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NASpI giornalisti: al via dal 2024 alle regole INPS

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Naspi giornalisti
Giornalista - DirittoLavoro

Dal 2024 prendono il via le regole INPS per quanto concerne la NASpI ai giornalisti. Dal 1° gennaio questa categoria di lavoratori, infatti, non farà più capo all’INPGI. A fornire tutti i dettagli l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

Dal 1° gennaio 2024 cambiano le regole per i giornalisti che intendono richiedere la NASpI. La misura è riservata ai lavoratori dipendenti, la cui gestione è passata dal 1° luglio 2022 dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS). Tutte le indicazioni e le precisazioni arrivano, proprio, dall’INPS attraverso il messaggio 4579.

Il passaggio dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani all’Istituto Nazionale di previdenza Sociale

A prevedere il passaggio della gestione della NASpI per i giornalisti dall’INPGI all’INPS è stato il comma 103 dell’articolo 1 della Legge n. 234 del 30 dicembre 2021, ovvero la Legge di Bilancio 2022. Nel dettaglio, tale norma ha previsto che nel periodo compreso tra il 1° luglio 2022 ed il 31 dicembre 2023 i trattamenti continuassero ad essere gestiti con le regole INPGI, mentre dal 2024 il passaggio alle regole INPS diventa effettivo. Già con la circolare n. 91 del 27 luglio 2022, l’INPS aveva fornito le prime indicazioni per la NASpI dei giornalisti, fornendo le informazioni amministrative per gestire pragmaticamente la pratica.

Nella circolare era già specificato che per la disoccupazione dei giornalisti, relativa ad eventi che si dovessero verificare dopo il 1° gennaio 2024, ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato si applica la disciplina prevista per la generalità dei lavoratori iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti e, conseguentemente, la disciplina prevista in materia di indennità di disoccupazione NASpI come illustrata nelle relative circolari pubblicate dall’Istituto in materia e attuative delle richiamate disposizioni. Dunque, con il nuovo anno i giornalisti seguiranno le stesse identiche regole in vigore per gli altri lavoratori dipendenti, mettendo fine definitivamente al periodo di transizione in cui erano ancora attive le vecchie regole INPGI.

Come effettuare la domanda per la disoccupazione NASpI dei giornalisti

A tal proposito, per fare domanda di disoccupazione, anche i giornalisti dovranno presentare la richiesta in forma telematica all’INPS. Nello specifico dal sito internet www.inps.it attraverso il seguente percorso: “Sostegni, Sussidi e Indennità” > “Per disoccupati” > “NASpI: indennità mensile di disoccupazione” > “Utilizza il servizio” > “NASpI – invio domanda, comunicazioni e consultazione” > “Utilizza il servizio” > “Nuova Domanda”. Bisogna, inoltre essere in possesso di una delle seguenti credenziali: SPID di livello 2 o superiore; Carta di identità elettronica 3.0 (CIE); Carta nazionale dei servizi (CNS). In alternativa si può effettuare domanda tramite gli Istituti di Patronato o tramite il servizio di Contact Center Multicanale.

Il messaggio 4579 dell’INPS precisa anche nella domanda NASpI, i giornalisti devono indicare di appartenere a tale categoria professionale, questo consentirà di gestire nella maniera opportuna la domanda. La prestazione di disoccupazione NASpI giornalisti è gestita dal Polo nazionale INPGI 1, istituito presso la Filiale metropolitana di Roma Flaminio, che continuerà anche a gestire le indennità di disoccupazione a favore dei giornalisti per gli eventi di disoccupazione involontaria intervenuti fino alla data del 31 dicembre 2023 e disciplinate dal citato Regolamento di previdenza della Gestione sostitutiva INPGI .

Fonte: info dal sito ufficiale Istituto Nazionale Previdenza Sociale

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Manovra di bilancio, le ultime novità

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manovra bilancio novità 2024
Foto Ansa/Chigi Filippo Attili

La manovra economica per la legge di bilancio è in dirittura d’arrivo. Fra le principali novità c’è il taglio del cuneo fiscale abbinato al passaggio da 4 a 3 aliquote Irpef. Ma anche gli sgravi per il lavoro delle mamme, i fondi per i rinnovi dei contratti pubblici, il canone Rai scontato a 70 euro, Quota 103 per le pensioni con penalizzazioni e, infine, il finanziamento del Ponte sullo Stretto di Messina.

La manovra 2024 ha ottenuto il primo via libera al Senato una settimana prima di Natale dopo l’esame della Commissione Bilancio. Il Governo ha corretto la stretta sulle pensioni (fino a un massimo del 25% della fetta retributiva) per il personale sanitario, degli enti locali, degli ufficiali giudiziari e dei maestri.

