lunedì, Settembre 2, 2024
Home Blog Pagina 15

Stangata inflazione, i dati della Cgia

0
spesa inflazione famiglie fragili
Foto Ansa/Giorgio Benvenuti

Negli ultimi anni, fra il 2021 e il 2023, una famiglia media italiana ha speso 4.039 euro in più a causa del boom dell’inflazione, pari al +14,2%. Se infatti nel 2021 la spesa annuale delle famiglie in termini correnti ammontava a 21.873 euro, nel 2023 è salita a 25.913 euro (+18,5%). A dirlo è l’Ufficio studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre CGIA. Nell’ultimo biennio l’aumento medio mensile dei costi di vita quotidiana per le famiglie è stato pari a 337 euro.

I rincari maggiori hanno interessato i biglietti aerei, le bollette di luce e gas e i prodotti alimentari: zucchero, riso, olio di oliva, latte a lunga conservazione, burro, etc.. Una stangata, dice ancora Cgia, che ha penalizzato soprattutto le famiglie più fragili economicamente. L’aumento generalizzato dei prezzi al consumo (l’inflazione) ha provocato una perdita di potere d’acquisto che non ricordavamo da almeno 25 anni. In altre parole, negli ultimi 24 mesi molti nuclei familiari hanno speso di più e hanno portato a casa un numero di beni e servizi decisamente inferiore.

Sempre più negozi chiusi

Una situazione che ha penalizzato, prosegue lo studio, anche le piccole attività commerciali. Se in questi ultimi due anni le vendite della grande distribuzione hanno tenuto, quelle delle botteghe artigiane e dei negozi di vicinato sono cresciute di poco in termini nominali, ma la contrazione in termini reali è stata preoccupante. Il risultato, dice Cgia, è sotto gli occhi di tutti. Nei centri storici, ma anche nelle periferie, il numero delle insegne rimosse e delle vetrine con le saracinesche perennemente abbassate sono in costante aumento.

Sul 2024 pesa l’incognita guerre

Secondo la CGIA di Mestre nel 2024 il peggio sarà alle spalle dal punto di vista dell’inflazione, che dovrebbe rallentare, registrando una crescita media inferiore al 2%. Pesa tuttavia l’incognita delle guerre, avvisa il centro studi veneto. Ed è sotto gli occhi di tutti che il mondo occidentale pacificato che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni non esiste più.

Gli equilibri geopolitici, economici e strategici stanno mutando. Prima la pandemia di Covid, poi la guerra in Ucraina, ora la guerra a Gaza: tutti elementi che rendono realistico pensare che avremo a che fare con anni molto difficili. Tanto che le previsioni sul carovita appena citate potrebbero rivelarsi sottostimate. Nel caso in cui le situazioni di crisi in Medio Oriente e in Ucraina dovessero precipitare ulteriormente, l’aumento dell’inflazione potrebbe attestarsi ben al di sopra del 2% previsto.

Inflazione, cos’è aumentato di più

Analizzando nel dettaglio le singole voci di spesa, gli aumenti più importanti avvenuti tra il 2021 e il 2023 hanno interessato i biglietti aerei dei voli internazionali (+106,1%), le bollette dell’energia elettrica (+93,1%), i biglietti dei voli aerei nazionali (+65,4%), le bollette del gas (+62,5%), lo zucchero (+61,7%), il riso (+48,2%), l’olio di oliva (45,5%), il latte conservato (+37,4%) e il burro (+37%). Per contro, i prodotti che hanno subito una riduzione di prezzo sono stati i televisori (-28,6%), telefonini (-12%), apparecchi per il suono (CD/DV player, stereo, amplificatori, radio, etc.: -11,4%), test di gravidanza e contracettivi (-10,3%). Ma anche libri di narrativa (-6,3%).

Advertisement

Congedo maternità: nuovi chiarimenti del 2024

0
Congedo maternità
Maternità - DirittoLavoro

Come di consueto, l’INPS pubblica periodicamente documenti che chiariscano il funzionamento delle norme vigenti. Di recente anche una circolare relativa al congedo maternità.

Con il messaggio n.287 del 22 gennaio 2024, l’INPS ha reso noti nuovi chiarimenti relativi al certificato telematico per congedo maternità. In particolare, il riferimento specifico nasce nell’ipotesi di assenza del certifica telematico e quindi per salvaguardare i diritti della lavoratrice. La comunicazione si attiene alle indicazioni della Cassazione e della giurisprudenza di merito. In esse è ribadito che il congedo di maternità è obbligatorio e della durata di cinque mesi in quanto un diritto indisponibile della lavoratrice.

A chi spetta l’invio del certificato telematico

Volendo chiarire cosa si intende per “diritti indisponibili“, si può specificare che quest’ultimi fanno riferimento ai diritti fondamentali atti a tutelare valori sociali e umani. A tal proposito, nel messaggio INPS dello scorso 22 gennaio si chiarisce che l’invio del certificato telematico di gravidanza è obbligatorio per il congedo di maternità. Ma è compito del medico del Servizio Sanitario Nazionale prendersene carico. Il Testo unico sulla maternità e paternità, in merito a quanto affermato, dispone che le lavoratrici debbano far pervenire al proprio datore di lavoro (così come all’INPS) il certificato medico di gravidanza con l’informazione della data presunta del parto. Inoltre, come specifica ancora l’Istituto, sono oggetto di spedizione anche il certificato del parto ed, eventualmente, quello di interruzione della gravidanza.

