lunedì, Settembre 2, 2024
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Inflazione in calo in Italia, ma quanto durerà?

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Foto Ansa/Matteo Corner

Nel mese di ottobre, secondo le stime preliminari dell’Istat, l’inflazione evidenzia un netto calo, scendendo a +1,8%. Un dato che non si registrava da luglio 2021 (+1,9%) e che si confronta con il +5,3% di settembre. La diminuzione è dello 0,1% su base mensile.

La drastica discesa del tasso di inflazione si deve in gran parte all’andamento dei prezzi dei beni energetici, in decisa decelerazione tendenziale a causa dell’effetto statistico derivante dal confronto con ottobre 2022, quando si registrarono forti aumenti dei prezzi. Un contributo al ridimensionamento si deve inoltre alla dinamica dei prezzi dei beni alimentari (da +7,7% a +5%).

Inflazione, perché è in calo

La diminuzione congiunturale dell’indice generale dell’inflazione si deve principalmente alla decelerazione dei prezzi degli Energetici non regolamentati (-1,9%). Ma anche dei Servizi culturali, ricreativi e per la cura della persona (-0,9%) e dei Servizi relativi ai trasporti (-0,6%). Tali effetti si sono in parte compensati dall’incremento nel ritmo di crescita dei prezzi degli Energetici regolamentati (+12,0%) e dei Servizi relativi all’abitazione (+0,4%). In base alle stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dello 0,2% su base mensile e dell’1,9% su base annua (in netta decelerazione da +5,6% di settembre).

Sul fronte della crescita della ricchezza l’Italia è invece completamente ferma. Mancano i segnali positivi che si hanno sul fronte di un consistente ribasso dell’inflazione. Da troppi anni è un paese che non cresce, non investe abbastanza e resta strapieno di debito pubblico: una zavorra molto pesante sullo sviluppo dell’economia e delle finanze pubbliche. Nel terzo trimestre del 2023, è la stima dell’Istat, il prodotto interno lordo (Pil), espresso in valori concatenati con anno di riferimento il 2015, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è rimasto stazionario.

La crescita dell’Italia è ferma

Non è cioè aumentato sia rispetto al trimestre precedente che rispetto al terzo trimestre di un anno fa, il 2022. Malgrado il calo dell’inflazione l‘economia italiana rimane dunque stabile nel terzo trimestre del 2023. E ciò dopo il calo a cui si è assistito nel secondo trimestre dell’anno in corso. Anche la dinamica tendenziale risulta stabile, interrompendo così una crescita che durava da 10 trimestri consecutivi. La crescita acquisita del Pil si stabilizza invece perciò allo 0,7%.

Vale a dire a un valore uguale a quello fatto registrare nel secondo trimestre dell’anno. Il risultato è la sintesi, dal lato della produzione, di un calo del valore aggiunto dell’agricoltura, di una crescita dell’industria e di una sostanziale stabilità del settore dei servizi. Dal lato della domanda, si registra un contributo negativo della domanda al lordo delle scorte e un contributo positivo della domanda estera netta.

Per quanto riguarda il Pil nell’Eurozona sono i dati dell’Eurostat a dare un quadro. A parte l’inflazione, infatti, nel terzo trimestre di quest’anno il Pil nell’Eurozona è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Nell’insieme dei 27 paesi dell’Unione europea è invece salito dello 0,1%. Rispetto allo stesso trimestre del 2022, il Pil ha segnato un aumento dello 0,1% in entrambe le zone. Tra i Paesi membri per i quali sono disponibili i dati, su base trimestrale l’aumento maggiore è stato registrato in Lettonia (+0,6%), seguita da Belgio (+0,5%) e Spagna (+0,3%). I cali più significativi sono invece stati osservati in Irlanda (-1,8%), Austria (-0,6%) e Repubblica Ceca (-0,3%).

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Gli influencer? Un grande mercato, la Ue vuole regole certe e stringenti

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In Italia gli influencer sono circa 350mila

Quello dell’influencer non è più l’eccentrico hobby di smanettoni narcisisti ma una professione riconosciuta. In alcuni casi retribuita da lauti introiti. E pienamente sdoganata anche in Italia. È un’industria dell’immagine che macina milioni.

Parliamo dunque di un impiego a tempo pieno che ha raggiunto lo status di lavoro vero e proprio. Il mercato intorno a questa industria è in fermento, e negli ultimi tempi sono aumentati a dismisura sia gli influencer che cercano di vivere di questo, attratti dalle laute possibilità di guadagno, che il giro d’affari di questo settore.

Influencer, quanti sono in Italia

Sebbene i numeri, ricorda online Esquire, fotografino un settore in crescita, non è tutto oro ciò che luccica. Un influencer deve azzeccare il canale giusto (non tutti pagano allo stesso modo), il format, il tempismo. E possedere tutte le qualità che permettono di bucare lo schermo e arrivare a un grande pubblico. Nel nostro Paese ci sono circa 350mila professionisti. Il content creator, però, non è una figura che fa tutto da sé.

