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Bonus assunzioni Donne 2024: come si ottengono

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Bonus
Assunzione - Diritto Lavoro

L’INPS ha pubblicato le nuove tabelle di riferimento per l’applicazione del Bonus assunzioni Donne 2024 di cui alla Legge Fornero. Di seguito alcune precisazioni sull’ottenimento degli incentivi e sulla loro funzione. 

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali individua, ogni anno e tramite decreto, i settori e le professioni nei quali il tasso di disparità tra uomo e donna è superiore al 25%. Informazioni, quest’ultime, che vengono rilevate attraverso i dati Istat sulla base di una media annua. In questo modo è possibile rendere nota la tabella con i parametri per l’applicazione del Bonus assunzioni Donne in riferimento all’articolo 4, commi 8-11, L. 92/2012.

A chi spetta il Bonus assunzioni Donne

Attualmente risulta pubblicato il decreto interministeriale n. 365 del 20 novembre 2023 con il quale il Ministero del Lavoro e il Ministero dell’Economia hanno individuato settori e professioni dove la disparità tra uomo e donna è più elevata. A tal proposito è possibile usufruire degli incentivi sopracitati. Nella fattispecie, il Bonus assunzioni Donne si presenta come un incentivo per le imprese di tipo strutturale, quindi non soggetto alla Legge di Bilancio, che è finalizzato all’assunzione principalmente di donne che sono in possesso di determinati requisiti.

Tali incentivi sono stati introdotti dalla Legge Fornero ed esistono da 10 anni. Inoltre, bene evidenziare che, non essendo legati alla Legge di Bilancio, non devono subire nessuna proroga annuale. Ad ogni modo, però, il Ministero del Lavoro rilascia periodicamente delle tabelle di riferimento a cui attenersi. Le assunzioni tramite il Bonus assunzioni Donne possono essere sia a tempo determinato che indeterminato, così come di somministrazione. Ovviamente, a seconda del tipo di assunzione, esistono delle differenziazioni anche rispetto alla portata degli incentivi.

Nello specifico, per le assunzioni a termine il Bonus spetta per 12 mesi ed è pari al 50% dei contributi INPS a carico del datore di lavoro. La legge di bilancio 2021 ha ampliato questo esonero portandolo a 100% dei contributi per le assunzioni nel 2021 e 2022 (fino ad un massimo di 6000 euro). Nel caso del tempo indeterminato, anche quando subentra una trasformazione da determinato ad indeterminato, l’incentivo è per 18 mesi. Il Bonus assunzioni Donne spetta anche nel caso di proroga del rapporto fino al limite complessivo di 12 mesi.

Come accedere all’incentivo

Per poter accedere all’incentivo il lavoratore deve rispondere, tuttavia, a requisiti specifici al momento dell’assunzione. Doveroso, a questo punto, un chiarimento rispetto al fatto che, in realtà, il Bonus si applica sia a uomini che donne over 50 disoccupati da oltre 12 mesi. In aggiunta, rispetto al comparto femminile, si specifica che il Bonus si applica anche all’assunzione di donne di qualsiasi età, disoccupate da almeno 24 mesi, in qualsiasi settore e in tutte le Regioni d’Italia. L’incentivo può essere, infine, usufruito per l’assunzione di donne di qualsiasi età residenti nelle aree svantaggiate e prive d’impiego da almeno 6 mesi, oppure per l’assunzione nei settori e nelle professioni in cui il tasso di disparità tra uomo e donna superi il 25% del valore medio annuo.

Esclusi dalla fruizione del Bonus assunzioni Donne, invece, i contratti di apprendistato, i contratti di lavoro domestico, il lavoro a chiamata o intermittente, così come le prestazioni di lavoro occasionale. Esclusi, infine, anche i contratti di lavoro a tempo indeterminato di personale con qualifica dirigenziale. In conclusione, ultima informazione utile, per fare domanda i datori di lavoro possono richiedere l’incentivo tramite il portale web dell’INPS per poi detrarli direttamente in F24 tramite DM10.

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Carburante ecologico per aerei: primo volo Londra-New York

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virgin carburante saf ecologico
Foto X @VirginAtlantic

Il carburante ecologico per aviazione sostenibile comincia a occupare uno spazio nei voli internazionali. È infatti decollato il primo volo transatlantico alimentato da questa nuova generazione di combustibili. Si è trattato di un jet passeggeri della Virgin Atlantic che martedì 28 novembre ha compiuto la traversata da Londra a New York.

Le compagnie aeree puntano sul carburante ricavato dai rifiuti per ridurre le loro emissioni inquinanti del 70%. In tal modo potranno continuare a operare prima che i viaggi aerei elettrici e a idrogeno diventino una realtà (ma ci vorranno decenni). Per indicare l’odierno carburante ecologico si adopera l’acronimo SAF: indica tutti i carburanti per aviazione prodotti senza l’utilizzo di materie prime fossili, come il petrolio o il gas naturale.

Il 28 novembre è decollato da Londra un Boeing 787 della Virgin alimentato da motori Rolls-Royce Trent 1000, come detto primo volo commerciale a lungo raggio con il 100% di carburante SAF. Questo volo ha fatto seguito alla traversata transatlantica effettuata con successo la settimana scorsa da un jet d’affari Gulfstream G600 che utilizzava lo stesso carburante.

