mercoledì, Gennaio 15, 2025
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Musk e la lotteria da un milione al giorno per sostenere Trump

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Trump lotteria di Elon Musk da un milione al giorno
Foto X @Par4thecourseC

Elon Musk, che non è ‘solo’ l’uomo più ricco del mondo ma anche l’aspirante governante degli Stati Uniti d’America al fianco di Donald Trump, ha cominciato a distribuire un milione di dollari al giorno. Lo fa dal fine settimana del 19 e 20 ottobre. Attraverso una sorta di lotteria rivolta a chi firma una sua petizione negli Stati in bilico, i cosiddetti Swing States,  per le prossime elezioni presidenziali statunitensi del 5 novembre.

Mancano 2 settimane e Musk ha deciso di dare una spinta a Trump comprando, in un certo senso, il consenso elettorale necessario. Con una pratica che in molti in America hanno già definito illegale e rientrante nella fattispecie giuridica di reato federale. Gli Swing States sono Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin. È in questi Stati che si deciderà il nuovo presidente degli Usa.

L’iniziativa di Musk e della sua organizzazione America PAC serve a raccogliere consensi ma anche fondi nei confronti di Trump, in vantaggio negli ultimi sondaggi sulla sua avversaria democratica Kamala Harris. Se però dovesse essere accertato che si tratta di una pratica illecita per comprare il voto di migliaia di persone negli Stati in cui ci sono ancora molti indecisi la cosa potrebbe ritorcersi contro Musk. E in ultima analisi contro Trump.

La ‘strana’ petizione di Musk

Musk ha dichiarato che assegna un milione di dollari ogni giorno a una persona diversa che sia regolarmente iscritta ai registri elettorali. E che abbia firmato la petizione di America PAC. La petizione è una richiesta di tutelare la libertà di parola e il diritto di possedere armi. Ma la lotteria è molto più semplicemente, per molti osservatori, uno stratagemma per indurre più persone possibili a iscriversi ai registri elettorali, in modo da incentivare una maggiore affluenza ai seggi per i repubblicani.

L’iniziativa mira a raccogliere almeno un milione di elettori negli stati in bilico. Chi firma la petizione deve fornire oltre al nome e al cognome anche un indirizzo e un numero di telefono. America PAC lo contatterà non solo in caso di vincita, ma anche per sollecitarlo a votare per Trump. Non solo. Come aveva già annunciato in precedenza lo stesso Musk, ogni firmatario della petizione riceverà 47 dollari per ogni persona che convincerà a firmare la petizione, sempre negli Stati in bilico. Tutti i partecipanti sono automaticamente iscritti alla lotteria, che assegnerà il premio giornaliero da un milione di dollari fino al 5 novembre.

L’assegno in Pennsylvania

Nel corso di un comizio, sabato 19 ottobre a Harrisburg, in Pennsylvania, Musk ha chiamato sul palco la persona che aveva vinto il premio da un milione di dollari del primo giorno della lotteria (foto in alto). Il vincitore ha detto di ammirare molto Musk e ha invitato gli elettori a votare, prima di ricevere un assegno. Ed essere liquidato dallo stesso Musk: “Comunque sia, prego“. Domenica 20 ottobre è stato assegnato un premio sempre da un milione di dollari a un altro comizio.

Il governatore: “Verifiche legali

Il governatore della Pennsylvania, il democratico Josh Shapiro, che si è speso molto per sostenere Harris, ha detto che le iniziative di Musk fanno sorgere “serie domande” su come stia investendo denaro per la campagna elettorale. E che potrebbero essere avviate verifiche da un punto di vista legale. Altri analisti ritengono che il sistema utilizzato da Musk sia a tutti gli effetti un modo per comprare il voto degli elettori, una pratica che va contro le leggi federali sulla libertà di voto.

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Germania, è recessione per il secondo anno: “La ripresa non prima del 2025”

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Germania recessione Pil
Foto X @lauranaka

Brutte notizie, economicamente parlando, per la Germania e, a cascata, per l’Europa. Il Governo tedesco ha tagliato le stime sul Pil del 2024 affermando che la “più grande economia europea subirà una contrazione per il secondo anno consecutivo prima che la ripresa inizi nel 2025”. L’esecutivo stima che il Pil si contrarrà dello 0,2% nel 2024, un netto taglio rispetto all’espansione dello 0,3% prevista in precedenza. Nel 2025, il governo prevede una crescita dell’economia dell’1,1%, rispetto all’1% precedente.

La revisione al ribasso delle previsioni arriva dopo una serie di eventi negativi che hanno pesato sulla ripresa economica della Germania. In particolare il congelamento annunciato a settembre di un importante progetto del gigante Intel. E l’annuncio di Volkswagen di possibili chiusure di stabilimenti e licenziamenti. L’economia tedesca, che ha a lungo beneficiato di energia a basso costo grazie agli accordi di fornitura di gas russo e di esportazioni sostenute, in particolare verso la Cina, sta ora sentendo il peso della guerra in Ucraina e della debolezza della domanda globale, in un contesto di tendenze protezionistiche.

