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Fringe benefit: analisi Consulenti del Lavoro sulle novità 2024

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Fringe benefit
Fringe benefit: analisi Consulenti del Lavoro sulle novità introdotte nel 2024 - diritto-lavoro.com Foto crediti: Pinterest

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha recentemente pubblicato un’analisi dettagliata riguardante le soglie di non imponibilità relative ai fringe benefit erogati ai dipendenti. Questo studio prende in esame la natura giuridica di tali compensi, la loro regolamentazione contrattuale e il trattamento fiscale e contributivo, focalizzandosi in particolar modo sulle disposizioni introdotte dalla Legge di Bilancio 2024. Vengono altresì analizzate le condizioni per l’accesso alle nuove soglie di esenzione, i doveri imposti ai datori di lavoro e ai dipendenti, nonché le modalità di erogazione

In data 22 febbraio 2024, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha esaminato il regime normativo relativo ai fringe benefit erogati dai datori di lavoro ai propri dipendenti, aggiuntivamente alla retribuzione ordinaria. Il documento di approfondimento in questione è concepito con l’obiettivo di realizzare una risorsa pratica e informativa per una gestione efficace dei suddetti benefici accessori nell’ambito dei rapporti lavorativi. Esso, infatti, fornisce indicazioni attuali e chiarimenti in conformità alle più recenti disposizioni normative, al fine appunto di agevolarne un’amministrazione ottimale.

Novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024

Negli ultimi anni, si è osservato un crescente interesse da parte del legislatore nei confronti dei fringe benefit, mirando a sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori e ad incentivare le imprese nell’offrire tali agevolazioni in modo più diffuso. Diverse sono state le iniziative volte ad aumentare il limite di esenzione fiscale (passando da 258,23 a 500, 600, 3.000 euro, ecc.) e ad espandere la gamma dei beni e servizi compresi, come ad esempio il rimborso delle spese per le utenze domestiche.

Con la recente Legge di Bilancio 2024 (art. 1, comma 16, L. n. 213/2023), il legislatore ha introdotto una deroga all’articolo 51, comma 3, del Testo Unico della Imposte sui Redditi (TUIR), stabilendo che, limitatamente all’anno fiscale 2024, non saranno considerati nel reddito complessivo fino a un massimo di 1.000 euro (anziché 258,23), il valore dei beni e servizi concessi ai dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica, del gas naturale, delle spese di affitto per la prima casa e degli interessi sul mutuo per la prima casa. Tale soglia è ulteriormente elevata a 2.000 euro per i dipendenti con figli a carico, includendo anche figli nati fuori dal matrimonio riconosciuti e figli adottivi o affidati.

È evidente notare come il legislatore abbia voluto estendere l’ambito di applicazione dell’articolo 51, comma 3, del TUIR, comprendendo nel non concorso al reddito da lavoro dipendente anche le somme erogate o rimborsate dai datori di lavoro per le utenze domestiche, le spese di affitto per la prima casa e gli interessi sul mutuo per la prima casa, non trattandosi di un beneficio in natura ma di un reale rimborso per spese sostenute.

Condizioni per l’ottenimento dei fringe benefit

In relazione alle questioni di spettanza previste dalla normativa, l’Agenzia delle Entrate, mediante la Circolare n. 23/2023, ha chiarito che nel caso di un figlio con età superiore ai 21 anni, in cui i genitori hanno convenuto che sia il genitore con il reddito più elevato a beneficiare al 100% delle detrazioni fiscali, l’altro genitore può anch’egli usufruire di tali agevolazioni, a condizione che il figlio sia considerato fiscalmente a carico di entrambi i genitori.

Dal punto di vista delle operazioni pratiche, nel momento in cui il datore di lavoro decide di fornire al dipendente un bene e/o un servizio in natura come fringe benefit, è necessario formalizzare tale riconoscimento. Tale formalizzazione può avvenire all’interno del contratto di lavoro o mediante un accordo separato, sia all’inizio del rapporto lavorativo che in corso di esso.

Affinché i datori di lavoro possano applicare tali agevolazioni, devono informare, se presenti, le Rappresentanze Sindacali Unitarie.

I lavoratori che rientrano nella fascia di esenzione più elevata devono presentare un’autocertificazione al datore di lavoro, attestando di avere figli fiscalmente a carico e fornendo i relativi codici fiscali. Essi sono, inoltre, tenuti a comunicare eventuali variazioni delle loro condizioni durante l’anno.

Regime fiscale dei fringe benefit e procedure di rendicontazione

Qualora la somma dei fringe benefit riconosciuti al lavoratore non superi le soglie stabilite per il periodo di imposta 2024, tali benefici sono esenti sia dal punto di vista fiscale che da quello contributivo, in conformità al principio di armonizzazione delle basi imponibili previste dal Decreto Legislativo n. 314/1997 e alla Circolare INPS n. 49/2023.

Il superamento delle soglie indicate per l’anno 2024, pari a 1.000 euro o 2.000 euro, comporta l’imponibilità totale dei valori dei fringe benefit. Lo stesso vale nel caso in cui non sussistano più le condizioni per l’estensione della soglia a 2.000,00 euro nel caso di figli a carico. In tali circostanze, il datore di lavoro è tenuto a effettuare le operazioni di conguaglio entro la scadenza del periodo di imposta.