In merito al congedo maternità, l’INPS tiene a sottolineare altri aspetti, altrettanto, importanti. Tra questi che al diritto indisponibile corrisponde anche un divieto assoluto, gravante sul datore, di adibizione al lavoro (divieto penalmente sanzionato ai sensi dell’art. 18 dello stesso Testo unico sulla maternità e paternità). Il diritto al congedo di maternità non può essere compresso o limitato in alcun modo. Facendo riferimento al precedente giurisprudenziale Cass. n. 10180/2013, in cui si legge che: “Il periodo complessivo di cinque mesi non è disponibile“, l’INPS specifica che il periodo non potrà ritenersi né precluso, né circoscritto anche se il medico non abbia adempiuto all’invio del certificato telematico.

Cosa prevede il congedo maternità

In merito a tutte le precisazioni fatte in merito, l’INPS specifica ancora nel messaggio dello scorso 22 gennaio che se la domanda è fatta senza invio telematico del certificato di gravidanza, tale certificato potrà essere richiesto esclusivamente prima della nascita del minore. Dal giorno del parto, infatti, la procedura telematica non permette più al dottore incaricato l’inserimento del certificato telematico di gravidanza. Se la lavoratrice ha inviato un certificato cartaceo, emesso da un medico del Servizio Sanitario Nazionale, è ammesso utilizzare la data presunta del parto indicata nel cartaceo in oggetto.

Qualora sia stata dichiarata l’interdizione anticipata della lavoratrice con provvedimento emesso dalla ASL locale, senza l’emissione di certificato alcuno, è possibile servirsi della data presunta del parto. Infine, nel caso in cui non esiste nessuna della documentazione specificata, la lavoratrice potrà usufruire comunque del congedo di maternità (in quanto, come detto, diritto indisponibile). In questa ultima ipotesi, il tempo sarà stabilito calcolando due mesi prima rispetto alla data presunta del parto. Quindi, in definitiva, si può concludere affermando che, seppur in caso di mancato certificato telematico, una donna lavoratrice in gravidanza non può essere privata del suo diritto alla maternità.

Advertisement

Autovelox: Italia il Paese delle multe, al top in Europa

0
Autovelox Veneto multe
Foto Ansa/Michele Galvan

L’Italia è fra i paesi d’Europa che contano il maggior numero di autovelox lungo le strade. Le ultime stime registrano 11.130 apparecchi di rilevazione automatica della velocità lungo tutta la penisola. Molto più di Gran Bretagna (circa 7.700), Germania (oltre 4.700), Francia (3.780). Lo afferma il Codacons, che è intervenuto sui sempre più frequenti casi di autovelox smantellati a opera di ignoti. Un fenomeno che sta interessando diverse zone d’Italia: dalla Lombardia al Veneto, e dal Piemonte all’Emilia Romagna.

In base ai dati ufficiali del ministero dell’Interno, nel 2022 le principali 20 città italiane hanno incassato un totale di 75.891.968 euro grazie alle sanzioni tramite autovelox. Un dato che segnala una crescita del +61,7% rispetto ai 46.921.290 euro di proventi registrati dalle stesse amministrazioni comunali nel 2021, spiega il Codacons. La città con i maggiori incassi da autovelox è Firenze, pari a 23,2 milioni di euro, seguita da Milano (quasi 13 milioni), Genova (10,7 milioni) e Roma (6,1 milioni).

Multe per far cassa?

Non mancano però le sorprese: se Napoli si ferma ad appena 18.700 euro di incassi nel 2022, i comuni nella zona del Salento hanno ottenuto complessivamente circa 23 milioni di euro. Il tutto sempre relativamente a sanzioni elevate tramite gli autovelox. Il comune di Cavallino (Lecce), ad esempio, ha visto gli introiti passare da zero del 2021 ai 2.520.121 euro del 2022.

E ciò grazie all’apparecchio di rilevazione della velocità installato sulla statale 16 Lecce-Maglie. L’amministrazione di Surbo (Lecce) ha incassato 309.580 euro, che salgono a 720.022 euro a Trepuzzi (lecce) grazie ai tre autovelox installati sulla statale 613 Lecce-Brindisi. I maggiori introiti vanno però a Melpignano (lecce): 2.545.445 euro grazie agli autovelox sulla Statale 16 Lecce-Maglie.

L’esasperazione da autovelox

Ci sono poi i “casi anomali” di alcune strade, come la statale 372 Telesina, disseminate di postazioni autovelox. Fra l’altro, ad aumentare la confusione c’è il fatto che i limiti di velocità sono stati modificati nel tempo creando confusione tra gli automobilisti e portando a una raffica di sanzioni.

Quanto sta accadendo in questi giorni in Italia sul fronte degli autovelox attesta l’esasperazione dei cittadini. I quali si sentono tartassati e braccati dalle multe stradali e dal moltiplicarsi delle postazioni per il controllo della velocità” afferma il presidente del Codacons, Carlo Rienzi. “Ma non condividiamo atti di illegalità come quelli di chi distrugge e smantella gli autovelox. Chi supera i limiti di velocità, mettendo a rischio la propria vita e quella altrui, va sanzionato con la massima severità” sottolinea. “Tuttavia i comuni, dal canto loro, devono perseguire la sicurezza stradale e garantire l’incolumità degli automobilisti attraverso un uso più accorto degli autovelox. Troppo spesso installati al solo scopo di far cassa e utilizzare i cittadini come bancomat”.