A bordo anche Richard Branson

Sul primo volo passeggeri intercontinentale a carburante SAF erano presenti anche il miliardario fondatore della Virgin Atlantic, Richard Branson, l’ad della compagnia aerea, Shai Weiss, e il ministro dei trasporti britannico, Mark Harper. Sul Boeing 787 della Virgin non erano presenti passeggeri paganti né merci. Il volo che Virgin ha battezzato Flight100 arriva pochi giorni prima dell’inizio dei colloqui sul clima per la Conferenza mondiale dell’Onu – la COP28 – a Dubai, al via giovedì 30 novembre.

Attualmente il carburante SAF è già utilizzato nei motori a reazione come parte di una miscela con il cherosene tradizionale. Ma dopo i test a terra condotti con successo, Virgin e i suoi partner Rolls-Royce, Boeing, BP e altri hanno ottenuto l’autorizzazione a volare utilizzando solo il SAF. Molte compagnie aeree europee – tra cui Virgin, British Airways, di proprietà di IAG, e Air France – hanno dichiarato di voler utilizzare il 10% di SAF entro il 2030. L’obiettivo del settore di emissioni “net zero” entro il 2050 si basa sull’aumento di questa quota al 65%.

Tuttavia, l’obiettivo del 2030 sembra impegnativo, visti i piccoli volumi di SAF e il suo costo elevato, attualmente da tre a cinque volte superiore a quello del normale carburante per aerei. In ottobre, il capo di IAG ha avvertito che c’era un rischio superiore al 90% che l’industria non avrebbe rispettato il mandato dell’Unione Europea per la disponibilità di SAF nel 2025.

Ambientalisti scettici sul carburante

Sul fronte dei gruppi di attivisti per il clima e la tutela della Terra c’è un forte scetticismo circa il nuovo carburante ecologico per gli aerei. L’associazione ambientalista Stay Grounded ha definito il volo della Virgin del 28 novembre “una distrazione di greenwashing (ecologismo di facciata, ndr.)”.

(I sostituti del carburante) non sono neanche lontanamente ipotizzabili nei tempi necessari per evitare il collasso climatico. Ciò che è urgentemente necessario è ridurre la combustione di combustibili fossili per aerei, il che significa ridurre i voli ovunque sia possibile” ha dichiarato Magdalena Heuwieser, che rappresenta Stay Grounded. L’industria aeronautica spera che il volo della Virgin Atlantic metta in evidenza la necessità di fornire ai Governi un sostegno finanziario per rendere il SAF più facilmente disponibile. Virgin ha dichiarato che i motori del volo saranno svuotati del SAF e testati prima di tornare in servizio con il carburante normale.

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Congedo straordinario e permesso 104 per più lavoratori: chiarimenti dell’INPS

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Chiarimenti Inps congedo straordinario e permesso 104 per più lavoratori
Chiarimenti Inps congedo straordinario e permesso 104 per più lavoratori - diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

Arrivano dall’INPS direttive volte a chiarire i criteri operativi relativi alla validazione dei permessi stabiliti dalla Legge 104 e al congedo straordinario, destinati a diversi richiedenti che si impegnano nell’assistenza alla stessa persona affetta da disabilità. L’istituto stabilisce, così, una cornice più precisa per quanto riguarda l’erogazione di tali agevolazioni.

I chiarimenti forniti dall’INPS, tramite il messaggio n. 4143 del 22 novembre 2023, si focalizzano in particolare sulle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 105/2022, in vigore dal 13 agosto 2022. Decreto che ha impattato in maniera significativa sull’articolo 33 della Legge 104/1992, eliminando il principio del cosiddetto referente unico all’assistenza” in relazione alla fruizione dei permessi disciplinati dal comma 3 di detto articolo 33. In conseguenza di ciò, mediante la circolare n. 39 del 4 aprile 2023, l’Istituto aveva impartito istruzioni amministrative e procedurali destinate ai lavoratori del settore privato.

Diritto di assistenza per più lavoratori al medesimo individuo affetto da disabilità

L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), mediante il messaggio n. 4143 datato 22 novembre 2023, ha chiarito che, pur rimanendo la restrizione del riconoscimento del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5 del D.lgs. 151/2001 a un solo lavoratore per l’assistenza a una persona con disabilità grave, è, invece, consentita l’autorizzazione contemporanea per l’utilizzo sia di detto congedo che dei permessi contemplati dall’articolo 33 della legge n. 104/1992 a diversi lavoratori, nell’ambito dell’assistenza al medesimo individuo affetto da disabilità grave. Tale autorizzazione è subordinata all’alternanza nell’impiego di tali agevolazioni, a condizione che non si sovrappongano negli stessi giorni.

Possibilità sovrapposizione permessi e congedo straordinario

Si evince, dunque, che è possibile accogliere richieste di congedo straordinario relative a periodi in cui siano già state autorizzate fruizioni di tre giorni di permesso mensile, previsti dall’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992, o prolungamento del congedo parentale, di cui all’articolo 33 del decreto legislativo n. 151/2001, o ancora delle ore di permesso alternative al prolungamento (articolo 33, comma 2, della legge n. 104/1992 e articolo 42, comma 1, del decreto legislativo n. 151/2001) per fornire assistenza alla stessa persona disabile in situazione di gravità.

Allo stesso modo, per i mesi in cui siano già autorizzati periodi di congedo straordinario, potrebbe essere concessa l’approvazione di domande per usufruire di tre giorni di permesso mensile, prolungamento del congedo parentale o delle ore di permesso alternative al prolungamento del congedo parentale presentate da referenti diversi, sempre nell’ottica di assistere la medesima persona disabile in condizioni di gravità.

