamente, spiegata con una differenza rispetto al livello di istruzione e le scelte professionali.

Il fattore tempo

Ma ad influire nel divario retributivo è anche il tempo. In una recente intervista a La Repubblica, Claudia Goldin aveva spiegato: “Uno dei grandi equalizzatori della vita è che tutti abbiamo 24 ore al giorno. Non importa se sei miliardario o povero. Se hai figli piccoli o responsabilità familiari, qualcuno deve essere di guardia a casa, anche se ha un lavoro a tempo pieno. La persona ‘reperibile‘ assumerà una posizione più flessibile e meno impegnativa e, di conseguenza, meno paga. Le donne sono generalmente di guardia a casa. Questa è l’iniquità di coppia, ed è l’essenza dell’ostacolo al raggiungimento di famiglia e carriera, reso più difficile dal ‘lavoro avido“.

Per ‘lavoro avido’ la studiosa intende quello in cui la paga è più alta se sono maggiori le ore lavorate, o se si lavora quando gli altri non lavorano (ferie o weekend). Tuttavia, le donne possono concorrere difficilmente al ‘lavoro avido’, perché la cura della famiglia ricade principalmente su di loro. E come spiega Claudia Goldin, se i compiti fossero suddivisi equamente ci sarebbe un impoverimento del nucleo: ecco perché sono le donne a rinunciare. In definitiva, dunque, se lo stipendio degli uomini sale, quello delle donne scende perché legato ad orari limitati.

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Scuola, concorso straordinario ter: cosa c’è da sapere

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Scuola
Classe scolastica - DirittoLavoro

Previsto entro fine ottobre il bando per il nuovo concorso straordinario ter nel settore scuola. Atteso via libera dalla Commissione Europea. Si tratta dei primi docenti che verranno assunti attraverso il nuovo percorso del Pnrr.

Benché il testo sia a Bruxelles già da diverse settimane, è ancora atteso il via libera da parte della Commissione Europea per il concorso straordinario ter che dovrebbe assegnare nuovi posti a scuola. Il bando per i docenti è previsto entro fine ottobre e fa riferimento alle prime 40mila assunzioni attraverso il nuovo percorso del Pnrr. Tale decisione arriva in seguito all’approvazione del regolamento attuativo connesso al Dpcm del 4 luglio scorso, già validato dalla Commissione e attualmente all’esame di Bruxelles.

Novità nella scuola italiana

Dopo la recente pubblicazione del Dpcm sulla Gazzetta Ufficiale del 25 settembre, per il nuovo concorso relativo all’assegnazione di posti a scuola, adesso si attende sono il visto europeo. Sarà quest’ultimo, infatti, a dare il via al primo dei due concorsi programmati dal Ministero dell’Istruzione previsti entro questo autunno e la prossima primavera. Il bando si rivolge a tutti gli aspiranti docenti che hanno conseguito 24 crediti formativi universitari entro il 31 ottobre 2022. Ammessi al concorso scuola anche docenti che hanno maturato almeno tre anni di anzianità di servizio. Secondo quanto riferito dalle stime, i candidati dovrebbero aggirarsi intorno ai 100mila.

Per i partecipanti al concorso non è prevista nessuna prova pre-selettiva, ma tutti i candidati dovranno sottoporsi ad una prova scritta a cui seguirà una prova orale dopo un anno di tirocinio. Per quanto riguarda la prova scritta si tratterà di un test a crocette (dopo la modifica successiva all’emendamento parlamentare del PA bis dl n. 75/2023) focalizzato sull’accertamento di conoscenze e competenze in ambito pedagogico, psicopedagogico e didattico-metodologico. Ancora nella prova scritta saranno presenti anche sezioni dedicate alla lingua inglese e all’informatica. Per quanto riguarda l’orale, invece, saranno valutate le competenze relative alla classe di concorso. A questa si aggiungerà, sempre nella prova orale, la valutazione dell’abilità all’insegnamento attraverso una lezione simulata.