Ne frattempo è caccia a “Fleximan“, il personaggio ignoto che in Veneto ha fatto fuori svariati autovelox. Si è trattato di 14 ‘colpi’, tutti in Veneto. Undici usando il flessibile, uno con l’esplosivo, un altro con una pistola a pallini e ancora uno con un mezzo agricolo usato come ariete. La ribellione contro gli autovelox fissi è diventata seriale. Lo è sicuramente tra le province di Padova, Rovigo, Treviso e Belluno. Ma si contano episodi anche in Emilia Romagna, Piemonte e in Lombardia.

Advertisement

Ocse: Pil dell’Italia a +3,5% se fosse favorito il lavoro femminile

0
Pil Italia Ocse lavoro donne
Foto Ansa

Se l’Italia s’impegnasse duramente per aumentare le politiche attive sul lavoro, incrementando l’istruzione terziaria e riducendo il divario di genere – con più donne, cioè, presenti nei vari settori – il Pil pro capite potrebbe aumentare del 3,5% entro il 2050. A metterlo nero su bianco, è un report dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che coinvolge 38 paesi di tutto il mondo.

Nel rapporto, reso noto il 27 gennaio, l’Ocse sottolinea il peso dei Neet. Si tratta di un acronimo inglese che sta per Not [engaged] in Education, Employment or Training. E si riferisce a coloro che non studiano né lavorano. In Italia le persone, a cominciare da molti giovani, che non studiano né lavorano sono il 23% del totale. Un valore che è inferiore soltanto a quello di Colombia e Turchia.

I dati dell’Ocse sull’Italia

La causa dei bassi livelli della partecipazione femminile al mercato del lavoro nel nostro Paese è relativa – segnala l’Ocse – non solo a un problema che concerne le donne e la presenza di stereotipi nel percorso educativo. Fattori che ancora oggi, nel 2024, spingono le ragazze molto spesso fuori dai percorsi di avviamento al lavoro con garanzia di retribuzioni più alte. Ma è anche relativa a un nodo fiscale.

Da un lato, infatti, osserva l’Ocse, “il calcolo delle imposte in base al reddito individuale anziché quello congiunto del nucleo familiare e l’Assegno Unico Universale incentivano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro“. Tuttavia “il sistema fiscale e previdenziale rimangono, in linea di massima, favorevoli alle famiglie monoreddito. Ciò rispecchia in larga misura le prestazioni sociali subordinate al reddito del nucleo familiare e il credito di imposta del coniuge a carico. Che dovrebbero essere gradualmente eliminate“.

“Molti laureati emigrano”

Secondo l’Ocse, ancora, l’aumento del numero di iscrizioni all’istruzione terziaria potrebbe far crescere il Pil pro capite dell’1,5%. “La quota di laureati nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni – scrive l’Organizzazione – è la seconda più bassa dell’Ocse dopo il Messico. E molti neolaureati emigrano. Tra il 2011 e il 2021 l’emigrazione netta cumulata di neolaureati è stata di circa 110mila persone“.

L’Ocse segnala inoltre come il nostro sistema universitario penalizzi i ricercatori più brillanti spingendoli all’emigrazione. Ciò a causa di retribuzioni basse e di mancanza di incentivi legati alla performance. “Occorrerà garantire – si legge ancora nel rapporto – condizioni di lavoro più attraenti e un legame sostanzialmente più forte tra performance e retribuzione. La retribuzione media dei ricercatori italiani è bassa rispetto ai dati rilevati per Francia, Germania e Regno Unito, soprattutto al livello di ingresso. Ciò scoraggia i ricercatori di talento dall’intraprendere carriere accademiche, privando le università italiane dei migliori talenti della ricerca“.

La sfida delle politiche attive

Ma è sulle politiche attive che dovrebbe concentrarsi la sfida dei prossimi Governi con un miglioramento che potrebbe valere l’1% del Pil. L’introduzione dell’assegno di formazione (Supporto per la Formazione e il Lavoro ) che sostituirà il Reddito di Cittadinanza per le persone occupabili potrebbe comportare – sostiene l’Ocse – risparmi di bilancio pari a circa l’1 % del Pil sul breve termine.

Ma “rischia di conseguire tali risultati a scapito dell’aumento della povertà dei percettori, in particolare di coloro che non possono accedere a una formazione adeguata o che hanno raggiunto la durata massima della prestazione“. Secondo l’Ocse “occorre rafforzare gli incentivi finanziari correlati all’assunzione di un impiego” e “assicurare un deciso potenziamento del sistema di formazione. La creazione di una nuova piattaforma digitale (Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, Siisl) rappresenta un passo positivo“.

