sabato, Gennaio 18, 2025
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Festival di Sanremo, una pioggia di milioni: pubblicità (e cachet) da record

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Sanremo Festival 2024 Amadeus
Foto Ansa/Riccardo Antimiani

Angelina Mango ha vinto il Festival di Sanremo 2024, l’ultimo targato Amadeus, con la canzone “La noia”. La sua vittoria, dopo 10 anni di trionfi solo al maschile, segna il ritorno di una donna sul podio dell’Ariston. Al secondo posto Geolier, il più premiato dal televoto. Terzo posto per Annalisa. Quarto Ghali e quinto classificato Irama. Ma Sanremo è solo musica? Ovviamente no. Il Festival è un grande spettacolo e un grande business.

Angelina, 22enne, figlia d’arte di Pino Mango e Laura Valente, si è commossa e non credeva alla sua vittoria. “Siete matti, grazie di cuore all’orchestra, a te Amadeus, a Fiorello, al mio team, a mia madre, a mio fratello, alla mia famiglia, grazie che siete venuti” ha detto tra le lacrime. Ci sono altri che invece hanno creduto alla vittoria non solo e non tanto della figlia di Mango ma della raccolta pubblicitaria del Festival. Che anche quest’anno ha mantenuto le promesse. E si è chiuso con ascolti record. Il dato finale della pubblicità è pari a 60 milioni e 182mila euro, che significa un +20% rispetto all’edizione della passata stagione, quando i ricavi da spot furono pari a circa 50 milioni di euro.

Sanremo, quanto incassano gli artisti

Ma gli artisti, cioè i cantanti in gara a Sanremo, quanto guadagnano. O, meglio, quanto costano alla Rai? Per ciascuno di loro, sostiene il Quotidiano Nazionale, la tv di Stato paga 55mila euro. A questa cifra se ne devono aggiungere 3mila per ciascuno degli altri componenti dell’esibizione, se si tratta di un gruppo. Per il venerdì, la serata del duetti, la Rai ha sborsato altri 4mila euro a testa, 8mila se si è trattato di un gruppo.

Anche le case discografiche pagano. La partecipazione di un cantante a Sanremo viene a costare alla sua casa discografica almeno 100mila euro. La cifra se ne va in alberghi, ristoranti, auto con conducente, truccatori, vestiti eccetera. Gli artisti in gara erano 30? Il totale fa 3 milioni di euro che si riversano Sanremo in una settimana.

I cachet di Amadeus e gli altri

Il Festival costituisce dunque un evento in primo luogo di grande business, più che di musica e di canzoni. Oggi non è più come nei primi decenni della kermesse dalla quale emergevano, o si consolidavano, talenti artistici che poi segnavano la storia della musica leggera italiana. Basti pensare a Domenico Modugno, Mina, o Lucio Battisti. I cantanti in gara a Sanremo portano prodotti musicali che sono anche, se non soprattutto, di spettacolo: conta il vestito eccentrico, l’atmosfera istrionica, l’esibizione e lo show.

Insomma, come sostiene Gino Paoli, sul palco di Sanremo arriva un prodotto ‘finito’ e pre-confezionato con molta cura. Dove alla fine la qualità della canzone italiana è secondaria. Nel blu dipinto di blu, nota anche come Volare (di Modugno) ha vinto Sanremo 1958 e ha fatto la storia. De La noia di Angelina Mango – ottima canzone – ci si ricorderà a stento negli anni a venire.

Perché nel Festival di Sanremo del XXI secolo contano lo show dei conduttori, le loro gag, gli ospiti chiamati a partecipare a sketch che dovrebbero far ridere i telespettatori mantenendoli attaccati al video da casa.

Così la bravura del direttore artistico è fondamentale, molto più che nel passato. E i conduttori non possono più essere ‘ingessati’ in ruoli istituzionali, alla Pippo Baudo o alla Carlo Conti. Così Amadeus, che rappresenta invece un ‘fratello maggiore’, quasi una ‘persona di famiglia’, è riuscito per la quinta volta consecutiva a far raggiungere al Festival ascolti senza precedenti. Per la serata finale, sabato 10 febbraio 2024, si è toccato il 74% di share, con oltre 14 milioni di telespettatori. Tutto ciò è ben retribuito. Amadeus, secondo indiscrezioni, avrebbe ricevuto un cachet da 700mila euro: il doppio dello scorso anno. E gli ospiti? Per John Travolta si parla di 200mila euro; per Russell Crowe di un semplice rimborso spese, bontà sua, da 30mila euro. Denaro pubblico, compensato da incassi pubblicitari da 60 milioni.

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La protesta degli agricoltori a Sanremo, il Governo valuta l’esenzione dall’Irpef

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agricoltori protesta trattori
Foto Ansa/Alessandro Di Marco

Durante un question time al Senato, l’8 febbraio, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha parlato della questione agricoltori e della protesta dei trattori che è dilagata in Italia e in Europa. “Stiamo valutando l’intervento in materia di esenzione dall’Irpef per gli imprenditori agricoli che necessitano di un effettivo sostegno, eventualmente prevedendo specifiche franchigie” ha dichiarato. “Tale misura potrà essere inserita nel primo veicolo normativo utile. Veicolo che potrebbe essere anche il decreto legge Milleproroghe attualmente all’esame della Camera”.