Assunzioni per ogni concorso

Per il primo concorso, previsto entro la fine di ottobre, si assegneranno circa 40mila posti a bando, suddivisi tra 30.216 posti di personale docente, di cui 21.101 su posto comune e 9.115 su posto di sostegno, ai quali si aggiungeranno circa 10mila cattedre non coperte dalle immissioni in ruolo di quest’anno. La certificazione del nuovo contingente di docenti è attualmente all’esame del Ministero dell’Economia. Per il secondo concorso, ancora relativo al settore scuola e previsto entro la primavera 2024, la partecipazione è estesa anche ai potenziali candidati che hanno conseguito almeno 30 dei 60 cfu previsti dalla nuova disciplina per ottenere l’abilitazione. In questo caso i posti da ricoprire saranno quelli lascianti vacanti dai pensionati. Si parla, dunque, di circa 25mila. Inoltre, posti non coperti dal primo concorso potranno essere coperti con il secondo.

Secondo quando chiarito dal Governo, l’obiettivo del Pnrr consiste nell’assumere almeno 70mila docenti entro il 2024 con le nuove regole. Nonostante sia prevista una certa flessibilità in caso di necessità, questa eventualità nasce anche per alleggerire la macchina amministrativa e universitaria chiamata a formare e selezionare, fino ad ora, un numero tutt’altro che esiguo di docenti in brevissimo tempo.

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PNRR, l’Italia ottiene la terza rata dei finanziamenti (ma il percorso è in salita)

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Il ministro per il PNRR, Raffaele Fitto. Foto Ansa/Angelo Carconi

La Commissione europea ha versato la terza rata dei finanziamenti del Recovery fund dell’Unione (il piano Next Generation Eu) per il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) italiano. Si tratta, in soldoni, di 18,5 miliardi di euro.

Lo ha fatto sapere a inizio ottobre il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il PNRR, Raffaele Fitto. “Il pagamento della terza rata fa seguito alla valutazione positiva della Commissione sul raggiungimento dei 54 obiettivi e traguardi previsti dal Piano, valutazione poi confermata dagli Stati membri Ue nel Comitato Economico e Finanziario e nel successivo Comitato Rrf” ha dichiarato il ministro.

All’Italia il 44% dei fondi promessi

Il pagamento della terza rata è la prova dei grandi progressi nell’attuazione del PNRR. Con tale pagamento, l’Italia ha ricevuto 85,4 miliardi di euro, corrispondenti a più del 44% del totale del PNRR” ha spiegato Fitto.

Il pagamento è inoltre il frutto di una stretta e fruttuosa collaborazione con la Commissione europea. Ma anche il risultato di un lavoro molto impegnativo per raggiungere obiettivi molto complessi relativi a riforme nei settori della concorrenza, della giustizia, dell’amministrazione pubblica e fiscale. Nonché dell’istruzione, del mercato del lavoro e del sistema sanitario. Il pagamento riguarda anche investimenti volti a promuovere la transizione digitale e verde e a sostenere la ricerca, l’innovazione e l’istruzione”.

Meloni: “Risorse cruciali per il PNRR”

Il lavoro sul PNRR ora continua senza sosta per ottenere la valutazione positiva sulla richiesta di pagamento della quarta rata. E sulla revisione del Piano, incluso il nuovo capitolo RePowerEu” ha concluso Raffaele Fitto. “All’esito di un lavoro lungo e importante, la nostra Nazione incassa oggi la terza rata del PNRR: un passo importante per un’Italia che torna finalmente a credere nelle sue capacità” è stato invece il commento della premier Giorgia Meloni, in un videomessaggio condiviso sui suoi canali social.

“L‘Italia incassa oggi dalla Commissione europea la terza rata del PNRR, per un importo di 18 miliardi e mezzo che insieme a quelli già precedentemente presi ci hanno fatto incassare finora circa il 44% dell’intero ammontare delle risorse del Next Generation Eu. Sono risorse importanti – sottolinea – che serviranno a intervenire in ambiti cruciali come la giustizia, la sanità, l’istruzione, il mercato del lavoro, la ricerca“.

Per la presidente del Consiglio “è la dimostrazione di un lavoro proficuo che abbiamo portato avanti con la Commissione europea, che ci porta oggi a discutere per una valutazione positiva sulla quarta rata e sulla revisione complessiva del Piano, compreso il capitolo del RePowerEu. È la dimostrazione di come l’Italia e il Governo attualmente in carica abbiano affrontato questa questione con estrema serietà” ha rimarcato Giorgia  Meloni. “Auspichiamo per il futuro che anche quelli che ci credevano poco imparino a credere un po’ di più nella capacità che questa nazione ha. Soprattutto se si lavora tutti nella stessa direzione, di raggiungere i propri obiettivi“.

