domenica, Settembre 1, 2024
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Tirocini curricolari INPS 2024, come funzionano

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Tirocini INPS
Gruppo di studenti universitari - DirittoLavoro

Rinnovata la convezione per i tirocini curricolari INPS indirizzata a studenti universitari presso le sedi dello stesso Istituto Nazione di Previdenza sociale.

I tirocini curricolari INPS, di cui s’informa la rinnovata convezione con il messaggio n. 1374 del 5 aprile, hanno lo scopo di agevolare l’ingresso di nuove generazioni nel mondo del lavoro. I tirocini, infatti, sono atti ad integrare il percorso di studi universitari tramite l’acquisizione, in questo caso specifico, nella pratica di conoscenze previdenziale e nel settore economico e produttivo.

Le novità dei tirocini curricolari INPS 2024

I tirocini curricolari INPS si svolgono presso le sedi dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. Non si tratta di rapporti di lavoro, ma di periodi di formazione e orientamento. La convenzione tra INPS e Università contiene dettagli e modalità per accedere ai tirocini e possono essere attivati solo su richiesta delle Università. Nonostante non si tratti della prima volta in cui viene stipulata tale convezione, nel 2024 si sono rese necessarie alcune modifiche per introdurre nuove regole in materia di sicurezza sul lavoro e privacy. Questo ha comportato un nuovo schema, che è andato a sostituire il precedente varato nel 2016.

I tirocini curricolari INPS possono essere effettuati presso sedi centrali o territoriali dell’Istituto previdenziale. Per attivare il tirocinio è necessaria la presentazione di un’apposita domanda su iniziativa della singola Università interessata. Successivamente, nella convenzione saranno indicati alla struttura individuata gli studenti interessati a partecipare al percorso formativo e di orientamento in oggetto. A poter prendere parte ai tirocini INPS sono studenti e studentesse che non hanno completato il ciclo di studi universitario. Gli studenti accolti dalle sedi dell’INPS saranno di numero compatibile alla disponibilità dei vari uffici.

Come attivare il percorso formativo

Per attivare il tirocinio curricolare, INPS, tirocinante e Università devono sottoscrivere un accordo attuativo individuale, rispettando lo schema allegato alla nuova convenzione. L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale spiega, inoltre, che l’accordo regola le modalità di attuazione della collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti nel programma di formazione. Specificati, in maniera dettagliata, anche gli obblighi assicurativi e gli obblighi in campo di salute e sicurezza sul lavoro. Nell’ambito dell’accordo, inoltre, sarà individuato un tutor dell’INPS che sarà tenuto a concordare il progetto formativo con il tirocinante e con il tutor dell’Ateneo interessato.

Terminato il periodo di tirocinio, il tutor dell’Istituto Nazione di Previdenza Sociale si impegnerà a redigere la scheda di valutazione dello studente che ha compiuto l’attività presso la sede INPS. Dopo la valutazione, sarà l’Istituto ad emettere l’attestato di compiuto tirocinio curricolare INPS. Altresì, nel messaggio n. 1374 del 5 aprile l’Istituto previdenziale tiene a precisare che i rapporti instaurati con gli studenti tirocinanti non costituiscono rapporto di lavoro subordinato, né di altro tipo e non saranno retribuiti. Per i partecipanti non sono previsti né compensi, né alcun tipo di indennità. Questo, poiché per i tirocini curricolari, a differenza di quelli extracurricolari, non sono previsti gli obblighi di retribuzione o, comunque, di rimborso spese. A differenza della copertura assicurativa che, come anticipato, è invece prevista soprattutto per tutelare le nuove normative relative alla sicurezza sul lavoro.