Tuttavia, è essenziale ribadire che tali benefici non potranno essere goduti simultaneamente nelle stesse giornate, poiché rappresentano opzioni alternative che perseguono la stessa finalità di assistenza alla persona disabile in situazione di gravità.

In cosa consistono i permessi previsti dalla legge 104

Il dipendente che presta assistenza a un familiare affetto da grave disabilità, sia esso un parente o affine entro il secondo grado (o entro il terzo grado, in circostanze particolari), gode del diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile ai sensi della Legge 104. Tali permessi possono essere utilizzati in modo continuativo. Il lavoratore ha la facoltà di usufruire dei permessi giornalieri previsti dalla Legge 104 per l’assistenza al familiare disabile grave, a condizione che quest’ultimo non sia ricoverato a tempo pieno. È opportuno sottolineare, poi, che i permessi giornalieri concessi dalla Legge 104 sono sempre retribuiti e costituiscono oggetto di contribuzione figurativa, contribuendo così al computo utile per la pensione del lavoratore.

In cosa consiste il congedo straordinario

Il congedo straordinario può essere richiesto dai lavoratori al fine di prestare assistenza a familiari affetti da gravi condizioni di disabilità, con una durata massima complessiva di due anni per ciascuna persona assistita e nel corso dell’intera vita lavorativa del richiedente. Tuttavia, tale congedo non è concesso qualora il disabile sia ricoverato a tempo pieno in istituti specializzati, a meno che la struttura sanitaria ospitante non richieda espressamente la presenza del familiare. Il diritto del lavoratore di usufruire del congedo straordinario deve essere esercitato entro un termine massimo di 30 giorni dalla richiesta. Tale concessione può essere fruita in modo continuativo o frazionato ed è vietato al lavoratore svolgere qualsiasi attività lavorativa durante il periodo di congedo. L’intervallo temporale in cui è fruito il congedo straordinario è coperto fino a un determinato limite da contributi figurativi, i quali concorrono alla maturazione dei requisiti utili per la pensione del lavoratore.

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Assegno sociale 2023: cambiano gli importi

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Assegno sociale
Equità sociale e Assegno sociale - DirittoLavoro

Novità per l’Assegno sociale 2023. Da dicembre cambiano gli importi e con l’aumento arrivano anche gli arretrati. Aggiornati anche i limiti di reddito per i beneficiari.

In seguito al conguaglio della rivalutazione, ufficializzato dall’Inps con il messaggio n. 4050 del 2023, cambia il valore dell’Assegno sociale. La prestazione assistenziale, offerta al compimento dei 67 anni alle persone che sono in uno stato di bisogno economico, cambia gli importi a dicembre 2023. Da dicembre infatti, secondo quanto si apprende, i beneficiari della misura percepiranno un aumento che dovrebbe arrivare insieme agli arretrati dei mesi precedenti. La rivalutazione dell’Assegno sociale, principalmente, parte da una valutazione annua in merito all’aumento del costo della vita.

L’aumento dell’Assegno sociale

L’Assegno sociale prevede un importo massimo che si deve adeguare al costo della vita. Si tratta di una prestazione assistenziale erogata a chi ha un reddito pari a zero, come ad esempio chi non ha versato i contribuiti durante gli anni lavorati (o disoccupati) non riuscendo a garantirsi una pensione. Ne hanno diritto, ma solo ad una parte, anche coloro che non hanno un reddito pari a zero, ma che non superano il valore annuo dell’Assegno sociale. In questo ultimo caso si spiega perché, anche chi percepisce una pensione, può usufruire della prestazione assistenziale. Fatte le dovute premesse è utile chiarire che anche l’Assegno sociale godrà a dicembre del conguaglio della rivalutazione 2023.

Con il conguaglio si aggiunge, all’importo percepito, lo 0,8% non applicato nel gennaio 2023 e pari alla differenza tra il tasso di perequazione provvisorio utilizzato (7,3%) e quello definitivo accertato solamente in un secondo momento (8,1%). Tale differenza, come spiega l’Inps, si applica sull’importo dell’Assegno sociale aggiornato al 2022. Questo andrà a prevedere un aumento per tutti i percettori. Nel concreto fino a novembre 2023 la prestazione era pari a 503,27 euro per tredici mensilità con un importo annuo di 6.542,51 euro. Dopo l’aumento il limite mensile sale a 507,03 euro e quello annuo a 6.591,39 euro.

Come cambiano i limiti

A tal proposito, considerato che l’aumento ha decorso da gennaio 2023, a dicembre dello stesso anno i percettori della misura riceveranno, insieme all’aumento dello 0,8%, anche un assegno di 41,36 euro equivalente agli arretrati delle undici mensilità dell’anno corrente. Con il conguaglio, inoltre, cambiano anche i limiti per poter beneficiare dell’Assegno sociale, a modificarsi sono le soglie per chi ne gode in via parziale. In tal caso, l’importo spettante si applica sottraendo dalla soglia massima l’importo del reddito percepito. Ovviamente, restano invariati i limiti per coloro che hanno un reddito pari a zero.

In questo contesto, vale anche la pena ricordare che per l’assegnazione dell’Assegno sociale si tiene conto anche dei redditi di un eventuale coniuge. Dunque, per avere diritto all’intero importo, è necessario che la somma dei redditi non superi il valore annuo della prestazione (6.591,39 euro). Per la misura applicata a livello parziale, invece, la somma dei due redditi non deve superare la soglia di 13.182,78 euro pari al valore doppio del limite annuo. Infine, occorre precisare che la rivalutazione non si applica alle maggiorazioni. Ovvero l’importo di 196,91 euro, che corrisponde all’incremento ottenuto al compimento dei 70 anni di età, resta invariato.