Infine, al termine dell’anno fiscale, il datore di lavoro è obbligato a comunicare gli importi relativi ai fringe benefit concessi ai dipendenti tramite la Certificazione Unica 2025 per l’anno fiscale 2024, la cui presentazione è prevista per marzo 2025, conformemente al modello ministeriale e alle disposizioni normative vigenti.

 

 

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Assegno d’Inclusione: si allarga la categoria di beneficiari?

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Assegno Inclusione novità
Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Elvira Calderone @Crediti Ansa - DirittoLavoro

Introdotto da poche settimane, l’Assegno d’Inclusione potrebbe già subire alcune modifiche in merito ai requisiti per poterlo ottenere. Questo fa intuire che si potrebbe allargare la tipologia di persone a cui la misura è destinata.

La misura lanciata dal Governo Meloni e riconosciuta come Assegno d’Inclusione è stata attivata da gennaio 2024. Nasce come sostegno economico e di inclusione sociale e professionale a favore di categorie aventi diritto. Secondo il sito ufficiale del Ministero del Lavoro, esistono dei requisiti indispensabili per poterlo ottenere (residenza, prova ISEE, situazione reddituale, nucleo familiare e partecipazione iter per ottenere lavoro e inclusione sociale). Nata per sostituire il Reddito di Cittadinanza, tuttavia, ad oggi sembra che non ci siano i numeri per poterla definire una misura che si applica in ampia portata. A tal proposito potrebbero presto subentrare delle modifiche che vadano, difatti, a modificare la platea dei beneficiari.

Gli attuali beneficiari dell’Assegno d’Inclusione: i numeri

Secondo i dati pubblicati dal Ministero del Lavoro, relativi ai pagamenti di gennaio e alle domande respinte, i beneficiari dell’Assegno d’Inclusione sarebbero oggi meno di quanto si aspettava. A tal proposito, si è diffusa la voce di una possibile modifica ai requisiti per l’ottenimento effettivo della misura. Sempre dai numeri dal Ministero del Lavoro, in un comunicato dello scorso 16 febbraio 2024, emerge che nel mese di gennaio 2024 sono stati circa 480mila nuclei familiari ad ottenere l’Assegno d’Inclusione, a fronte di una platea potenziale di 737mila. Inoltre, le richieste sono state in totale 779.302 e questo indica il numero delle ‘scartate’. Come chiarisce ancora il comunicato, sarebbero 24.115 le domande che richiedono un supplemento di istruttoria per l’accertamento di disabilità o nucleo familiare non conforme.

Mentre sarebbero 77.331 le domande che hanno bisogno di approfondimenti per dichiarazione sostitutiva unica (DSU) difforme. Ancora 801 domande sarebbero sospese per controlli sulla residenza anagrafica e su 22.762 domande l’INPS attende il controllo della certificazione da parte degli enti preposti. Le domande respinte o bocciate sarebbero, invece, 182.350. In merito a questo ultimo dato, il Ministero del Lavoro informa che i principali motivi per cui le domande, ad oggi, sono state scartate sono: il superamento del reddito, la mancata dichiarazione lavorativa e il superamento della soglia DSU.

I perché delle ipotesi di modifica

Ad indagine fatta, sarebbe emerso che molti nuclei familiari beneficiari del Reddito di Cittadinanza oggi sono esclusi dalla nuova misura di sostegno, questo pur mantenendo situazioni lavorative e familiari di precarietà e fragilità. Se da un lato, dunque, i nuovi requisiti hanno dissuaso i più ‘furbi’ a richiedere il sostegno, dall’altro lato esistono famiglie per cui i requisiti sono troppo alti, pur vivendo in situazioni poco affini all’inclusione sociale. Per fare ulteriore chiarezza, l’INPS fornisce alcuni chiarimenti in merito alle domande per l’Assegno d’Inclusione attualmente respinte o sospese. Nel Messaggio numero 684 del 14 febbraio 2024 l’Istituto di previdenza spiega, a tal proposito, come gestire le possibili informazioni disponibili in piattaforma nella propria area riservata.

L’Esecutivo è ben conscio di quanto sta accadendo, per questo motivo a Palazzo Chigi diversi osservatori stanno considerando l’idea di apportare alcune modifiche nei parametri. Partendo dalla scala di equivalenza, senza comunque tralasciare l’introduzione di una disciplina meno severa per le persone occupabili o in età da lavoro. Inoltre, la variabile rappresentata dal numero dei figli potrebbe avere più peso nella scala di equivalenza. In attesa di notizie ufficiali, si apprende infine che sarà il Comitato scientifico, eventualmente, a trattare le modifiche per la ‘consegna’ dell’Assegno d’Inclusione.

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Ticket licenziamento: le novità del 2024

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Ticket licenziamento
Versamento di denaro - DirittoLavoro

Nell’anno 2024 sono subentrate delle modifiche in merito all’importo del ticket licenziamento (o contributo NASpI) che spetta ad un (ex) lavoratore per le cessazione dell’attività lavorativa, ma con diritto alla disoccupazione. 