Manovra, le pensioni

Saranno salvi i diritti acquisiti al 31 dicembre 2023 e non saranno toccate le pensioni di vecchiaia, mentre resteranno penalizzate quelle anticipate. Medici e infermieri potranno godere di un ulteriore ammorbidimento prolungando la loro permanenza in servizio una volta maturati i requisiti per l’uscita anticipata. Per ogni mese in più di lavoro il taglio dell’aliquota di rendimento sulla quota retributiva si ridurrà di un trentaseiesimo.

I sanitari potranno inoltre rimanere in ospedale anche dopo il raggiungimento dei 40 anni di servizio fino al limite di 70 anni di età. Per compensare l’impatto sui conti pubblici, per tutte le categorie saranno dilatate le finestre d’uscita. A 3 mesi nel 2024, a 4 mesi nel 2025, a 5 mesi nel 2026, a 7 mesi nel 2027 fino a 9 mesi a partire dal 2028.

Violenza donne e fondo disabili

Con un emendamento delle opposizioni, che la maggioranza ha condiviso, si destinano 40 milioni previsti in manovra alla costruzione di centri antiviolenza e case rifugio. L’obiettivo è inoltre quello di finanziare il microcredito di libertà e sostenere anche economicamente le donne vittime di violenza e per investire sulla formazione degli operatori. Cresce di complessivi 35 milioni in tre anni, invece, la dotazione del fondo per l’Alzheimer e le demenze.

La dotazione del fondo la si incrementa di 5 milioni per il 2024 e di 15 milioni sia per il 2025 che per il 2026. Più risorse anche al fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità. Nel testo della manovra lo si istituisce a partire dal primo gennaio 2024. Il fondo è incrementato di 320 milioni nel 2024 e portato da 231,8 a 552,2 milioni di euro. Rifinanziato con 60 milioni anche il Fondo vittime dell’amianto.

Manovra, il Ponte sullo Stretto

La manovra di bilancio rimodula i fondi per il maxi-progetto di collegamento con la Sicilia: c’è una riduzione degli oneri a carico dello Stato di 2,3 miliardi (su un totale di circa 11,6 miliardi al 2032). Queste risorse vanno al Fondo di sviluppo e coesione. Di esse, 718 milioni arrivano dalla quota del fondo destinata alle amministrazioni centrali e 1,6 miliardi dalla quota destinata alle regioni con 300 milioni dalla Calabria e 1,3 miliardi dalla Sicilia.

Mutui e affitti brevi

Le famiglie numerose godranno di priorità per l’accesso al Fondo di garanzia per la prima casa. Si tratta delle famiglie con tre figli under 21 e un Isee sotto i 40mila euro all’anno, quelle con 4 figli e Isee sotto i 45mila e quelle con 5 figli e Isee oltre i 50mila euro annui. La garanzia del Fondo è crescente con il numero di figli: 80% della quota capitale con 3 figli, 85 per cento con 4 e del 90 per cento con 5 figli. In ambito casa si interviene anche sdoppiando la cedolare secca sugli affitti brevi. Sarà al 21% sulla prima casa in locazione (a scelta del proprietario), al 26% sulle eventuali altre.

 

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Saldi invernali? Troppo presto: i commercianti li vorrebbero a febbraio

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saldi napoli italia
Saldi a Napoli. Foto Ansa/Ciro Fusco

Dopo un mese di dicembre tutt’altro che freddo è cominciata il 5 gennaio in quasi tutte e regioni italiane la stagione dei saldi invernali, le vendite di fine stagione. I negozi, a dir la verità, hanno scaffali per metà ancora pieni. Lo indica Confesercenti all’Adnkronos. In un sondaggio svolto su un campione di imprese, non solo della propria associazione, Confesercenti ha verificato come il 92,1% dei negozi indipendenti ritenga che la data di inizio dei saldi sia troppo anticipata.

Una percezione che si è fortemente acuita quest’anno, dopo un autunno-inverno dalle temperature più miti del normale. Ormai il fatto che siano in corso, ben visibili, i cambiamenti climatici anche in Italia non è più oggetto di discussione. L’aumento della frequenza dei cosiddetti eventi meteo estremi – nubifragi e alluvioni, così come siccità estiva e invernale – è sotto gli occhi di tutti. E ciò ha, molto banalmente, anche un riflesso abbastanza preciso sugli andamenti del commercio al dettaglio.

I saldi e i cambiamenti del clima

Il 96% delle imprese che Confesercenti ha interpellato segnala di aver registrato tra ottobre e dicembre 2023 un calo delle vendite dei prodotti delle collezioni autunno-inverno rispetto allo stesso periodo del 2022. La flessione media è stata del 46%. Tanto che la richiesta era stata di fare slittare la stagione degli sconti di un mese, al 5 febbraio. Una ipotesi che comunque non metteva d’accordo tutto il mondo del commercio di prossimità, in alcuni suoi settori timoroso delle mosse delle grandi catene e delle grandi piattaforme online.