Advertisement

Eco-proteste, multe e carcere fino a 5 anni: la legge approvata dal Parlamento

0
Proteste ultima generazione Roma
Foto X @bryan_toni76649

Dopo che il Senato lo aveva già licenziato a luglio, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge del Governo contro le eco-proteste. Il provvedimento prevede multe pesanti, con sanzioni che vanno dai 10 ai 60mila euro, e anche il rischio di carcere, fino a 5 anni, nei casi più gravi. “Chi deturpa, danneggia, imbratta un monumento deve risarcire lo Stato per le spese sostenute per ripristinare lo stato dei luoghi” esulta il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

Il ministro ha promosso il provvedimento perché, sottolinea, per restaurare i beni danneggiatiè bene che non paghino più gli italiani. Bensì chi si rende responsabile degli atti di danneggiamento“. “È ora di finirla con opere di immenso valore storico e culturale vandalizzate da social-confusi che per chiedere la salvaguardia della bellezza la deturpano“. “Gente neppure in grado di conoscere l’enorme valore del patrimonio che va a compromettere con gesti insani, lesionistici e autolesionistici” gli fa eco il vicepresidente della Camera di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli.

Stop alle eco-proteste, le reazioni

È un’ottima notizia per il turismo italiano: mantenere intatti i nostri monumenti e le nostre bellezze storiche contribuisce a preservare l’unicità e l’autenticità delle nostre destinazioni turistiche” sottolinea la ministra Daniela Santanché. Il Centrodestra fa quadrato attorno al provvedimento sulle eco-proteste. E lo definisce “di buon senso” mentre sono “inconcepibili” le proteste che pure arrivano dall’opposizione. “Un Governo che non investe un euro in cultura, si inventa l’ennesimo provvedimento inutile” attacca il PD. Un'”enormità“, una “reazione spropositata” dice Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana e parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra, in merito alle maxi multe e al rischio carcere per chi imbratta quadri e statue.

Il deputato dem, ed ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ricorda che non si è in presenza “di danni permanenti“. “La verità è che non tollerano il dissenso e ricorrono alle leggi penali per reprimerlo” rintuzza la ex presidente della Camera, Laura Boldrini. “Siamo passati dalla stagione di Dossetti in cui parlava di diritto alla resistenza civile, di democrazia, a parlare di vernice lavabile e di punizioni” evoca Gianni Cuperlo. Il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti definisce legittimo il protestare per cause giuste e osserva come “questi di ‘Ultima generazione’ almeno ci mettono la faccia“.

Gli attivisti di Ultima generazione

Gli attivisti di Ultima generazione formano un gruppo di ambientalisti che agisce a livello internazionale tramite azioni volutamente provocatorie. Generalmente imbrattano quadri, opere d’arte e monumenti con vernici lavabili, per richiamare l’attenzione sulla crisi climatica mondiale. Nelle brevi arringhe che pronunciano dopo l’imbrattamento, gli attivisti affermano che, come nessuno vuol vedere deturpata la bellezza di un’opera d’arte, così nessuno deve lasciar correre la deturpazione della natura che molte attività umane determinano ogni giorno, anche se non ce ne accorgiamo.

Condannati in 3 a Bologna

Di recente i blitz degli attivisti specializzati in eco-proteste si sono fatti più teatrali e, al tempo stesso, pericolosi. Gruppi di 5-10 persone si siedono in mezzo alle tangenziali a grande scorrimento automobilistico, correndo il rischio di farsi investire, e così bloccano il traffico per protestare. Il 18 gennaio il Gup di Bologna, Simona Siena, ha condannato a 6 mesi di reclusione 3 attivisti di Ultima Generazione che lo scorso 2 novembre furono arrestati per aver bloccato la tangenziale per circa un’ora per manifestare contro il cambiamento climatico. Alcuni di loro si erano ‘incollati’ le mani col cemento all’asfalto. Dovettero intervenire i vigili del fuoco e gli operatori sanitari del 118. La condanna, con pena sospesa, è arrivata per i reati di violenza privata aggravata e interruzione di pubblico servizio.

Advertisement

NASPI: si può lavorare percependo la disoccupazione? Tutti i chiarimenti

0
NASPI ai lavoratori
Lasciare posto di lavoro - DirittoLavoro

La NASPI (o disoccupazione), è un sussidio erogato dall’INPS ai lavoratori che hanno perso il lavoro involontariamente. Si tratta di un sostegno provvisorio con auspicabile reintroduzione nel mondo del lavoro. Esistono dei casi in cui, però, può essere percepita anche durante un nuovo impiego.

La NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), è un sussidio di disoccupazione erogata dall’INPS ai lavoratori che hanno perso il lavoro involontariamente. Il sostegno economico è provvisorio e auspica a fornire un aiuto economico fino ad nuova reintroduzione nel mondo del lavoro. Pertanto, in caso di nuovo lavoro, la disoccupazione è sospesa. Tuttavia, esistono degli estremi per i quali la NASPI continua ancora ad essere fornita, anche nel caso di una nuova occupazione. Di seguito osserviamo i casi nel dettaglio.

NASPI percepita da lavoratori a tempo determinato

Innanzitutto, vale la pena ricordare che la normativa prevede che la NASPI sia erogata solo nel caso in cui il lavoratore abbia perso il lavoro involontariamente. Quando si presenta la richiesta di disoccupazione, infatti, bisogno fare dichiarazione all’INPS della perdita di lavoro. Il sussidio è fornito solo a chi fa richiesta. E, nel caso in cui tra la domanda di disoccupazione e la ricezione effettiva della NASPI si trova un nuovo impiego, la ricezione dell’indennità sarà sospesa. Fare richiesta del sussidio significa anche comunicare la disponibilità ad un nuovo lavoro, che segue lo svolgimento anche di attività e progetti mirati al reinserimento.