Il destino della Germania

La Germania e l’Europa sono coinvolte nelle crisi tra Cina e Stati Uniti e devono imparare a far sentire la propria voce” ha dichiarato alla stampa il ministro dell’Economia Robert Habeck. Allo stesso tempo, la Germania sta affrontando sfide strutturali come l’invecchiamento della popolazione, l’aumento della concorrenza cinese, una burocrazia ingombrante e una complessa transizione ecologica. Questi problemi “stanno iniziando a pesare” ha insistito il ministro, aggiungendo che il Governo del cancelliere Scholz sta prendendo l’iniziativa per rafforzare l’attività economica.

A causa dei suoi problemi strutturali irrisolti, l’economia tedesca “non ha visto una crescita significativa dal 2018“, prima che la crisi di Covid scuotesse le cose, secondo Habeck. Il ministro dei Verdi ha anche attaccato la regola del “freno al debito” sancita dalla Costituzione, che limita le risorse dello Stato per gli investimenti. Secondo il ministro, “con un maggiore margine di manovra (di bilancio), la nostra economia potrebbe finalmente uscire dall’impasse“. Anche l’industria chiede l’abolizione della norma.

Sul fronte economico, nonostante l’euforia del torneo di calcio europeo e gli aumenti salariali, i consumi privati stentano a decollare. E ciò perché anche in Germania c’è un clima di incertezza prevalente. Aumenta, inoltre, la disoccupazione, che incoraggia i consumatori a risparmiare per precauzione. La debolezza della domanda estera e la politica monetaria restrittiva continuano a pesare sull’attività. E gli indicatori anticipatori dell’industria mostrano che la fase di debolezza continuerà nella seconda metà dell’anno, secondo il Ministero dell’Economia.

La ricetta del Governo Scholz

Secondo il ministero, a partire dalla fine del 2024 lo slancio della crescita economica in Germania dovrebbe riprendere. Il governo del Cancelliere Olaf Scholz, ancora molto impopolare, conta sulla sua “iniziativa per la crescita” proposta quest’estate, che comprende un pacchetto di misure da attuare rapidamente. Il piano prevede agevolazioni fiscali, una riduzione permanente dei prezzi dell’energia per l’industria, una riduzione della burocrazia e incentivi per mantenere gli anziani nel mercato del lavoro e attirare lavoratori qualificati dall’estero per far fronte alla carenza di manodopera.

Il piano del Governo rimane “insufficiente per rilanciare l’economia“, ha commentato Peter Adrian, presidente della Camera di Commercio e Industria tedesca (DIHK). Cinque importanti istituti (DIW, Ifo, IfW Kiel, IWH e RWI) avevano già stimato a settembre che la crescita non sarebbe tornata al ritmo pre-pandemico e avevano già abbassato le loro previsioni annuali. Queste vanno ora dalla stagnazione a una leggera recessione. Per i prossimi due anni, questi istituti sono meno ottimisti di Berlino, prevedendo una debole ripresa con aumenti del Pil dello 0,8% nel 2025 e dell’1,3% nel 2026.

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Le famiglie spendono in istruzione solo l’1% del proprio bilancio, il 4% va in alcolici e sigarette

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Spese scuola istruzione famiglie italiane
Foto X @CorriereUniv

Nei giorni in cui in Italia riaprono le scuole si fanno i conti con le spese per l’istruzione. Nel 2023 quasi un terzo dei consumi delle famiglie, pari 1.258 miliardi di euro complessivi su tutto l’anno, se n’è andato per la casa, mentre appena l’1% è quando si spende per istruzione e cultura. Se l’abitazione, l’anno scorso, ha risucchiato 364 miliardi dalle tasche degli italiani, libri di testo e formazione hanno pesato, sui bilanci familiari, per 9,7 miliardi.

Si tratta dell’unica voce in calo (-2%), nei conti, rispetto al 2019. Se ne va in alcolici e sigarette il 4% dei budget delle famiglie italiane ovvero quasi 50 miliardi, molto di più di quello si spende per farsi una cultura e/o darla ai giovani. Per quanto riguarda la sanità, la spesa è cresciuta di 5 miliardi (+12%) rispetto al 2019: da 34 miliardi a 43 miliardi. Ma se nel 2019 questa voce del bilancio delle famiglie occupava il 4% del totale, alla fine dello scorso anno è diminuita al 3%.

I consumi delle famiglie

I dati emergono dalla radiografia dei consumi delle famiglie italiane che ha realizzato il Centro studi di Unimpresa. Secondo l’istituto dal 2019 al 2023, dunque prima e dopo la pandemia da Covid, la spesa delle famiglie, complice soprattutto la fiammata dell’inflazione del biennio scorso, è salita di 171 miliardi (+16%), da 1.087 miliardi a 1.258 miliardi.