Con ticket licenziamento si intende il contributo che il datore di lavoro è tenuto a versare all’INPS nel caso in cui si verifichi una cessazione di rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (avente diritto alla NASpI). L’importo si adegua ogni anno ai dati sull’inflazione, in quanto è legato al trattamento di disoccupazione. Con il messaggio 531 del 7 febbraio 2024, l’INPS recepisce l’importo massimo relativo al corrente anno. In merito a questa circolare si può dire che il ticket ammonta a 635,67 euro annuali, per un importo massimo pari a 1907,01 per il triennio di anzianità. Di seguito un analisi nel dettaglio con le dovute eccezioni e precisazioni.

Cosa rappresenta il ticket licenziamento

Il ticket licenziamento finanzia l‘indennità di disoccupazione e il datore di lavoro è tenuto al versamento, questo a prescindere che il dipendente che ha cessato la sua attività lavorativa faccia richiesta di NASpI. Questo contributo è stato introdotto con l’articolo 2, commi 31-35, della Legge n. 92/2012 e deve essere pagato sempre in caso di interruzione di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, occorre precisare che il ticket licenziamento, oltre che per il licenziamento stesso, è dovuto anche in caso di: dimissioni per giusta causa, dimissioni durante la maternità, risoluzione consensuale a seguito della conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro quando il datore intende licenziare per giustificato motivo oggettivo.

Il contribuito spetta anche a seguito della risoluzione consensuale, qualora il dipendente rifiuti il trasferimento presso un posto di lavoro distante oltre i 50 Km dalla residenza, o raggiungibile con oltre 80 minuti per mezzo del trasporto pubblico. Ed infine è dovuto ticket licenziamento anche nel caso in cui il contratto da apprendistato non si trasformi in indeterminato. Tuttavia, occorre fare un primo importante chiarimento in merito. Infatti, con il messaggio n. 1400 del 29 marzo 2022, l’INPS specifica che in caso di fallimento della società il datore può essere esonerato dal pagamento del ticket.

Altre tipologie di contratto oltre l’indeterminato

Come accennato in apertura, l’importo del ticket licenziamento è fissato in misura pari al 41% del massimale mensile di disoccupazione per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del cessato negli ultimi tre anni. Altra precisazione doverosa riguarda il fatto che il contributo è dovuto anche nel caso del lavoro part-time. In questo situazione la tassa licenziamento non è proporzionata alla percentuale part-time, ma è dovuta sempre in misura piena. Inoltre, il ticket è dovuto anche nel caso di licenziamenti collettivi, dove la misura equivale a quella prevista per i licenziamenti individuali. In questa condizione (di licenziamento collettivo) esiste un’eccezione importante. Infatti, se la dichiarazione di eccedenza del personale si manifesta senza accordo sindacale, l’importo dovuto si triplica.

Un caso a sé riguarda il licenziamento nel settore edilizia. Infatti, in questo contesto esiste un esonero alla tassa per le imprese in cui l’interruzione di lavoro avviene per completamento delle attività e chiusura del cantiere. Infine, per quanto riguarda i lavori a tempo determinato è bene chiarire che già dalla L. 92/2012 è previsto un contributo addizionale per questi tipo di contratto a termine. Equivale ad un contributo aggiuntivo pari all’1.4% dovuto dai datori di lavoro per il personale a tempo determinato. Si tratta di un contributo che in questo caso si sostituisce al ticket licenziamento, ma che va a finanziare la NASpI del dipendente e permettere, quindi, anche ad un dipendente a tempo determinato di usufruire della disoccupazione.

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Ristrutturare casa, i bonus in vigore nel 2024

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bonus ristrutturazione 2024 regole
Foto X @GeometrInRete

Alla fine di quest’anno scadranno diverse agevolazioni attive, in sostanza dei bonus, per ristrutturare casa. Non è ancora chiaro cosa deciderà di fare il Governo Meloni. Per ora si è deciso però di limitare sempre di più le possibilità di ottenere sconti per i cittadini. In ogni caso, almeno per tutto il 2024, nonostante il continuo e graduale depotenziamento del Superbonus edilizio al 110%, le opzioni restano più d’una.

Lo strumento principale utilizzato negli ultimi anni per rilanciare il settore dell’edilizia è stato senza dubbi il Superbonus. Dalla sua introduzione a oggi la politica ha però deciso di svuotarlo pian piano. La prima versione aveva un’aliquota di sconto al 110%, scesa poi al 90%. Adesso – fatta eccezione per casi particolari – è al 70%. Resterà in vigore anche nel 2025, quando però ci sarà un ulteriore abbassamento al 65%.