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Permessi retribuiti per gravi motivi: tempistica e modalità di utilizzo

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Permessi retribuiti
Permessi retribuiti per gravi motivi: tempistica e modalità di utilizzo - Diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

Il disposto normativo contenuto nell’articolo 4 della Legge n. 53 del 8 marzo 2000 regola la facoltà attribuita ai lavoratori di beneficiare di permessi retribuiti e congedi per ragioni personali debitamente specificate.

Il congedo per gravi motivi rappresenta una prerogativa normativamente prevista, la quale consente ai dipendenti di sottrarsi alle proprie mansioni lavorative, a condizione che siano soddisfatti precisi criteri e requisiti. Di seguito sarà esaminato dettagliatamente il funzionamento di questa misura, individuando chi è autorizzato a richiederla e delineando le procedure da seguire per la corretta gestione di tale istituto, nel rispetto delle norme giuridiche vigenti e dei diritti in capo ai dipendenti.

Criteri di accesso a permessi retribuiti per gravi motivi

I permessi per gravi ragioni familiari sono concessi a tutti i lavoratori subordinati, indipendentemente dal tipo di contratto (a tempo determinato o indeterminato) e dal regime lavorativo (a tempo pieno o parziale). Tale prerogativa non è condizionata dall’anzianità di servizio accumulata presso il datore di lavoro. La richiesta di tali permessi può essere avanzata in situazioni in cui si verifichi il decesso o una grave e debitamente documentata infermità di soggetti quali il coniuge, anche in caso di separazione legale (a condizione che non sia stato emesso il divorzio) o del partner unito civilmente, un parente entro il secondo grado (nonni e nipoti, fratelli e sorelle), non necessariamente convivente, nonché di un soggetto che faccia parte della famiglia anagrafica del lavoratore.

Tempistiche dei permessi

I dipendenti hanno diritto a un massimo di tre giorni di permesso retribuito all’anno, anche in caso di molteplici situazioni di lutto o grave infermità. Tuttavia, in tale computo non rientrano i giorni festivi e quelli non lavorativi. In aggiunta, è consentito cumulare questo tipo di permesso con quelli spettanti per l’assistenza a persone con disabilità. La sua fruizione deve, poi, avvenire entro sette giorni dal decesso o dalla data di accertamento della grave infermità o della necessità di effettuare specifici interventi terapeutici. È opportuno sottolineare che i contratti collettivi o quelli individuali di lavoro possono contemplare anche condizioni più favorevoli rispetto a quelle precedentemente delineate.

Documentazione necessaria

Dopo aver comunicato al datore di lavoro l’evento che giustifica la richiesta del permesso e indicato i giorni in cui il permesso sarà utilizzato, occorre procedere con la presentazione della relativa documentazione, idonea a giustificare l’assenza.

Nel contesto di gravi infermità, il dipendente interessato all’utilizzo dei permessi è tenuto a sottoporre al datore di lavoro un certificato redatto da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale (o da un professionista convenzionato), dal medico di medicina generale, dal pediatra di libera scelta o dalla struttura sanitaria, qualora si tratti di ricovero o intervento chirurgico. La documentazione medica deve essere presentata entro un arco temporale di 5 giorni dalla ripresa dell’attività lavorativa.

In caso di decesso di un congiunto, invece, al dipendente è richiesto di fornire il certificato di morte corrispondente, oppure di emettere una dichiarazione sostitutiva qualora questa possibilità sia consentita.

Alternativa del permesso retribuito: modifica della prestazione lavorativa

In alternativa all’utilizzo del permesso retribuito, dipendenti e datori di lavoro possono convenire modalità lavorative differenziate per una durata corrispondente a tre giorni, mediante la sottoscrizione di un accordo di riduzione dell’orario lavorativo.

A titolo esemplificativo, il dipendente con contratto a tempo pieno o full-time, in cui è stabilito un orario giornaliero di 8 ore, ha la facoltà di fruire di permessi con una durata totale di 24 ore (calcolate come 8 ore al giorno moltiplicate per 3 giorni di permesso). Per quanto concerne il dipendente a tempo parziale o part-time, il cui contratto di lavoro prevede una giornata lavorativa di 6 ore, gli è consentito beneficiare di permessi per un totale di 18 ore (calcolate come 6 ore al giorno moltiplicate per 3 giorni di permesso).

Regole dell’accordo tra dipendente e datore di lavoro

L’accordo tra le parti coinvolte deve essere formalizzato per iscritto, conformemente alla proposta presentata dal dipendente. Nell’atto concordato devono essere esplicitamente indicati i giorni in cui il permesso viene sostituito da diverse modalità di svolgimento dell’attività, unitamente ai criteri che disciplinano eventuali verifiche periodiche da parte del datore di lavoro sulla persistenza della grave infermità.

La riduzione dell’orario lavorativo deve essere avviata entro un termine massimo di 7 giorni dalla manifestazione della grave infermità.

Qualora la situazione di grave infermità venga superata, il dipendente è tenuto a riprendere la normale attività lavorativa. Eventuali periodi di permesso non utilizzati rappresentano un residuo di cui il dipendente può avvalersi per affrontare ulteriori eventualità che possano emergere nel corso dell’anno.