I dati sono la perfetta rappresentazione della nostra società e mostrano anche i guasti del sistema pubblico oltre a mettere in evidenza alcune caratteristiche negative sul piano culturaleha commentato il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. “Partendo dal basso, è chiaro che prestiamo troppa poca attenzione alla formazione e all’istruzione. Il servizio sanitario nazionale non funziona e impone alle famiglie sacrifici eccessivi. La voce ‘trasporti’ sarebbe più contenuta se le amministrazioni pubbliche, territoriali e statali, fossero capaci di offrire servizi migliori ai cittadini“.

Come si sono evolute le spese in 5 anni

Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati dell’Istat e della Corte dei conti, nel 2023 la spesa delle famiglie è arrivata a 1.258 miliardi, in aumento di 171 miliardi (+16%) rispetto ai 1.087 miliardi del 2019. Nel quinquennio in esame, la radiografia dei consumi degli italiani mostra una invarianza nella sua composizione, a esclusione della spesa per servizi sanitari che, pur in crescita in termini assoluti (+5 miliardi, da 38 miliardi a 43 miliardi), valeva il 4% del totale nel 2019 e “solo” il 3% a dicembre scorso.

Tutte le voci risultano in crescita, con aumenti che variano dal 5% al 34%, con due eccezioni: la voce “comunicazioni“, rimasta ferma a 23 miliardi, e quella “istruzione“, calata di 200 milioni (-2%) da 9,9 miliardi a 9,7 miliardi. Più nel dettaglio, sul totale di 1.258 miliardi, nel 2023 la casa (utenze, mobili, elettrodomestici e manutenzione) è costata in tutto 364 miliardi, in aumento di 53 miliardi (+17%) rispetto ai 311 miliardi del 2019. Questa voce vale il 29% del totale.

Dopo la casa, il cibo e i trasporti

La seconda posizione nella classifica dei consumi è occupata dagli alimenti, con 185 miliardi lo scorso anno in crescita di 30 miliardi (+19%) rispetto ai 155 miliardi del 2019. Terzo posto per i trasporti con 160 miliardi, in salita di 10 miliardi rispetto ai 141  miliardi di cinque ani fa (+14%), stabili al 13% del totale.

Beni e servizi vari “prelevano150 miliardi dai conti familiari, facendo segnare, col più 34%, la crescita maggiore pari a 38 miliardi rispetto ai 112 miliardi del 2019. La percentuale sul totale dei consumi è salita dal 10% al 12%. Le famiglie non rinunciano ad alberghi e ristoranti, che continuano a occupare il 10% dei budget: i 113 miliardi del 2019 sono diventati, con una crescita di 11 miliardi (+9%), 124 miliardi.

 

 

 

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Italia, pagamenti digitali in crescita

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Pagamenti digitali carte di credito carte di debito
Foto X @richardturrin

Sono in significativa crescita in Italia acquisti e pagamenti tramite strumenti digitali. Dal bancomat alla carta di credito, e fino alle carte prepagate, gli italiani sempre più spesso scelgono di abbandonare il contante e avvalersi dell’elettronica. La conferma arriva dai risultati della ricerca dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano. L’istituto evidenzia come i pagamenti digitali con carta in Italia abbiano raggiunto i 223 miliardi di euro nei primi 6 mesi di quest’anno.

In base all’analisi dell’Osservatorio, il valore transato dei pagamenti digitali (+8,6%) ha segnato un rallentamento rispetto a quanto registrato nello stesso periodo del 2023. Nei primi 6 mesi dello scorso anno, infatti, la crescita sui 12 mesi era del +13%. Tuttavia  da un altro punto di vista continua l’aumento sostenuto del numero di transazioni, che si attesta a 5,2 miliardi (+15,6%).

Trend in crescita

Di conseguenza, sottolinea Businesspeople.it, diminuisce l’importo dello scontrino medio, pari a 42,80 euro (rispetto al precedente 45,50 euro). Si tratta di un segnale significativo circa l’importanza di un utilizzo sempre più frequente dei pagamenti con carta anche per acquisti di importo più contenuto, un trend spinto soprattutto dalle carte di debito. Il valore dei pagamenti fatti in modalità contactless (sia tramite carte sia tramite wallet Nfc) ha superato i 130 miliardi di euro di transato, segnando una crescita del +23%.

Oggi quasi 9 pagamenti con carta in negozio su 10 in Italia si  effettuati in questa modalità. Il mercato dei pagamenti da smartphone e wearable in prossimità (ossia all’interno dei punti vendita), infine, continua la sua corsa. E si attesta a 19,9 miliardi di euro transati nei primi sei mesi del 2024, con una crescita del 58%. Aumenta anche il numero di transazioni, che supera 760 milioni nello stesso periodo (+68%).

I negozianti e i pagamenti digitali

Ora, se i costi dei pagamenti digitali per i privati sono regolati dai conti correnti ai quali sono agganciati le carte o i wallet (e negli ultimi anni non sono diminuiti), per i negozianti il tema dei costi di accettazione dei pagamenti elettronici resta serio. Per molti esercenti le commissioni che le banche applicano sulle transazioni ricevute sono ancora elevate. Per favorire un cambiamento in questo settore i rappresentanti degli esercenti e quelli degli operatori dei servizi di pagamento hanno siglato un apposito protocollo.

