giovedì, Gennaio 16, 2025
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Lavori estivi per studenti e giovani: cosa possono fare?

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Lavori estivi per studenti
Bagnino @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Terminata la scuola, non sono pochi i giovani che scelgono lavori adatti agli studenti. Infatti, nella stagione estiva, sono diverse le attività che possono essere svolte anche dai ragazzi.

Se per molti giovani la fine della scuola è sinonimo di libertà e svago, per altrettanti è un periodo in cui poter investire il tempo in lavori estivi, adatti agli studenti, con i quali racimolare dei soldi che possono servire a coprire un hobby, un desiderio, uno svago o ‘semplicemente’ che iniziano a responsabilizzarli. Bene sapere dunque, che entro specifiche condizioni, anche gli studenti possono lavorare fuori dagli orari scolastici.

I lavori permessi agli studenti (anche minorenni)

Innanzitutto è importante ricordare che la legge che regola il lavoro minorile individua i minorenni che hanno completato l’obbligo scolastico e che hanno compiuto almeno 15 anni. Quest’ultimi possono lavorare, tenendo conto del divieto di lavoro notturno e di lavoro straordinario e di alcuni divieti specifici che riguardano le mansioni, i procedimenti e le esposizioni a sostanze nocive o dannose. Fatta questa doverosa premessa, si può dire che tra i lavoro stagionali adatti agli studenti ci può essere il volantinaggio. In questo caso si fa riferimento alla distribuzione di materiale cartaceo pubblicitario, commissionato da aziende, negozi o agenzie. La retribuzione, in questo caso, è ad ore o a quantità di volantini distribuiti.

Tra i lavori per giovani studenti anche quello di pet sitter, ovvero l’accudimento di animali domestici. Si tratta di una mansione che può essere svolta per un certo periodo di tempo con una paga, solitamente, oraria. Uno dei lavori più ‘famosi’ tra i giovani è, poi, quello di bagnino. Tuttavia, è bene sapere che per svolgere questo lavoro è necessario possedere una qualifica apposita e aver compiuto almeno 16 anni. Si tratta di un lavoro che implica una certa responsabilità e una formazione specifica al primo soccorso. Per svolgere questa mansione si stabilizza un contratto che può prevedere uno stipendio vero e proprio.

Investire nel turismo

Altri esempi di lavori per studenti possono essere quelli presso strutture ricettive. Ed in questo caso si spazia dall’animatore turistico, al cameriere o aiuto-cuoco, ad hostess o steward presso fiere ed eventi, o ai baristi che affiancano personale più specializzato. I guadagni, in questo caso, variano di molto e dipendono dalle ore lavorate e dal tipo di contratto, in alcuni casi comprendono anche vitto e alloggio. Adatto ai giovani anche il lavoro che si qualifica nell’affiancamento allo studio di uno o più materie scolastiche (le ripetizioni). Qui la paga è oraria e può variare dai 7 ai 15 euro.

Valido tutto l’anno, al di fuori delle ore scolastiche e di studio, anche il lavoro di baby-sitter potrebbe essere adatto ai giovani predisposti a trascorrere del tempo con i bambini. Anche in questo caso la paga è, in genere, oraria e si aggira intorno agli 8 euro. Ed infine, tra i lavori estivi dedicati anche agli studenti si può trovare anche quello della guida turistica. Il turismo, infatti, è un settore molto interessante dove diversi giovani possono trovare impiego in diverse attività anche aderendo a servizi online dedicati e pensati nella propria zona di residenza. In questo ultimo ambito il guadagno varia, a seconda dell’impiego, tuttavia è senz’altro richiesta buona conoscenza in campo linguistico e ovviamente storico e culturale.

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2024 e festività soppresse: come sono retribuite?

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Festività e retribuzione
Busta paga @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Nel 2024 sono subentrate ex festività che meritano di essere regolate in busta paga. Scopriamo insieme quali sono e come verranno retribuite.

Ogni anno, nel nostro Paese, esistono festività confermate. Ma può succedere che alcune siano soppresse, in questo caso è bene capire in che modo vengano effettivamente retribuite. Infatti, essendo state in calendario in precedenza, la legge stabilisce che siano retribuite al lavoratore in termini di giorni di permesso o di retribuzione. Quando si parla di ex festività si fa riferimento a date in cui un lavoratore dipendente, in passato, poteva astenersi dal lavoro. Oggi questi giorni sono normali giornate lavorative. Rispetto al 2024, le festività soppresse sono principalmente tre. Ovvero: San Giuseppe, 19 marzo, Ascensione del Signore, 9 maggio e Corpus Domini, 30 maggio. Non più considerata come festivo anche il 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale.