Analisi delle componenti retributive, contributive e fiscali

Oltre a essere integralmente remunerati dal datore di lavoro, i periodi di permesso per gravi motivi comportano la regolare maturazione di ferie, permessi e mensilità supplementari quali tredicesima e quattordicesima. Concorrono, inoltre, al calcolo del trattamento di fine rapporto. La retribuzione erogata costituisce un elemento determinante per la formazione del reddito imponibile, sia ai fini del computo dei contributi Inps e Inail, sia ai fini della valutazione dell’Irpef, in conformità con le disposizioni fiscali ordinarie.

 

 

 

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Pausa pranzo senza timbrare l’uscita? Sì al licenziamento

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Licenziamento del dipendete statale per mancata timbratura del badge in entrata e uscita dall'ambiente lavorativo
Licenziamento del dipendete statale per mancata timbratura del badge in entrata e uscita dall'ambiente lavorativo - diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

La cessazione del rapporto di lavoro attraverso licenziamento disciplinare può essere considerata valida nel caso in cui il dipendente pubblico, senza previa autorizzazione, ometta di convalidare la propria uscita dall’ambiente lavorativo mediante l’apposito timbro del badge.

La mancata registrazione della timbratura durante la pausa pranzo può essere può essere qualificata come una “modalità fraudolenta” nell’attestazione della presenza in servizio. Tale condotta, in conformità con quanto disposto dall’articolo 55-quater del decreto legislativo 165/2001, configura una violazione disciplinare che potrebbe, appunto, giustificare il licenziamento disciplinare. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, nella recente sentenza datata 2 novembre 2023, n. 30418.

Licenziamento collaboratrice amministrativa di Istituto scolastico: la vicenda in esame

La collaboratrice amministrativa di un Istituto scolastico ha impugnato il provvedimento di licenziamento disciplinare adottato nei suoi confronti dal MIUR. Tuttavia, il Giudice di primo grado ha respinto il ricorso, evidenziando che le condotte attribuitele, consistenti nell’allontanamento dall’istituto scolastico per l’intera durata della pausa pranzo senza procedere all’adeguata registrazione tramite il badge, non sono state contestate nella loro materialità rientrando nella fattispecie disciplinata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55-quater. La decisione del Giudice di primo grado è stata condivisa anche dalla Corte territoriale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha osservato che, nell’interpretare l’articolo 55-quater, lettera a), del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, la condotta rilevante ai fini disciplinari non richiede necessariamente un’azione materiale di manipolazione o alterazione del sistema di registrazione delle presenze in servizio. Al contrario, deve manifestare un’effettiva capacità oggettiva di indurre in errore il datore di lavoro. Pertanto, l’assenza di timbrature durante un allontanamento dall’ufficio costituisce una modalità fraudolenta, rappresentando una situazione apparente discordante dalla realtà effettiva.

Nello specifico, in conformità con quanto stabilito dall’articolo 55 quater, comma 1 bis, introdotto con il decreto legislativo n. 116 del 2016: “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”.

La Corte di Cassazione ha chiarito che, sia prima che dopo la riforma, costituisce falsa attestazione non solo l’alterazione o la manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche l’omissione di registrare le uscite interruttive del servizio. Considerando la natura specifica della sanzione disciplinare, quale il licenziamento, una volta dimostrata la condotta, è necessario valutare la proporzionalità o l’adeguatezza della sanzione in relazione alla gravità dell’inadempimento commesso dal lavoratore. In tal senso, il giudice può sindacare l’esercizio del potere datoriale in merito alla necessaria proporzionalità della sanzione espulsiva.

Le ragioni precedentemente esposte dalla Corte d’Appello

Nella decisione oggetto di impugnazione, la Corte territoriale ha sostenuto che, dal punto di vista oggettivo della condotta, le assenze non registrate, sebbene coincidenti con l’orario della pausa pranzo e prolungatesi, dunque, per un periodo pari a 30 minuti almeno, così come stabilito dal CCNL comparto scuola, non costituiva una giustificazione sufficiente per le azioni compiute dall’appellante. Questa conclusione si basa sul fatto che l’obbligo di timbratura era chiaramente comunicato a tutto il personale, incluso quello di effettuare la registrazione anche in caso di assenza per recarsi a pranzo.

La Corte d’Appello ha constatato che il comportamento negligente della lavoratrice, caratterizzato da una ripetizione e gravità tali da lederne irrimediabilmente il vincolo fiduciario con l’amministrazione datrice di lavoro, giustifica l’applicazione della massima sanzione disciplinare, ovvero l’espulsione. La Corte Suprema ha concordato con le ragioni esposte dalla Corte territoriale e ha, dunque, respinto il ricorso e ordinato alla ricorrente di sostenere le spese processuali.

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Oxfam: “L’1% più ricco della popolazione mondiale inquina come 5 miliardi di poveri”

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inquinamento ricchezza povertà
Foto Ansa/Epa/Community Velvet

La ong inglese Oxfam ha presentato un rapporto scioccante sull’inquinamento nel mondo. Nel 2019, l’1% degli esseri umani più ricchi del pianeta – in termini di reddito – è stato responsabile di una quota di emissioni di anidride carbonica (Co2) pari a quella prodotta da 5 miliardi di persone in condizioni di povertà o semi-povertà. Stiamo parlando di due terzi dell’umanità.