Fatte queste dovute premesse, in linea generale, si può affermare che la NASPI non è compatibile con il lavoro. Infatti, svolgere un’attività in nero o con contratto mentre si riceve l’indennità è un illecito che prevede sanzioni. Di conseguenza, quando si inizia una nuova attività lavorativa è necessario fare delle dovute valutazioni. Innanzitutto, se si tratta di un contratto a tempo determinato occorre valutare lo stipendio. Qualora questo sia inferiore rispetto alla NASPI, allora si potrebbe avere diritto a continuare a ricevere un’indennità parziale. Di base, comunque, la NASPI può essere compatibile con il lavoro solo con un contratto dipendente a tempo determinato inferiore a 6 mesi con reddito inferiore a 8174,00 euro (come da Circolare numero 94 del 12/05/2015).

Lavoro autonomo e part-time

Per quanto riguarda, invece, le tipologie di contratto a tempo indeterminato l’indennità sarà sospesa a prescindere dal reddito. Nel caso di lavoro autonomo, la NASPI è compatibile con lo svolgimento di attività professionale o imprenditoriale (anche occasionale) dal quale derivi un reddito inferiore a 4.800 euro annui (5.000 euro per il lavoro occasionale accessorio). In questo caso il lavoratore deve, entro un mese dell’inizio dell’attività o entro un mese dalla domanda di NASPI in caso di lavoro preesistente, comunicare all’INPS il reddito annuo previsto. Qui l’indennità è ridotta dell’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo che intercorre tra l’inizio dell’attività e la fine dell’indennità.

Infine, esiste anche la possibilità di ricevere la NASPI in caso di lavoro part-time. Nel caso in cui il soggetto perda uno di due lavori part-time ha diritto a beneficiare della disoccupazione per quello perduto, continuando a svolgere anche l’altra attività purché essa non superi gli 8.145 euro annui. In definitiva vale la pena chiarire che, nel caso di qualsiasi dichiarazione falsa, si rischiano sanzioni importanti.

Advertisement

Ita-Lufthansa, i sospetti della Ue: “Indagine approfondita sul caso”

0
Ita Lufthansa voli fusione
Foto Ansa/Telenews

La Commissione europea ha deciso di avviare un’indagine approfondita sull’operazione commerciale Ita-Lufthansa, una delle più importanti sinergie industriali fra grandi compagnie aeree d’Europa. Il dossier andrà alla fase due: l’esame dell’Antitrust. Lo annuncia lo stesso esecutivo Ue, che deve tutelare la libera ed equa concorrenza nel settore voli. E lo fa in anticipo rispetto alla scadenza prevista del 29 gennaio.

La prima fase dell’indagine era stata avviata il 30 novembre scorso, dopo la notifica dell’operazione da parte del Tesoro e del vettore tedesco. Alla luce dei dati raccolti, Bruxelles ritiene che “l’operazione potrebbe ridurre la concorrenza” su “diverse rotte a corto e lungo raggio“. La Commissione ha ora 90 giorni lavorativi, fino al 6 giugno 2024, per prendere una decisione finale sul caso Ita-Lufthansa.

Lufthansa non offre garanzie?

Gli impegni offerti da Lufthansa l’8 gennaio per rispondere alle preoccupazioni preliminari della Commissione europea sono stati ritenuti insufficienti. Su alcune di queste rotte, spiega Bruxelles, le due compagnie “competono testa a testa con collegamenti non-stop. Una concorrenza limitata principalmente solo da vettori low cost, come Ryanair, che in molti casi operano da aeroporti più remoti“. Insomma il nuovo assetto societario di Ita, derivante dall’ingresso massiccio di Lufthansa nel suo capitale, rischia di creare un monopolio inaccettabile a fronte delle regole europee.

Per quanto riguarda le rotte a lungo raggio tra l’Italia e il Nord America, la Commissione valuterà ulteriormente dati e prospetti. Ovvero se le attività di Ita, Lufthansa e dei suoi partner della joint venture United Airlines e Air Canada, si debbano trattare come quelle di un’unica entità dopo la fusione. L’operazione Ita-Lufthansa, cioè, “potrebbe ridurre la concorrenza su alcune rotte a lungo raggio tra Italia e Stati Uniti, Canada, Giappone e India.”

Il Mef sul caso Ita-Lufthansa

Da parte sua il ministero dell’Economia precisa che “il Governo continua con determinazione nel percorso intrapreso. E auspica che la Commissione Ue decida magari prima del 6 giugno. In modo da supportare sviluppo e crescita di Ita Airways anche in vista della stagione estiva“.

Ma a Bruxelles non hanno alcuna fretta. E fanno notare che l’accordo tra Ita e Lufthansa “potrebbe creare o rafforzare la posizione dominante” della newco “presso l’aeroporto di Milano-Linate“. Così rendendo “più difficile per i rivali fornire servizi di trasporto aereo passeggeri da e per” l’hub lombardo. Da parte sua la commissaria alla Concorrenza nel mercato Ue, Margrethe Vestager, spiega che “con l’avvio dell’indagine approfondita” su Ita-Lufthansaintendiamo valutare più nel dettaglio l’operazione“. Ma anche “garantire che l’acquisizione di Ita non riduca la concorrenza nel settore del traffico a corto e a lungo raggio.E non comporti un aumento dei prezzi, una minore disponibilità o una qualità inferiore dei servizi di trasporto aereo di passeggeri da e verso l’Italia“.