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Donazioni genitori-figli, la Cassazione elimina le tasse (ad alcune condizioni)

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cassazione tasse donazioni informali
Foto Ansa/Tino Romano

Non ci saranno più le tasse sulle donazioni tra genitori e figli, ma solo ad alcune precise condizioni. È questa la decisione che ha preso la sezione tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza n. 7442 depositata nella giornata del 20 marzo. Secondo i giudici la donazione la si deve sottoporre a tassazione solo se risulta da atti soggetti alla registrazione. Ci sono alcune limitazioni, ma in linea di massima la Cassazione ha riconosciuto che non c’è un obbligo di tassazione per tutte le donazioni indirette o informali tra genitori e figli.

Addio alla tassazione dunque? Sì ma soltanto per ciò che riguarda le donazioni informali tra genitori e figli. La Suprema Corte si è espressa in merito alle tasse sulle donazioni informali tra genitori e figli. Nella sentenza numero 7442 si evince che la donazione indiretta non è sempre rilevante ai fini dell’imposta. In altre parole: non è obbligatorio registrare la donazione informale e di conseguenza pagarci le tasse. La sentenza della Cassazione supera così una circolare dell’agosto 2015 dell’Agenzia delle entrate.

Donazioni informali, le regole

I magistrati definiscono quel documento “impreciso” e “incompleto“. E per questo “non condivisibile” nella parte in cui si spiega il sistema di imposta sulle donazioni. Dalla circolare n. 30 dell’11 agosto 2015 si evince che l’imposta di donazione si applica alle “liberalità tra vivi che si caratterizzano per l’assenza di un atto scritto (soggetto a registrazione)“. Per “donazioni informali” si intendono le consegne a mano di liquidità o di un assegno circolare. Ma anche il trasferimento tramite bonifico bancario di denaro. Queste, insieme alla donazione indiretta (negozio giuridico che corrisponde alla donazione diretta) sono da considerarsi senza imposta perché non c’è obbligo di registrazione.

La tassa sulle donazioni indirette, anche nel caso di genitori e figli, scatta solo in alcuni casi: solo se l’atto di liberalità (negozio col quale si effettua un’attribuzione patrimoniale gratuita) risulta sottoposto a registrazione o sono state registrate volontariamente. Altri limiti che non permettono di annullare le tasse sulle donazioni informali sono il valore (se superiore a un milione di euro) o se il contribuente lo dichiara nella procedura di accertamento dei tributi.

Che succede se non si dichiara

Tuttavia non sono pochi i dubbi che rimangono. Per esempio cosa succede se non si dichiara una donazione informale. O, ancora, se è obbligatorio l’atto di registrazione. La Cassazione ha risposto anche a questi punti. Secondo i giudici, che si sono espressi sulla base dell’articolo 55, comma 1, Dlgs 346/1990 (il Tus, testo unico dell’imposta di successione e donazione), non c’è obbligo e di conseguenza niente tasse.

Questo perché i due principi sono: la facoltà del contribuente di effettuare la registrazione (volontaria) e il potere dell’amministrazione di accertare le libertà indirette quando superiore a un milione di euro o se risulta in fase di dichiarazione. Se vengono meno questi ultimi passaggi, si può dare per scontato che non c’è un obbligo di registrazione. E di conseguenza di tassazione sulle donazioni tra genitori e figli. Ne consegue: niente tasse sulle donazioni informali.

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La Bce prepara il taglio dei tassi d’interesse

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Bce banca Europa
La presidente della Banca centrale europea. Foto Ansa/Epa Ronald Wittek

La Banca centrale europea, la Bce, si prepara a tagliare i tassi di interesse sul costo del denaro. Quasi certamente non lo farà prima di giugno, tuttavia si tratta di una notizia che concede una boccata di ossigeno all’economia dell’Unione europea.  

Siamo adesso ai massimi storici, da tempo, per quanto riguarda i tassi. La Bce ha quindi deciso che occorre andare verso il primo taglio. Salvo sorprese, arriverà nella prossima riunione della Banca prevista il 6 giugno. Alcuni governatori erano pronti a cambiare rotta già da subito, ma poi hanno accettato di seguire la larghissima maggioranza che vuole attendere i dati di giugno per assicurarsi che l’inflazione non faccia scherzi e proceda sicura verso l’obiettivo del 2%.