E così il 5 gennaio, dopo l’anticipo della Valle d’Aosta, è scattato il via libera ai saldi invernali in tutte le regioni italiane. Secondo le previsioni, fino a domenica 7 gennaio saranno circa 12 milioni gli italiani che acquisteranno un prodotto moda a prezzo scontato – nei negozi e sulla rete – per una spesa complessiva di circa 1,8 miliardi di euro.

Il 40% comprerà di sicuro

Complessivamente, 4 italiani su 10 hanno già pianificato di comprare a saldi, con un budget medio previsto di 267 euro. Ma c’è un ulteriore 56% che acquisterà in caso di offerta interessante e che quindi non ha ancora preventivato una spesa. Una quota in crescita rispetto agli scorsi anni, segnale di una maggiore attenzione da parte delle famiglie, che quest’anno si orienteranno su acquisti ragionati e più utili che in passato.

Sui saldi i negozi fisici mantengono stabilmente la preferenza dei consumatori. Li sceglie per almeno un prodotto l’83% degli italiani, contro il 51% che prevede di acquistare anche online. Sul territorio nazionale, a partecipare alle vendite di fine stagione saranno oltre 80mila negozi, con uno sconto medio di partenza del 25%. La disponibilità sarà più ampia del solito per un autunno inverno dalle temperature più miti del normale. Un cambiamento climatico che, come detto, ha inciso sul 96% delle imprese, che segnalano un calo medio del -46% delle vendite dei prodotti delle collezioni autunno inverno.

Saldi, cosa si acquisterà di più

Chi è intenzionato a comprare con i saldi cerca soprattutto calzature – 58% delle indicazioni – seguite a stretto giro da maglioni e felpe (56%). La classifica dei desiderata degli italiani, per i saldi invernali 2024, prosegue con l’intimo (34%), gonne e/o pantaloni (33%), magliette, canottiere e top (29%), camicie e camicette (27%). Sotto la media le indicazioni per i cosiddetti capispalla (21%, lo scorso anno erano il 27%). Il 19% cercherà una borsa, mentre il 17% un abito/completo; il 15% si orienterà invece sulla biancheria per la casa, il 13% su foulard, cappelli e altri accessori. Il 12% dei consumatori segnala interesse per l’acquisto di cinture e il 10% per articoli di piccola pelletteria, portafogli e portacarte.

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Consiglio dei ministri, provvedimento ad hoc per il Superbonus

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Palazzo Chigi Consiglio dei ministri
Foto X @Agenzia_Ansa

Il Consiglio dei ministri si prepara a varare un provvedimento ad hoc sul Superbonus edilizio. Non una proroga del regime attuale ma una forma di sanatoria. Le forze di maggioranza avrebbero infatti trovato un’intesa per un nuovo intervento che salvaguardi un passaggio non troppo drastico dal regime del 110% e 90% di copertura statale degli importi dei lavori a quello del 70% che scatterà dal prossimo anno. 

Secondo quanto riporta l’Ansa, il 28 dicembre diverse fonti interne alla maggioranza di Governo hanno fatto sapere che prima del Consiglio dei ministri si sarebbero riuniti i due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini. A essi si sarebbe aggiunto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Ci sarebbe l’accordo per non inserire l’intervento nel decreto Milleproroghe ma in un provvedimento ad hoc. Non si tratterà di una proroga del Superbonus ma di una misura mirata.

I provvedimenti in Consiglio

Oltre a questa misura il Consiglio dei ministri del 28 dicembre ha analizzato 4 decreti fiscali, incluso quello che riduce le aliquote Irpef e il decreto Milleproroghe, sui quali c’è il consenso di tutti. Strada in discesa, dunque, per i decreti, finalizzati a rendere il sistema più semplice ed equo. In particolare, l’intervento sugli scaglioni Irpef era atteso al precedente Consiglio dei ministri, salvo poi i posticipo divenuto necessario per renderlo coerente con la Finanziaria in esame al Parlamento.

C’è consenso anche sul Milleproroghe che, come di consueto, vedrà convergere una miscellanea di deroghe in extremis che non sono entrate in manovra. Diverse invece la posizioni sul bonus edilizio al 110%, con Forza Italia che punta ad una proroga ed un Mef recalcitrante per scongiurare nuovi buchi di bilancio. Alla fine, come detto, ci sarà quasi certamente un provvedimento a parte.

La grana del Superbonus

Attesa inizialmente con il Milleproroghe, la soluzione al Superbonus troverebbe spazio in un decreto legge ad hoc da parte del Consiglio dei ministri. Tra le ipotesi sul tavolo quella più selettiva di un Sal straordinario limitato solo ad alcune tipologie di lavori o l’alternativa di un rinvio di 3 mesi per chi ha completato almeno il 70% degli interventi entro quest’anno. Intanto, cifre alla mano, il Superbonus a novembre è costato complessivamente alle casse dello Stato 96 miliardi e a dicembre si attende un nuovo balzo di circa 20 miliardi. Da qui il freno del ministero dell’Economia.