Si tratta di uno strumento che ha definito regole e standard per confrontare le offerte su diversi profili di esercente. “È emerso che il costo delle commissioni che impatta sul transato annuale varia da meno dello 0,9% per un negozio con scontrino medio pari a 5 euro, a oltre l’1,20%. In questo caso di parla di uno scenario in cui non vi siano microtransazioni in negozio. Percentuali che possono però crescere per esercizi commerciali in zone turistiche o con grande flusso di viaggiatori“. Così spiega il nodo della questione Ivano Asaro, direttore dell’Osservatorio Innovative Payments.

A queste percentuali è necessario sommare le spese legate ai terminali Pos come canoni mensili o installazione, differenti a seconda della banca e del tipo di terminale scelto». L’analisi richiama anche le politiche di prezzo degli operatori. Una maggiore diffusione dei pagamenti elettronici imporrebbe quella riduzione dei costi per gli esercenti e quella maggiore trasparenza che ancora manca.

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Stellantis ferma la produzione in 3 stabilimenti: Termoli, Pomigliano e Pratola

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Elkann Stellantis Macron
John Elkann. Foto Ansa/Epa Ludovic Marin

È un autunno durissimo quello di Stellantis e soprattutto dei suoi operai che rischiano massicciamente di perdere il posto di lavoro. Il 16 ottobre l’azienda automobilistica ha comunicato ai sindacati le prossime giornate di sospensione delle attività produttive previste per alcuni stabilimenti italiani. Vale a dire Pomigliano d’Arco, Termoli e Pratola Serra, a novembre.

Queste misure “sono necessarie per adeguare la produzione alle attuali condizioni di mercato e per garantire una gestione efficiente delle risorse” si legge in una nota. Le condizioni di mercato sono pessime: Stellantis è in crisi e le auto elettriche sono un flop clamoroso. Nel dettaglio, a Pomigliano d’Arco (Napoli) la produzione della linea Panda sarà sospesa nelle seguenti singole giornate: 11, 14, 15, 18, 21, 22, 25, 28 e 29 novembre 2024.

A Termoli (Campobasso) sulla Linea Fire la produzione si fermerà dall’11 al 24 novembre 2024 mentre sulle linee GME/GSE/V6 la produzione cessa nelle singole giornate 11, 15, 18 e 22 novembre 2024. Infine nello stabilimento di Pratola Serra (Avellino) la produzione sarà sospesa nelle singole giornate dell’11 e 12 novembre 2024.

Stellantis in crisi

Stellantis sta affrontando un momento particolarmente complesso nel percorso di transizione a causa della mancanza di ordini legata all’andamento del mercato dei veicoli elettrificati in Europa” si legge in una nota. Una realtà “che sta mettendo in difficoltà tutti i produttori, soprattutto europei“. “Siamo determinati a garantire la continuità dei nostri impianti e delle attività in questo momento complicato e continuiamo a supportare tutti i nostri colleghi e colleghe in questa fase. Si tratta di un percorso impegnativo, che comporta scelte complesse e non offre soluzioni immediate, ma richiede unità d’intenti e visione per accompagnare questa grande azienda, insieme a tutti i suoi dipendenti, nel futuro“.

Le stime negative di Moody’s

Intanto l’agenzia di rating Moody’s conferma i rating Baa1 e (P)P-2 per Stellantis N.V. ma taglia l’outlook da stabile a negativo. Una scelta, spiega l’agenzia, che avviene sulla scia della “gravità del cash burn previsto nel secondo semestre del 2024. A seguito del recente profit warning del management con l’aspettativa che la performance operativa rimbalzerà l’anno prossimo“.

Consegne in calo rispetto al 2023

Stellantis stima che le consegne consolidate nel trimestre chiuso il 30 settembre ammontino a 1.148mila unità. Ossia il 20% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Il calo delle consegne è stato maggiore rispetto a quello delle vendite ai clienti finali nel periodo, che si sono ridotte di circa il 15%, scontando l’impatto temporaneo della transizione del portafoglio prodotti e delle iniziative di riduzione delle scorte presso la rete.

Nel dettaglio, si legge in una nota del gruppo, in Nord America, le consegne sono diminuite di circa 170mila unità, di cui oltre 100mila unità relative ai preannunciati tagli alla produzione con l’intento di ridurre lo stock presso la rete. In Europa allargata, le consegne dagli stabilimenti sono diminuite di circa 100mila unità rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, per il posticipo del lancio dei modelli basati sulla piattaforma Smart Car, inclusa la Citroen C3 (che ha iniziato a essere consegnata alla rete in settembre).

Le prospettive per il lancio dei nuovi modelli di Stellantis in Europa sono al momento robuste con ordini per 50mila unità per la nuova Citroen C3 e di 80mila unità per la nuova Peugeot 3008. Nel “Terzo Motore” di Stellantis (che si riferisce all’aggregazione dei segmenti Sud America, Medio Oriente e Africa e Cina e India e Asia Pacifico, solo a scopo di presentazione) le consegne sono rimaste complessivamente invariate. Poiché la crescita in Sud America ha compensato i cali in Medio Oriente & Africa, Cina e India e Asia Pacifico.