In realtà sul nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza i Comuni italiani sono in allarme. Il fatto che si spostino sul programma RePowerEu 13 miliardi di euro di fondi PNRR precedentemente in capo ai Comuni ha fatto infuriare detto il presidente dell’Anci, Antonio Decaro.

 

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Come richiedere la disoccupazione: requisisti per ottenere la NASpI

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NASpI
La sede Inps in piazza della Vitoria, Genova @Crediti Ansa - Diritto Lavoro

Con la NASpI si fa riferimento alla Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego. Ovvero un sussidio fornito dall’INPS a sostegno dei lavoratori che hanno perso involontaria l’impiego. Per ottenerla, però, occorre rispondere a dei requisiti precisi.

La NASpI, comunemente indicata ancora con il termine ‘disoccupazione‘, è concessa dall’INPS dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, esistono dei requisiti fondamentali per ottenerla e per fare richiesta. Di base, il primo presupposto di partenza è aver perso il lavoro involontariamente, a questo però se ne aggiungono altri importanti. Innanzitutto è bene sapere che la domanda per la NASpI deve essere presentata all’INPS solo per via telematica e solo dopo avvenuta cessazione del rapporto di lavoro.

Può essere richiesta dai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perso il lavoro in maniera involontaria. Tra questi sono compresi, come specifica opportunamente anche il portale dell’INPS, apprendisti, soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le medesime cooperative, personale artistico con rapporto di lavoro subordinato e dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni. Invece, sono esclusi dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni, operai agricoli a tempo determinato, operai agricoli a tempo indeterminato, lavoratori extracomunitari con permesso di lavoro stagionale.

I requisiti per ottenere la NASpI: eccezioni importanti

I requisiti per ottenere la NASpI partono, ovviamente, dallo stato dichiarato di disoccupazione. Trattandosi però di un stato che deve essere involontario, non possono richiedere il sussidio i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o di risoluzione consensuale. Anche in questo caso, tuttavia, sono presenti delle eccezioni che, nello specifico, fanno riferimento a diverse circostanze tra cui dimissioni per giusta causa, mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali subite nei luoghi di lavoro, modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative o mobbing.

Eccezioni per poter ottenere comunque la NASpI sono variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone dell’azienda. Così come lo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra senza che sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c.. Tra le eccezioni, che mantengono la possibilità di poter ottenere la NASpI anche per cessazione del lavoro non involontaria, il comportamento ingiurioso del superiore gerarchico o le dimissioni intervenute durante il periodo tutelato di maternità, ossia a partire da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del bambino.

E ancora risoluzione consensuale a seguito del rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso altra sede della stessa azienda distante più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore. E per concludere fanno eccezione anche il licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione di cui all’articolo 6, decreto legislativo 22/2015 e licenziamento disciplinare.

Requisiti contributivi

Per ottenere la NASpI, inoltre, è necessario aver versato contributi contro la disoccupazione per almeno 13 settimane nei quattro anni precedenti. Si parla di contribuzione utile anche nel caso di dovuta e non versata. E sono valide tutte le settimane retribuite, purché remunerate nel rispetto dei minimali settimanali. Per contribuiti utili, dunque, si possono intendere anche quelli previdenziali comprensivi di quota contro la disoccupazione versati durante il rapporto di lavoro subordinato. Così come i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria. Utili anche i periodi di lavoro all’estero in paesi comunitari o convenzionati dov’è prevista la possibilità di totalizzazione.

E allo stesso modo anche i periodi di lavoro svolti unicamente in un altro Paese UE laddove si tratti di lavoratore frontaliero o transfrontaliero. Mentre, non sono considerati utili i periodi di lavoro all’estero in Nazioni con le quali l’Italia non ha stipulato accordi bilaterali in tema di assicurazione contro la disoccupazione. Utili, invece, anche i periodi di astensione dal lavoro per malattia dei figli fino agli otto anni, per massimo cinque giorni lavorativi nell’anno solare. Mentre l’INPS non considera utili i periodi coperti da contribuzione figurativa dovuti a malattia e infortunio sul lavoro. In questi due casi, infatti, è indispensabile l’integrazione della retribuzione da parte del datore di lavoro.