Per tracciare un quadro completo bisogna contare tutti i posti di lavoro che ruotano attorno: circa 150mila. Si va dai centri media alle agenzie di talent, passando per i social media manager e i diversi staff coinvolti. Anno dopo anno le percentuali in questo senso crescono nettamente, e oggi si stima un volume d’affari di oltre 300 milioni di euro con circa mezzo milione di posti di lavoro.

La pubblicità ingannevole

Tutto ciò vale ancora di più su scala europea. Ecco perché la Commissione ha annunciato un giro di vite su un business cresciuto finora come una giungla selvaggia. A finire nel mirino dell’esecutivo di Bruxelles sono in primo luogo i messaggi pubblicitari ingannevoli oppure occulti che non pochi influencer veicolano sui propri canali online. La maggior parte dei controlli riguarderà i social network. Gli accertamenti avverranno in collaborazione con le autorità e gli Stati membri che fanno parte del Consumer Protection Cooperation Network: la rete di coordinamento Ue che protegge i diritti dei consumatori.

Ad annunciare l’avvio degli accertamenti, che dovrebbero partire a breve, è stata la stessa Commissione Europea attraverso una nota. Le evidenze raccolte nel corso degli accertamenti andranno ad arricchire il materiale a disposizione del Digital Fairness Fitness Check, iniziativa nata per valutare l’introduzione di nuove regole per il mercato digitale. Secondo le stime, il mercato basato sull’attività degli influencer arriverà a valere 20 miliardi di euro entro la fine del 2023, a livello di Unione europea.

“Influencer, un mercato fiorente”

Il mercato degli influencer è fiorente e molti consumatori, spesso giovani e perfino bambini, credono nelle raccomandazioni di questi soggetti” ha spiegato il commissario Ue per la giustizia Didier Reynders. “Ma anche questo modello di business deve seguire delle regole. Gli influencer devono attenersi a pratiche commerciali corrette e i loro follower hanno diritto a informazioni trasparenti e affidabili”. La Commissione Ue ha inoltre lanciato un Influencer legal hub. Si tratta di una piattaforma per gli influencer con tutte le normative delle attività riconducili al settore del commercio.

Sono anni che denunciamo le scorrettezze degli influencer italiani, che troppo spesso ingannano gli utenti attraverso post commerciali non dichiarati che realizzano una pubblicità occulta a danno dei cittadini” ha fatto sapere Codacons. “Basti pensare che il giro d’affari prodotto sui social network dagli influencer italiani raggiungerà i 348 milioni di euro nel 2023 con una crescita annua del 13%”, ha aggiunto Codacons, dicendosi favorevole all’iniziativa della Commissione Ue.

 

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Colf e badanti: dalla retribuzione al contratto, tutto quello che c’è da sapere

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Colf e badanti
Lavoro domestico - DirittoLavoro

Con lavoro domestico si fa riferimento alle prestazioni svolte da colf e badanti, ma anche a tutti i lavoratori che prestano il loro servizio per il funzionamento della vita familiare. A tal proposito è bene sapere che la legge prevede un contratto, una retribuzione specifica e il pagamento di contributi.

Come chiarisce l’INPS, rientrano tra i lavoratori domestici colf e badanti, ma anche baby sitter, autisti, cuochi, giardinieri e tutti i lavoratori che prestano il loro servizio per le esigenze familiari. Di conseguenza quest’ultimi svolgono la loro attività presso l’abitazione del datore di lavoro o di uno stretto familiare. Si tratta, in quanto attività lavorativa in piena regola, di un lavoro che può essere formalizzato in due modi diversi e per il quale è prevista una retribuzione specifica nonché il versamento di contribuiti.

Contratti per colf e badanti

La formalizzazione del lavoro di colf e badanti e di tutti i lavoratori domestici può avvenire attraverso libretto famiglia INPS o assunzione con contratto di lavoro. Nel primo caso, in situazioni di prestazioni occasionali, il datore di lavoro può utilizzare un voucher nominativo prefinanziato, composto da titoli di pagamento, il cui valore nominale è fissato in 10 euro all’ora. Il lavoro domestico non prevede l’obbligo di comunicare all’Ispettorato del Lavoro l’avvio di ogni rapporto di lavoro autonomo, anche in caso di attività occasionale. Tuttavia, i committenti che operano in qualità di imprenditori sono sottoposti a tale obbligo.

Nel caso del contratto di lavoro, invece, si stabiliscono i parametri precisi. Innanzitutto il collaboratore può essere convivente, se vive nella casa del datore di lavoro, oppure non convivente. Il contratto può essere stipulato o tra privati o del tipo CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro). Nel caso di CCNL si parla sempre di contratto che ha effetto tra privati a seguito di lettera di assunzione, secondo lo schema concluso dalle associazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori. Questo schema serve a disciplinare gli aspetti del rapporto lavorativo. Non è obbligatorio applicare il CCNL, tranne che il datore di lavoro sia iscritto a una delle associazioni stipulanti o il lavoratore aderisca al sindacato interessato.