Ex festività: retribuzione, permessi e tipologie di contratto

Al 2024, le date sopracitate non rientrano più nel calendario delle festività. Di conseguenza, il lavoratore ha diritto ad altre forme di remunerazione che sostituiscono, difatti, l’astensione dal lavoro. Bene sapere che, in ogni caso, è necessario fare riferimento al CCNL specifico applicato, ovvero al Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro stipulato tra il dipendente e l’azienda presso la quale lavora. In tal caso, la retribuzione può essere conteggiata in ore oppure in giornate. Nel caso in cui si tratti di conteggio orario, si parla di 32 ore per le ex festività che sono indicate in busta paga. Visionando quest’ultima, si può verificare la reale sussistenza del pagamento citato. In certi casi la somma è indicata in una sezione apposita in busta paga, in altri casi è indicata tra i permessi.

Facendo riferimento alla retribuzione a giornate, invece, l’ex festività quest’anno 2024 conta di quattro giorni, compreso il 4 novembre. Tali giornate si possono tramutare in ferie, anche con fruizione consecutiva, se il lavoratore dipendente ne fa richiesta specifica. I pagamenti, è bene specificare, tengono conto del lavoro svolto durante l’anno e del momento in cui ricadano le date. Di conseguenza, il dipendente ha diritto al pagamento ‘extra’ se le ex festività ricadono in giorni feriali. Quando l’ex festività coincide con la domenica, il lavoratore accede al pagamento previsto per la domenica. Se invece ricade di sabato, è importante capire se il dato contratto considera questo giorno come feriale o festivo.

Esistono casi in cui le ex festività rientrano trai permessi retribuiti. In questo ultimo caso la procedura è uguale ad ogni altro tipo di permesso. Per il 2024 si parla di 32 ore da poter utilizzare o da cui ricavare una retribuzione monetaria. Infatti, se tali ore non sono utilizzate dal dipendente, considerando che rientrano tra i permessi retribuiti, il datore di lavoro è tenuto a pagare un’indennità sostitutiva. Analogamente a quanto detto in precedenza, anche in questo caso, per verificare se le ex festività assumono il ruolo di permessi è necessario visionare il proprio contratto e conseguentemente la busta paga mensile. Infine, vale la pena sottolineare che anche nel caso del contratto part-time le festività equivalgono a 32 ore (per il 2024), ma sono proporzionate alle effettive ore di lavoro.

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Dipendenti pubblici statali: aumenti in busta paga e smart working

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Busta paga dipendenti statali
Busta paga @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Novità per i dipendenti pubblici statali che potrebbero ritrovarsi un aumento in busta paga, oltre ad agevolazioni per lo smart working. Questo quanto si apprende dal nuovo atto firmato dal Ministro della Pubblica Amministrazione.

Lo scorso 29 maggio 2024, il Ministro della Pubblica Amministrazione ha firmato l’atto che avvia il negoziato per il rinnovo del contratto dei dipendenti statali per il periodo 2022-2024. Documento atteso da tempo, grazie al quale possono prendere avvio anche le trattative dei contratti in scadenza 2024 che coinvolgono i dipendenti impiegati nelle agenzie fiscali, alla Corte dei Conti, a Cnel, all’avvocatura generale, nei vari Ministeri e presso altri enti pubblici non economici.

Novità per i dipendenti pubblici statali

Con il nuovo atto si introducono diverse novità, alcune delle quali particolarmente rilevanti. Si parte dallo smart working che, una volta giunto a regime, potrà essere pari al 5,78% delle ore lavorative. Inoltre, si prevede di dare più spazio al merito come criterio di base per l’assegnazione dei premi. Previste, poi, regole meno stringenti per il salario accessorio. Nello specifico, il testo che riporta le innovazioni in merito ai contratti per i dipendenti statali costituisce un elemento base e serve a delineare le linee guida anche per altri settori della pubblica amministrazione.

Il rinnovo del contratto per i dipendenti pubblici statali prevede, come sottolinea il titolo di questo stesso articolo, un aumento nella busta paga per il comparto dello Stato. Per questa voce sono stati stanziati, complessivamente, 555 milioni di risorse dei totali 5,5 miliardi previsti per tutto il comparto statale. In media è previsto, dunque, un aumento pari a 160 euro al mese. Per quando riguarda le novità per lo smart working, invece, è bene chiarire che sono amplificate le regole per poterne usufruire. I primi beneficiari, in tal senso, sono genitori con figli minori di 14 anni e lavoratori fragili. Ovviamente, tale attività potrà essere svolta solo se il lavoro è compatibile con l’attività da remoto. Tuttavia, in questo campo è importante precisare che lo smart working non potrà essere oggetto di contrattazione collettiva, poiché è necessario tutelare l’autonomia di ogni singola amministrazione.