Bce, il perché di una scelta

Più che il pressing delle solite colombe, la vera novità è che ora anche i falchi della Bce sono pronti ad appoggiare la retromarcia sui tassi, più rapidamente dei colleghi americani della Fed scottati dall’inatteso rialzo dei prezzi a marzo. La quinta pausa dopo il ciclo di dieci rialzi consecutivi cominciato a luglio 2022 lascia il tasso sui rifinanziamenti principali fermo al 4,50%, quello sui depositi al 4%, e quello sui prestiti marginali al 4,75%.

Ma dopo mesi di attesa, i toni della comunicazione cambiano e per la prima volta il Consiglio direttivo della Bce mette nero su bianco che a breve “sarebbe opportuno ridurre l’attuale livello di restrizione della politica monetaria“. Le condizioni per invertire il cammino sono tre. La prossima valutazione dovrà dare più certezze sulle prospettive dell’inflazione, sulla dinamica di quella di fondo e sull’intensità della trasmissione della politica monetaria. Se il processo di ‘disinflazione‘ resterà evidente come è adesso, per i governatori ci saranno tutte le condizioni per dare il via libera al primo taglio.

Secondo gli analisti il primo taglio dei tassi sarà da 25 punti base, una misura contenuta che per alcuni lascerebbe le mani libere al fine di realizzare altri tre ribassi simili entro l’anno. “Non ci impegniamo preventivamente su un percorso particolare dei tassi“, ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde al termine della riunione, precisando che il board continuerà ad essere dipendente dai dati in arrivo, e non dalla Fed, come molti sostengono.

L’inflazione negli Stati Uniti

Il rialzo dell’inflazione Usa, che a marzo ha toccato il +3,5%, non ha influenzato le scelte di Francoforte, ha spiegato la presidente della Bce, Christine Lagarde. Anche perché Usa e Ue hanno due economie profondamente diverse, e la loro inflazione non è comparabile. Ma è ovvio che “tutto ciò che ha rilevanza lo includeremo nelle nuove stime di giugno e gli Usa hanno un mercato e un’economia ragguardevoli“, ha argomentato.

Sull’economia dell’Eurozona, Lagarde ha ricordato che “è rimasta debole nel primo trimestre” con il settore terziario solido e la manifattura alle prese con domanda e produzione deboli. Tuttavia i dati puntano “a una ripresa graduale” grazie al rialzo dei salari reali e alle esportazioni.

La visione di Lagarde

Gli aumenti salariali sono inevitabili e, ha sottolineato la presidente, devono essere assorbiti dagli utili aziendali proprio per non far ripartire la spirale dei prezzi. Inoltre la Bce si aspetta che i governi ritirino completamente gli aiuti varati in questi due anni di inflazione alle stelle, e perseguano politiche di bilancio prudenti, riducendo deficit e debito. Ma le procedure per deficit eccessivo in arrivo con l’estate da Bruxelles non metteranno a rischio l’eventuale utilizzo del Tpi, lo scudo anti-spread messo a punto dalla Bce.

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Benzina a 2,5 euro al litro e oltre anche in città

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Benzina prezzi alle stelle
Foto X @Agenzia_Ansa

Sono casi rari ma in alcune località italiane, soprattutto al Nord, ad esempio a Varese, un litro di benzina alla pompa costa al consumatore 2,8 euro al litro. In molti altri luoghi, non solo in autostrada, si arriva a quota 2,5 euro al servito in vari distributori. Anche in città, con le accise che pesano per quasi la metà dell’importo pagato. In pratica un euro su 2 che paghiamo per fare rifornimento sono tasse.