Mansioni e regole sull’impiego

Le mansioni chiarite nel CCNL del lavoro domestico di colf e badanti, ma non solo, si suddividono su diversi livelli. Nel livello A rientrano gli assistenti familiari generici, non addetti all’assistenza alle persone (pulizia, aiuto cucina, lavanderia, stalliere). Il livello A super fa riferimento alle attività di compagnia senza altre mansioni aggiuntive. Per quanto riguarda il livello B è dedicato al collaboratore familiare generico polifunzionale per incombenze relative al normale andamento familiare (pulizia, riordino, stiratura, lavenderia etc). Il livello B super prevede invece le mansioni relative al baby sitting o all’assistenza di persone autosufficienti. Invece, il livello C è per collaboratori familiari in possesso di specifiche conoscenze di base e con determinate responsabilità. Il livello C super è per l’assistenza a persone non autosufficienti.

Il livello D è per lavoratori che svolgono funzioni di coordinamento, hanno autonomia decisionale e particolari responsabilità. Infine, il livello D super è per l’assistenza a persone non autosufficienti previo corso di formazione di 500 ore. Oltre alle mansioni, nel CCNL per colf e badanti e altri lavoratori domestici sono previste anche le regole sull’impiego. Ovvero, orario di lavoro, periodo di prova, maternità, infortuni, malattia, scatti di anzianità, ferie, permessi, retribuzione delle ore per sostenere gli esami annuali (diritto allo studio). E poi ancora formazione professionale, congedo matrimoniale, lavoro straordinario, indennità in caso di morte, trasferta (con rimborso delle ore per le spese del viaggio), preavviso licenziamento o dimissioni. A cui si aggiungono trattamento di fine rapporto determinato sull’ammontare delle retribuzioni percepite nell’anno e anticipo TFR nella misura massima del 70% di quanto maturato.

Retribuzione, contribuiti e infortunio

Passando poi alla retribuzione, essa dipende dal livello di specializzazione. Nel testo si distingue poi tra collaboratori conviventi, anche part time, non conviventi e lavoratori che svolgono assistenza notturna. In generale, la retribuzione oraria di un lavoratore domestico varia da 5,27 a 9,36 euro all’ora per i non conviventi. Per assumere colf e badanti, così come gli altri lavoratori domestici, il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi del lavoratore all’INPS ogni trimestre. I contributi sono calcolati sulla base della retribuzione del lavoratore e al numero delle ore lavorate. Una parte dei contributi è a carico del lavoratore e il datore li potrà trattenere dallo stipendio che versa al dipendente. Nel caso di mancato versamento dei contribuiti il datore di lavoro rischia sanzioni civili e penali.

Infine, per quanto riguarda gli infortuni e la tutela del lavoro domestico è bene sapere che tutti i lavoratori regolarmente assunti hanno diritto alle prestazioni a carico dell’INAIL. Inoltre, assistenza sanitaria medica, farmaceutica, ospedaliera, ambulatoriale, specialistica sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale in caso di infortuni sul posto di lavoro.

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Tassi d’interesse, la Bce non insiste. Ma le incognite della guerra in Medio Oriente fanno paura

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christine lagarde bce atene
La presidente della Bce, Christine Lagarde

La Banca centrale europea (Bce), dopo avere attuato 10 rialzi consecutivi dei tassi di interesse sul costo del denaro (da luglio 2022) con un aumento cumulato di 450 punti base, ora si ferma. Come previsto dai mercati adesso Christine Lagarde, la governatrice, aspetta di verificare l’andamento dell’inflazione nelle prossime settimane.

La situazione internazionale è molto complicata e la lotta all’inflazione non può continuare sempre con gli stessi metodi. Tutto sta cambiando vorticosamente in questi anni successivi alla pandemia. A cominciare dal fatto che mentre infuria da quasi due anni la guerra in Ucraina, Israele sta per invadere Gaza, dopo l’aggressine di Hamas del 7 ottobre e settimane di bombardamenti di rappresaglia da parte di Tel Aviv sulla Striscia.

Bce, nuova strategia?

In pratica nella riunione ‘in trasferta’ ad Atene il Consiglio direttivo della Bce ha deciso di mantenere fermi i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali. Ma anche sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale che restano rispettivamente al 4,50%, al 4,75% e al 4,00%.

A indicare questa possibilità, peraltro, erano state le parole della stessa presidente della Bce, Christine Lagarde, che, in occasione dell’ultimo ritocco da 25 punti, deciso il 14 settembre scorso, aveva affermato che ora “il focus si sposta sulla durata” di mantenimento dell’attuale livello di tassi.

Le ragioni di questa scelta

La Bce motiva la sua decisione scrivendo che “le nuove informazioni hanno confermato sostanzialmente la sua valutazione precedente circa le prospettive di inflazione a medio termine“. Anche se “ci si attende tuttora che l’inflazione resti troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato“, la crescita dei prezzi “ha registrato un netto calo a settembre. Ascrivibile anche ai forti effetti base. Gran parte delle misure dell’inflazione di fondo ha continuato a diminuire. I passati aumenti dei tassi di interesse decisi dal Consiglio direttivo seguitano a trasmettersi con vigore alle condizioni di finanziamento, frenando in misura crescente la domanda e contribuendo pertanto alla riduzione dell’inflazione“.