Meritocrazia e formazione

Altro importante nodo positivo, come accennato in precedenza, è il maggior valore dato alla meritocrazia. Nello specifico, per i Ministeri e per le Agenzia Fiscali, dai prossimi contratti, sarà eliminata l’anzianità di servizio fra i criteri adottati per assegnare aumenti o premi. In questo caso si è nell’ambito delle progressioni orizzontali, così come sono definite in gergo. In concreto, tuttavia, si parla di scatti di stipendio atti a promuovere alcuni dipendenti e che, nella consuetudine, sono affiancati a quelli tabellari uguali per tutti.

Particolare novità introdotta dal nuovo documento è anche relativa all’importanza data alla formazione. Infatti, per i dipendenti pubblici statali la formazione diventa una delle basi per determinare le progressioni economiche o per assegnare premi. Infine, vale la pena evidenziare che in sede di contrattazione si valuta la possibilità di introdurre un ammontare minimo di ore di formazione che non sia inferiore a 24 ore. Esso dovrà essere garantito come diritto-dovere a ciascuno dei dipendenti da parte dell’amministrazione per la quale presta lavoro. La formazione costituirà, inoltre, orario lavorativo.

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Caro ombrelloni, indagine Codacons: fino a 700 euro per una giornata al mare

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Ombrelloni mare Italia spiagge
Foto Ansa/Giorgio Benvenuti

Per l’affitto di ombrelloni e lettini al mare si spendono quest’anno in Italia fino a 700 euro al giorno. Dal Nord al Sud della penisola si registrano ritocchi dei listini dal +3% al +5% per i servizi balneari. A sostenerlo è il Codacons, che ha realizzato una indagine sui lidi più costosi d’Italia. Ma c’è di più. L’associazione dei consumatori ha inviato una diffida alle Capitanerie di Porto affinché le spiagge oggetto di concessioni balneari illegittime siano restituite al libero usi di tutti i cittadini. 

In linea generale per affittare un ombrellone e due lettini durante il weekend in uno stabilimento standard, sottolinea l’associazione dei consumatori, “la spesa media si attesta tra i 32 e i 35 euro al giorno. Con forti differenze sul territorio: a Sabaudia servono fino a 45 euro, che arrivano a 90 euro a Gallipoli e toccano i 120 euro in alcune località della Sardegna“.

Ombrelloni di lusso

Se però ci si sposta nelle spiagge di ‘lusso’, rileva il Codacons, “la spesa supera i 500 euro al giorno e può arrivare a sfiorare i 700 euro. È il caso ad esempio del Cinque Vele Beach Club di Marina di Pescoluse (Lecce), dove un gazebo con due sedute in prima fila ubicato nell’area ‘Exclusive’ arriva a costare ad agosto (se prenotato oggi con opzione rimborsabile) ben 696 euro al giorno“.

“Servono 600 euro al giorno per una tenda araba presso il ‘Twiga’ di Forte dei Marmi (con sofa, 2 letti king size, 2 lettini standard, 1 sedia regista e 1 tavolino). Per una giornata al mare nella spiaggia del prestigioso Hotel Excelsior del Lido di Venezia, la spesa per una capanna in prima fila è di 515 euro (con 2 sdraio, 2 lettini, lenzuolo, cuscino, asciugamano, tavolo, armadio, specchio, attaccapanni)“.

Poco meno, rileva il Codacons, “al beach club dell’Augustus Hotel di Forte dei Marmi, 500 euro per una tenda in prima fila. Stessa spesa al Nikki Beach Costa Smeralda. Per l’Iconic Beach bed servono 270 euro, ma occorre aggiungere una consumazione minima da 230 euro per vino o champagne, per un totale appunto di 500 euro al giorno“.

Il nodo delle concessioni balneari

E proprio in tema di spiagge, caro ombrelloni e stabilimenti balneari il Codacons, a seguito della decisione del Consiglio di Stato sulle proroghe delle concessioni, sottolinea l’associazione dei consumatori, “ha avviato una nuova iniziativa legale“. Ovvero “l’associazione ha presentato una diffida alle Capitanerie di porto di tutta Italia. E ha chiesto di ‘sanzionare l’utilizzo di concessioni balneari oggetto di proroga illegittima, garantendo in tal modo il pieno utilizzo delle spiagge italiane ai cittadini“.