Gli ecobonus

Confermato fino alla fine del 2024 è invece l’Ecobonus. Nella sua versione ordinaria è un bonus che consiste in una detrazione Irpef e Ires che può andare dal 50% al 75% per diversi lavori mirati a limitare l’impatto ambientale di un’abitazione. Tra questi ci sono l’installazione di pannelli solari e la sostituzione di impianti di riscaldamento, cappotti e pareti isolanti. Stessa scadenza, la fine di quest’anno, per un’altra detrazione fiscale pensata per ridurre il rischio sismico, con aliquota variabile. Si può arrivare fino all’80% se i lavori sugli immobili singoli riducono di almeno due classi il rischio sismico. Fino all’85%, alle stesse condizioni, per i condomini. C’è però un limite di spesa detraibile per questo genere di bonus. Ovvero quella fissata a 96mila euro per ogni unità abitativa.

Barriere architettoniche

Di recente lo Stato ha ridimensionato il bonus barriere architettoniche. Il quale resta comunque un’opzione vantaggiosa (lo sconto è del 75%) per i lavori che riguardano ascensori, rampe, scale e piattaforme. Prima dell’ultima modifica, arrivata alla fine del 2023, lo si poteva utilizzare anche per i bagni e gli infissi di porte e finestre. Il bonus è confermato fino alla fine del 2025. La detrazione di deve calcolare in riferimento ad alcuni limiti di spesa.

Cinquantamila euro per gli edifici unifamiliari o per le unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti. Quarantamila euro (moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio) per gli edifici composti da due a otto unità immobiliari. Trentamila euro (moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio) per gli edifici composti da più di otto unità immobiliari.

Bonus ristrutturazione e mobili

Poi c’è il bonus ristrutturazione, detrazione Irpef al 50% (su una spesa che non può superare i 96mila euro) per la manutenzione straordinaria. Ma anche per il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia di immobili. Da qui al 31 dicembre 2024 si può anche usufruire del bonus al 36% sulle spese sostenute per interventi effettuati sulle aree verdi: giardini, terrazzi e balconi. Il limite di spesa è di 5mila euro.

Sopravvive anche il bonus per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, seppur in forma ridotta come altre agevolazioni. Qui la detrazione è al 50%, su una spesa massima di 5mila euro (all’inizio era di 16mila euro, poi è stata abbassata a 8mila euro). Il 2024 potrebbe essere il suo ultimo anno. Considerando che la maggior parte delle agevolazioni citate – salvo eventuali proroghe – scadranno nel 2024, questo potrebbe essere il momento di programmare i lavori sugli spazi domestici.

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Salario, la parità fra donne e uomini è ancora un miraggio

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Donne lavoro salario gender gap
Foto X @fisco24_info

Il divario di genere fra uomini e donne sul lavoro e per quanto riguarda il salario, in particolare, è un tema sempre più sotto i riflettori in Italia. A fotografare lo scenario attuale ci ha pensato Lhh, società del Gruppo Adecco per la ricerca di personale, che ha elaborato un’analisi sul tema.

Negli ultimi trent’anni le donne hanno fatto molti progressi in tema di partecipazione al mercato del lavoro. Ma la strada si mostra ancora lunga e la parità è lontana dall’essere raggiunta. Basti pensare che, circa la retribuzione salariale, è come se le lavoratrici italiane cominciassero a percepire un salario a partire da febbraio pur lavorando regolarmente dal 1° gennaio.

Meno donne occupate

Nel 2022 l’occupazione femminiletornata a crescere, superando il 51%, contro il 69% degli uomini. L’aumento del numero di donne entrate o rientrate a far parte nel mondo del lavoro è testimoniato anche dalla riduzione del tasso di disoccupazione, che si attesta al 9,5% per le donne e al 7% per gli uomini. L’aumento della partecipazione economica delle donne al lavoro non risolve però un divario di genere evidente, in quanto le donne occupate sono di meno, trovano meno lavoro e tendenzialmente sono meno spinte a far parte della forza lavoro. Oppure, scoraggiate dalla difficoltà a trovare un impiego, rinunciano a cercarlo più̀ facilmente rispetto agli uomini. Questa considerazione non vale però per tutte. Sul piano del livello di istruzione sono principalmente le non laureate a scontare una minor presenza nel settore rispetto ai colleghi. Al contrario, le donne laureate con un’occupazione sono più̀ degli uomini.

Forti differenze di salario

Le discrepanze si fanno decisamente sentire quando si tratta di salario. L’Osservatorio JobPricing, che monitora le retribuzioni del settore privato, per l’anno 2022 ha registrato un pay gap pari all’8,7%, che arriva al 9,6% considerando la retribuzione globale annua, comprensiva cioè della parte variabile. In termini monetari, questo si traduce in un gap di circa 3.000 euro fra un salario maschile e uno femminile. Analizzando l’andamento del pay gap in Italia dal 2014 a oggi, è possibile notare come sia sia verificato un tendenziale miglioramento del differenziale retributivo, ma la situazione è ancora lontana dall’essere risolta.