I numeri di Lufthansa

Lufthansa è la principale compagnia aerea tedesca. Sede a Colonia, ha per hub principale l’aeroporto di Francoforte e per hub secondario quello di Monaco di Baviera. Le sue origini risalgono al 1926. La compagnia è parte e membro fondatore di Star Alliance, una delle più importanti alleanze globali tra compagnie aeree, creata nel 1997. Opera a livello mondiale con oltre 300 società tra controllate e partecipate. Il portafoglio di aziende si compone di network carrier, vettori point-to-point e società di servizi per il trasporto aereo.

Tra le compagnie sussidiarie interamente controllate figurano Austrian Airlines, Brussels Airlines, Swiss International, Air Dolomiti, Lufthansa Regional, Eurowings, Lufthansa Cargo. Il gruppo conta oltre 105mila dipendenti. Nel 2022 ha generato ricavi per 33 miliardi di euro ed è quotato sul listino di Francoforte. Ai comandi c’è l’amministratore delegato Carsten Spohr.

Le cifre di Ita

Per quanto riguarda Ita – la compagnia italiana erede della vecchia Alitalia – dal decollo del 15 ottobre del 2021, si è attestata ai vertici mondiali per l’indice di regolarità al 99,9%, e quello di puntualità. Ha una flotta di 69 aerei e una forza lavoro di 3.600 dipendenti. Dall’anno scorso è iniziato l’inserimento in flotta degli aeromobili di nuova generazione che sostituiranno progressivamente i velivoli di vecchia tecnologia. L’ampliamento della flotta porterà Ita ad essere “nel 2026 la compagnia più green d’Europa“. Ha chiuso il 2022 con una perdita netta di 486 milioni di euro mentre i ricavi sono stati pari a 1,576 miliardi. La compagnia vola verso 56 destinazioni, di cui 12 intercontinentali, 24 internazionali e 20 nazionali. Tra le destinazioni intercontinentali servite da Ita ci sono New York, San Francisco, Los Angeles, Miami, Buenos Aires, San Paolo, Rio de Janeiro, Tokyo, Nuova Delhi e le Maldive. Al momento Ita fa parte dell’alleanza Sky Team.

Advertisement

La protesta dei trattori, settimana di fuoco in Italia

0
Trattori protesta Orte autostrada
Un momento della protesta degli agricoltori a Orte (Viterbo). Foto Ansa/Massimiliano Vismara

La protesta degli agricoltori dilaga ormai anche in Italia. Un’onda partita dalla Germania e dalla Francia che sembra crescere giorno dopo giorno in vari paesi di tutta Europa. L’obiettivo della protesta è quello di contrastare una politica comunitaria troppo penalizzante, orientata come è al Green Deal.

Il Green Deal è il ‘Patto Verde’ con cui i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno stabilito di far diventare la Ue il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. E per raggiungere questo traguardo hanno preso l’impegno di ridurre le emissioni inquinanti nell’aria di almeno il 55% entro il 2030 – cioè fra soli 6 anni – rispetto ai livelli del 1990. E mentre anche nel fine settimana appena trascorso decine di trattori hanno bloccato il traffico sulla A1 all’altezza dell’uscita di Orte nel Lazio, in entrambe le direzioni, nuovi grandi raduni sono previsti martedì prossimo 30 gennaio. Si svolgeranno in varie zone di Lombardia, Toscana e Sardegna organizzate dal movimento ‘Riscatto Agricolo‘.

Un altro momento topico della protesta sarà il presidio del 31 gennaio (mercoledì) a Verona, in occasione della inaugurazione di Fieragricola, la fiera di riferimento del settore. Coltivatori e allevatori italiani, ridotti allo stremo da costi di produzione esagerati e basse remunerazioni, faranno sentire la loro voce sfilando con i loro trattori per le strade e nelle piazze. “Non ci sentiamo rappresentati dalle organizzazioni agricole” ha affermato all’Adnkronos Giorgio Bissoli, contoterzista di Verona, portavoce di un movimento di base, che risponde allo slogan ‘Uniti si vince’. “Ci sono questioni che riguardano la politica europea ma molte le si devono affrontare anche a livello nazionale. Come il fatto di riconoscere un costo di produzione, fermo dal 2019“. Una protesta, dunque, che esula dalle appartenenze di ciascun agricoltore o allevatore alle associazioni di settore come Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri.

Protesta, le rivendicazioni degli agricoltori

Martedì scorso Remo Roncari, 52 anni, commerciante veneto di materie prime, ha partecipato a una manifestazione sempre a Verona nei pressi del mercato ortofrutticolo che si è svolta in maniera pacifica. Gli agricoltori si sono accampati nei pressi del mercato ortofrutticolo per due giorni, sono rimasti tutta la notte e sono andati via il pomeriggio del giorno seguente. “Siamo arrivati con 400 trattori, eravamo un migliaio, – riferisce raggiunto al telefono – se non avremo risposte andremo avanti ma non vogliamo fare blocchi stradali, noi chiediamo sempre le autorizzazioni. Nel mio gruppo whatsapp siamo circa 900 persone”. Si tratta infatti di gruppi di centinaia di contadini che interagiscono tra loro e si autoconvocano via social nelle varie province, da nord a sud.