Il Codacons alla luce della sentenza del Consiglio di Stato ritiene che “le proroghe delle concessioni balneari agli stabilimenti debbano essere considerate invalide. Pertanto le spiagge italiane, in assenza di valide concessioni, poiché appartengono al patrimonio dello Stato, possono essere oggetto d’uso da parte di tutti i cittadini, liberamente. Allo stato attuale è legittimo ritenere che i cittadini possano usufruire delle spiagge come ‘libere’, portando ombrelloni e lettini anche lì dove sorgono gli stabilimenti. E, d’altra parte, i gestori di tali stabilimenti, ove titolari di concessioni scadute, nulla possono eccepire dinanzi al comportamento descritto“.

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Imu, le città dove l’imposta è più cara

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Imu imposta municipale unica
Foto X @gspazianitesta

Lunedì 17 giugno scadono i termini per il versamento dell’acconto Imu, l’imposta municipale unica su seconde case, fabbricati e terreni. Secondo un’analisi della Uil il tributo quest’anno costerà in media 1.022 euro ma con differenze sensibili tra le varie zone d’Italia. Dai dati di Confedilizia si rimarca invece come il gettito annuale dell’Imu sia attualmente di circa 22 miliardi di euro. Nei grandi centri l’imposta quest’anno sarà superiore ai 2mila euro. Roma, Siena e Padova guidano la classifica dei capoluoghi più cari, ultima Catanzaro.

Il 17 giugno (cadendo il 16 di domenica), si versa dunque la metà dell’importo dovuto: circa 11 miliardi di euro. Nel 2024, considerando anche la seconda rata da pagare il 16 dicembre, il peso dell’Imu raggiungerà – dal 2012, anno della sua istituzione con la manovra Monti – la cifra di quasi 300 miliardi di euro in 13 anni. Il calcolo è dell’associazione dei proprietari, che evidenzia come l’imposta sia “dovuta persino per gli immobili inagibili e inabitabili. Sia pure con base imponibile ridotta alla metà“. Inoltre “eliminare – simbolicamente – questa forma di tassazione particolarmente odiosa costerebbe poco più di 50 milioni di euro“.

L’Imu come una patrimoniale

Tra il 2011 e il 2022 gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 610.085 (+119%). Si tratta di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo. Ma anche per effetto di atti concreti dei proprietari finalizzati a evitare almeno il pagamento dell’Imu, afferma ancora Confedilizia.

Toglierla nei piccoli borghi

L’Imu, come tutte le patrimoniali, è un’imposta progressivamente espropriativa dei beni che colpisce” dichiara il presidente Giorgio Spaziani Testa. “Il fatto che questi beni siano gli immobili, vale a dire la tradizionale forma di investimento degli italiani, rende particolarmente pesante l’impatto del tributo, anche sul piano sociale. Chiediamo al Governo di avviare una graduale riduzione di questa imposta nemica del risparmio e della crescita. Si potrebbe cominciare eliminandola sulle case in affitto con i contratti a canone concordato, per estendere l’offerta abitativa, e sugli immobili dei piccoli centri, per agevolare la rinascita di borghi e aree interne. Si scelgano delle priorità, ma occorre iniziare“.

Chi paga questa imposta

L’Imu (Imposta municipale propria) è una delle principali imposte sulla casa. A pagare sono i proprietari di immobili, ossia fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli. L’obbligo di versamento ricade, inoltre, sul titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie. Sul genitore assegnatario della casa familiare a seguito di provvedimento del giudice, sul concessionario nel caso di concessione di aree demaniali e sul locatario per gli immobili concessi in locazione finanziaria dal momento della consegna e per tutta la durata del contratto.

Come si calcola l’Imu

Resta confermato, anche per il 2024, l’esonero per le abitazioni principali non di lusso, così come le agevolazioni e riduzioni tra cui quella prevista in caso di comodato d’uso gratuito. L’Imu è dovuta in due rate, acconto e saldo. Il calcolo si basa sulle aliquote dell’anno precedente, ma è possibile utilizzare l’aliquota dell’anno in corso se risulta più vantaggiosa, pagando l’intero importo in un’unica soluzione entro lunedì 17 giugno. Il saldo, invece, è da pagare entro il 16 dicembre. Il versamento può essere effettuato tramite il Modello F24 (standard o semplificato), la piattaforma PagoPA, o tramite bollettino postale approvato.

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Inps, simulatore aggiornato: trentenni in pensione a 70 anni

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Inps pensione anticipate
Foto Ansa/Ciro Fusco

L’Inps, l’Istituto nazionale della previdenza sociale, ha aggiornato la pagina “Pensami” con le nuove regole della legge di Bilancio. Inserendo i propri dati anagrafici, il tipo di lavoro che si svolge e i dettagli sulla tipologia di contribuzione, si può avere un’idea di quando si andrà in pensione e quanti anni di contributi saranno necessari.