Se si guarda al divario retributivo di genere complessivo, ovvero alla differenza tra il salario annuale medio che lavoratori e lavoratrici percepiscono, questo si stima per l’Italia al 43%. Il nostro Paese si posiziona al quarto posto tra i divari più alti in Europa, dopo Paesi Bassi, Austria e Svizzera. In base all’indagine svolta, emerge che le donne rappresentano la minoranza tra i ruoli dirigenziali e quadri. La disparità risulta più evidente nel settore privato. In quel contesto i dirigenti sono uomini nell’83% dei casi, nel 17% sono donne. Per quanto riguarda i quadri, il 69% sono uomini e il 31% donne, mentre, se si guarda il dato del mercato nel suo complesso, la situazione risulta migliore. Questo è un segno che nel settore pubblico il gap, seppur presente, è meno accentuato. I dirigenti sono al 67% uomini, al 33% donne. Per quanto riguarda i quadri: al 55% sono uomini e al 45% donne.

 

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Rapporto Draghi: se non cambia, l’Europa è destinata a non contare nulla

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Draghi Europarlamento rapporto competitività
Foto X @EP_President

Pochi giorni dopo la sua partecipazione all’Ecofin informale di Gand, in Belgio, Mario Draghi ha esposto le sue tesi sulla competitività europea di fronte ai presidenti delle commissioni dell’Europarlamento. “Mi hanno chiesto al termine di Ecofin quale sia l’ordine delle riforme necessarie per l’Ue” ha detto. “Quale sia l’ordine non lo so, ma per favore, è il momento di fare qualcosa, decidete voi cosa ma per favore, si faccia qualcosa, non si può passare tutto il tempo a dire no”.

Come è noto Draghi sta compilando un rapporto sul tema della competitività europea sui mercati. Nel fine settimana appena trascorso l’ex premier italiano ha presentato il suo rapporto ai ministri delle Finanze dei 27. In quella occasione ha insistito sulla necessità di mobilitare enormi investimenti per consentire all’Unione europea di competere con Stati Uniti e Cina. Investimenti sia pubblici che privati.

Draghi: “Riforme subito!”

I soldi – ha detto ai parlamentari un Mario Draghi dal linguaggio piuttosto schietto – sono solo un aspetto del problema. L’altro aspetto è una profonda rivisitazione delle regole che abbiamo costruito e sulle quali abbiamo lavorato. Il mercato unico è un altro esempio. Le chiamavamo riforme strutturali. È quello che dobbiamo fare ora: riforme strutturali, a livello di Unione Europea. Il mercato unico è altamente imperfetto. Ci sono centinaia di direttive che non vengono attuate, o che vengono attuate in modo diverso a seconda dei Paesi“.

Il mercato elettrico – ha proseguito – è un altro settore cui dobbiamo guardare, perché chiaramente l’Europa non può essere competitiva, se paghiamo l’elettricità due volte tanto quanto costa negli Usa e il gas naturale cinque o sei volte tanto. Ci sono molte cose che dobbiamo fare, delle quali i soldi sono solo una” ha concluso.

Tre orizzonti per il futuro

L’ex banchiere centrale ha ricordato che “negli ultimi anni, l’Unione Europea ha ottenuto importanti risultati. Dall’adozione di politiche climatiche e digitali all’avanguardia a livello mondiale. E dalla definizione degli strumenti che guidano la ripresa dell’Europa dalla pandemia di Covid alla riduzione della nostra dipendenza dalle importazioni energetiche russe. In questi frangenti, il Parlamento europeoè stato determinante e spesso ha aperto la strada“. E tuttavia “nonostante i successi ottenuti negli ultimi anni nell’affrontare crisi e shock, ci troviamo in un momento critico“.

Tre le tendenze convergenti che costringono a considerare come rafforzare la competitività europea nel lungo periodo. La prima è la rapida accelerazione della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica che continua a migliorare l’organizzazione del lavoro e il suo ruolo nello stimolare la crescita produttiva. Un esempio è costituito dagli sviluppi compiuti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa, le cui applicazioni pratiche in ambiti quali la sanità e l’istruzione sono di vasta portata.

La seconda tendenza è il cambiamento climatico che sta spingendo l’ecosistema naturale a un punto critico, costringendo tutti ad agire per accelerare la transizione ecologica. La terza deriva da un contesto geopolitico in rapida evoluzione caratterizzato da una maggiore spinta al conflitto. Stanno cioè aumentando a livello planetario le guerre militari ma anche quelle ibride, cibernetiche, economiche. Una realtà che “sta costringendo l’Unione europea a riesaminare il proprio approccio alla globalizzazione“. Draghi ha citato le pratiche anticoncorrenziali di alcuni concorrenti che “continuano a compromettere la parità di condizioni a livello globale e l’autonomia strategica aperta della Ue”. Tutto questo “richiede una riflessione seria sulla riduzione del rischio delle potenziali vulnerabilità“.

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Apple sotto il pugno di ferro di Vestager

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Margrethe Vestager Apple maxi multa Ue
Foto Ansa/Epa Oliver Matthys

L’autorità Antitrust dell’Unione europea, che fa capo alla Commissaria per la Concorrenza, la danese Margrethe Vestager, sarebbe sul punto di sanzionare pesantemente la big tech americana Apple. Secondo il Financial Times, l’azienda di Cupertino potrebbe ricevere una maxi multa da 500 milioni di dollari. Il motivo? La violazione delle regole sulla concorrenza per quanto riguarda i servizi di streaming musicale.