Non sono contribuiti utili neanche i periodi di Cassa Integrazione Straordinaria e Ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore. E in ugual misura i contratti di solidarietà, risalenti nel tempo e utilizzati in concreto a zero ore. Per la richiesta della NASpI non sono utili neanche i periodi di assenza per permessi e congedi ottenuti in caso di un parente prossimo con handicap in situazione di gravità. Ancora nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. Ed infine requisito non idoneo anche l’aspettativa non retribuita per funzioni pubbliche elettive o cariche sindacali.

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PNRR: la Ue assicura i fondi ma l’Italia taglia gli investimenti

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Giorgia Meloni. Foto Ansa

Il PNRR italiano e quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea avranno ancora altro ‘ossigeno’ per quest’anno. Lo fa sapere il vice presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis. A fronte di ciò il Governo Meloni arranca. E sembra intimorito di dover spendere bene, con rigore e in tempi rapidi i fondi del Next Generation Eu destinati al nostro Paese. 

Compatibilmente con i risultati puntiamo a erogare altri 50 miliardi di euro per i Piani nazionali di ripresa e di resilienza entro l’anno. Si porterà il totale delle erogazioni finora effettuate a 200 miliardi di euro“. Così Dombrovskis, in audizione alle commissioni congiunte Affari economici e Bilanci del Parlamento europeo sui programmi di attuazione dei piani di Recovery.

PNRR, l’intervento di Gentiloni

Sui progressi di attuazione dei piani di Recovery è intervenuto anche Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia. “Ci troviamo di fronte a una crescita più lenta, a un’inflazione elevata e al conseguente inasprimento della politica monetaria” ha affermato Gentiloni. “Siamo sotto sfida in una corsa globale per le tecnologie green che coinvolge molti attori economici globali. Next Generation Eu è chiaramente uno strumento non solo per riprendersi dalla crisi Covid ma anche per affrontare questa nuova situazione, preservando lo spazio per gli investimenti pubblici e sostenendo la nostra competitività, fino al 2026, nella transizione verde e digitale“.

Anche il Commissario europeo all’Economia ha rilasciato le sue dichiarazioni sui PNRR nel corso dell’audizione alle Commissioni congiunte Affari economici e Bilanci del Parlamento europeo. Il tema sul tavolo era esattamente quello dei progressi di attuazione dei piani di Recovery.

Crescita economica da tutelare

L’attuazione del Recovery è fondamentale anche per riaffermare la nostra più forte determinazione a evitare divergenze economiche, territoriali e sociali all’interno dell’Unione e per promuovere una crescita economica più equilibrata. Ciò è ancora più importante in vista delle elezioni europee. Il Recovery è un test fondamentale per l’unità politica dell’Unione. Il suo successo è nell’interesse comune europeo e dobbiamo lavorare tutti insieme per mantenere la sua promessa” ha spiegato ancora Gentiloni.

L’intervento del Commissario all’Economia ha toccato anche il punto riguardante i 93 di miliardi di euro di Next Generation Eu (il cosiddetto Recovery fund) di prestiti non richiesti dagli Stati membri. Si tratta di una parte dei finanziamenti ai PNRR che non è certo irrilevante. Tuttavia, ha precisato Gentiloni i fronte ai parlamentari europei, “non sono un tesoretto che abbiamo pronto, andrebbero raccolti sul mercato. Il punto è che questi 93 miliardi di euro sono vincolati dal Recovery quindi è una discussione che andrebbe fatta nel futuro e certamente non è una soluzione facile“. E ancora: “Non sono soldi pronti e il comportamento lineare da parte della Commissione sarebbe quello di non chiedere sul mercato questi ulteriori prestiti perché non sono stati richiesti dagli Stati membri“, conclude.

Il problema cronico dell’Italia

A conclusione di tutto resta comunque il problema dell’Italia, che ormai appare cronico, di utilizzare fino in fondo i finanziamenti del PNRR. Invece di usare tutte le forze per portarlo più avanti possibile, ricorda Il Foglio, il Governo Meloni sta rinunciando a ogni sforzo per ritornare ai vecchi e più comodi finanziamenti ordinari degli investimenti, ben sapendo che con le procedure ordinarie si procede con grande lentezza.