Il fatto è anche che i trattori sono arrivati a Sanremo e puntano dritti al palco del Festival. Siamo in campagna elettorale per le Europee del prossimo giugno e le forze di maggioranza non possono perdere il consenso di buona parte degli agricoltori italiani. I quali promettono battaglia. “Se non ci faranno salire sul palco a Saremo costretti a concentrare sulla città dei fiori tutti i trattori dei presidi della Lombardia, del Piemonte e della Liguria“, annunciano gli esponenti di Riscatto Agricolo.

Agricoltori sul palco (forse)

La Rai ha infatti affermato che sul palco non saliranno rappresentanti del movimento dei trattori ma che le loro istanze saranno enunciate venerdì 9 febbraio dal conduttore Amadeus. “Non lo accettiamo. Ribadiamo quanto è stato richiesto partendo da martedì scorso, dallo stesso direttore artistico Amadeus – sostengono i protagonisti della protesta dei trattori – sulla volontà di far salire sul palco una delegazione di agricoltori. Riteniamo sia l’unica soluzione possibile per dare il giusto significato alla grave crisi che l’agricoltura sta vivendo, viste le accorate manifestazioni che da settimane stanno colpendo l’Europa intera e l’Italia da Nord a Sud“.

Intanto una delegazione di giovani agricoltori del movimento Riscatto agricolo è partita dal presidio di Melegnano nel Milanese. Al momento si trova con 8 trattori al mercato dei fiori di Sanremo. “Vogliamo 5 minuti per spiegare le nostre ragioni ai cittadini italiani” dice all’Adnkronos Davide Pedrotti, uno dei leader del Movimento. Meno diplomatico è un altro portavoce, Filippo Goglio: “Si sono rimangiati la parola, credo siano arrivate pressioni non so da chi perché prima ci hanno invitato e avevamo concordato con l’ufficio stampa della Rai di salire sul palco, solo che stamattina ho sentito alla radio che c’è una chiusura nei nostri confronti“.

“Lollobrigida ci riceva entro il 10 febbraio”

Ma non basta. “Noi chiediamo un incontro con il ministro Lollobrigida, abbiamo chiesto entro sabato all’ora di pranzo e siamo fiduciosi” afferma Maurizio Senigagliesi, portavoce del Coordinamento Nazionale Riscatto Agricolo, parlando con l’Adnkronos in vista della grande manifestazione in piazza San Giovanni a Roma. “Ma se non dovesse riceverci dobbiamo rimetterci a tavolino per disegnare un’altra strategia che per adesso non è stata assolutamente presa in considerazione“.

Si prevede che la ‘marcia’ degli agricoltori su Roma coinvolgerà “tantissimi, più di 1.500 agricoltori con una decina di trattori in piazza. Lo abbiamo pattuito e rispettiamo i patti nella massima legalità e trasparenza” sostiene Senigagliesi che è già arrivato a Roma, dove venerdì 9 febbraio ci sarà il presidio alle 10 del mattino in piazza San Giovanni. “Entro venerdì ci saranno almeno mille trattori da tutta Italia” conclude il rappresentante degli agricoltori.

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Italia, è boom di cucina e ristoranti asiatici

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cibo asia ristoranti italia
Foto X @GreenpeaceCA

Non tramonta l’appeal della cucina orientale in Italia. Anzi, è in una fase di esplosione vera e propria. Dopo il boom degli anni Novanta (quando in molte città andava di moda recarsi al ristorante cinese, anche per spendere poco e mangiare molto) adesso c’è una nuova ‘primavera’ asiatica. Almeno a giudicare dai dati sulle nuove apertura di ristoranti: dai più classici cinesi e giapponesi, agli indiani e vietnamiti, ma anche thailandesi e coreani.

Secondo l’ultimo Osservatorio sulle nuove aperture condotto da TheFork e Format Research, relativo al periodo ottobre 2022-settembre 2023, il 17% delle nuove imprese della ristorazione è di cucina asiatica. Un dato che pone questo tipo di attività sul podio: seconda solo alla cucina italiana. La quale rappresenta il 55% delle nuove aperture. E tuttavia i ristoranti e i locali di cucina asiatica battono le pizzerie, che coprono soltanto il 15% delle nuove aperture.

Del resto anche i dati della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) annoverano più di 50mila imprese con titolari stranieri attive nel mercato della ristorazione in Italia. Un dato pari quasi al 13% del totale di quelle registrate, includendo verosimilmente le cucine etniche presenti nel nostro Paese. Se si considerano unicamente i ristoranti prenotabili su TheFork, quelli orientali rappresentano a oggi il 5% dell’offerta, vale a dire circa un migliaio di ristoranti. Principalmente si trovano nelle grandi città (141 a Milano, 127 a Roma, 56 a Torino). Ma non mancano anche in centri di medie dimensioni tra cui Firenze e Bologna. Sono 250 le città italiane in cui è presente almeno un ristorante con cucina orientale.