L’economia dell’Eurozona

Secondo Lagardel’economia dell’Eurozona resta debole, mentre la produzione del settore manifatturiero continua a calare. E ci sono segnali che il mercato del lavoro si sta indebolendo“. Così la governatrice della Bce nella conferenza stampa ad Atene dopo la riunione del Consiglio Direttivo, il 26 ottobre. “I rischi restano al ribasso” ha aggiunto, ricordando le tensioni geopolitiche dalla guerra in Ucraina così come lo scenario in Medio Oriente aperto dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre.

Crediamo che tassi di interesse di riferimento della Bce abbiano raggiunto livelli che, mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, forniranno un contributo sostanziale a un ritorno tempestivo dell’inflazione al nostro obiettivo” ha sottolineato ancora Christine Lagarde. “Continueremo a seguire un approccio guidato dai dati per determinare livello e durata adeguati della restrizione” ha ribadito la presidente della Bce dopo il meeting nella capitale greca.

La Bce e la crisi energetica

Per Fabio Insenga di Adnkronos c’è un dato, in particolare, che è sensibile rispetto a quello che si sta muovendo intorno al conflitto tra Israele e Hamas. Non solo a Gaza ma in tutta l’area mediorientale. Se la guerra dovesse allargarsi e prolungarsi nel tempo, ci sarebbero le condizioni per una nuova crisi energetica. E se i prezzi di petrolio e gas dovessero tornare a infiammarsi, le conseguenze sull’inflazione sarebbero immediate, riproducendo lo schema visto con la guerra in Ucraina. Se la reazione fosse la stessa, la stagione del rialzo dei tassi di interesse della Bce sarebbe di fronte a un nuovo inizio.

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Fisco, pignoramenti più veloci con la Manovra 2024

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Accertamenti fiscali più severi d'ora in avanti. Foto Twitter @Radio1Rai

Prima di procedere al pignoramento, il Fisco avrà la possibilità di accedere direttamente ai conti correnti per verificarne la disponibilità. È una delle novità inserite dal Governo nell’ultima bozza della Manovra 2024. Si tratta di una normativa destinata a far discutere e che potrebbe restare soggetta a cambiamenti. 

Nello specifico, la norma prevede alcune fasi prima che si proceda al pignoramento dei conti scoperti dalla consultazione dell’archivio dei rapporti finanziari. Ovvero, in sostanza, che l’agente della riscossione possa, in fase stragiudiziale, accedere con “collegamento telematico diretto, alle informazioni relative alle disponibilità giacenti” sui conti correnti.

Fisco, cosa cambia

Se durante queste verifiche da parte del fisco dovessero emergere “crediti del debitore” nella disponibilità di uno o più operatori finanziari, l’agente dovrà redigere e notificare “telematicamente al terzo, senza indugio l’ordine “di pagamento. La norma inserita nell’ultima versione della Legge di Bilancio specifica poi che “la notifica dell’ordine di pagamento è effettuata, a pena di nullità, anche al debitore, con le modalità stabilite“. C’è un limite massimo di tempo: “Non oltre trenta giorni dalla notifica al terzo“.

La bozza prevede che le soluzioni tecniche di cooperazione applicativa per l’accesso alle informazioni si debbano definite con un apposito decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze. Una volta sentite l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane e l’Associazione italiana dei prestatori servizi di pagamento.

A questi si aggiunge anche l’obbligo di sentire il Garante per la protezione dei dati personali, anche ai fini dell’adozione, si precisa, di “idonee misure di garanzia a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati, attraverso la previsione di apposite misure di sicurezza, anche di carattere organizzativo“. Il Mef (Ministero dell’Economia e Finanze) avrà anche il compito di elaborare la definizione delle “specifiche modalità informatiche” con cui occorre redigere e notificare telematicamente l’ordine di pagamento.

La Manovra 2024

Sono intanto ‘cresciuti’ a 91 gli articoli della manovra economico-finanziaria (e del fisco) per la legge di bilancio del Governo Meloni. Nella prima bozza della legge c’è la conferma del taglio del cuneo fiscale con una proroga della misura attuale per tutto il 2024.

Macro capitoli per sanità, pensioni, Pubblica amministrazione, famiglia e tagli alla spesa pubblica, la cosiddetta spending review. Per Comuni e Regioni tagli di 600 milioni in 12 mesi. Confermato per il 2024, come detto, il taglio del cuneo contributivo. Sarà di 6 punti per i redditi fino a 35mila euro e di 7 punti per i redditi fino 25mila euro.