La nuova Irpef

I quattro decreti legge fiscali in Consiglio dei ministri riguardano lrpef, statuto del contribuente, contenzioso tributario e cooperative compliance. Con il primo provvedimento parte il primo modulo della riforma fiscale, al momento finanziato solo per il 2024. Le aliquote Irpef si riducono da quattro a tre accorpando i primi due scaglioni con un’unica aliquota al 23% per i redditi fino a 28.000 euro.

L’aliquota sale al 35% per i redditi fino a 50.000 euro e al 43% oltre i 50.000. Inoltre si amplia fino a 8.500 euro la soglia di no tax area. La riforma garantisce un beneficio massimo di 260 euro annue (21 circa se divisi per 12 mensilità) per la fascia di reddito tra 30mila e 50mila euro. Oltre i 50mila euro invece il vantaggio fiscale verrà neutralizzato da un taglio equivalente delle detrazioni.

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Ddl Concorrenza, Mattarella promulga la legge ma critica il Governo

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Ddl Concorrenza Quirinale
Sergio Mattarella. Foto Ansa/Quirinale

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato la legge sulla concorrenza, elemento fondamentale per i finanziamenti del PNRR, ma ha inviato una lettera ai presidenti delle Camere e alla presidente del Consiglio per chiedere nuove norme. In particolare sull’articolo 11 della legge che riguarda il commercio sulle aree pubbliche.

Come aveva fatto già il 24 febbraio 2023, quando aveva chiesto modifiche al ddl milleproroghe per la parte riguardante i balneari, ora il capo dello Stato ritiene “indispensabili” nuove norme che “a breve” intervengano a modificare l’articolo 11 del ddl concorrenza approvato a dicembre, ritenendo eccessivamente lunghe le proroghe per le concessioni già in essere dei commercianti ambulanti.

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Concorrenza, le contestazioni del Presidente

La disciplina in esame presenta evidenti analogie con quella delle concessioni demaniali marittime, introdotta con la legge di conversione del decreto legge 29 dicembre 2022, n.198, recante ‘Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi’” ha scritto Mattarella. Disciplina che era stata “oggetto di una mia precedente lettera del 24 febbraio 2023, inviata ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri, ove evidenziavo i profili di contrasto di quella disciplina con il diritto europeo“.

E quindi, ha sottolineato il Presidente, profili di contrastocon il dettato costituzionale della legge ora in esame suscitano analoghe, rilevanti perplessità di ordine costituzionale le disposizioni del richiamato articolo 11 che intervengono sulle concessioni in essere e ne dispongono proroghe a vario titolo. Si prevede infatti che continuino ad avere efficacia fino al termine previsto nel relativo titolo, non solo – com’è logico – le concessioni assegnate con procedure selettive, ma anche le concessioni già riassegnate ai sensi dell’articolo 181, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.”

“Il predetto comma 4-bis ha disposto, a suo tempo, il rinnovo per la durata di 12 anni per le concessioni in scadenza al 31 dicembre 2020. Mentre il comma 4-ter ha previsto la facoltà delle regioni di disporre che i comuni possano assegnare, su richiesta degli aventi titolo, in via prioritaria e in deroga ad ogni altro criterio, concessioni per posteggi liberi, vacanti o di nuova istituzione. Ove necessario, agli operatori, in possesso dei requisiti prescritti, che siano rimasti esclusi dai procedimenti di selezione previsti dalla vigente normativa ovvero che, all’esito dei procedimenti stessi, non abbiano conseguito la riassegnazione della concessione”.

“Proroga eccessiva e sproporzionata”

Nella conclusione del Capo dello Stato c’è il cuore del ragionamento. “La proroga di dodici anni prevista dalla legge in esame per le concessioni in essere appare, alla luce di questi orientamenti giurisprudenziali, eccessiva e sproporzionata. Si deve rilevare inoltre l’incongruenza di prevedere una proroga automatica di durata superiore (12 anni) a quella delle nuove concessioni (10 anni).”

“Il contesto che viene in tal modo a determinarsi presenta caratteristiche molto simili a quello oggetto della mia lettera del 24 febbraio scorso. I profili di contrasto con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive accrescono l’incertezza del quadro normativo, determinando la necessità di garantire la certezza del diritto e l’uniforme interpretazione della legge da parte di tutti i soggetti coinvolti. Così come ho osservato riguardo alla vicenda delle concessioni demaniali, ciò rende indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di Governo e Parlamento”.