Cucina asiatica al top in Italia

Per quanto riguarda le prenotazioni di ristoranti orientali su TheFork, risultano mediamente stabili, nonostante un lieve calo registrato a gennaio di quest’anno rispetto a gennaio 2023. A incidere sui ‘click’ per questo tipo di cene è anche la stagionalità. Quella orientale è una tipologia di cucina solitamente preferita nelle stagioni più fredde, mentre decresce in primavera ed estate.

La cucina orientale è ben rappresentata su TheFork e registra un alto gradimento dei nostri utenti. Se è vero che in Italia prevalgono ancora stabilmente le cucine regionali e più in generale quella mediterranea, la cucina orientale si posiziona al primo posto tra le cucine internazionali” commenta Carlo Carollo, Country Manager di TheFork Italy. Da notare anche una visibile crescita nella qualità dei ristoranti orientali: ben 10 di questi si sono conquistati un posto nella Top 100 nazionale di TheFork.

Proprio in questi giorni, la app numero uno per scoprire e prenotare ristoranti online ha rinnovato la sua Top 100, che diventa una ‘classifica dinamica’ dei 100 migliori ristoranti d’Italia. E si aggiornerà ogni mese sulla base della media di valutazioni, recensioni e volumi di prenotazione dei 6 mesi precedenti. Non solo: oltre alla classifica nazionale, da ora l’app offre anche classifiche locali delle principali città italiane. Ebbene, nella rilevazione appena chiusa su gennaio, tra i primi 15 ristoranti classificati, al sesto posto c’è il giapponese Tetsu di Ascoli Piceno. Una citazione che, nella ‘filosofia’ TheFork, vuole essere un piccolo suggerimento sui ristoranti capaci di regalare un’esperienza, nella vita quotidiana oppure in viaggio.

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Stangata inflazione, i dati della Cgia

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Foto Ansa/Giorgio Benvenuti

Negli ultimi anni, fra il 2021 e il 2023, una famiglia media italiana ha speso 4.039 euro in più a causa del boom dell’inflazione, pari al +14,2%. Se infatti nel 2021 la spesa annuale delle famiglie in termini correnti ammontava a 21.873 euro, nel 2023 è salita a 25.913 euro (+18,5%). A dirlo è l’Ufficio studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre CGIA. Nell’ultimo biennio l’aumento medio mensile dei costi di vita quotidiana per le famiglie è stato pari a 337 euro.

I rincari maggiori hanno interessato i biglietti aerei, le bollette di luce e gas e i prodotti alimentari: zucchero, riso, olio di oliva, latte a lunga conservazione, burro, etc.. Una stangata, dice ancora Cgia, che ha penalizzato soprattutto le famiglie più fragili economicamente. L’aumento generalizzato dei prezzi al consumo (l’inflazione) ha provocato una perdita di potere d’acquisto che non ricordavamo da almeno 25 anni. In altre parole, negli ultimi 24 mesi molti nuclei familiari hanno speso di più e hanno portato a casa un numero di beni e servizi decisamente inferiore.

Sempre più negozi chiusi

Una situazione che ha penalizzato, prosegue lo studio, anche le piccole attività commerciali. Se in questi ultimi due anni le vendite della grande distribuzione hanno tenuto, quelle delle botteghe artigiane e dei negozi di vicinato sono cresciute di poco in termini nominali, ma la contrazione in termini reali è stata preoccupante. Il risultato, dice Cgia, è sotto gli occhi di tutti. Nei centri storici, ma anche nelle periferie, il numero delle insegne rimosse e delle vetrine con le saracinesche perennemente abbassate sono in costante aumento.

Sul 2024 pesa l’incognita guerre

Secondo la CGIA di Mestre nel 2024 il peggio sarà alle spalle dal punto di vista dell’inflazione, che dovrebbe rallentare, registrando una crescita media inferiore al 2%. Pesa tuttavia l’incognita delle guerre, avvisa il centro studi veneto. Ed è sotto gli occhi di tutti che il mondo occidentale pacificato che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni non esiste più.

Gli equilibri geopolitici, economici e strategici stanno mutando. Prima la pandemia di Covid, poi la guerra in Ucraina, ora la guerra a Gaza: tutti elementi che rendono realistico pensare che avremo a che fare con anni molto difficili. Tanto che le previsioni sul carovita appena citate potrebbero rivelarsi sottostimate. Nel caso in cui le situazioni di crisi in Medio Oriente e in Ucraina dovessero precipitare ulteriormente, l’aumento dell’inflazione potrebbe attestarsi ben al di sopra del 2% previsto.

Inflazione, cos’è aumentato di più

Analizzando nel dettaglio le singole voci di spesa, gli aumenti più importanti avvenuti tra il 2021 e il 2023 hanno interessato i biglietti aerei dei voli internazionali (+106,1%), le bollette dell’energia elettrica (+93,1%), i biglietti dei voli aerei nazionali (+65,4%), le bollette del gas (+62,5%), lo zucchero (+61,7%), il riso (+48,2%), l’olio di oliva (45,5%), il latte conservato (+37,4%) e il burro (+37%). Per contro, i prodotti che hanno subito una riduzione di prezzo sono stati i televisori (-28,6%), telefonini (-12%), apparecchi per il suono (CD/DV player, stereo, amplificatori, radio, etc.: -11,4%), test di gravidanza e contracettivi (-10,3%). Ma anche libri di narrativa (-6,3%).