Per favorire la natalità, la bozza della manovra di bilancio prevede uno sgravio contributivo per le lavoratrici madri. Escluse le casalinghe a tempo pieno. Lo sgravio per favorire la natalità sarà al “100%” fino a un “massimo di 3.000 euro annui“, senza limiti di reddito. Quindi per tutte le lavoratrici madri a esclusione del “lavoro domestico“. Lo sconto sui contributi per la quota a carico del lavoratore dipendente è legato al numero di figli. Per le mamme con due figli dura fino ai 10 anni del bimbo più piccolo, per chi ne ha tre lo sconto sui contributi dura più a lungo: fino ai 18 anni del figlio più piccolo.

 

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Piattaforma europea STEP, cos’è e perché è importante per le aziende

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La Ue prepara una svolta di sostegno tecnologico alle aziende. Foto Twitter @Europarl_EN

L’Unione europea sta creando una Piattaforma di Tecnologie Strategiche per l’Europa (STEP), al fine di sostenere le tecnologie chiave e rafforzare la sovranità europea. Così il Parlamento europeo presenta l’iniziativa che riguarda aziende e imprese.   

Perché l’Ue ha bisogno di investire nelle tecnologie? Uno degli obiettivi strategici principali dell’Unione è quello di rafforzare la competitività dell’economia del vecchio continente. Per raggiungere questo obiettivo occorre sostenere il cambiamento tecnologico su cui le imprese fanno leva. E la nuova piattaforma va in una direzione che per le istituzioni di Bruxelles e Strasburgo è in linea con la trasformazione verde e quella digitale.

Le sfide per l’economia europea

Negli ultimi anni, l’industria dei paesi membri dell’Unione ha dovuto affrontare varie sfide di grossa portata, alcune senza precedenti. Fattori quali un’alta inflazione, la crescente carenza di manodopera, interruzioni della catena di approvvigionamento a causa prima della pandemia di Covid e poi della guerra in Ucraina. Una realtà che adesso rischia di aggravarsi per l’esplodere della guerra fra Israele e la Striscia di Gaza. Tutto questo si va a sommare all’aumento dei tassi di interesse di questi ultimi anni, così come ai picchi nei prezzi dell’energia: dal petrolio al gas.

L’attuale trasformazione economica sta facendo crescere la concorrenza globale. Specialmente nelle tecnologie essenziali come l’intelligenza artificiale, il 5G, i semiconduttori, le tecnologie verdi e le biotecnologie. Ecco perché il Parlamento europeo raccomanda che i vertici della Ue adottino un approccio più strutturale. E varino uno strumento come la piattaforma STEP, congeniale alle esigenze di investimento delle industrie.

Cos’è la Piattaforma STEP

Nel giugno scorso la Commissione europea ha presentato la revisione di medio termine del Quadro Finanziario Pluriennale dell’Ue 2021-2027. Come parte del pacchetto, ha proposto la creazione della Piattaforma STEP. In concreto la Piattaforma mira a potenziare la capacità produttiva nelle tecnologie digitali. Ad esempio: microelettronica, cloud computing, intelligenza artificiale, cybersecurity ecc..

Si parla però anche di tecnologie pulite, come l’energia rinnovabile, lo stoccaggio di elettricità e di calore. E poi ancora di combustibili rinnovabili di origine non biologica, combustibili alternativi sostenibili, e biotecnologie. Fra questa la piattaforma STEP può favorire lo sviluppo di biomolecole, farmaci, tecnologie mediche. L’obiettivo è anche il rafforzamento delle catene del valore. Parlamento e Commissione intendono poi affrontare la carenza di manodopera e di competenze in questi settori.

Come funzionerà STEP

Secondo la proposta che la Commissione ha fatto, e che è al vaglio dell’Eurocamera, la piattaforma STEP mobiliterà fondi nell’ambito degli attuali strumenti dell’Unione. Utilizzerebbe, in sostanza, ulteriori 10 miliardi per rafforzare alcuni programmi (InvestEU, Horizon Europe, l’Innovation Fund e il Fondo Europeo per la Difesa). Nell’ottobre 2023, le commissioni industria (ITRE) e bilanci (BUDG) hanno adottato una relazione sulla creazione della STEP.

Gli eurodeputati hanno mirato a rafforzare la piattaforma in modo che possa supportare meglio l’industria dell’Ue. Le loro proposte includono innanzitutto un sostegno extra di 3 miliardi oltre ai proposti 10 miliardi. Ma anche un allineamento più stretto di questa regolamentazione con altri atti legislativi per potenziare la competitività industriale. In primo luogo la Legge sull’Industria a Emissioni Zero e la Legge sulle Materie Prime Critiche.

L’Eurocamera, pronta a negoziare i dettagli con Consiglio europeo, vuole poi istituire un comitato STEP. L’obiettivo è di garantire un’efficace implementazione della piattaforma. La Commissione dovrebbe condurre una valutazione entro il 2025 e istituire un vero e proprio Fondo di Sovranità per sostenere le industrie strategiche nell’ambito del prossimo bilancio a lungo termine dell’UE: dopo il 2027.