Il quotidiano della City di Londra cita 5 fonti a conoscenza dell’indagine e afferma che l’annuncio della multa a Apple dovrebbe arrivare all’inizio di marzo. La Commissione europea sarebbe giunta alla decisine di infliggere la pesante sanzione a seguito di un’approfondita indagine sull’ipotesi che Apple abbia volutamente bloccato alcune app. Ossia non abbia consentito agli utenti di iPhone di venire a conoscenza di alternative più economiche per accedere ad abbonamenti musicali al di fuori dell’App Store. L’indagine è dell’Antitrust europeo è stata avviata sulla base di un reclamo di Spotify del 2019.

La maggior sanzione della Ue a Apple

Secondo la ricostruzione del Financial Times, nell’arco delle prossime settimane Apple dovrà rispondere dell’accusa di abuso di posizione dominante. E anche di pratiche commerciali anticoncorrenziali. L’Antitrust europea riterrebbe che il colosso di Cupertino applichi “condizioni commerciali sleali“. Non sarebbe certo la prima volta che una grande azienda di Internet subisce una maxi multa da parte di un’autorità pubblica transnazionale.

Il punto è che, in questo caso, si tratterebbe di una delle più importanti che mai l’Unione europea ha imposto alle grandi aziende tecnologiche. Salvo una serie di sanzioni a carico di Google per 8 miliardi di euro su cui pendono ancora dei ricorsi. Apple non è mai stata multata dall’Antitrust europea. Nel 2020 ha ricevuto una multa per 1,1 miliardi in Francia per comportamento anticoncorrenziale, poi ridotta a 372 milioni dopo il ricorso. Secondo il quotidiano economico inglese la tempistica dell’annuncio della Commissione non è stata ancora fissata precisamente, ma non cambierà la direzione dell’indagine antitrust.

Vestager, la ‘dura’ di Bruxelles

La Commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, in carica da 10 anni, aveva già sanzionato Apple in passato. Il 29 agosto 2016, dopo un’indagine dei suoi uffici durata due anni, Vestager aveva annunciato che Apple Inc aveva ricevuto indebiti benefici fiscali dall’Irlanda. La Commissione, dunque, ordinò alla Apple di rimborsare 13 miliardi di euro in imposte non pagate all’Irlanda per il periodo 2004-2014. Dopo molta resistenza sia del governo irlandese che della multinazionale americana, la società di fondata da Steve Jobs aveva pagato nel 2018 un totale di 14,3 miliardi (compresi gli interessi) per chiudere il caso.

Il governo di Dublino, tuttavia, aveva dichiarato in quell’occasione che avrebbe tenuto i soldi di Apple in un fondo separato fino alla conclusione del ricorso contro il provvedimento che era stato presentato alla Commissione Europea. In quello stesso ano, il 2016, Margrethe Vestager ricevette il Women of Europe Awards, nella categoria Woman in Power. La sua fama di ‘dura’ si è fatta strada fino a oggi, come dimostra il caso della maxi multa alla Apple che il Financial Times ha svelato. Dal 15 maggio 2023, a seguito delle dimissioni della commissaria Marija Gabriel, Vestager ha assunto ad interim anche il portafoglio per l’innovazione e la ricerca in seno alla Commissione europea.

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Draghi all’Ecofin: “L’ordine globale è scosso, la Ue è indietro: servono enormi investimenti”

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Draghi Ecofin Gand Belgio
Mario Draghi. Foto X @paoloigna1

L’ex premier italiano ed ex governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, è tornato sulla scena politica ed economica internazionale. Il 24 febbraio ha partecipato alla riunione informale dei ministri delle Finanze a Gand, in Belgio. “Negli ultimi anni – ha dichiarato – si sono verificati molti cambiamenti profondi nell’ordine economico globale. Questi cambiamenti hanno avuto una serie di conseguenze, una delle quali è chiara: in Europa si dovrà investire una quantità enorme di denaro in un tempo relativamente breve. Sono impaziente di discutere di ciò che i ministri delle Finanze pensano e stanno preparando su come finanziare queste esigenze di investimento“.

Mario Draghi ha rilasciato queste dichiarazioni alla luce del rapporto sul futuro della competitività europea al quale sta lavorando. L’ex premier è dato da non pochi osservatori quale prossimo presidente del Consiglio europeo. Ovvero dell’organismo che raduna i capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri dell’Unione europea. Al di là che ciò accada o meno, si tratta comunque di una personalità politica e di un banchiere di caratura mondiale. E il suo intervento del 24 febbraio al vertice dei ministri europei dell’economia e delle finanze rappresenta un passo ulteriore verso un chiaro ritorno sulla scena. A meno di due anni dalla caduta del suo Governo in Italia.

La ricetta di Draghi

L’ex governatore della Bce chiama dunque l’Unione a cambiare nettamente passo sul piano economico e finanziario. Rispetto agli investimenti necessari per la transizione ecologica e in direzione di un’economia al passo coi tempi “non intendo solo il denaro pubblico, ma anche i risparmi privati” ha segnalato Draghi. “Quando guardiamo ai nostri principali concorrenti e agli Stati Uniti in particolare, il divario è ovunque. Nella produttività, nella crescita del Pil, nel Pil pro capite“.