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Congedo maternità: nuovi chiarimenti del 2024

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Congedo maternità
Maternità - DirittoLavoro

Come di consueto, l’INPS pubblica periodicamente documenti che chiariscano il funzionamento delle norme vigenti. Di recente anche una circolare relativa al congedo maternità.

Con il messaggio n.287 del 22 gennaio 2024, l’INPS ha reso noti nuovi chiarimenti relativi al certificato telematico per congedo maternità. In particolare, il riferimento specifico nasce nell’ipotesi di assenza del certifica telematico e quindi per salvaguardare i diritti della lavoratrice. La comunicazione si attiene alle indicazioni della Cassazione e della giurisprudenza di merito. In esse è ribadito che il congedo di maternità è obbligatorio e della durata di cinque mesi in quanto un diritto indisponibile della lavoratrice.

A chi spetta l’invio del certificato telematico

Volendo chiarire cosa si intende per “diritti indisponibili“, si può specificare che quest’ultimi fanno riferimento ai diritti fondamentali atti a tutelare valori sociali e umani. A tal proposito, nel messaggio INPS dello scorso 22 gennaio si chiarisce che l’invio del certificato telematico di gravidanza è obbligatorio per il congedo di maternità. Ma è compito del medico del Servizio Sanitario Nazionale prendersene carico. Il Testo unico sulla maternità e paternità, in merito a quanto affermato, dispone che le lavoratrici debbano far pervenire al proprio datore di lavoro (così come all’INPS) il certificato medico di gravidanza con l’informazione della data presunta del parto. Inoltre, come specifica ancora l’Istituto, sono oggetto di spedizione anche il certificato del parto ed, eventualmente, quello di interruzione della gravidanza.

In merito al congedo maternità, l’INPS tiene a sottolineare altri aspetti, altrettanto, importanti. Tra questi che al diritto indisponibile corrisponde anche un divieto assoluto, gravante sul datore, di adibizione al lavoro (divieto penalmente sanzionato ai sensi dell’art. 18 dello stesso Testo unico sulla maternità e paternità). Il diritto al congedo di maternità non può essere compresso o limitato in alcun modo. Facendo riferimento al precedente giurisprudenziale Cass. n. 10180/2013, in cui si legge che: “Il periodo complessivo di cinque mesi non è disponibile“, l’INPS specifica che il periodo non potrà ritenersi né precluso, né circoscritto anche se il medico non abbia adempiuto all’invio del certificato telematico.

Cosa prevede il congedo maternità

In merito a tutte le precisazioni fatte in merito, l’INPS specifica ancora nel messaggio dello scorso 22 gennaio che se la domanda è fatta senza invio telematico del certificato di gravidanza, tale certificato potrà essere richiesto esclusivamente prima della nascita del minore. Dal giorno del parto, infatti, la procedura telematica non permette più al dottore incaricato l’inserimento del certificato telematico di gravidanza. Se la lavoratrice ha inviato un certificato cartaceo, emesso da un medico del Servizio Sanitario Nazionale, è ammesso utilizzare la data presunta del parto indicata nel cartaceo in oggetto.

Qualora sia stata dichiarata l’interdizione anticipata della lavoratrice con provvedimento emesso dalla ASL locale, senza l’emissione di certificato alcuno, è possibile servirsi della data presunta del parto. Infine, nel caso in cui non esiste nessuna della documentazione specificata, la lavoratrice potrà usufruire comunque del congedo di maternità (in quanto, come detto, diritto indisponibile). In questa ultima ipotesi, il tempo sarà stabilito calcolando due mesi prima rispetto alla data presunta del parto. Quindi, in definitiva, si può concludere affermando che, seppur in caso di mancato certificato telematico, una donna lavoratrice in gravidanza non può essere privata del suo diritto alla maternità.

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Autovelox: Italia il Paese delle multe, al top in Europa

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Autovelox Veneto multe
Foto Ansa/Michele Galvan

L’Italia è fra i paesi d’Europa che contano il maggior numero di autovelox lungo le strade. Le ultime stime registrano 11.130 apparecchi di rilevazione automatica della velocità lungo tutta la penisola. Molto più di Gran Bretagna (circa 7.700), Germania (oltre 4.700), Francia (3.780). Lo afferma il Codacons, che è intervenuto sui sempre più frequenti casi di autovelox smantellati a opera di ignoti. Un fenomeno che sta interessando diverse zone d’Italia: dalla Lombardia al Veneto, e dal Piemonte all’Emilia Romagna.