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Rating di S&P per l’Italia: BBB, con crescita rallentata nel 2023 e 2024

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Foto Twitter @sole24ore

L’agenzia statunitense Standard and Poor’s (S&P) conferma il rating BBB sull’Italia con un outlook stabile, ovvero con immutate prospettive e previsioni per ciò che riguarda l’andamento economico del nostro Paese. Annunciando la decisione l’agenzia sottolinea tuttavia come in Italia “la crescita economica rallenterà nel 2023 e nel 2024“.

Questo accadrà, secondo S&P,  a causa “dell’aumento dei risparmi del settore privato e dell’inasprimento delle condizioni creditizie“. Ma anche “del rallentamento della produzione e dell’indebolimento del commercio globale“.

Rating e outlook

Per ciò che riguarda il rating, la valutazione, cioè, degli asset economico-finanziari del nostro Paese, S&P stima che “entro il 2025 la crescita del Pil reale dell’Italia tornerà al di sopra dell’1%. Aiutata dall’accelerazione nell’implementazione dei fondi Next Generation EU, che a nostro avviso probabilmente si estenderà oltre il 2026“. “Il risanamento del bilancio sarà più graduale di quanto previsto in precedenza a causa del rallentamento economico e dell’aumento dei pagamenti di interessi in percentuale del Pil che raggiungeranno il 4,2% l’anno prossimo rispetto al 3,6% nel 2021“.

L’outlook stabile per l’Italia riflette invece “la visione di un consolidamento di bilancio più lento di quanto precedentemente previsto. Anche a causa dell’aumento dei pagamenti di interessi sull’ampio debito pubblico“, scrive l’agenzia. S&P segnala la possibilità di “abbassare i rating nel caso in cui la traiettoria di bilancio del Governo si discostasse significativamente dai suoi obiettivi. Anche un’attuazione solo parziale delle riforme strutturali economiche e di bilancio, in particolare quelle legate all’erogazione dei fondi UE, porrebbe rischi per la crescita economica e le finanze pubbliche, e di conseguenza eserciterebbe una pressione al ribasso sul rating“.

Debito e attese del Governo

S&P osserva inoltre come “il debito pubblico e la sensibilità alle condizioni di mercato rimarranno elevati“. Lo scenario di base dell’agenzia prevede inoltre una riduzione del rapporto fra debito e prodotto interno lordo (Pil) entro il 2026. A un livello tale da raggiungere il 132% ancora al di sopra dei livelli pre-pandemia (126%). Dato l’elevato livello del debito pubblico, l’Italia rimane particolarmente sensibile a un deterioramento delle condizioni di finanziamento, che potrebbe pesare ulteriormente sui risultati di bilancio.

Il primo giudizio sull’Italia

Quello sul rating dell’Italia da parte di Standard and Poor’s è di fatto il primo giudizio sui conti pubblici nazionali dopo la Nadef (Nota al documento di economia e finanza) e la manovra. Dati che confermano le aspettative del Governo Meloni. La premier Meloni e il ministro dell’Economia, Giorgetti, restano convinti di aver agito con equilibrio e prudenza. Del resto l’esecutivo, con la Nadef prima e con la manovra poi, ha puntato a inviare messaggi rassicuranti alle istituzioni internazionali e agli investitori.

E lo ha fatto addirittura “prendendo a schiaffoni” i ministri e le loro richieste, disse Giorgetti usando una metafora colorita. Proprio per spiegare che l’attenzione è prima di tutto rivolta alla prudenza. Le risorse sono poche e l’Italia non può permettersi fughe in avanti sulla spesa proprio nell’anno in cui ritornerà il Patto di Stabilità.

Vecchio o nuovo che sia, le regole imporranno di ridurre non solo il debito ma anche il deficit, che l’anno prossimo l’Italia ha fissato al 4,3%, ben sopra la soglia di Maastricht. Non conoscendo ancora il tipo di vincoli europei che entreranno in vigore l’anno prossimo, il Governo ha deciso di rinviare al prosieguo della legislatura gli obiettivi più costosi, come la riforma delle pensioni.

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Manovra 2024, più soldi in busta paga ai dipendenti pubblici

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Il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo. Foto Twitter @Paolo_Zangrillo

La manovra economico-finanziaria del Governo Meloni per il 2024 ha stanziato risorse per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici. Aumenti in arrivo, dunque. “L’incremento medio in busta paga sarà di 170 euro per tutti, pari al +6%. I medici avranno sicuramente di più“.

Lo ha affermato il 19 ottobre il ministro per la Pubblica amministrazione a Paolo Zangrillo al termine dell’incontro a Palazzo Vidoni con 13 sigle sindacali. Un vertice sui temi della manovra al quale le sigle hanno partecipato in rappresentanza di categorie del pubblico impiego e delle confederazioni. Si è discusso di rinnovi contrattuali per la tornata 2022-2024 e di politiche legate alla Pubblica amministrazione.

Per scaricare i costi sul 2023 e non gravare sul 2024 che sarà un anno complicato daremo un anticipo di 2 miliardi entro dicembre, magari prima della tredicesima” ha detto ancora il ministro Zangrillo. “È un anticipo che riguarda la parte Stato e, qualora ci saranno le risorse, anche per gli enti territoriali”, ha aggiunto.