L’ordine economico globale in cui l’Europa ha prosperato è scosso” ha sottolineato Draghi all’Ecofin, per la dipendenza dall’energia russa, a causa delle esportazioni cinesi e sulla difesa dagli Usa. Altri fattori sono la velocità richiesta dalla transizione verde e la “velocità impressa dall’intelligenza artificiale. Nel corso del suo intervento a Gand, l’ex premier ha osservato che “i bisogni delle transizioni verde e digitale sono stimati in almeno 500 miliardi di euro l’anno. A cui vanno aggiunti la difesa, gli investimenti produttivi. Il divario dell’Ue rispetto agli Usa si sta allargando soprattutto dopo il 2010. Agli Usa sono serviti due anni per tornare ai livelli precedenti, all’Ue 9 anni, e da allora non siamo saliti. C’è un gap di investimenti dell’1,5% del Pil pari a 500 miliardi di euro“.

Un fondo per la competitività

Nel confronto con i ministri delle Finanze dell’Ue all’Ecofin informale a Gand, Draghi ha quindi chiesto ai ministri europei delle Finanze un parere su come mobilitare il risparmio in Europa. Anche alla luce delle nuove regole del Patto di stabilità. Per l’ex capo della Bce occorrerebbe un apposito fondo Ue. Le discussioni hanno mostrato una convergenza su quali elementi siano necessari per ripristinare la competitività, come la riduzione dei prezzi elevati dell’energia, la riduzione degli oneri normativi e il completamento e il sostegno di un mercato unico forte. Draghi ha concluso il proprio intervento sottolineando la necessità di azioni coraggiose volendo finanziare i costi della doppia transizioneverde e digitale – e della difesa militare. Il tutto mantenendo gli attuali modelli sociali.

Più soldi per armi e sistemi di difesa

Sull’aumento di investimenti per la difesa militare dei paesi dell’Unione “certamente” serviranno “discussioni“. Anche “su quali strumenti a livello Ue possano aiutare“. Lo ha dichiarato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis“È una questione di quali strumenti, ma è chiaro che avremo bisogno fare di più sia a livello nazionale che comunitario“.

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Crediti fiscali, il 40% è irrecuperabile. L’Erario perde quasi mezzo miliardo

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L’arretrato di crediti fiscali che l’Erario vanta nei confronti di quasi 20 milioni di italiani supera i 1.200 miliardi di euro. Sono i dati dell’Agenzia delle Entrate al 31 dicembre del 2023. Tuttavia la maggior parte del cosiddetto “magazzino della riscossione” è “irrecuperabile”. Lo ha spiegato a inizio febbraio il direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini. Soltanto 101,7 miliardi, meno di un decimo dell’importo, sarebbe effettivamente possibile riscuotere. Il resto dei 163 milioni di cartelle e avvisi è ritenuto fuori portata.

Più in dettaglio, il 40% dei crediti in magazzino, pari a 483 miliardi, appare irrecuperabile perché è intestato a persone morte, a nullatenenti o imprese chiuse o fallite. Un altro 42% dei crediti, circa 502 miliardi, riguarda soggetti verso i quali l’agenzia ha già svolto attività di riscossione senza risultati. E per circa 100 miliardi l’azione è sospesa a causa di provvedimenti giudiziari o altri interventi. Un discorso a parte si deve fare per i pagamenti rateali che rappresentano oltre il 50% degli incassi dell’agenzia di riscossione. Si tratta di uno strumento che Ruffini ha definito “assolutamente utile perché concede una dilazione ai contribuenti che possono riuscire a rimettersi in regola e rientrare nei binari di regolarità dei pagamenti“.

Il peso dell’evasione fiscale

I piani di rateizzazione riguardano 18,8 miliardi di crediti nel magazzino che dovrebbero, nel tempo, se tutto va a buon fine, arrivare nelle casse dello Stato. Queste stime sui crediti fiscali si devono ancora aggiornate con i risultati dell’ultima rottamazione. Tuttavia forniscono comunque un’idea della mole dell’arretrato: fanno capo a 18,9 milioni di persone fisiche, quasi un italiano su tre. Ai quali si aggiungono 3 milioni e mezzo di società, fondazioni ed enti. In un’audizione parlamentare il viceministro all’Economia, Maurizio Leo, ha definito l’evasione un “macigno, tipo il terrorismo” da contrastare con la collaborazione di tutti.

La polemica sulla “caccia alle streghe

Fra gli strumenti a disposizione del Fisco per tentare il recupero dei crediti inevasi aumenta l’uso del cosiddetto data scraping sui social network. Ovvero lo scandagliare account e post dei contribuenti alla ricerca di elementi significativi del tenore di vita di chi è in debito con l’Erario. Per esempio vacanze e cene in ristoranti di lusso. Nel corso di Telefisco 24, il viceministro di Fratelli d’Italia è poi tornato sul tema, facendo una parziale retromarcia e assicurando che “non ci sarà nessuna caccia alle streghe” dicendosi dispiaciuto per essere stato interpretato diversamente.