In base ai dati ufficiali del ministero dell’Interno, nel 2022 le principali 20 città italiane hanno incassato un totale di 75.891.968 euro grazie alle sanzioni tramite autovelox. Un dato che segnala una crescita del +61,7% rispetto ai 46.921.290 euro di proventi registrati dalle stesse amministrazioni comunali nel 2021, spiega il Codacons. La città con i maggiori incassi da autovelox è Firenze, pari a 23,2 milioni di euro, seguita da Milano (quasi 13 milioni), Genova (10,7 milioni) e Roma (6,1 milioni).

Multe per far cassa?

Non mancano però le sorprese: se Napoli si ferma ad appena 18.700 euro di incassi nel 2022, i comuni nella zona del Salento hanno ottenuto complessivamente circa 23 milioni di euro. Il tutto sempre relativamente a sanzioni elevate tramite gli autovelox. Il comune di Cavallino (Lecce), ad esempio, ha visto gli introiti passare da zero del 2021 ai 2.520.121 euro del 2022.

E ciò grazie all’apparecchio di rilevazione della velocità installato sulla statale 16 Lecce-Maglie. L’amministrazione di Surbo (Lecce) ha incassato 309.580 euro, che salgono a 720.022 euro a Trepuzzi (lecce) grazie ai tre autovelox installati sulla statale 613 Lecce-Brindisi. I maggiori introiti vanno però a Melpignano (lecce): 2.545.445 euro grazie agli autovelox sulla Statale 16 Lecce-Maglie.

L’esasperazione da autovelox

Ci sono poi i “casi anomali” di alcune strade, come la statale 372 Telesina, disseminate di postazioni autovelox. Fra l’altro, ad aumentare la confusione c’è il fatto che i limiti di velocità sono stati modificati nel tempo creando confusione tra gli automobilisti e portando a una raffica di sanzioni.

Quanto sta accadendo in questi giorni in Italia sul fronte degli autovelox attesta l’esasperazione dei cittadini. I quali si sentono tartassati e braccati dalle multe stradali e dal moltiplicarsi delle postazioni per il controllo della velocità” afferma il presidente del Codacons, Carlo Rienzi. “Ma non condividiamo atti di illegalità come quelli di chi distrugge e smantella gli autovelox. Chi supera i limiti di velocità, mettendo a rischio la propria vita e quella altrui, va sanzionato con la massima severità” sottolinea. “Tuttavia i comuni, dal canto loro, devono perseguire la sicurezza stradale e garantire l’incolumità degli automobilisti attraverso un uso più accorto degli autovelox. Troppo spesso installati al solo scopo di far cassa e utilizzare i cittadini come bancomat”.

Ne frattempo è caccia a “Fleximan“, il personaggio ignoto che in Veneto ha fatto fuori svariati autovelox. Si è trattato di 14 ‘colpi’, tutti in Veneto. Undici usando il flessibile, uno con l’esplosivo, un altro con una pistola a pallini e ancora uno con un mezzo agricolo usato come ariete. La ribellione contro gli autovelox fissi è diventata seriale. Lo è sicuramente tra le province di Padova, Rovigo, Treviso e Belluno. Ma si contano episodi anche in Emilia Romagna, Piemonte e in Lombardia.

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Ocse: Pil dell’Italia a +3,5% se fosse favorito il lavoro femminile

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Pil Italia Ocse lavoro donne
Foto Ansa

Se l’Italia s’impegnasse duramente per aumentare le politiche attive sul lavoro, incrementando l’istruzione terziaria e riducendo il divario di genere – con più donne, cioè, presenti nei vari settori – il Pil pro capite potrebbe aumentare del 3,5% entro il 2050. A metterlo nero su bianco, è un report dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che coinvolge 38 paesi di tutto il mondo.

Nel rapporto, reso noto il 27 gennaio, l’Ocse sottolinea il peso dei Neet. Si tratta di un acronimo inglese che sta per Not [engaged] in Education, Employment or Training. E si riferisce a coloro che non studiano né lavorano. In Italia le persone, a cominciare da molti giovani, che non studiano né lavorano sono il 23% del totale. Un valore che è inferiore soltanto a quello di Colombia e Turchia.

I dati dell’Ocse sull’Italia

La causa dei bassi livelli della partecipazione femminile al mercato del lavoro nel nostro Paese è relativa – segnala l’Ocse – non solo a un problema che concerne le donne e la presenza di stereotipi nel percorso educativo. Fattori che ancora oggi, nel 2024, spingono le ragazze molto spesso fuori dai percorsi di avviamento al lavoro con garanzia di retribuzioni più alte. Ma è anche relativa a un nodo fiscale.

Da un lato, infatti, osserva l’Ocse, “il calcolo delle imposte in base al reddito individuale anziché quello congiunto del nucleo familiare e l’Assegno Unico Universale incentivano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro“. Tuttavia “il sistema fiscale e previdenziale rimangono, in linea di massima, favorevoli alle famiglie monoreddito. Ciò rispecchia in larga misura le prestazioni sociali subordinate al reddito del nucleo familiare e il credito di imposta del coniuge a carico. Che dovrebbero essere gradualmente eliminate“.