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Stellantis, Tavares non esclude licenziamenti (sul modello Volkswagen)

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Tavares Stellanti salone auto Parigi
Il CEO di Stellantis Carlos Tavares. Foto Ansa/Epa Yoan Valat

Questa fine 2024 sta materializzando l’incubo di licenziamenti di massa nell’automotive: lo dimostra il caso Volkswagen in Germania, al quale il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, sembra volersi ispirare. “Non scarto nulla” è infatti la lapidaria dichiarazione di Tavares intervistato da radio Rtl al Salone dell’Auto di Parigi su possibili licenziamenti nell’ex Fiat .

L’amministratore delegato in odor di sostituzione si è spinto a non escludere un taglio ai posti di lavoro se la salute finanziaria del gruppo automobilistico non dovesse migliorare. Non che finora non sia avvenuto – solo quest’anno in Italia sono state incentivate quasi 3mila uscite – ma il concetto è sempre stato edulcorato. E affidato alla volontarietà di interrompere il rapporto di lavoro. Adesso, invece, le parole del numero uno dell’ex Fiat sono chiare.

Tavares vuole tagliare ma non solo

La salute finanziaria di Stellantis non passa unicamente dalla soppressione di posti” ha poi precisato nell’intervista Rtl. Bensì “passa attraverso tante altre cose: immaginazione, intelligenza, innovazione. Che è quello che stiamo facendo” ha assicurato Carlo Tavares. Per il portoghese la soppressione dei posti di lavori “non è al centro della nostra riflessione strategica“. Ma in ogni caso, l’opzione ufficialmente non può essere esclusa.

Si tratta soltanto di una minaccia al fine d’indurre il Governo Meloni a più miti consigli e dunque andare a incassare aiuti economici di rilievo? Non è ancora chiaro. Certo, però, adesso l’ipotesi licenziamenti (come in Germania sta facendo Volkswagen) è un incubo che per migliaia di famiglie si sta avvicinando.

Altri hanno creato il caos e voi chiedete a me di risolvere la situazione e di garantire posti di lavoro” si è poi arrabbiato Tavares a Parigi. Come se non fosse lui l’attuale ‘timoniere’ di Stellantis. “Non sono un mago, sono un essere umano come voi” ha detto ancora l’ad rispondendo ai cronisti italiani a margine del Salone dell’Auto. E di fatto sminuendo il suo ruolo di amministratore delegato di una delle più grandi aziende automobilistiche del mondo. “Mi chiedete di risolvere problemi creati da altri. Per risolvere quelle situazioni potrei dover fare cose che non saranno accolte bene” ha insistito l’ad. Secondo lui il problema fondamentale è la regolamentazione imposta dall’Unione europea sull’elettrificazione del comparto automobilistico.

Il dramma delle auto elettriche

Del resto, appena domenica scorsa 13 ottobre, al quotidiano francese Les Echos aveva detto che le misure protezionistiche sulle auto cinesi, con i dazi e la chiusura delle frontiere, saranno alla fine controproducenti. “Non aiuta. Investire in fabbriche sul suolo europeo consentirà ai produttori cinesi di evitare le tariffe. Inoltre, la loro impronta europea sarà in parte finanziata dai sussidi statali nei Paesi a basso costo. Non dovrebbe quindi sorprendere se i siti dovessero chiudere per compensare le sovraccapacità” ha avvertito. Un concetto già espresso in passato, visto che di fronte alla volontà del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, intenzionato a portare un costruttore cinese in Italia, aveva minacciato “vittime” se fosse avvenuto.

Da fine ottobre, le auto cinesi vendute in Europa saranno oggetto di una tassa all’importazione fino al 45%. Alcuni costruttori del Dragone, come Byd, hanno già annunciato di aprire siti in Europa per evitare le sovratasse. Vede un rischio per i siti Stellantis? “Non bisogna escludere nulla” ha sottolineato Tavares. Che poi ha aggiunto: “Se i cinesi prendono 10% delle quote di mercato in Europa al termine della loro offensiva, questo vuol dire che peseranno per 1,5 milioni di auto. Questo rappresenta sette fabbriche di assemblaggio. I costruttori europei dovranno allora sia chiudere, sia trasferirle ai cinesi“.

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Sogei, il direttore arrestato per corruzione. Sotto inchiesta il referente di Elon Musk in Italia

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Sogei arresti Paolino Iorio
Foto Ansa/VelvetMag

Un’inchiesta destinata a far rumore, quella della procura di Roma, che ha portato all’arresto in flagranza di reato del direttore generale di Sogei, Paolino Iorio, nella serata del 14 ottobre. Il dirigente della Società d’informatica del ministero dell’Economia e finanze è stato fermato dalle forze dell’ordine mentre intascava una busta di denaro – 15mila euro – frutto di presunta corruzione da un imprenditore.   