Il mercato sta cambiando per via delle massicce importazioni di prodotti agricoli come il mais che fanno abbassare i prezzi delle nostre produzioni” ha spiegato ancora Roncari. “Tutto mentre non si sono abbassati i costi produttivi e gli agricoltori non ce la fanno – ha detto Roncari – e quello che ci fa anche innervosire è che il prezzo al consumo non si è abbassato”. Anche le tasse, dall’Imu all’Irpef, pesano sui redditi agricoli ed incombe la minaccia che possa sparire l’agevolazione sul carburante come è avvenuto per i colleghi francesi e tedeschi. Tra le varie rivendicazioni anche quella di contenere la fauna selvatica che provoca ingenti danni come, ad esempio, le nutrie in Emilia Romagna.

Advertisement

Compensi fringe benefit e stock option: indicazioni INPS su modalità e tempistiche

0
Fringe benefit stock option indicazioni INPS
Fringe benefit e stock option arrivano le indicazioni dell'INPS su modalità e tempistiche - diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

Con riferimento alle disposizioni vigenti in materia di dichiarazione dei redditi e sostituzione d’imposta, i datori di lavoro sono tenuti ad adempiere all’invio telematico dei dati relativi ai compensi per fringe benefit e stock option erogati nel corso del 2023 al personale cessato dal servizio, per i quali l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) svolge attività di sostituto d’imposta. Tale obbligo deve essere adempiuto entro il prossimo 21 febbraio.

A comunicarlo è lo stesso ente previdenziale tramite messaggio n. 32/2024 pubblicato lo scorso 4 gennaio sul suo sito ufficiale. Messaggio che fornisce dettagliate istruzioni sulle modalità e tempistiche per la corretta trasmissione dei dati richiesti. In ottemperanza a quanto stabilito dall’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), si sottolinea che, ai fini fiscali, fringe benefit e stock option, insieme ad altri compensi e vantaggi accessori erogati dal datore di lavoro, devono essere considerati redditi di lavoro dipendente, rifacendosi al c.d. principio di onnicomprensività.

Esenzione straordinaria per l’anno 2023 prevista dal decreto “Lavoro”

Per l’anno 2023, il decreto “Lavoro” ha eccezionalmente innalzato il limite di esenzione per beni e servizi erogati, portandolo da 258,23 euro a 3.000 euro. Tale disposizione si applica esclusivamente ai lavoratori con figli nelle condizioni stabilite dall’articolo 12, comma 2, del TUIR (le detrazioni spettano a condizione che le persone interessate possiedano un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili. Per i figli di età non superiore a ventiquattro anni il limite di reddito complessivo è elevato a 4.000 euro). Dettagli aggiuntivi sono reperibili nella circolare n. 23/2023 dell’Agenzia delle Entrate.

Ruolo dell’INPS e principio di cassa allargato

Nel caso in cui importi o valori erogati a titolo di fringe benefit e stock option siano corrisposti a lavoratori che cessano dal servizio con diritto a pensione nel corso dell’anno fiscale di percezione, l’INPS è tenuto ad agire come sostituto d’imposta. Tale ruolo prevede l’applicazione del principio di cassa allargato, come indicato dall’articolo 51, comma 1, seconda parte del TUIR. In base a tale principio, se i suddetti importi sono erogati entro il 12 gennaio dell’anno fiscale successivo a quello di riferimento, essi devono essere considerati come rientranti nell’anno fiscale precedente (es. 2023 se erogati entro il 12 gennaio 2024).

In conclusione, in qualità di sostituto d’imposta, l’INPS deve effettuare il conguaglio fiscale entro il 28 febbraio dell’anno successivo. Ciò include la trasmissione telematica dei flussi delle Certificazioni Uniche all’Agenzia delle Entrate per la dichiarazione precompilata dei redditi dei contribuenti.

Scadenza adempimenti telematici per fringe benefit e stock option

Per quanto concerne la trasmissione tempestiva dei dati, al fine di agevolare l’Istituto previdenziale nell’espletamento puntuale degli obblighi previsti in qualità di sostituto d’imposta, i datori di lavoro coinvolti sono tenuti a inoltrare, esclusivamente mediante modalità telematica, entro il 21 febbraio 2024, le informazioni relative ai compensi erogati per fringe benefit e stock option al personale che ha cessato il servizio nel periodo d’imposta 2023.

I flussi informativi pervenuti oltre il termine indicato non saranno soggetti a conguaglio fiscale di fine anno. Tuttavia, saranno soggetti a correzioni nelle Certificazioni Uniche 2024. In tal caso, sarà esplicitamente comunicato al contribuente l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi.