“Molti laureati emigrano”

Secondo l’Ocse, ancora, l’aumento del numero di iscrizioni all’istruzione terziaria potrebbe far crescere il Pil pro capite dell’1,5%. “La quota di laureati nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni – scrive l’Organizzazione – è la seconda più bassa dell’Ocse dopo il Messico. E molti neolaureati emigrano. Tra il 2011 e il 2021 l’emigrazione netta cumulata di neolaureati è stata di circa 110mila persone“.

L’Ocse segnala inoltre come il nostro sistema universitario penalizzi i ricercatori più brillanti spingendoli all’emigrazione. Ciò a causa di retribuzioni basse e di mancanza di incentivi legati alla performance. “Occorrerà garantire – si legge ancora nel rapporto – condizioni di lavoro più attraenti e un legame sostanzialmente più forte tra performance e retribuzione. La retribuzione media dei ricercatori italiani è bassa rispetto ai dati rilevati per Francia, Germania e Regno Unito, soprattutto al livello di ingresso. Ciò scoraggia i ricercatori di talento dall’intraprendere carriere accademiche, privando le università italiane dei migliori talenti della ricerca“.

La sfida delle politiche attive

Ma è sulle politiche attive che dovrebbe concentrarsi la sfida dei prossimi Governi con un miglioramento che potrebbe valere l’1% del Pil. L’introduzione dell’assegno di formazione (Supporto per la Formazione e il Lavoro ) che sostituirà il Reddito di Cittadinanza per le persone occupabili potrebbe comportare – sostiene l’Ocse – risparmi di bilancio pari a circa l’1 % del Pil sul breve termine.

Ma “rischia di conseguire tali risultati a scapito dell’aumento della povertà dei percettori, in particolare di coloro che non possono accedere a una formazione adeguata o che hanno raggiunto la durata massima della prestazione“. Secondo l’Ocse “occorre rafforzare gli incentivi finanziari correlati all’assunzione di un impiego” e “assicurare un deciso potenziamento del sistema di formazione. La creazione di una nuova piattaforma digitale (Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, Siisl) rappresenta un passo positivo“.

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Eco-proteste, multe e carcere fino a 5 anni: la legge approvata dal Parlamento

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Proteste ultima generazione Roma
Foto X @bryan_toni76649

Dopo che il Senato lo aveva già licenziato a luglio, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge del Governo contro le eco-proteste. Il provvedimento prevede multe pesanti, con sanzioni che vanno dai 10 ai 60mila euro, e anche il rischio di carcere, fino a 5 anni, nei casi più gravi. “Chi deturpa, danneggia, imbratta un monumento deve risarcire lo Stato per le spese sostenute per ripristinare lo stato dei luoghi” esulta il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

Il ministro ha promosso il provvedimento perché, sottolinea, per restaurare i beni danneggiatiè bene che non paghino più gli italiani. Bensì chi si rende responsabile degli atti di danneggiamento“. “È ora di finirla con opere di immenso valore storico e culturale vandalizzate da social-confusi che per chiedere la salvaguardia della bellezza la deturpano“. “Gente neppure in grado di conoscere l’enorme valore del patrimonio che va a compromettere con gesti insani, lesionistici e autolesionistici” gli fa eco il vicepresidente della Camera di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli.

Stop alle eco-proteste, le reazioni

È un’ottima notizia per il turismo italiano: mantenere intatti i nostri monumenti e le nostre bellezze storiche contribuisce a preservare l’unicità e l’autenticità delle nostre destinazioni turistiche” sottolinea la ministra Daniela Santanché. Il Centrodestra fa quadrato attorno al provvedimento sulle eco-proteste. E lo definisce “di buon senso” mentre sono “inconcepibili” le proteste che pure arrivano dall’opposizione. “Un Governo che non investe un euro in cultura, si inventa l’ennesimo provvedimento inutile” attacca il PD. Un'”enormità“, una “reazione spropositata” dice Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana e parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra, in merito alle maxi multe e al rischio carcere per chi imbratta quadri e statue.

Il deputato dem, ed ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ricorda che non si è in presenza “di danni permanenti“. “La verità è che non tollerano il dissenso e ricorrono alle leggi penali per reprimerlo” rintuzza la ex presidente della Camera, Laura Boldrini. “Siamo passati dalla stagione di Dossetti in cui parlava di diritto alla resistenza civile, di democrazia, a parlare di vernice lavabile e di punizioni” evoca Gianni Cuperlo. Il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti definisce legittimo il protestare per cause giuste e osserva come “questi di ‘Ultima generazione’ almeno ci mettono la faccia“.

Gli attivisti di Ultima generazione

Gli attivisti di Ultima generazione formano un gruppo di ambientalisti che agisce a livello internazionale tramite azioni volutamente provocatorie. Generalmente imbrattano quadri, opere d’arte e monumenti con vernici lavabili, per richiamare l’attenzione sulla crisi climatica mondiale. Nelle brevi arringhe che pronunciano dopo l’imbrattamento, gli attivisti affermano che, come nessuno vuol vedere deturpata la bellezza di un’opera d’arte, così nessuno deve lasciar correre la deturpazione della natura che molte attività umane determinano ogni giorno, anche se non ce ne accorgiamo.