Il rapporto Oxfam appare a pochi giorni dall’inizio della Cop28, la conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. Un meeting che si svolgerà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre e a cui dovrebbe partecipare in prima persona anche papa Francesco. Ebbene, il dossier di Oxfam denuncia come le emissioni di cui è responsabile l’1% più ricco del pianeta provocheranno 1,3 milioni di vittime a causa degli effetti del riscaldamento globale. La maggior parte entro il 2030. Comprendere il ruolo dei super-ricchi e dei ricchi – rispettivamente l’1% e il 10% delle persone più benestanti al mondo in termini di reddito – nel collasso climatico è essenziale, afferma Oxfam. Bisogna infatti “stabilizzare con successo il nostro pianeta e garantire una buona vita a tutta l’umanità“.

Il rapporto Oxfam

I super-ricchi, spiega ancora nel suo rapporto la ong inglese, giocano un ruolo fondamentale per il clima in tre modi. In primo luogo attraverso il carbonio che emettono nel corso della loro vita quotidiana, dai loro consumi, compresi quelli dei loro yacht,
jet privati ​​e stili di vita sontuosi. Ma in secondo luogo anche attraverso i loro investimenti e le partecipazioni azionarie o obbligazionarie in industrie altamente inquinanti. E in terzo luogo attraverso l’indebita influenza che hanno sui mass media, sull’economia, sulla politica e sul processo decisionale di chi governa la nazioni. Di conseguenza stanno derubando il resto dell’umanità della vita su un pianeta sano, vivibile e più equo“.

Clima e disuguaglianza

La nuova ricerca di Oxfam e dello Stockholm Environment Institute esamina inoltre le emissioni di carbonio tra i gruppi di reddito globale. E mostra quanto sia pronunciata questa disuguaglianza relativamente a questo agente molto inquinante. Proprio come esiste un’estrema disuguaglianza riguardo a chi è responsabile delle emissioni di carbonio che hanno causato l’attuale crisi climatica, esiste un’enorme disuguaglianza – afferma Oxfam – nel modo in cui si avverte l’impatto dell’inquinamento nel mondo.

La realtà profondamente ingiusta è che sono le persone e i paesi ricchi a causare la crisi climatica. Mentre coloro che vivono in povertà, nei gruppi emarginati e nei paesi a basso reddito ne pagano il prezzo“. I ricchi possono fare di più per isolarsi dagli impatti del cambiamento climatico, si sottolinea ancora nel rapporto Oxfam. Le persone benestanti tendono a vivere in alloggi più sicuri, su terreni meno soggetti a inondazioni o altri disastri naturali, con apparecchi che possono impedire che il caldo diventi insopportabile. Spesso possono fare affidamento su risparmi o assicurazioni per ricostruire dopo aver subito danni.

Nel frattempo, le persone che vivono in povertà e altri gruppi emarginati tendono a vivere in alloggi più vulnerabili, spesso sovraffollati, più soggetti a inondazioni e senza accesso all’aria condizionata. Ondate di caldo ripetute, inondazioni e siccità vengono vissute in modo molto diverso in questi scenari contrastanti. I ripetuti disastri legati al clima continuano inoltre a erodere la loro capacità di superare gli shock e ricostruire le loro vite e i loro mezzi di sussistenza.

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Acconto Irpef per Partite IVA: a chi spetta il rinvio a gennaio

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Acconto Irpef
Calcolatore - DirittoLavoro

Come rende noto una circolare dell’Agenzia delle Entrate, il secondo acconto Irpef di novembre per le Partite IVA potrà essere pagato in una o cinque rate che slittano al 16 gennaio 2024. Vediamo, però, a chi spetta effettivamente questo rinvio.

Secondo quanto si apprendere da una circolare dell’Agenzia delle Entrate, le persone fisiche che sono titolari di Partita IVA, con un fatturato entro i 170mila euro, potranno pagare in forma rateizzata il secondo acconto Irpef. Tale rateizzazione slitta dal 30 novembre 2023 al 16 gennaio 2024 e potrà avvenire o tramite un’unica rata o in cinque rate da suddividere da gennaio a maggio 2024. Una misura, però, che prevede delle eccezioni e che non si applica ai titolari di Partita IVA che superano un fatturato di 170mila annui.

Chi deve versare l’acconto Irpef

Il rinvio del secondo acconto Irpef è previsto nel Decreto Fiscale collegato alla manovra di bilancio 2024 (Dl n 145/2023 pubblicato in in GU n 244 del 18 ottobre) recante ‘Misure urgenti‘ in materia economica e fiscale. Tale misura si prospetta in favore di enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. Il Decreto Legge è stato approvato il 16 ottobre 2023 nello stesso CdM n. 54 in cui si è approvato il testo del Ddl Legge di Bilancio 2024. Con la Circolare n. 31 del 9 novembre l’Agenzia delle Entrate fornisce nuovi chiarimenti sul rinvio del versamento della seconda rata di acconto delle imposte sui redditi, specificando che la possibilità di rateizzare il secondo acconto Irpef è consentita solo a coloro che non superano un fatturato di 170mila euro.

In linea generale il versamento del saldo, che risulta dal Modello Redditi Pf e dell’eventuale prima rata di acconto, deve essere effettuato entro il 30 giugno dell’anno nel quale si presenta la dichiarazione dei redditi. Il versamento può essere effettuato anche nel corso dei 30 giorni successivi, ma la rata subirà una maggiorazione dello 0,40%. Il secondo acconto, fino ad oggi, faceva riferimento ad un’unica rata da versare entro il 30 novembre dello stesso anno. I contribuenti sono tenuti al versamento dell’acconto Irpef nel caso in cui l’imposta di quell’anno risulti essere superiore a 51,65 euro.