Fondamentale segnalare eventuali attività usuranti, lavoro precoce, servizio militare, riscatto di titoli di studio universitari o accredito figurativo della maternità obbligatoria fuori dal rapporto di lavoro. Sono tutti elementi che possono cambiare il calcolo degli anni necessari per l’accesso alla pensione. In un messaggio, l’Inps ha sottolineato di avere aggiornato gli adeguamenti agli incrementi alla speranza di vita dei requisiti pensionistici sulla base dello scenario demografico Istat mediano (base 2022) relativo alle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico.

Il calcolo dell’Inps

Dunque secondo l’Inps quando riuscirà ad andare in pensione un 30enne che ha iniziato a lavorare da poco? E con quanti anni di contributi? A queste domande risponde il simulatore Pensami, appena aggiornato con le nuove regole della legge di Bilancio. Chi ha oggi 30 anni e ha cominciato a lavorare da poco riuscirà ad andare in pensione tra i 66 anni e 8 mesi – nel caso abbia versato 20 anni di contributi e maturato un assegno superiore a una certa soglia – e i 74 anni.

Un caso specifico? Stando al simulatore, un uomo nato all’inizio del 1994 che ha cominciato a lavorare all’inizio del 2022 e abbia almeno 20 anni di contributi andrà in pensione di vecchiaia a dicembre del 2063. Ovvero con 69 anni e 10 mesi di età. Per effettuare la simulazione occorre inserire nella pagina Pensami i propri dati anagrafici e il tipo di lavoro che si è svolto. Inoltre si può indicare a quali fondi pensioni per dipendenti si è aderito, oppure a quali gestioni separate, o ancora a che casse professionali. Si arriva quindi su una pagina che mostra i tipi di pensione a cui, ad oggi, si potrebbe accedere, e quando.

Come funziona il simulatore

Nel simulatore l’Inps ricorda di inserire dati fondamentali come eventuali attività usuranti, lavoro precoce, servizio militare, riscatto di titoli di studio universitari. Perché appunto possono cambiare il calcolo degli anni necessari per l’accesso alla pensione. In particolare sono aggiornati gli adeguamenti agli incrementi alla speranza di vita dei requisiti pensionistici. Sulla base dello scenario demografico Istat mediano (base 2022) relativo alle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario elaborato dalla Ragioneria Generale dello Stato e pubblicato a dicembre 2023 sul sito istituzionale del Ministero dell’Economia e delle finanze.

La spesa per le pensioni

Nonostante la stretta sull’accesso alla pensione, l’Italia è il secondo paese dell’Unione europea con la più alta spesa per pensioni rispetto al Pil. Secondo un documento Eurostat, sui dati relativi al 2021 in Italia il rapporto tra la spesa per le pensioni e il Pil ha toccato il 16,3%, secondo solo alla Grecia (16,4%). Nell’insieme dei paesi Ue la spesa per le pensioni è arrivata nel 2022 a 1.882 miliardi di euro, il 12,9% del Pil dell’Unione. Rispetto all’anno precedente la spesa complessiva è cresciuta del 2,8% ma il rapporto con il Pil è diminuito di 0,7 punti (nel 2020, anno però in cui il Pil è caduto a causa del Covid, era al 13,6%). Seguono l’Italia l’Austria (15%) e la Francia (14,9%).

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Superbonus, il cerchio si chiude: crollo verticale delle richieste

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case superbonus edilizio
Foto Ansa/VelvetMag

Fine del superbonus edilizio 110%. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, già ministro dello Sviluppo economico con Mario Draghi premier (2021-2022), è riuscito nel suo intento, in ciò portando a realizzazione l’obiettivo che fu dello stesso Draghi. Dapprima il Governo Meloni (in carica dalla fine del 2022) ha ridotto drasticamente la quota di finanziamenti statali alle ristrutturazioni di case ed edifici. Poi, con le nuove normative di quest’anno, il rubinetto – o piuttosto la fontana – da cui sgorgava abbondante il denaro dei contribuenti si è praticamente chiusa.

Durante lo scorso mese di maggio, sottolinea Italia Oggi, i nuovi investimenti per il superbonus edilizi sono stati pari a 120 milioni di euro. Erano ancora ben 5,6 miliardi a marzo. Brusca frenata anche per il numero degli edifici coinvolti nei lavori di ristrutturazione, fra ‘cappotti’, pannelli solari, infissi, caldaie e quant’altro. Nell’ultimo mese sono cresciuti di 248 unità soltanto. Una cifra azzerata, sostanzialmente, se si pensa che lo scorso marzo furono 13mila le unità abitative in cui si erano aperti cantieri.