Condannati in 3 a Bologna

Di recente i blitz degli attivisti specializzati in eco-proteste si sono fatti più teatrali e, al tempo stesso, pericolosi. Gruppi di 5-10 persone si siedono in mezzo alle tangenziali a grande scorrimento automobilistico, correndo il rischio di farsi investire, e così bloccano il traffico per protestare. Il 18 gennaio il Gup di Bologna, Simona Siena, ha condannato a 6 mesi di reclusione 3 attivisti di Ultima Generazione che lo scorso 2 novembre furono arrestati per aver bloccato la tangenziale per circa un’ora per manifestare contro il cambiamento climatico. Alcuni di loro si erano ‘incollati’ le mani col cemento all’asfalto. Dovettero intervenire i vigili del fuoco e gli operatori sanitari del 118. La condanna, con pena sospesa, è arrivata per i reati di violenza privata aggravata e interruzione di pubblico servizio.

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NASPI: si può lavorare percependo la disoccupazione? Tutti i chiarimenti

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NASPI ai lavoratori
Lasciare posto di lavoro - DirittoLavoro

La NASPI (o disoccupazione), è un sussidio erogato dall’INPS ai lavoratori che hanno perso il lavoro involontariamente. Si tratta di un sostegno provvisorio con auspicabile reintroduzione nel mondo del lavoro. Esistono dei casi in cui, però, può essere percepita anche durante un nuovo impiego.

La NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), è un sussidio di disoccupazione erogata dall’INPS ai lavoratori che hanno perso il lavoro involontariamente. Il sostegno economico è provvisorio e auspica a fornire un aiuto economico fino ad nuova reintroduzione nel mondo del lavoro. Pertanto, in caso di nuovo lavoro, la disoccupazione è sospesa. Tuttavia, esistono degli estremi per i quali la NASPI continua ancora ad essere fornita, anche nel caso di una nuova occupazione. Di seguito osserviamo i casi nel dettaglio.

NASPI percepita da lavoratori a tempo determinato

Innanzitutto, vale la pena ricordare che la normativa prevede che la NASPI sia erogata solo nel caso in cui il lavoratore abbia perso il lavoro involontariamente. Quando si presenta la richiesta di disoccupazione, infatti, bisogno fare dichiarazione all’INPS della perdita di lavoro. Il sussidio è fornito solo a chi fa richiesta. E, nel caso in cui tra la domanda di disoccupazione e la ricezione effettiva della NASPI si trova un nuovo impiego, la ricezione dell’indennità sarà sospesa. Fare richiesta del sussidio significa anche comunicare la disponibilità ad un nuovo lavoro, che segue lo svolgimento anche di attività e progetti mirati al reinserimento.

Fatte queste dovute premesse, in linea generale, si può affermare che la NASPI non è compatibile con il lavoro. Infatti, svolgere un’attività in nero o con contratto mentre si riceve l’indennità è un illecito che prevede sanzioni. Di conseguenza, quando si inizia una nuova attività lavorativa è necessario fare delle dovute valutazioni. Innanzitutto, se si tratta di un contratto a tempo determinato occorre valutare lo stipendio. Qualora questo sia inferiore rispetto alla NASPI, allora si potrebbe avere diritto a continuare a ricevere un’indennità parziale. Di base, comunque, la NASPI può essere compatibile con il lavoro solo con un contratto dipendente a tempo determinato inferiore a 6 mesi con reddito inferiore a 8174,00 euro (come da Circolare numero 94 del 12/05/2015).

Lavoro autonomo e part-time

Per quanto riguarda, invece, le tipologie di contratto a tempo indeterminato l’indennità sarà sospesa a prescindere dal reddito. Nel caso di lavoro autonomo, la NASPI è compatibile con lo svolgimento di attività professionale o imprenditoriale (anche occasionale) dal quale derivi un reddito inferiore a 4.800 euro annui (5.000 euro per il lavoro occasionale accessorio). In questo caso il lavoratore deve, entro un mese dell’inizio dell’attività o entro un mese dalla domanda di NASPI in caso di lavoro preesistente, comunicare all’INPS il reddito annuo previsto. Qui l’indennità è ridotta dell’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo che intercorre tra l’inizio dell’attività e la fine dell’indennità.

Infine, esiste anche la possibilità di ricevere la NASPI in caso di lavoro part-time. Nel caso in cui il soggetto perda uno di due lavori part-time ha diritto a beneficiare della disoccupazione per quello perduto, continuando a svolgere anche l’altra attività purché essa non superi gli 8.145 euro annui. In definitiva vale la pena chiarire che, nel caso di qualsiasi dichiarazione falsa, si rischiano sanzioni importanti.

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Ita-Lufthansa, i sospetti della Ue: “Indagine approfondita sul caso”

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Ita Lufthansa voli fusione
Foto Ansa/Telenews

La Commissione europea ha deciso di avviare un’indagine approfondita sull’operazione commerciale Ita-Lufthansa, una delle più importanti sinergie industriali fra grandi compagnie aeree d’Europa. Il dossier andrà alla fase due: l’esame dell’Antitrust. Lo annuncia lo stesso esecutivo Ue, che deve tutelare la libera ed equa concorrenza nel settore voli. E lo fa in anticipo rispetto alla scadenza prevista del 29 gennaio.