Novità e nuove misure

L’acconto Irpef equivale al 100% dell’imposta dichiarata nel corso dell’anno. E il contribuente possessore della Partita IVA deve effettuare i versamenti seguendo delle specifiche regole. Nel concreto, se l’importo è inferiore a 257,52 euro, deve essere effettuato un unico versamento entro il 30 novembre; se, invece, l’importo è superiore a 257,52 euro, la prima rata deve essere versata entro il 30 giugno (per un valore del 40%) mentre il restante acconto (pari al 60%) deve essere versato entro il 30 novembre.

Oltre alla rateizzazione della seconda rata, nella riforma fiscale dell’attuale Governo è presente anche l’accorpamento delle aliquote Irpef. Nel 2024 saranno, infatti, accorpate in un’unica aliquota la prima e la seconda, riducendo difatti gli scaglioni da quattro a tre. Dal prossimo anno, quindi, le nuove aliquote in vigore saranno: per chi ha reddito fino a 28.000 euro del 23%; per quanti hanno redditi compresi tra 28.000 euro e 50.000 euro del 35%; per chi ha redditi superiori a 50.000 euro del 43%. Infine, tra le cose che meritano di essere chiarite rispetto alle misure vigenti, è utile sapere che fino a 8.500 euro è prevista la no-tax area, riservata ai redditi da lavoro dipendente.

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Carta Blu UE: ingresso dei lavoratori stranieri qualificati

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Carta Blu UE
Lavoratori - Diritto Lavoro

Per i lavoratori stranieri qualificati che entrano in Italia sono state introdotte importanti novità su la Carta Blu UE. Le nuove misure rientrano nel Decreto Legislativo numero 152 del 18 ottobre 2023, con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 256 del 2 novembre 2023.

La Carta Blu UE è un documento rilasciato ai lavoratori altamente qualificati che provengono da paesi esteri all’Unione Europea e permette loro di lavorare in uno Stato UE. Ottenendo questo strumento, il beneficiario può usufruire di tutti i servizi previsti in quel Paese. Con l’ultimo decreto cambiano alcuni requisiti per l’ottenimento della Carta Blu UE che, per certi versi, appaiono meno stringenti.

I requisiti per ottenere la Carta Blu UE

Questo documento si potrebbe tradurre come un vero e proprio permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri impiegati in mansioni altamente qualificate. Il DL 152 del 18 ottobre 2023 modifica il Testo Unico che disciplina l’immigrazione e le regole per la condizione dello straniero stabilite dal DL 25 luglio 1998, n.286. In sostanza, tra le novità, è consentito l’ingresso di soggiorno per un periodo che supera i tre mesi. Questo ad esclusione delle quote stabilite annualmente, per tutti coloro che rientrano nella fattispecie dei lavoratori altamente qualificati. Di conseguenza, i lavoratori che beneficiano della Carta Blu UE devono svolgere prestazioni regolarmente retribuite, con la direzione di un’altra persona fisica o soggetto giuridico.

Per rientrare in questa misura i lavoratori che richiedono la Carta Blu UE devono avere alcuni requisiti precisi. Innanzitutto è indispensabile un titolo di istruzione superiore di livello terziario. La durata del percorso di formazione superiore deve essere almeno di tre anni, oppure bisogna essere in possesso di una qualificazione professionale di livello post secondario di almeno tre anni. Ancora è possibile ottenere la Carta se si corrisponde almeno al livello 6 del Quadro nazionale delle qualificazioni. Tra i requisiti rientra anche il possesso di una qualifica professionale superiore con almeno 5 anni di esperienza professionale. Quest’ultima deve essere paragonabile ai titoli di istruzione superiore di livello terziario che siano pertinenti al tipo di lavoro che si andrà a svolgere.

Regole vincolanti

Requisito anche una qualifica professionale superiore comprovata da un minimo di tre anni di esperienza professionale inerente. Questa deve essere stata acquisita nel periodo di 7 anni precedenti al momento della richiesta per la Carta Blu UE, per dirigenti o specialisti nell’ambito della tecnologia dell’informazione e della comunicazione. Esclusi, invece, coloro che soggiornano per protezione temporanea, per cure mediche, che hanno richiesto protezione internazionale o che chiedono di soggiornare per motivazioni di ricerca. La Carta non spetta neanche ai lavoratori distaccati o che sono destinatari di un provvedimento di espulsione.

Per ottenere la Carta Blu UE è necessario che la proposta di lavoro o il contratto accordato siano vincolanti, per almeno un periodo di sei mesi. Inoltre, la paga annua non deve essere inferiore a quella prevista normalmente dai CCNL stabiliti in accordo con le associazioni sindacali rappresentative, e non inferiore allo stipendio medio annua rilevato dall’ISTAT. In Italia, nello specifico, il nuovo decreto afferma che chi ha ottenuto il documento in un altro Paese dell’UE può soggiornare in Italia per svolgere la professione massino 90 giorni in un arco temporale di 180 giorni. Infine, utile sapere che la Carta Blu UE è rilasciata dal Questore. Invece, a richiedere il nulla osta è il datore di lavoro, allo Sportello Unico per l’immigrazione presso la Prefettura – Ufficio Territoriale di governo di competenza.