L’attività rientra nell’indagine dei pm capitolini in cui si ipotizzano i reati di corruzione e turbativa d’asta. Tra i 31 (18 persone fisiche e 14 giuridiche) indagati c’è anche Andrea Stroppa, classe ’94. Secondo la Gdf è il “referente di Elon Musk in Italia“, destinatario di presunte informazioni riservate provenienti da riunioni ministeriali. La Finanza scrive in un’informativa agli atti dell’indagine di “un articolato sistema corruttivo. Con diversi protagonisti e con ramificazioni sia all’interno del ministero della Difesa, sia in Sogei e sia infine al ministero dell’Interno“.

In particolare, secondo quanto scrive la Gdf, un militare della Marina indagato, “nell’apprendere del progetto volto all’acquisizione da parte del Governo del sistema satellitare (Starlink ndr) realizzato e fornito da un noto gruppo statunitense, approfitta dello svolgimento, presso il VI reparto di cui fa parte, di una riunione sul tema. Il tutto al fine di agganciare e contattare successivamente il referente italiano del Gruppo, Andrea Stroppa“.

La difesa di Stroppa

Tengo a dichiarare con forza la mia totale estraneità” ha dichiarato all’Ansa Andrea Stroppa. Estraneità rispetto “alla contestazione che è stata recentemente formulata nei miei confronti dalla Procura della Repubblica di Roma, che ha ipotizzato un mio coinvolgimento in un episodio di corruzione di un ufficiale dell’Esercito Italiano“.

Voglio precisare – spiega Stroppa – che tutti i rapporti che ho tenuto nel tempo con i pubblici ufficiali sono sempre stati improntati alla massima correttezza e trasparenza. Ho peraltro fornito sin da subito la più totale collaborazione agli inquirenti. Auspico che si possa accertare in tempi rapidi la mia totale estraneità rispetto ai fatti oggetto di indagine. Pertanto – ha concluso – proseguo nel mio lavoro con l’abituale serietà“.

Da Sogei fiducia ai pm

In una nota di Sogei si legge che la societàesprime piena fiducia nella magistratura, a cui sta prestando totale supporto. E si dichiara indiscutibilmente estranea ai fatti. Ove i fatti contestati fossero acclarati in maniera definitiva l’azienda si dichiarerà parte lesa e si tutelerà nelle sedi competenti“.

Lo Stato Maggiore della Difesa, dal canto suo, “assicurerà il massimo supporto alle autorità inquirenti. I presunti comportamenti per i quali si indaga non sono certamente compatibili con i valori e i principi fondanti delle Forze Armate italiane“. Il riferimento è all’indagine della procura di Roma sugli appalti banditi da Sogei che hanno coinvolto anche un capitano di fregata della Marina

Totale estraneità ai fatti

Sogei è poi intervenuta di nuovo sull’indagine della Procura di Roma. In una nota, l’azienda controllata al 100% dal ministero dell’Economia assicura che “l’evento occorso non incide minimamente sulle proprie capacità tecniche, organizzative e operative a garanzia della continuità dei servizi erogati a favore delle Amministrazioni clienti“. “Nel ribadire la totale estraneità ai fatti – conclude la nota – Sogei conferma che saranno intraprese con fermezza e determinazione tutte le azioni necessarie a tutelare la società, l’azionista e tutte le amministrazioni servite”.

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Stellantis, i concessionari contro Tavares: “Le e-cars non si vendono”

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Concessionari Stellantis sul piede di guerra
Foto X @FerracciMarc

Scendono in campo anche i concessionari di Stellantis per chiedere all’Europa di spostare dal 2025 al 2027 l’entrata in vigore dei limiti Ue sulle emissioni auto. Dal prossimo ano, infatti, tali limiti scenderanno a 95 gCO2/km.

Una posizione analoga a quella espressa dall’Acea, di cui fanno parte Volkswagen e Renault, ma non più Stellantis. Per niente in sintonia, invece, con l’idea, l’amministratore delegato del gruppo italofrancese Carlos Tavares, secondo il quale le regole a gioco iniziato non si cambiano e pensare ora di modificare le norme europee sulle emissioni di CO2 “sarebbe surreale“.

Stellantis e le auto elettriche

Tutti conoscono le regole da molto tempo, tutti hanno avuto il tempo di prepararsi e quindi adesso si corre” ha detto nei giorni scorsi il numero uno di Stellantis. Tavares del resto l’11 ottobre sarà in Commissione Commercio e turismo della Camera per un’audizione.

Ma i concessionari non ci stanno e si rivolgono direttamente ai più alti vertici Ue. In una lettera inviata alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen affermano: “In qualità di distributori, siamo in contatto quotidiano con clienti finali che spesso rifiutano i Bev a causa di preoccupazioni su prezzo, autonomia e accessibilità. Ciò ci pone in una posizione contraria a quella del produttore che rappresentiamo, che rimane ottimista circa il rispetto di queste severe normative Ue”.