La pietra tombale sul 110%

Il decreto legge 39/2024 (convertito nella legge numero 67/2024) ha dato al superbonus del fu Governo Conte (2018-2021, considerando il Conte I e il Conte II) il colpo di grazia. Già nel report aggiornato al 30 aprile scorso era infatti emersa la tendenza del calo dei lavori, cresciuti di 350 milioni di euro, con un trend in forte contrasto con i numeri dei mesi precedenti. Come riporta ancora Italia Oggi non si era mai scesi sotto i 4 miliardi d’importo richiesto per le ristrutturazioni. A tirare un sospiro di sollievo sono ovviamente i conti dello Stato. Il peso delle detrazioni fiscali è aumentato solo di 87 milioni, rispetto ai 4 miliardi dell’inizio di quest’anno.

I dati emergono dalla consueta analisi dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che ha pubblicato i numeri del superbonus aggiornati al 31 maggio. È chiaro che per la maxi-agevolazione edilizia, in vigore dal 2020 e mai vista prima in Italia, per far ripartire l’economia dopo la crisi pandemica, il cerchio si chiude.

Superbonus, i costi per lo Stato

L’onere a carico dello Stato per i lavori conclusi sale a maggio a 122,7 miliardi dai 122,6 miliardi di aprile. Mentre il totale degli investimenti è di 119,3 miliardi, il totale degli investimenti ammessi a detrazione è pari a 117,7 miliardi. Infine, il totale degli investimenti per lavori conclusi ammessi a detrazione è di 112,1 miliardi (il 95,3% dei lavori realizzati).

A rimanere quasi invariato è anche il numero degli edifici che hanno usufruito dell’incentivo: 495.717 in confronto ai 495.469 di aprile (come si è detto, 248 edifici in più in un mese). Lo scorso marzo il ministro Giorgetti parlò di un carico complessivo sulle casse pubbliche (quindi a spese dei contribuenti) che alla fine avrebbe potuto profilarsi attorno ai 200 miliardi circa.

Villette, condomini e castelli

Prendendo come punto di confronto i primi mesi del 2024 tra gennaio e febbraio il numero dei condomini, villette e castelli ammessi al superbonus in totale era aumentato di 9mila unità. In dettaglio, si legge nel resoconto di Enea, i condomini per i quali sono state chieste asseverazioni ai fini del superbonus sono 133.401, il totale degli investimenti ammessi a detrazione è pari a 78,5 miliardi e il totale dei lavori realizzati ammessi a detrazione è pari a 73,6 miliardi.

Per quanto riguarda gli edifici unifamiliari (244.952), il totale degli investimenti ammessi a detrazione è di 28 miliardi e il totale dei lavori realizzati arriva al 98,3%. Per le unità immobiliari funzionalmente indipendenti il numero di asseverazioni è 117.356, con investimenti ammessi di 11,3 miliardi. Infine, restano sempre 8 i castelli con investimenti di 1 miliardo. Infine l’investimento medio, comprese le somme non ammesse a detrazione, è 592 milioni per i condomini e 117.173,86 per le villette.

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Ferie non godute? Cosa succede dopo il 30 giugno 2024

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Ferie
Ferie @Foto Crediti Envato Elements - DirittoLavoro

Con l’avvicinarsi della scadenza del 30 giugno 2024 è bene chiarire se e in che modo si possono convertire le ferie non godute. 

Prima di approfondire la questione delle ferie non godute, è bene precisare che per ferie si intendono periodi che spettano di diritto ad un lavoratore. In questi periodi il dipendete non lavora, ma percepisce comunque la retribuzione. La legge stabilisce, pertanto, un periodo minimo di ferie che il dipendente matura nell’anno solare e i termini entro i quali tale periodo deve essere goduto. In tal caso, rientra la data del 30 giugno 2024, entro la quale il datore di lavoro deve far fruire al lavoratore le ferie maturate nel 2022 e non ancora godute. In caso contrario, il datore di lavoro è soggetto a sanzioni amministrative.

Ferie: diritto irrinunciabile

Trattandosi di un diritto irrinunciabile, le ferie non godute non possono essere liquidate neanche su richiesta del dipendente. Esistono però due eccezioni: la prima è nel caso della cessazione del rapporto di lavoro; la seconda è nel caso le ferie siano eccedenti il periodo minimo legale. In ogni altro caso, le ferie non godute entro la scadenza legale o il termine più ampio eventualmente previsto dai contratti collettivi, possono essere fruite in un momento successivo, ma di questo monte ore il datore deve calcolare i contributi INPS e versarli con modello F24.