Fringe benefit e stock option: istruzioni trasmissione telematica dei dati

Infine, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) specifica che per la trasmissione dei dati è necessario utilizzare l’applicazione denominata “Comunicazione Benefit Aziendali” reperibile sul sito ufficiale www.inps.it. Il percorso da seguire è il seguente: “Imprese e Liberi Professionisti” > “Accesso ai servizi per aziende e consulenti” > “Accedi all’area tematica”. All’interno di quest’ultima, è possibile scegliere tra le seguenti opzioni:

  • Acquisizione di una singola comunicazione
  • Gestione di una singola comunicazione acquisita in precedenza
  • Invio di un file predisposto in base a criteri predefiniti
  • Ricezione tramite download di software per predisporre e controllare il formato dei dati contenuti nei file che i datori di lavoro intendono inviare
  • Visualizzazione del manuale di istruzioni

 

Advertisement

Vivono in schiavitù 50 milioni di persone nel mondo

0
schiavitù moderna mondo
Migranti che vivono ad Atene nel corso di una protesta contro la schiavitù dei rifugiati. Foto Ansa/Epa Orestis Panagiotou

Mai come in questi Anni Venti si è parlato così spesso di diritti umani, eppure siamo lontani dal vedere una condizione senza la schiavitù per milioni di uomini e donne di molti paesi del mondo. Secondo l’International Labour Organization (ILO) e l’International Organization for Migration (IOM), a settembre 2022 erano quasi 50 milioni le persone ancora in condizioni di schiavitù nel nostro pianeta.

Naturalmente i tempi sono cambiati e bisogna intendersi su quale sia il significato da attribuire alla modern slavery. La schiavitù di oggi non è quella del passato. Si sostanzia nell’imposizione di forme di controllo, coercizione e sfruttamento di soggetti, spesso minori e bambini, per il tornaconto economico di qualcuno. Sia che si tratti di un soggetto fisico che di un’impresa. A finire in questa condizione di vera e propria schiavitù sono molto spesso i migranti.

Le forme della schiavitù moderna

Una delle più estreme forme di schiavitù moderna è il traffico di esseri umani. Persone che mafie e organizzazioni del crimine sradicano dai loro luoghi di origine per reclutarli e sfruttarli nella prostituzione, nella criminalità o tramite matrimoni forzati. Per non parlare poi del tema del prelievo di organi. Il lavoro forzato rappresenta una delle forme di schiavitù moderna numericamente più considerevoli. Secondo l’ILO, dei quasi 50 milioni di esseri umani in condizioni di schiavitù, 27,6 milioni sarebbero costretti al lavoro forzato. Di essi oltre 17 milioni sfruttati nel settore privato, oltre 6 milioni sfruttati sessualmente a fini commerciali. E quasi 4 milioni sottoposti a un lavoro imposto dalle autorità statali.

Di grande portata e impatto sociale vi è poi il lavoro minorile che da solo coinvolgerebbe nel mondo circa 200 milioni di minori. Bambini e ragazzi che non godono di alcun diritto, come quello a un’educazione adeguata. Non ultima, esiste tutt’oggi una forma di servitù domestica che può nascondere sfruttamento e abusi di soggetti particolarmente vulnerabili.

Le aree più coinvolte

La schiavitù moderna risulta maggiormente concentrata in alcuni paesi, specie quelli a basso reddito, di Africa, Sud America, Asia Centrale e Medio Oriente. In particolare, secondo il Global Slavery Index 2023 dell’organizzazione per i diritti umani Walk Free, la Corea del Nord è il Paese nel mondo a più elevato indice di schiavitù, pari a 104,6 persone ogni 1.000 abitanti. Al secondo posto l’Eritrea con 93 persone ogni 1.000 abitanti. Terza la Mauritania con 32 persone ogni 1.000 abitanti. Ma tra i primi 10 paesi di questa triste classifica si trovano anche Arabia Saudita, Turchia, Emirati Arabi, Russia e Kuwait. Stati dove, seppur in misura piuttosto differente, i diritti umani sono ancora lontani da essere garantiti e difesi.

Schiavitù, i settori più a rischio

A livello di settori produttivi sono diversi quelli coinvolti dal rischio di mancato rispetto dei diritti dei lavoratori. A cominciare dal settore edile dove la domanda di personale è molto elevata e per questo non di rado si assiste allo sfruttamento di manodopera poco preparata e a basso costo. A rischio elevato sono anche i settori minerario e agroalimentare, le cui lunghe e complesse catene di fornitura tra produzione, lavorazione e confezionamento, sfruttano i lavoratori.

A tale proposito, secondo l’ILO, l’11% delle vittime mondiali di lavoro forzato che riduce in condizioni di schiavitù appartiene ai settori agricolo e della pesca. Infine, il settore finanziario, ancorché sia percepito come a basso rischio, risulta esposto a violazioni dei diritti umani sia dal punto di vista del rispetto dei lavoratori che della concessione del credito. In questo senso è bene ricordare che invece le istituzioni finanziarie possono avere un ruolo centrale nel contrasto alla schiavitù moderna in virtù della capacità di indirizzare il business globale, identificare flussi finanziari e promuovere investimenti sostenibili.

Advertisement

I nostri SocialMedia

27,994FansMi piace
2,820FollowerSegui

Ultime notizie

Diritto alla disconnessione

Diritto globale necessario per tutti: disconnessione dal lavoro

0
In Australia è stato introdotto il diritto alla disconnessione per tutelare il tempo libero dei lavoratori fuori dall'orario di lavoro. L'Australia ha introdotto il diritto...