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PNRR, l’Italia chiede il pagamento della quinta rata da 10,5 miliardi

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pnrr cabina regia roma governo meloni
Foto X @Min_Casellati

La cabina di regia del Governo Meloni ha stabilito nella settimana prima di Natale di presentare formalmente alla Commissione europea domanda per ricevere la quinta rata del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza seguito alla pandemia di Covid. La formulazione del quesito avverrà entro il 31 dicembre 2023. Dal nuovo anno, dunque, Roma si attende che Bruxelles vagli positivamente il raggiungimento degli obbiettivi fissati per il via libera a nuovi finanziamenti.

La richiesta di pagamento della quinta rata riguarda una tranche da 10,5 miliardi di euro. Denari che vanno ad aggiungersi ai 16,5 miliardi di euro della quarta rata, già richiesti. “Il Governo ha centrato un altro obiettivo estremamente importante” ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La premier ha sottolineato che si arriverà all’incasso di circa 102 miliardi di euro: “più della metà dell’intero” PNRR, pari a 191,5 miliardi.

PNRR, gli obiettivi

Il Governo ritiene di avere raggiunto i “52 obiettivi” per presentare entro il 31 dicembre alla Commissione Ue “la richiesta per la quinta rata” del PNRR. “Traguardo che si somma al primato già raggiunto dall’Italia, prima Nazione in Europa ad aver presentato la quarta richiesta di pagamento del PNRR” ha asserito Meloni. Un “grande risultato, che testimonia ancora una volta lo straordinario lavoro portato avanti in questi mesi“.

La Cabina di regia, spiega una nota di Palazzo Chigi, ha preso atto dello stato di attuazione degli obiettivi che la quinta rata del PNRR prevede, in base agli accordi con Bruxelles. Fra questi ci sono importanti misure come l’aggiudicazione degli appalti del settore idrico, l’elettrificazione della linea ferroviaria nel Mezzogiorno e la tratta ferroviaria Salerno-Reggio Calabria.

In tema di ambiente sono previsti interventi per il potenziamento delle condotte, della depurazione e per la realizzazione degli impianti per la valorizzazione dei rifiuti. Per ciò che riguarda la pubblica istruzione è in programma l’entrata in vigore della riforma dell’organizzazione del sistema scolastico, nonché l’aggiudicazione di tutti gli appalti per la realizzazione dei nuovi plessi. Sono, inoltre, previsti significativi traguardi in tema di digitalizzazione, con particolare riferimento al ministero della Difesa, della Giustizia, al Consiglio di Stato, all’Inps e all’Inail.

Fitto: “Collaboriamo con la Ue

Il pagamento della terza rata e quello imminente della quarta, la verifica dello stato di attuazione degli obiettivi della quinta rata e soprattutto la definitiva approvazione del nuovo PNRR italiano, concludono un anno di positivo lavoro sul PNRR” ha dichiarato il ministro Raffaele Fitto. Il titolare del dicastero che si occupa proprio per Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha sottolineato la “costruttiva collaborazione istituzionale con la Commissione europea. Con il macro obiettivo di mettere concretamente a terra i progetti, per dare una risposta tangibile alle legittime aspettative delle imprese e degli italiani“.

La Cabina di regia – ha aggiunto Fitto – con la puntuale verifica di tutti gli obiettivi della quinta rata permetterà al Governo di dare seguito alla richiesta di pagamento entro fine anno. Per poi proseguire nell’azione di sostegno alla crescita economica. E per raggiungere, con i nuovi investimenti inseriti nel PNRR, gli obiettivi del potenziamento della competitività industriale, della transizione verso energie pulite e dell’indipendenza energetica dell’Italia“.

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Imu, i cittadini di 200 Comuni rischiano la terza rata

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imu terza rata 2024 200 comuni
Una terza rata Imu è possibile a febbraio 2024

Il 18 dicembre sono scaduti i termini per il versamento della seconda rata dell’Imu, la tassa sulla proprietà degli immobili (ma non sulla prima casa) da 22 miliardi di euro all’anno. Il versamento è stato eseguito a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata corrisposta, sulla base delle delibere pubblicate alla data del 28 ottobre 2023 nel sito Internet delle Finanze.

In oltre 200 Comuni, tuttavia, secondo la Confedilizia, “vi è il rischio che alla prima rata di giugno e alla seconda di dicembre se ne aggiunga una terza il 29 febbraio 2024“. E ciò “a causa di un emendamento al disegno di legge di bilancio che concede ulteriore tempo alle amministrazioni locali che non hanno provveduto a trasmettere nei termini alle Finanze la delibera di approvazione delle aliquote” Imu.

Come funziona la terza rata Imu

Nei Comuni dove non risulta pubblicata una delibera aggiornata ai fini del saldo Imu di dicembre si sono applicati i valori dello scorso anno. Sostanzialmente si è quindi pagato lo stesso importo già versato alla scadenza dell’acconto di giugno 2023. Successivamente, entro il 15 gennaio 2024 si potranno consultare sul sito del ministero dell’Economia e finanze le delibere con le nuove aliquote. Che si dovranno utilizzare per determinare l’importo del conguaglio dovuto entro la scadenza del 29 febbraio. Ovviamente senza l’applicazione di sanzioni e interessi di mora.