Secondo la legge, il periodo di ferie deve corrispondere a 4 settimane in un anno. Eventuali aggiunte al periodo minimo possono essere stabilite dai singoli contratti. Il periodo minimo dev’essere goduto nell’anno di maturazione per quanto riguarda la prima metà, nei 18 mesi successivi per quanto riguarda la seconda metà. Questo significa che il termine del 30 giugno 2024 fa riferimento alla seconda metà maturata nel 2022. Per i contratti collettivi, tuttavia, può essere previsto un termine più ampio per la fruizione delle ferie, a patto che questo non comprometta il loro scopo: ovvero il recupero psico-fisico del dipendente.

Cosa spetta al datore di lavoro

Le 4 settimane di ferie non godute entro le scadenze previste dalla legge non possono essere monetizzate in busta paga, ma devono essere comunque fruite. Il datore di lavoro deve calcolare i contributi INPS dovuti sulle ferie maturate e non godute entro la scadenza. Le somme dovranno essere versate con modello F24 insieme ai contributi derivanti dalle retribuzioni dei dipendenti relative al mese successivo rispetto al termine. Di conseguenza, i contribuiti sul periodo maturato nel 2022 e non godute entro il 30 giugno 2024 dovranno essere versati insieme ai contributi dovuti per le retribuzioni di luglio 2024.

Il mancato godimento delle ferie entro i termini previsti comporta una sanzione nei confronti del datore di lavoro. Essa varia da un termine di base che va dai 100 ai 600 euro, per poi passare dai 400 ai 1.500 nel caso in cui la violazione riguarda più di 5 lavoratori o si è verificata in almeno due anni. Infine, può arrivare dagli 800 ai 4.500 euro se i dipendenti coinvolti sono più di 10 o il mancato godimento si è verificato in almeno quattro anni. Altro rischio è che il dipendente posso agire in giudizio per risarcimento danni o per mancata fruizione. Infine, vale la pena ricordare che come precisato dalla Cassazione l’esatta determinazione del periodo di ferie compete al datore, mentre il lavoratore ha solo la facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del periodo feriale.

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Assegno di Inclusione sospeso: possibili cause

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Assegno Inclusione
Ministra Marina Elvira Calderone @Foto Crediti Ansa - DirittoLavoro

Esistono condizioni e cause per le quali l’Assegno di Inclusione potrebbe essere sospeso al beneficiario. Importante conoscere le scadenze, dunque, per evitare di incappare in situazioni non previste.

L’Assegno di Inclusione è il sussidio fornito ai cittadini che si trovano in situazioni economiche di difficoltà. Ovviamente il beneficiario, per poterne usufruire, deve rientrare all’interno di parametri che sono stati stabiliti dal Governo. Qualora non si dovessero rispettare termini e scadenze, però, il sostegno può essere sospeso o essere totalmente perso. Il Messaggio INPS n.2132 del 6 giugno 2024 chiarisce che la sospensione avviene in caso di mancata presentazione del beneficiario entro 120 giorni al primo appuntamento presso i centri sociali.

Requisiti per l’Assegno di Inclusione

L’Assegno di Inclusione, che difatti si è andato a sostituire al Reddito di Cittadinanza, è pensato per permettere anche l’accesso al mondo del lavoro con percorsi strutturati per ogni beneficiario. E a fronte di questo presupposto è fondamentale la presentazione presso i centri sociali. A specificare i requisiti per l’assegnazione del sussidio è il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. E tra di essi si presuppone che, all’interno del nucleo familiare beneficiario, deve essere presente un componente in condizioni di fragilità. Con quest’ultima s’intende: minorenne, diversamente abile, con più di 60 anni d’età. A questo presupposto si aggiungono precise condizioni economiche e reddituali.

Dopo l’ottenimento dell’idoneità all’Assegno d’Inclusione, il beneficiario deve presentarsi entro 120 giorni presso i servizi sociali, i quali creano un percorso personalizzato per sostenerne l’inserimento lavorativo e sociale. Dunque, la prima motivazione per la quale il sussidio può essere sospeso è che il beneficiario non si presenti entro i tempi prestabiliti e ogni 90 giorni per aggiornare la propria posizione. La piattaforma web SIISL offre un contatore per verificare i giorni trascorsi e l’INPS riporta nel proprio sito web il servizio ‘Assegno di Inclusione (ADI)‘ che riporta l’eventuale sospensione del sostegno.

Come recuperare la sospensione

In merito all’anno 2024 è bene sapere che se la domanda per accedere all’Assegno di Inclusione è stata presentata tra dicembre 2023 e gennaio 2024, il termine dei 120 giorni viene conteggiato dal 26 gennaio 2024. In questo contesto è sapere, che anche nel caso in cui non dovesse arrivare la convocazione da parte dei servizi sociali, come più volte ha chiarito l’INPS, il beneficiario è comunque tenuto a presentarsi. Ed eventualmente (entro i tempi) contattare gli enti per chiarimenti.