È così che in vista dei ponti di primavera, quando milioni di italiani si metteranno in viaggio per trascorrere qualche giorno fuori casa, i consumatori tornano a far sentire la propria voce contro il caro-benzina. Non è un mistero che i prezzi dei carburanti siano saliti sensibilmente nell’ultimo periodo, attestandosi, in base alle ultime rilevazioni di Qe, a 1,915 euro/litro la benzina e 1,812 euro/litro il gasolio al self, 2,053 euro/litro la verde e 1,953 euro/litro il gasolio al servito. È il Codacons a lanciare l’allarme sugli effetti del caro-benzina sui ponti di primavera, rilevando prezzi sopra i 2,5 euro al litro al servito sia in autostrada sia sulle rete urbana.

Una vera e propria mappa nazionale del caro-benzina quella realizzata dall’associazione, secondo cui “alla data di venerdì 12 aprile il prezzo più alto è stato praticato sulla A21 Piacenza-Brescia, dove un litro di verde in modalità servito era pari a 2,549 euro. Sempre sulla A21, ma in provincia di Alessandria, le benzina ha raggiunto nella stessa data 2,499 euro al litro. Sulla rete urbana, invece, i prezzi più alti sono praticati nella provincia di Benevento, dove due distributori hanno superato quota 2,5 euro al litro, con listini rispettivamente di 2,572 e 2,550 euro/litro, e in provincia di Modena, 2,509 euro al litro.

Prezzi e distributori

Da segnalare lo strano caso di un distributore in Via Lungolago Di Capolago a Varese, che il 12 aprile ha comunicato al ministero delle Imprese e del made in Italy un prezzo pari a 2,854 euro al litro per la benzina. Il Mimit, però, osserva che come ci sono “alcune decine di distributori che praticano un prezzo più alto nel servito“, allo stesso tempo ce nel sono “diverse migliaia che, ad oggi, praticano un prezzo più basso della media nazionale“.

Prezzo medio che, puntualizza il Mimit, è oggi pari a 1,805 euro per il gasolio e a 1,910 euro per la benzina. Il Mimit replica che “per correttezza dovrebbe anche specificare che vi sono centinaia di impianti che vendono oggi la verde in modalità servito a prezzi compresi tra 2,2 e 2,3 euro al litro” polemizza il Codacons. “Il Governo – chiosa il presidente Carlo Rienzifarebbe bene e a non cercare scuse e a tagliare da subito le accise dei carburanti“.

Le tasse su benzina e carburanti

Proprio in tema di tassazione sui carburanti, il Centro di formazione e ricerca sui consumi (Crc) rileva come oggi in Italia per ogni litro di benzina acquistato dagli automobilisti oltre 1 euro se ne va in tasse, pari al 56,4% del prezzo pagato alla pompa. “Analizzando il peso della tassazione, si scopre che in Italia Iva e accise pesano per il 56,4% sulla benzina e per il 52,4% sul gasolio, con una incidenza più elevata rispetto al resto d’Europa, dove il peso della pressione fiscale si ferma al 52,47% sulla verde e al 47,22% sul diesel” analizza il Crc.

Questo significa che su ogni litro di benzina le tasse incidono per 0,945 euro nella media Ue, e per 1,071 euro in Italia; sul gasolio per 0,801 euro al litro in Ue, 0,941 euro al litro in Italia. Nel nostro Paese, quindi, su ogni litro di carburante si pagano di tasse tra i 12 e i 14 centesimi di euro in più rispetto al resto d’Europa. Ai prezzi attuali lo Stato guadagna quasi 3,2 miliardi di euro al mese a titolo di tassazione sui carburanti: 990,6 milioni sulla benzina e quasi 2,2 miliardi di euro sul gasolio“.