Il PNRR ha procedure specifiche e vincoli temporali in base ai quali ottenere da Bruxelles l’erogazione di ogni successiva tranche di fondi europei. Ma Giorgia Meloni dopo aver tolto dal PNRR di Draghi 13 miliardi destinati alla rigenerazione urbana dei comuni, nella proposta di revisione del Piano ha deciso di non costruire 414 (su 1.350) ospedali e case di comunità regionali.

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Quale tutela in caso di licenziamento emesso per patto di prova nullo

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Tutela per licenziamento intimato in base a un patto di prova nullo
Tutela per licenziamento intimato in base a un patto di prova nullo - Diritto Lavoro Foto crediti: Pinterest

La Corte di Cassazione, mediante sentenza n. 20239 del 14 luglio 2023, ha emesso un giudizio in relazione al recesso datoriale ad nutum intimato per un patto di prova, successivamente dichiarato nullo. In tale pronuncia la Corte ha sottolineato che, qualora il licenziamento non possa essere collegato ad alcuna delle circostanze previste dall’art. 3, comma 2, del Decreto Legislativo 23/2015 la tutela applicabile al lavoratore si limita esclusivamente all’assegnazione di un’indennità.

Nel contesto dei rapporti di lavoro regolamentato dalle tutele crescenti, un licenziamento notificato a fronte di un patto di prova nullo comporta esclusivamente l’obbligo di erogazione indennitaria. Esclusa ogni possibilità di ricorso alla reintegrazione nell’impiego. Diversa è la situazione in cui il rapporto di lavoro ricada nella disciplina prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, poiché, in tali circostanze, se il licenziamento è associato ad un patto di prova nullo, la pronuncia di illegittimità del licenziamento implica l’ordine di reintegrazione nell’impiego.

Tutele crescenti e art.18 Statuto dei lavoratori: differenti gli indennizzi

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 20239/2023, rileva che la distinzione tra le due fattispecie appare piuttosto chiara. Infatti, mentre nei licenziamenti disciplinati dal regime delle tutele crescenti la reintegrazione ha “carattere solo residuale, nel riformato art. 18 questo rimedio, sebbene abbia subito una riduzione del suo peso, mantiene comunque un rilievo centrale.

In entrambi i casi la decisione di porre fine al rapporto lavorativo da parte del datore di lavoro è considerata un licenziamento individuale ad nutum, senza la necessità di giusta causa o giustificato motivo (sia soggettivo che oggettivo) per il licenziamento. Tuttavia, per coloro che sono stati assunti prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, cui si applica l’art. 18, il rimedio della reintegrazione persiste sia in assenza di giusta causa che di giustificato motivo soggettivo o oggettivo. Tale opzione, al contrario, non è disponibile per coloro che sono stati assunti dopo l’entrata in vigore del Dlgs 23/2015 sulle tutele crescenti.

La Corte di Cassazione, dunque, rimarca che la riforma introdotta con il Job Act ha limitato il rimedio della tutela reale solo nei casi di licenziamento disciplinare, quando è dimostrato che il fatto oggetto di contestazione al lavoratore non è avvenuto. Per quanto riguardo i licenziamenti economici non vi è rimedio alternativo alla tutela indennitaria. Situazione diversa con l’art. 18, in quanto, anche successivamente alla riforma della legge 92/2012, il meccanismo della reintegrazione permane, seppur con alcuni attenuamenti, in entrambi i casi di licenziamento disciplinare e licenziamento oggettivo, qualora si verifichi “l’insussistenza del fatto” alla base del recesso datoriale.

Licenziamento rientrante nel regime delle tutele crescenti: previsto il solo rimedio indennitario

La decisione della Corte di legittimità si basa proprio su questa differenziazione. Non considerare equiparabili le due situazioni in termini di protezione, sia indennitaria che reale, poiché nel contesto del licenziamento durante il periodo di prova dei nuovi dipendenti sorge inevitabilmente una problematica relativa “all’inquadramento del vizio da cui è affetto il recesso”. Problematica che chiaramente non si pone per i licenziamenti rientranti nell’ambito dell’art. 18, in cui la reintegrazione è ritenuta come rimedio applicabile in entrambe le fattispecie, giustificato motivo soggettivo e oggettivo. Pertanto, in considerazione del limitato campo di applicazione previsto dal Jobs Act per il rimedio della reintegrazione, nei licenziamenti emessi nell’ambito delle tutele crescenti basate su un patto di prova nullo, viene applicato esclusivamente il rimedio indennitario.

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