A questo proposito è bene specificare che in alcuni casi è possibile rimediare alla sospensione dell’Assegno di Inclusione. Nello specifico se la convocazione da parte dei servizi sociali non è stata inviata correttamente e l’interessato non si è presentato spontaneamente, è possibile presentarsi dopo i 120 giorni per chiedere il recupero del sussidio e per cui verranno corrisposti anche i mesi arretrati. Ancora, se il beneficiario non si è presentato per un giustificato motivo, il contatore dei 120 giorni si ferma ed è riavviato secondo tempi concordati. Invece, se il beneficiario non si è presentato entro 120 giorni senza un giustificato motivo non si può recuperare il sostegno sospeso.

I casi citati riguardano la prima convocazione. Ma l’Assegno di Inclusione può essere sospeso anche nel corso dell’assegnazione per la mancata presentazione ogni 90 giorni. In questo caso, se il beneficiario si presenta spontaneamente, la sospensione può essere recuperata.

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TikTok? Da cinese può diventare statunitense (in mano a Frank McCourt)

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TikTok Usa Cina
Frank McCourt. Foto Ansa/Epa Sebastien Nogier

il popolare social media cinese TikTok finisce nel mirino di Frank McCourt, il miliardario americano a cui fanno capo la squadra di calcio francese dell’Olympique Marsiglia e la maratona di Los Angeles. McCourt ha annunciato di essere impegnato a definire un consorzio per l’acquisizione della app controllata dalla cinese ByteDance. Un assetto proprietario che il governo americano intende smantellare per motivi di sicurezza nazionale.

Il Congresso Usa ha infatti approvato una legge che impone a ByteDance la vendita dell’app altrimenti gli Stati Uniti la vieteranno sul proprio territorio. Mentre la battaglia legale è già in corso, con TikTok che ha fatto causa all’Amministrazione Biden, molti si stanno facendo avanti per una possibile acquisizione. L’ex segretario al Tesoro Steven Mnuchin sta lavorando alla messa a punto di un gruppo di investitori che possa procedere con l’acquisto. Lo stesso sta facendo Kevin O’Leary, il presidente di O’Leary Ventures Chairman, che intende avanzare un’offerta iniziale di 20-30 miliardi di dollari.

Il prezzo di TikTok

Naturalmente il prezzo di TikTok è uno dei nodi da sciogliere. L’app, molto amata dai giovani, ha oltre 1 miliardo di utenti nel mondo e potrebbe valere fino a 220 miliardi di dollari. L’altro problema da risolvere è se la Cina consentirà la vendita e, se sì, in quali termini. È probabile che non sarà incluso l’algoritmo che la fa funzionare, sottraendo valore all’app. Per McCourt una cessione senza algoritmo sarebbe ideale.

Dubitiamo che la Cina venda TikTok con l’algortimo. Ma noi non lo vogliamo perché stiamo pensando a un’architettura differente. A una modalità diversa di pensare a Internet e come opera“, ha spiegato il miliardario, precisando che il valore di TikTok sta nella sua ampia base di utenti, nei suoi contenuti, nel marchio e nella sua altra tecnologia. Che “non riguarda l’algoritmo“.

La crociata di McCourt

Perciò Frank McCourt intende comprare l’app e ripensarla internamente sul fronte dei dati e della privacy. A questo scopo ha già avviato contatti con alcuni accademici per parlare di come cambiarla. Fra questi c’è Jonathan Haidt, l’autore del libro The Anxious Generation su come gli smartphone hanno avuto un impatto sulla salute mentale degli adolescenti.

McCourt è impegnato da tempo in una crociata per rimodellare Internet e per sottrarre il controllo dei dati dai giganti tecnologici, con la creazione di quello che ha chiamato ‘Project Liberty‘. TikTok “sembra una grande occasione per creare un’alternativa all’attuale Internet, che è stato colonizzato da grandi piattaforme“, ha osservato McCourt in un’intervista al New York Times. Il miliardario, possibile nuovo padrone di TikTok, ha inoltre precisato che una sua acquisizione del social media cinese potrebbe aiutare gli utenti a riprendersi il “controllo delle loro identità e dei loro dati“.

Questo è un aspetto più difficile da credere, tuttavia. Perché è proprio sulla cessione dei dati personali da parte degli utenti alle aziende tecnologiche e la compravendita di essi fra i big del web che si gioca tutto il maxi business di Internet. Qui però può entrare in gioco il Project Liberty di McCourt: chissà che fra qualche anno Internet non diventi un’altra cosa rispetto a oggi.

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