Esenzioni per la Chiesa

Il pacchetto di emendamenti alla Manovra di Bilancio 2024, presentato da Guido Quintino Liris (FdI), Elena Testor (Lega) e Dario Damiani (Forza Italia), ha portato con sé questa nuova significativa novità nel settore abitativo. Parallelamente ha previsto esenzioni per gli immobili di enti non commerciali, come fondazioni ed enti ecclesiastici.

In pratica, ciò significa che la Chiesa e altri enti simili possono beneficiare di una significativa agevolazione fiscale, purché l’immobile in loro possesso sia destinato a scopi non commerciali. Questo include attività come ad esempio la celebrazione di servizi religiosi (e quindi stiamo parlando di chiese e monasteri, ad esempio). Ma anche attività di beneficenza o altri scopi socialmente utili. L’esenzione si applica indipendentemente dalla capacità dell’ente di generare entrate monetarie attraverso l’utilizzo di tali immobili.

 L’Imu non c’è più su alcuni immobili

La scadenza Imu – aggiunge la Confederazione – presenta quest’anno un’importante novità, derivante dalla legge di bilancio dello scorso anno. Dal 2023, infatti, non sono più soggetti al pagamento dell’Imu gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali si sia presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di ‘violazione di domicilio’ e ‘invasione di terreni o edifici’. O per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale“.

La normativa prevede che il soggetto passivo comunichi al Comune interessato il possesso dei requisiti che danno diritto all’esenzione dall’Imu. E deve farlo secondo le modalità telematiche che ha stabilito un decreto del ministro dell’Economia e delle finanze. Analoga comunicazione la si deve trasmettere quando cessa il diritto all’esenzione. Con un comunicato stampa del 12 dicembre scorso, il ministero dell’Economia e delle finanze, su sollecitazione della Confedilizia, ha chiarito che l’esenzione spetta anche se non si è ancora adottato il previsto decreto di attuazione, che riguarda solo il modello dichiarativo. “I contribuenti che fruiscono dell’esenzione – ha inoltre precisato il ministero – dovranno poi presentare la dichiarazione Imu, esclusivamente in via telematica, entro il 30 giugno 2024“.

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NASpI: scadenza dichiarazione reddito presunto 2024

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NASpI
NASpI scadenza dichiarazione reddito presunto 2024 alla data 31 gennaio 2024 - diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

I beneficiari della prestazione NASpI per l’anno 2023 sono chiamati a considerare attentamente l’obbligo di segnalare anticipatamente il reddito presumibile per il 2024, al fine di evitare la possibile sospensione dell’indennità di disoccupazione al termine dell’anno in corso.

Il dovere di tale adempimento, annualmente ricordato dall’INPS ai cittadini disoccupati beneficiari del suddetto sussidio, è ribadito anche quest’anno nel messaggio n. 4361 emesso il 5 dicembre. Si sottolinea che la comunicazione del reddito presunto dovrà essere trasmessa entro il 31 gennaio 2024, costituendo un aspetto fondamentale per garantire la continuità del beneficio economico.

INPS: messaggio n. 4361 del 5 dicembre

Per i percettori che hanno segnalato un reddito diverso da zero per l’anno 2023, è essenziale procedere con la comunicazione del reddito presunto relativo al 2024 entro il 31 gennaio 2024. È importante evidenziare, inoltre, che tale obbligo persiste anche nel caso in cui il reddito presunto per il 2024 sia pari a zero; la mancata comunicazione comporterà la sospensione dell’erogazione della prestazione NASpI.

Per quanto riguarda i soggetti che abbiano dichiarato un reddito presunto di zero per il 2023, l’erogazione della prestazione non sarà interrotta. Tuttavia, resta fermo il vincolo di comunicazione entro il 31 gennaio 2024 nel caso in cui prevedano di generare un reddito diverso da zero per il prossimo anno.

In merito alla disciplina relativa all’esercizio di un’attività lavorativa durante il periodo in cui si percepisce la NASpI, si fa riferimento alle disposizioni dettagliate contenute nella circolare n. 94 del 12 maggio 2015 (paragrafo 2.10). Tale quadro normativo comprende altresì le disposizioni stabilite dal Decreto Legislativo 4 marzo 2015 numero 22 (articoli 1-14), e dalla circolare dell’INPS n. 174 del 23 novembre 2017.

Cos’è la NASpI e chi può beneficiarne

La NASpI, spetta ai cittadini disoccupati che soddisfano determinati requisiti e viene erogato per un periodo di tempo pari alla metà di quello coperto da contribuzione nei quattro anni precedenti, osservando comunque un limite massimo di 24 mesi.