Zangrillo e la manovra

Ma la manovra 2024 non dirà l’ultima parola. “Ci stiamo predisponendo per partire con il negoziato a gennaio, dopo l’approvazione della legge di bilancio, con un occhio di riguardo alla sicurezza, difesa, sanità ed enti locali” ha aggiunto infatti il ministro. Il quale ha poi spiegato di voler invertire la cronologia delle trattative che in genere partono dal comparto dello Stato. “Questa volta invece che prima lo Stato, partiamo dagli enti locali” ha sottolineato.

Secondo Zangrillo la tornata contrattuale per i rinnovi 2022-2024 che partiranno a gennaio, avranno “importi lontani a coprire l’Ipca“, l’Indice dei prezzi al consumo, “che misura la perdita del potere d’acquisto dei salari. Ma ho detto ai sindacati che se avessimo potuto coprire l’Ipca avremmo dovuto fare una manovra da 31 miliardi, ha evidenziato. “Un conto sono i sogni, un conto la realtà” ha aggiunto auspicando che si possa procedere il “più in fretta possibile“. Tuttavia, ha ammesso il ministro, “non ho la palla di vetro, ma dobbiamo sforzarci di essere virtuosi nel percorso negoziale“.

La risposta dei sindacati

Secca la replica sindacale alle novità in manovra che il ministro ha reso note. “Zangrillo conferma l’insufficienza delle risorse necessarie per il rinnovo dei contratti delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici” affermano, in una nota, la segretaria confederale della Cgil Francesca Re David e le segretarie generali di Fp Cgil e Flc Cgil Serena Sorrentino e Gianna Fracassi. “Gli stanziamenti complessivi, infatti, sono lontanissimi dal coprire la perdita del potere d’acquisto di questi anni“.

Ma non c’è solo la manovra in sé per sé. “Sui salari – proseguono Re David, Sorrentino, Fracassi – il Governo ha compiuto scelte unilaterali. Le quali per quanto comportino risorse superiori agli stanziamenti rispetto ai ccnl 19/21, contratti che recuperavano l’inflazione, questa volta rimangono molto al di sotto sia dell’Ipca. Così come dell’inflazione reale, e falsano di fatto la capacità di recuperare il potere d’acquisto dei salari“. “Non ci sono – avvertono – stanziamenti ulteriori per completare la riforma degli ordinamenti e non c’è lo sblocco del salario accessorio, limitando, ancora una volta, la leva della crescita del salario e della produttività“.

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Economia sommersa, in Italia vale 192 miliardi ed è in crescita

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dati economia sommersa italia
In crescita sia il 'nero' che l'economia illegale in Italia

Secondo l’Istat, l’economia sommersa (in nero) e illegale, detta non osservata, in Italia è cresciuta del 10% nel 2021. E ha raggiunto i 192 miliardi di euro. La sua incidenza rispetto al Pil è stabile, al 10,5%, e inferiore al periodo pre-pandemia.

È quanto si legge nel report L’economia non osservata nei conti nazionali. In particolare, l’attività sommersa si è attestata a poco meno di 174 miliardi di euro mentre l’illegale ha superato i 18 miliardi. La crescita dell’economia non osservata è stata guidata dall’andamento del valore aggiunto da sotto-dichiarazione (comunicazione volutamente errata del fatturato e/o dei costi) che ha segnato un aumento di 11,7 miliardi di euro (pari al 14,6%) rispetto al 2020.

Fra ‘nero’ e illegalità

Nell’economia italiana è cresciuto, ma meno del previsto, anche il valore aggiunto generato dall’utilizzo del lavoro irregolare, pari a 5,7 miliardi di euro (il 9,2% del Prodotto interno lordo) e dalle attività illegali, per 0,9 miliardi di euro (pari al 5% del Pil). In controtendenza risultano però le altre componenti del sommerso che mostrano una riduzione pari a 0,8 miliardi (-5,5% del Pil), principalmente dovuta a una contrazione dei affitti in nero.

La sostanziale stabilità dell’incidenza dell’economia in nero e illegale sul Pil è quindi il risultato di andamenti eterogenei. Il suo valore è cresciuto infatti per l’aumento mostrato dal valore aggiunto sotto-dichiarazione. Questo ne ha riportato l’incidenza sul Pil ai livelli pre-crisi (5%) mentre la crescita meno sostenuta del valore aggiunto da lavoro irregolare ne ha comportato un’ulteriore discesa della sua incidenza (fino al 3,7%, dal 4,3% di quattro anni fa).

Economia e lavoro

Per quanto riguarda le modalità e la quantità di lavoro in Italia, nel settore del privato al Nord Italia si lavora quasi due mesi in più all’anno rispetto al Sud. Ciò nonostante i dipendenti nelle Regioni settentrionali percepiscono una retribuzione giornaliera più alta del 34% rispetto ai colleghi del Mezzogiorno. Lo riferisce la Cgia di Mestre, che individua la principale causa della disparità nel lavoro nero più diffuso al Sud. Molte realtà, completamente o in parte sconosciute al fisco e all’Inps, mantengono inoltre retribuzioni molto inferiori rispetto a quelle stabilite dai contratti collettivi nazionali.