La prima fase dell’indagine era stata avviata il 30 novembre scorso, dopo la notifica dell’operazione da parte del Tesoro e del vettore tedesco. Alla luce dei dati raccolti, Bruxelles ritiene che “l’operazione potrebbe ridurre la concorrenza” su “diverse rotte a corto e lungo raggio“. La Commissione ha ora 90 giorni lavorativi, fino al 6 giugno 2024, per prendere una decisione finale sul caso Ita-Lufthansa.

Lufthansa non offre garanzie?

Gli impegni offerti da Lufthansa l’8 gennaio per rispondere alle preoccupazioni preliminari della Commissione europea sono stati ritenuti insufficienti. Su alcune di queste rotte, spiega Bruxelles, le due compagnie “competono testa a testa con collegamenti non-stop. Una concorrenza limitata principalmente solo da vettori low cost, come Ryanair, che in molti casi operano da aeroporti più remoti“. Insomma il nuovo assetto societario di Ita, derivante dall’ingresso massiccio di Lufthansa nel suo capitale, rischia di creare un monopolio inaccettabile a fronte delle regole europee.

Per quanto riguarda le rotte a lungo raggio tra l’Italia e il Nord America, la Commissione valuterà ulteriormente dati e prospetti. Ovvero se le attività di Ita, Lufthansa e dei suoi partner della joint venture United Airlines e Air Canada, si debbano trattare come quelle di un’unica entità dopo la fusione. L’operazione Ita-Lufthansa, cioè, “potrebbe ridurre la concorrenza su alcune rotte a lungo raggio tra Italia e Stati Uniti, Canada, Giappone e India.”

Il Mef sul caso Ita-Lufthansa

Da parte sua il ministero dell’Economia precisa che “il Governo continua con determinazione nel percorso intrapreso. E auspica che la Commissione Ue decida magari prima del 6 giugno. In modo da supportare sviluppo e crescita di Ita Airways anche in vista della stagione estiva“.

Ma a Bruxelles non hanno alcuna fretta. E fanno notare che l’accordo tra Ita e Lufthansa “potrebbe creare o rafforzare la posizione dominante” della newco “presso l’aeroporto di Milano-Linate“. Così rendendo “più difficile per i rivali fornire servizi di trasporto aereo passeggeri da e per” l’hub lombardo. Da parte sua la commissaria alla Concorrenza nel mercato Ue, Margrethe Vestager, spiega che “con l’avvio dell’indagine approfondita” su Ita-Lufthansaintendiamo valutare più nel dettaglio l’operazione“. Ma anche “garantire che l’acquisizione di Ita non riduca la concorrenza nel settore del traffico a corto e a lungo raggio.E non comporti un aumento dei prezzi, una minore disponibilità o una qualità inferiore dei servizi di trasporto aereo di passeggeri da e verso l’Italia“.

I numeri di Lufthansa

Lufthansa è la principale compagnia aerea tedesca. Sede a Colonia, ha per hub principale l’aeroporto di Francoforte e per hub secondario quello di Monaco di Baviera. Le sue origini risalgono al 1926. La compagnia è parte e membro fondatore di Star Alliance, una delle più importanti alleanze globali tra compagnie aeree, creata nel 1997. Opera a livello mondiale con oltre 300 società tra controllate e partecipate. Il portafoglio di aziende si compone di network carrier, vettori point-to-point e società di servizi per il trasporto aereo.

Tra le compagnie sussidiarie interamente controllate figurano Austrian Airlines, Brussels Airlines, Swiss International, Air Dolomiti, Lufthansa Regional, Eurowings, Lufthansa Cargo. Il gruppo conta oltre 105mila dipendenti. Nel 2022 ha generato ricavi per 33 miliardi di euro ed è quotato sul listino di Francoforte. Ai comandi c’è l’amministratore delegato Carsten Spohr.

Le cifre di Ita

Per quanto riguarda Ita – la compagnia italiana erede della vecchia Alitalia – dal decollo del 15 ottobre del 2021, si è attestata ai vertici mondiali per l’indice di regolarità al 99,9%, e quello di puntualità. Ha una flotta di 69 aerei e una forza lavoro di 3.600 dipendenti. Dall’anno scorso è iniziato l’inserimento in flotta degli aeromobili di nuova generazione che sostituiranno progressivamente i velivoli di vecchia tecnologia. L’ampliamento della flotta porterà Ita ad essere “nel 2026 la compagnia più green d’Europa“. Ha chiuso il 2022 con una perdita netta di 486 milioni di euro mentre i ricavi sono stati pari a 1,576 miliardi. La compagnia vola verso 56 destinazioni, di cui 12 intercontinentali, 24 internazionali e 20 nazionali. Tra le destinazioni intercontinentali servite da Ita ci sono New York, San Francisco, Los Angeles, Miami, Buenos Aires, San Paolo, Rio de Janeiro, Tokyo, Nuova Delhi e le Maldive. Al momento Ita fa parte dell’alleanza Sky Team.

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