L’indennità è destinata ai lavoratori con un vincolo di lavoro subordinato che hanno perso involontariamente il loro impiego, inclusi:

  • Apprendisti;
  • Soci lavoratori di cooperative con un rapporto di lavoro subordinato con le stesse cooperative;
  • Personale artistico con un rapporto di lavoro subordinato;
  • Dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni.

Significato di “reddito presunto”

Il reddito presunto costituisce la proiezione finanziaria degli introiti stimati per l’anno successivo a quello in cui si sta attualmente beneficiando dell’assegno di disoccupazione. Tipicamente, l’obbligo di dichiarare il reddito presunto è imposto a coloro che, oltre a percepire la NASpI, ottengono redditi derivanti da attività lavorative aggiuntive, entro certi limiti stabiliti.

I destinatari del sussidio di disoccupazione che hanno precedentemente dichiarato redditi presumibili derivanti da prestazioni professionali nel corso del 2023 sono tenuti a ripetere l’operazione per l’anno 2024.

Per fornire un’analisi più dettagliata, sono tenuti a dichiarare il reddito presunto (entro specifici limiti di reddito):

  • Chi, pur continuando a percepire l’indennità di disoccupazione, intraprende un’attività lavorativa autonoma;
  • Chi, pur continuando a ricevere l’indennità di disoccupazione NASpI, avvia un’attività lavorativa subordinata.

Compatibilità NASpI con redditi provenienti da attività lavorativa

Il percettore della NASpI ha la possibilità di avviare un’attività lavorativa dipendente, autonoma o di impresa individuale. Nel caso in cui il reddito annuo derivante da tale attività si attesti al di sotto dei limiti di imposizione fiscale, ossia:

  • 8.145,00 € per i rapporti di lavoro dipendente e assimilati;
  • 4.800,00 € per i rapporti di lavoro autonomo,

egli mantiene il diritto a percepire l’indennità di disoccupazione.

Si rende tuttavia obbligatorio comunicare all’INPS, entro un mese dall’inizio dell’attività, il reddito annuo presunto mediante l’invio della comunicazione NaspICom. Tale comunicazione è essenziale per determinare la riduzione dell’indennità di disoccupazione, la quale sarà pari all’80% del reddito atteso derivante dall’attività lavorativa.

In seguito, l’INPS richiede ai beneficiari il rinnovo della dichiarazione dei redditi presunti tramite la compilazione del modello “NaspiCom” entro il 31 gennaio.

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Lavoratori impatriati: cosa cambia dal 2024

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Lavoratori impatriati
Business man in aeroporto - DirittoLavoro

Dal 1° gennaio 2024 cambiano le regole per i lavoratori impatriati. Novità introdotte con la riforma fiscale modificano alcune delle agevolazioni previste e i requisiti per ottenerle.

Dal 2024 scattano le nuove regole per accedere alle agevolazioni previste per i lavoratori impatriati. Ovvero, coloro che trasferiscono la residenza e l’attività lavorativa in Italia, dopo essere stati all’estero per almeno 2 anni. Se la normativa era già presente negli scorsi anni, con la nuova riforma fiscale si vanno a modificare alcuni dei requisiti richiesti e di conseguenza le agevolazioni da essi dipendenti.

Le modifiche per i lavoratori impatriati rispetto agli anni precedenti

Chi decide di trasferire la propria residenza in Italia nel 2024 ha la possibilità di accedere ad un beneficio che prevede una riduzione del 50% (rispetto al 70% in vigore fino al 31 dicembre 2023) della tassazione dei redditi di lavoro. Tuttavia, per usufruire di tale agevolazione è necessario rispondere ad alcuni requisiti che, dal 1° gennaio 2024, si fanno più restringenti rispetto a quelli in vigore negli ultimi quattro anni. Tra le modifiche introdotte con la nuova riforma fiscale anche il ritorno alle esenzioni che erano previste prima dell’introduzione del Decreto Crescita del 2019. L’esenzione fiscale corrisponde al 50% ed è introdotto un limite, pari a 600.000 euro, all’applicazione dei benefici.

Nel dettaglio, a beneficiare delle agevolazioni riservate ai lavoratori impatriati sono i redditi per lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente e i redditi da lavoro autonomo. Inoltre, occorre specificare che l’agevolazione ha una durata massima di cinque anni. Sebbene si tratti di informazioni non ancora rese del tutto ufficiali, saranno diverse le modifiche apportate ai requisiti per i benefici riservati ai lavoratori impatriati. Innanzitutto il tempo di residenza all’estero, che sarà spostato dai due anni sopracitati ai tre anni. In secondo luogo, la richiesta di una precisa specializzazione o un’alta qualificazione. Ed in terzo luogo, potrebbe essere necessario instaurare un nuovo rapporto di lavoro che sarà differente da quello sottoscritto in precedenza.