Secondo l’elaborazione degli artigiani mestrini su dati Inps, nel 2021 il numero medio delle giornate retribuite al Nord è stato pari a 247, al Sud, invece, a 211. Pertanto, nell’economia del Settentrione un ipotetico operaio ha lavorato 36 giorni in più che corrispondono a quasi due mesi lavorativi “aggiuntivi” rispetto a un collega meridionale. Per quanto concerne la retribuzione media giornaliera lorda, nel Nord si è attestata attorno ai 100 euro e nel meridione sui 75. Di conseguenza, la paga giornaliera in settentrione è mediamente più elevata del 34% rispetto a quella percepita nel Mezzogiorno.

Economia sommersa al Sud

Oltre alla presenza di un’economia sommersa più diffusa che nel resto del Paese che, statisticamente, non consente di conteggiare le ore lavorate irregolarmente, nel Meridione c’è poca industria, soprattutto hig-tech. E una limitata concentrazione di attività bancarie, finanziarie e assicurative. Il mercato del lavoro è caratterizzato da tanti precari, molti lavoratori intermittenti, soprattutto nei servizi, e tantissimi stagionali legati al mondo del turismo. Inoltre, si fa meno ricerca, meno innovazione e il numero dei laureati che lavorano nel Sud è basso. La combinazione di questi elementi fa in modo che gli stipendi percepiti dai lavoratori regolari siano statisticamente più bassi della media nazionale.

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Salario minimo: perché è stato bocciato

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Salario minino bocciato
Lavoratore - DirittoLavoro

Il Cnel avrebbe bocciato la proposta sul salario minimo. Per il Governo italiano, attualmente, sembrerebbero esserci altre priorità.

L’esito dell’istruttoria avviata dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) sul tema riguardante la proposta sul salario minimo sarebbe negativo. Questo quanto riportato anche da un articolo in merito de La Repubblica. Nel dettaglio, il documento di analisi approvato in Commissione Informazione, che ha ricevuto il voto contrario da parte della Cgil e l’astensione da parte della Uil, avrebbe già in sé tutte le obiezioni che erano già state mosse dalla coalizione di Governo rispetto alla soglia minima legale di 9 euro all’ora per la retribuzione dei lavoratori poveri.

Le motivazioni “contro” il salario minimo

Secondo quanto si apprende, sarebbero essenzialmente tre i motivi che avrebbero condotto il Cnel a respingere la proposta sul salario minimo. In prima analisi, l’Istituto ritiene che la “povertà lavorativa” non debba essere collegata ai “salari insufficienti“. Come riporta anche Wired, il Cnel avrebbe piuttosto definito la povertà lavorativa come “il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno)“. A questo si aggiunge anche la composizione familiare e quante persone percepiscono un reddito all’interno della famiglia, oltre anche all’azione redistributiva dello Stato. A fronte di questo l’Istituto ha ritenuto che sia inutile agire sull’effetto finale.

Prioritario, invece, un piano di azione nazionalenei termini fatti propri della direttiva europea in materia di salari adeguati, a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva“. Proprio questo ultimo aspetto rappresenta il secondo dei motivi che hanno comprovato la bocciatura del Cnel rispetto al salario minimo. Infatti, la contrattazione collettiva coprirebbe quasi il 100%, una quota più alta del minimo dell’80% fissato dall’Ue. Con paghe medie che si aggirano a circa 7,10 euro rispetto ai dati Istat del 2019. Infine, l’ultima motivazione giustificata dall’Istituto sarebbe anche la scarsa incidenza dei contratti pirata, che rappresenterebbero solo lo 0,4% dei dipendenti del settore privato.

Cosa dice l’opposizione

A questo punto immancabili le reazioni da parte di tutti i partiti. La Ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone si sarebbe detta soddisfatta sottolineando l’importanza di “assicurare condizioni di lavoro dignitose alle persone“. Mentre, il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha affermato quanto sia necessaria “un’operazione verità“. L’opinione del Segretario della Cgil Maurizio Landini è invece scettica sul fatto di aver scaricato la questione sul Cnel. Come riporta ancora La Repubblica, tutti i partiti di opposizione, tranne Italia Viva, si dicono pronti alle rimostranze. Il primo passo, in tal senso, sarebbe una raccolta firme. Carlo Calenda leader di Azione, a tal proposito, spiega: “Se la destra la boccerà, dovrà assumersene la responsabilità e spiegarlo al Paese“.

La Segretaria del Pd Elly Schlein sostiene che portare avanti questa proposta significhi soprattutto non dimenticare i tre milioni e mezzo di lavoratori poveri. Infine, Giuseppe Conte, del Movimento 5 Stelle, scrive sui social: “Rilanciamo il firma day e io sarò con voi, prima a Foggia, poi a Napoli, quindi a Roma“.

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