A seguito dell’intervento di Leo in Parlamento, diversi esponenti della Lega, infatti, avevano preso le distanze. Il deputato Armando Siri aveva parlato di uno “slogan, che sicuramente scalda i cuori di chi scambia la giusta lotta all’evasione con un’indiscriminata caccia alle streghe“. Dopo le polemiche il viceministro Leo ha chiarito che al contribuente che non aderisce al concordato preventivo si chiederà di spiegare perché c’è un disallineamento tra il reddito dichiarato e gli elementi in possesso dell’Agenzia delle entrate.

Crediti e aliquote Irpef

Non ci sarà un fisco che vuole colpire gli italiani, tutt’altro, ha spiegato Leo: “Vogliamo tendere una mano ai contribuenti. Fare in modo che si allineino e dichiarino in relazione alla loro capacità contributiva. Gradualmente e, a fronte di questo, abbasseremo le aliquote“, ha detto, prospettando una riduzione per l’Irpef già dal 2025. Per il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, “gli evasori rubano due volte. Alle casse dello Stato e alle tasche dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo“.

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Bonus genitori separati e divorziati, domande al via: tutto quello che c’è da sapere

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C’è tempo fino al 31 marzo 2024 per fare domanda all’Inps al fine di ottenere il nuovo bonus per genitori separati, divorziati e/o non conviventi. La misura è finalizzata a garantire un contributo ai genitori in stato di bisogno, ossia con un reddito non superiore a 8.174 euro, che nel periodo di emergenza Covid risultavano conviventi con figli minori o maggiorenni portatori di handicap grave. E che, nel medesimo periodo, non abbiano ricevuto l’assegno di mantenimento per inadempienza dell’altro genitore (ex coniuge o ex convivente).

Bonus, a chi spetta

Il bonus spetta laddove l’altro genitore, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica, abbia cessato, ridotto o sospeso l’attività lavorativa a decorrere dall’8 marzo 2020. E lo abbia fatto per una durata minima di 90 giorni oppure abbia subito una riduzione del reddito di almeno il 30% rispetto al reddito percepito nel 2019. La domanda per percepire il beneficio dovrà essere presentata all’Inps, previa autenticazione al portale dell’Istituto, attraverso l’apposito servizio Contributo per genitori separati o divorziati per garantire la continuità dell’erogazione dell’assegno di mantenimento. Una funzione  disponibile nella sezione Punto d’accesso alle prestazioni non pensionistiche.

Contributo per massimo 12 mesi

Il bonus genitori separati, divorziati e/o non conviventi è corrisposto in un’unica soluzione in misura pari all’importo non versato dell’assegno di mantenimento. Fino a concorrenza di 800 euro mensili. Il contributo spetta per un massimo di 12 mensilità tenuto conto delle disponibilità del fondo che ammonta a 10 milioni di euro. Il beneficio arriverà dall’Inps previa verifica dei requisiti di legge a cura del Dipartimento per le politiche della famiglia.

Matrimoni e divorzi in Italia

Per avere un quadro completo della situazione delle coppie in Italia, rispetto ai bonus, è bene conoscere i dati Istat. Il rapporto Matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi riferito al 2021 rileva un ritorno ai livelli pre-Covid per le separazioni (97.913, +22,5% rispetto al 2020) e i divorzi (83.192, +24,8%).

Per quanto riguarda i divorzi, spiega il sito dell’agenzia Dire (www.dire.it), i numeri sono comunque in calo del -16% in confronto al 2016, anno in cui sono stati più numerosi (99.071). La composizione tra separazioni/divorzi consensuali e giudiziali, nel 2021, risulta pressoché invariata rispetto all’anno precedente. L’85,5% delle separazioni si è concluso consensualmente (percentuale rimasta pressoché stabile nell’ultimo decennio).

Bonus e unioni civili

Dopo il picco del 2016 (78,2%) la proporzione di divorzi consensuali decresce per tornare in prossimità del valore di inizio decennio (72,4% nel 2010). Se le separazioni e i divorzi sono tornati ai numeri precedenti alla pandemia, non si può dire lo stesso per i matrimoni. Nel 2021 i matrimoni son stati 180.416, l’86,3% in più rispetto al 2020, anno in cui, a causa della crisi pandemica, molte coppie avevano rinviato le nozze. L’aumento non è stato però sufficiente a recuperare quanto perso nell’anno precedente (la variazione rispetto al 2019 è infatti pari a -2%).

L’Istat rileva che i matrimoni religiosi, quasi triplicati rispetto al 2020, sono in calo (-5,1%) rispetto al periodo pre-pandemico. Nei primi nove mesi del 2022 i dati provvisori indicano un lieve aumento dei matrimoni (+4,8% rispetto allo stesso periodo del 2021) dovuto esclusivamente alla crescita dei matrimoni civili (+10,8%). Crescono in misura marcata (+32,0%) le unioni civili. Sono 142.394 i primi matrimoni nel 2021, più che raddoppiati rispetto all’anno precedente. Sono 24.380 le nozze con almeno uno sposo straniero (+29,5%). Sono 2.148 le unioni tra partner dello stesso sesso (+39,6%).

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