A cosa si deve il cambiamento radicale

Ad avere la possibilità d’accesso alle agevolazioni per i lavoratori impatriati saranno i cittadini iscritti regolarmente all’Aire, oppure coloro che non sono iscritti ma che hanno una residenza in un altro Stato che abbia una convenzione con l’Italia contro le doppie imposizioni. Le nuove regole saranno operative a partire dal 1° gennaio 2024, ma sarà previsto un regime transitorio durante il quale vecchie e nuove regole dovranno convivere. Come si legge sul sito Lavoro e Diritti, Maurizio Leo, viceministro all’Economia e alle Finanze, avrebbe dichiarato: “Riguardo alla norma sugli impatriati, va precisato che il regime attuale resterà applicabile fino all’entrata in vigore della nuova disciplina e quindi non prima dell’inizio dell’anno prossimo“.

Come riporta anche Quotidiano Nazionale, il Governo avrebbe deciso di virare verso questo cambiamento radicale poiché le misure adottate fino ad ora sarebbero costate molto alle casse dello Stato. Infatti, secondo quanto si apprende dal Rapporto sulle spese fiscali relativo al 2022, l’agevolazione per i lavoratori impatriati avrebbe interessato circa 15mila persone. La conseguenza sarebbe uno ‘sconto’ sulle tasse di 45.000 euro e l’intera pratica avrebbe avuto un costo totale di circa 674 milioni di euro.

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Bonus mamme 2024, cosa c’è da sapere

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bonus mamme gennaio 2024
Foto X @fisco24_info

Dal gennaio 2024, fra poche settimane, arriva il cosiddetto bonus mamme. Si tratta di una decontribuzione per le lavoratrici madri che hanno almeno due figli a carico. La norma, inserita nella manovra di bilancio del Governo Meloni, e quindi non ancora definitiva, presenta delle differenze nel caso di lavoratrici con due figli o con tre o più figli.

Il bonus è in realtà uno sconto sui contributi che vale per tutte le madri lavoratrici con due o più figli con contratti a tempo indeterminato, indipendentemente dal livello della retribuzione, con l’esclusione del lavoro domestico.

Bonus per le mamme con 3 figli

In base alle regole del bonus, le lavoratrici madri con 3 o più figli avranno un esonero del 100% della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore. Fino al mese di compimento del 18° anno di età del figlio più piccolo. Questa regola varrà per le buste paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026.

La normativa prevede un limite massimo annuo di 3mila euro per il bonus. Valore riparametrato su base mensile. Solo per il 2024, le stesse condizioni si applicano per le mamme con due figli. Ma almeno uno dei figli deve avere meno di 10 anni di età.

Chi usufruirà della decontribuzione

Le mamme che usufruiranno della decontribuzione in base al bonus sono circa 800mila. Di esse 600mila hanno 2 figli e 214 mila hanno 3 o più figli. Si tratta del 27,8% delle madri lavoratrici dipendenti con almeno un figlio minore. Ovvero il 10% delle donne lavoratrici dipendenti e l’8,4% delle donne occupate, secondo i dati Istat. I numeri sono leggermente diversi nella relazione tecnica alla legge di Bilancio 2024, secondo cui le lavoratrici madri del settore privato con almeno 3 figli, di cui uno under 18, sarebbero circa 111 mila. Quelle con due figli, di cui uno sotto i 10 anni, circa 571 mila.

Secondo un report dell’ufficio parlamentare di Bilancio, gli effetti della misura, ovvero del bonus mamme, “si intrecciano e si sovrappongono con quelli della decontribuzione parziale fino a 35mila euro di retribuzione lorda. E pertanto il vantaggio risulterà più ridotto di quello che si verificherà dal 2025, quando quest’ultima non sarà più in vigore“.

La soglia dei 35mila euro

Il Corriere della Sera riporta un’analisi condotta con il modello di microsimulazione Upb. Da essa emerge che nel complesso “le lavoratrici madri con figli beneficeranno di una riduzione di contributi di circa 1,5 miliardi. Per poco più della metà (790 milioni) dovuti alla decontribuzione parziale e per la restante parte alla misura specifica”. Mentre la prima si rivolge interamente a lavoratori con retribuzioni inferiori a 35mila euro, l’intervento specifico per le madri è per circa il 57% a vantaggio delle lavoratrici con meno di 35mila euro. E per il restante 43% è invece destinato a lavoratrici con retribuzioni superiori.

I tecnici stimano quindi un beneficio al netto delle imposte intorno ai 1.700 euro nel caso di una retribuzione lorda di 27.500 euro. Si tratta appunto di previsioni che si dovranno poi verificare sul campo. Ma, al di là del fatto che la quota di mamme lavoratrici a cui il bonus è destinato appare piccola, c’è comunque uno sforzo di venire incontro alle donne che  lavorano, spesso le prime a essere espulse dal mercato del lavoro. E proprio per la necessità di dover accudire i figli.

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