“Tuttavia, dal nostro punto di vista, è chiaro che il settore non è ancora pronto a raggiungere il volume necessario di vendite di veicoli elettrici. Questa crescente divergenza tra obiettivi normativi, prontezza del mercato e aspettative del produttore è motivo di preoccupazione. Non è stata quindi una sorpresa quando la maggior parte dei produttori europei, tramite Acea, ha chiesto un rinvio di questi obiettivi, una proposta che sosteniamo pienamente”.

“Dobbiamo fare gioco di squadra”

A intervenire sulla questione interviene anche l’Anfia: “Nel 2025 avremo un grosso problema, con il target del 15% di riduzione del CO2 da parte delle Case automobilistiche che fa parte della roadmap europea verso l’addio a diesel e benzina. Ma è un target che, con gli attuali numeri dell’elettrico, è raggiungibile solo riducendo la produzione di auto endotermiche di 2/2,5 milioni di unità. È un paradosso in un periodo già difficile per l’automotive“.

Stellantis comunque sdrammatizza e invoca il “gioco di squadra“. “Insieme ai nostri concessionari e all’offerta Bev esistente di 40 modelli. Abbiamo già raggiunto la terza posizione sul mercato Bev dell’Ue, molto vicino a Tesla, e siamo molto orgogliosi di contribuire come squadra alla lotta contro il riscaldamento globale” spiega Stellantis. “Lavoreremo con i nostri concessionari – aggiunge l’azienda presieduta da John Elkannper definire il mix perfetto di vendite entro i limiti della conformità alle norme sulle emissioni di CO2, sfruttando la nostra piattaforma multi-energia come asset unico nel mercato europeo“.

Tavares e la crisi di Stellantis

Stellantis sta intanto mettendo in atto misure drastiche per cercare di conservare liquidità. Il gruppo guidato da Carlos Tavares, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, varerà una serie di provvedimenti, noti internamente all’azienda come metodo “doghouse“, con l’obiettivo di limitare le spese esterne.

Questa nuova misura arriva dopo il profit warning sui conti per il 2024 lanciato lunedì 30 settembre da Stellantis. Si prevede un taglio del margine dal 10% al 5,5-7% e il free cash flow industriale atteso tra -5 e -10 miliardi invece che positivo. Il problema è soprattutto il calo delle vendite nel mercato americano e le eccessive scorte accumulate, elementi che vanno a incidere negativamente sui profitti di Stellantis negli Usa, il mercato più profittevole.

 

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Stipendi dei precari a scuola, l’Italia deferita alla Corte europea di giustizia

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Precari scuola stipendi Italia
Foto Ansa/Andrea Fasani

Non ha posto fine all’uso abusivo di contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie nella scuola. Per questo la Commissione Ue ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia europea. Il nostro Paese, sostiene la Commissione, “non ha adottato le norme necessarie per vietare la discriminazione in merito alle condizioni di lavoro e l’uso abusivo di successivi contratti a tempo determinato”.

E la legislazione sullo stipendio degli insegnanti a tempo determinato nella scuola pubblica “non prevede una progressione salariale” basata “sui precedenti periodi di servizio“. Si tratta perciò di “una discriminazione rispetto agli insegnanti assunti a tempo indeterminato“. La Commissione von der Leyen ritiene che “la legislazione italiana che determina lo stipendio degli insegnanti a tempo determinato nelle scuole pubbliche non preveda una progressione salariale incrementale basata sui precedenti periodi di servizio“.

Ciò costituisce una discriminazione rispetto agli insegnanti assunti a tempo indeterminato. Che hanno diritto a tale progressione salariale” spiega la Commissione. Inoltre, contrariamente al diritto dell’Ue, l’Italia non ha adottato misure efficaci per impedire l’uso abusivo di successivi contratti di lavoro a tempo determinato del personale amministrativo. Così come di quello tecnico e ausiliario nella scuola pubblica. Tutto questo vìola la normativa europea sul lavoro a tempo determinato. La Commissione ritiene “che gli sforzi delle autorità siano stati, finora, insufficienti e pertanto sta deferendo l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea“.

Il commento dell’Anief

L’Anief (Associazione nazionale insegnanti e formatori) è intervenuta e commento di quanto accaduto. E, pur lodando l’intervento della Commissione che ha stabilito il deferimento dell’Italia alla Corte, ne ha stigmatizzato la tempistica ‘biblica’. “Trattamento discriminatorio per 400mila precari ha dichiarato Anief. “La Commissione europea interviene 10 anni dopo la procedura di infrazione attivata nei confronti dell’Italia” è stato il commento del segretario del sindacato, Marcello Pacifico.

È evidente che dopo 25 anni dall’approvazione della direttiva, ancora oggi in Italia non si rispetta la norma europea. Sono più di 400mila i docenti con più di 36 mesi di servizio che hanno subito questo abuso”. La Commissione chiede misure che prevengano questo abuso “Per noi si tratta del doppio canale di reclutamento. E deve essere introdotto il principio di non discriminazione che pretende lo stanziamento di risorse straordinarie anche in vista del nuovo contratto“.