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Visite fiscali: Tar Lazio sancisce disparità tra settore pubblico e privato

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Visite fiscali: il Tar Lazio dichiara una disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati
Visite fiscali: il Tar Lazio dichiara una disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati - Diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

Novità legislative in tema di visite fiscali. Le vigenti disposizioni concernenti la suddivisione delle fasce orarie di reperibilità per i dipendenti, sia nel settore pubblico che privato, secondo quanto delineato dal Decreto Ministeriale n. 206 del 17 ottobre 2017 (c.d. Decreto Madia – Poletti), sono state dichiarate prive di legittimità costituzionale dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.

La sentenza n. 16305/2023 del 3 novembre, emessa in seguito al ricorso presentato nel 2018 dal sindacato UIL Pubblica Amministrazione Polizia Penitenziaria avverso il citato decreto, sancisce la cessazione di un regime di reperibilità eccessivamente esteso, limitato in modo esclusivo a una determinata categoria di lavoratori. Stiamo parlando dei dipendenti pubblici, la cui fascia oraria di reperibilità è stabilita a 7 ore rispetto alle 4 ore riservate ai dipendenti del settore privato, unitamente all’inclusione dei giorni festivi e non lavorativi.

Ciò evidenzia unamancata armonizzazione nonché una disparità di trattamento che potrebbe tradursi in una violazione dell’articolo 3 della Costituzione, il quale sancisce che: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Visite fiscali: cambiamenti in vista per i dipendenti pubblici

Conosciuto è il fatto che, in caso di assenza dal lavoro per motivi di salute e con la successiva presentazione del relativo certificato all’INPS, sia il personale statale che quello del settore privato è tenuto a rispettare specifici orari noti come fasce di reperibilità.

All’interno di tali finestre temporali, il medico dell’Istituto è autorizzato ad eseguire la visita di controllo. È essenziale, dunque, essere reperibili al fine di conservare il diritto all’indennità e di evitare di incorrere in potenziali sanzioni.

Per il 2023, tali fasce di reperibilità non hanno subito variazioni rispetto agli anni precedenti, pur restando distintamente definite per i dipendenti pubblici e quelli del settore privato. Tuttavia, con la sentenza n. 16305/2023, emanata lo scorso 3 novembre dal Tar del Lazio, si prospetta una riconfigurazione degli orari destinati alle visite mediche per gli impiegati statali.

Disparità nelle fasce orarie di reperibilità tra settore pubblico e privato

Il decreto numero 206/2017, noto come decreto Madia-Poletti, mediante l’articolo 3, disciplina le modalità delle visite mediche e la verifica delle assenze per motivi di malattia. Secondo tale disposizione, le fasce orarie di reperibilità assegnate ai dipendenti pubblici si estendono dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, differenziandosi dalle fasce orarie più limitate previste per i dipendenti privati, che vanno dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. È da sottolineare, inoltre, che l’obbligo di reperibilità per i dipendenti pubblici permane anche nei giorni non lavorativi e festivi, a condizione che tali giorni siano inclusi nella certificazione medica.

Il Consiglio di Stato già si era esposto sulle visite fiscali

In relazione agli orari fiscali in questione, il sindacato della polizia penitenziaria UILPA PP ha presentato ricorso al TAR del Lazio. Il motivo del ricorso è la disparità esistente tra la fascia di reperibilità prevista per i dipendenti statali e quella applicata al settore privato, essendo la prima approssimativamente doppia rispetto alla seconda.

In materia, il Consiglio di Stato, quale massimo organo giurisdizionale, aveva già espresso il proprio parere in sede consultiva, incoraggiando l’Amministrazione Pubblica a procedere con l’armonizzazione adeguata della normativa concernente le fasce orarie di reperibilità, senza alcuna distinzione tra i dipendenti dei settori pubblico e privato. In tale contesto, il Consiglio di Stato aveva raccomandato l’attuazione di questa disposizione, utilizzando le modalità ritenute più appropriate e conformemente a quanto stabilito dalla normativa di delega del decreto legge n. 165 del 2001. Nonostante ciò, i Ministeri coinvolti non hanno mostrato alcun interesse nei confronti delle osservazioni avanzate.

Il ricorso e la sentenza del Tar del Lazio

Nel 2018, il Sindacato UIL Pubblica Amministrazione Penitenziaria, unitamente ad alcuni membri della Polizia Penitenziaria, ha avanzato un ricorso contro il Decreto Ministeriale n. 206 del 17 ottobre 2017. La questione centrale dell’impugnazione riguarda la parte del decreto che ha mantenuto inalterate e differenziate le fasce orarie di reperibilità per le visite mediche in caso di malattia, applicate ai dipendenti delle Amministrazioni pubbliche e a quelli del settore privato.

Il ricorso è stato ad oggi accolto dal TAR del Lazio, il quale non solo ha ritenuto fondata la questione sollevata, ma ha altresì sottolineato che la disparità di orario, consistente in 7 ore di reperibilità per i dipendenti statali rispetto alle 4 ore previste per i lavoratori del settore privato, è da considerarsi incostituzionale. Tale disparità, configurando una fascia di reperibilità praticamente doppia per la Pubblica Amministrazione, viola l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza.

La sentenza emessa dal TAR ha operato un parziale annullamento del decreto ministeriale Madia del 2017. Tale decisione ha messo in luce l’importanza che le future modifiche rispettino le direttive fornite dall’organo giudicante amministrativo. Pertanto, si invita il legislatore a procedere a un’effettiva armonizzazione degli orari di reperibilità per l’intero corpo dei dipendenti, indipendentemente dal settore di appartenenza, pubblico o privato.

 

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