Identikit dei docenti della scuola

Per quanto riguarda un identikit del docente medio in Italia, viene in aiuto il rapporto relativo all’Europa Education at glance, presentato lo scorso aprile. I docenti di scuola sono sempre più prossimi alla pensione e poco pagati. È questa la condizione di chi sale in cattedra per preparare i nostri studenti alle sfide del futuro. La classe docente italiana, infatti, è tra le più anziane del mondo: ben il 58% dei suoi componenti ha un’età superiore ai 50 anni.

La situazione in Europa

Nessuno nell’area OCSE, come mostra l’ultimo rapporto fa peggio di noi. Svecchiare la classe docente? Una missione complicatissima. Come fa notare un ulteriore approfondimento del report effettuato da Skuola.net, dalla media globale dei prof over 50, fissata dall’OCSE al 35% del corpo insegnante, ci separa un abisso. Solo altre tre nazioni, in Europa, non sono poi così lontane: Lituania (54% di docenti boomer), Grecia (51%), Estonia (50%).

In tutti gli altri casi sono meno della metà. E il confronto con i Paesi del Vecchio Continente assimilabili al nostro è spesso impietoso: in Francia gli insegnanti più vicini alla pensione sono il 30%, in Spagna il 35%, in Germania il 40%. La quota maggiore di giovani professori? La troviamo in Turchia: qui gli over 50 sono appena il 15%. Molto bene fanno pure Gran Bretagna (20%), Irlanda (21%) e Lussemburgo (22%).

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Usa, su Google la scure dell’Antitrust: la Big Tech potrebbe essere ‘spezzata’

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Google Governo Usa scontro giudiziario
Foto Ansa/Epa Justin Lane

Google cambi o sarà nei dolori. Si potrebbe riassumere anche così quanto sta accadendo in America al più celebre motore di ricerca su Internet del mondo. Il Governo degli Stati Uniti ha raccomandato alla Big tech di Mountain View di cambiare il suo modello e aprire il suo motore di ricerca alla concorrenza. Si tratta in realtà è un vero e proprio ammonimento: Google ha già subito, infatti, una condanna nel mese di agosto.

Nel documento di 30 pagine inviato al giudice federale Amit Mehta a Washington, il Dipartimento di Giustizia (DOJ) di Washington fa riferimento a possibili cambiamenti “strutturali” per Google. Un termine che molti osservatori traducono con una scissione. Lo stesso magistrato aveva giudicato Google colpevole di pratiche anticoncorrenziali nella gestione e promozione del suo famoso motore di ricerca.

La causa aveva messo in evidenza le cifre sbalorditive che la sussidiaria di Alphabet aveva sborsato, per garantire l’esclusività di Google Search, ai produttori di smartphone e browser Internet. Secondo il sito web StatCounter, Google rappresentava il 90% del mercato globale della ricerca online a settembre e addirittura il 94% per gli smartphone. Il documento pubblicato martedì 8 ottobre è solo una bozza delle raccomandazioni che il Dipartimento di Giustizia farà al giudice Mehta nel corso del prossimo mese di novembre.

Google, i cambiamenti “strutturali

Questa prima versione delinea una serie di strade per la riforma. Fra esse l’obbligo per Google di rendere accessibili i dati e i modelli di programmazione utilizzati per generare risultati tramite il suo motore di ricerca. Il Dipartimento di Giustizia sta anche valutando la possibilità di chiedere al giudice di vietare a Google di utilizzare o conservare i dati che si rifiuta di condividere con società terze.

Il Governo americano sta inoltre suggerendo la possibilità di impedire al gigante della tecnologia di utilizzare il suo browser Chrome, Google Play Store e il sistema operativo mobile Android per dare un vantaggio al suo motore di ricerca. Questa limitazione delle interconnessioni tra i vari prodotti del gruppo di Mountain View (California) potrebbe comportare cambiamenti “strutturali“, con il DOJ che punta così nella direzione di una rottura.

La replica dell’azienda

Dividere Chrome e Android li distruggerebbe e provocherebbe molti altri effetti” ha detto Google in una dichiarazione pubblicata sul suo sito web. Una separazione forzata fra l’uno e l’altro prodotto del gigante del web “cambierebbe il modello di business, aumenterebbe il costo dei dispositivi. E minerebbe Android e Google Play nella loro competizione con l’iPhone e l’App Store“.

Per quanto riguarda un’eventuale condivisione dei dati di ricerca e dei risultati con altri attori di Internetrappresenterebbe un rischio per la protezione dei dati e la sicurezza“, sostiene la società californiana. Per Google, le raccomandazioni del governo degli Stati Uniti “vanno ben oltre le questioni legali affrontate in questo caso“. Insomma, fra gli Usa e il colosso di Internet è orma guerra aperta. Gli Stati e i Governi di tutto il mondo sanno, del resto, che al tempo della dilagante Intelligenza Artificiale Google come Apple e altri attori stano divenendo ancora più potenti e pervasivi.

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