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Gli sportelli chiudono, in Italia è desertificazione bancaria

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Banche sportelli digitalizzazione
Foto Ansa/Alessandro Di Meo

La desertificazione bancaria accelera in Italia e sempre più sportelli al pubblico chiudono i battenti. Il dato emerge dall’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio della Fondazione Fiba di First Cisl, che ha elaborato i dati resi disponibili al 31 dicembre 2023 da Bankitalia e Istat. Secondo i numeri, nel nostro Paese sono 3.300 i comuni rimasti senza filiali. Alla radice di questo fenomeno non c’è però, come si potrebbe pensare, la galoppante digitalizzazione dell’era moderna. Molto più semplicemente: il brutale taglio dei costi aziendali.

Nel 2023, si legge nel report, in Italia hanno chiuso 826 sportelli. A fine 2022 erano stati 677. Il calo rispetto all’anno precedente, quindi, è del 3,9%. Nella sostanza le banche hanno abbandonato un quarto del territorio nazionale, per una superficie maggiore di quella di Lombardia, Veneto e Piemonte.

Sono oltre 6 milioni, invece, gli italiani residenti in comuni nei quali è rimasto un solo sportello e che rischiano di trovarsi a breve tagliati fuori dai servizi bancari. Sono circa 3.300, come detto, i paesi che non hanno più sportelli bancari sul proprio territorio. Si tratta del 41,5% dei comuni italiani. Nel corso del 2023 sono stati 134 i comuni “desertificati”. Questa desertificazione, spiega il report della Fondazione Fiba, è avanzata negli ultimi anni con sempre maggiore rapidità. Fra il 2015 e il 2023, il 13% dei comuni italiani ha visto chiudere l’ultima filiale. E la percentuale potrebbe salire ancora: i comuni con un solo sportello, infatti, sono il 24% del totale.

Internet banking? Poco diffuso

Dall’altra parte, in Italia si registra una “modesta diffusione” dell’internet banking. Lo utilizza il 51,5% degli utenti, contro una media Ue del 63,9%. Aumenta, spiega First Cisl, anche il numero delle imprese che hanno sede in comuni privi di sportello bancario: sono 255mila, 22mila in più rispetto al 2022.

Confrontando i numeri del 2023 e quelli del 2022, poi, emerge che le chiusure non colpiscono in modo omogeneo le diverse aree del Paese. Nel 2023 le regioni più colpite sono state Marche (- 6,7%), Abruzzo (- 5,1%), Lombardia (- 5,1%), Sicilia (- 5%) e Calabria (- 4,2%). A livello nazionale, nel complesso, la perdita di sportelli è stata del 3,9%.

Sportelli, ecco dove ‘resistono’

Tra le province meno desertificate, secondo l’Osservatorio della Fondazione Fiba, ci sono quelle di Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Grosseto, Ragusa, Ravenna, Reggio Emilia e Pisa. Le grandi città si collocano in posizioni più arretrate: Milano è 24ª, Roma 40ª Napoli 50ª. Sugli ultimi gradini della classifica troviamo Vibo Valentia e Isernia. La corsa alla chiusura degli sportelli non si è fermata nemmeno nel 2023, anzi promette di registrare nel 2024 un’ulteriore accelerazione in base all’attuazione dei piani d’impresa delle banche.

L’aumento del numero dei comuni senza più sportelli ha raggiunto ormai dimensioni “da allarme sociale” ha sottolineato il segretario generale First Cisl, Riccardo Colombani.
Nonostante tutti i proclami sulla sostenibilità sociale – ha detto ancora Colombani – le banche italiane stanno privando dell’accesso a un servizio essenziale milioni di persone. A pagare il prezzo più pesante sono i fragili, anziani in primo luogo, così come le persone con un basso livello di istruzione, che hanno scarse competenze digitali. Il basso livello di utilizzo dell’internet banking rispetto alla media Ue ci dice una cosa semplice. Ossia che le chiusure dipendono dalla volontà di tagliare i costi, non dalla diffusione del digitale”.

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Impresa agricola giovanile: agevolazioni e opportunità

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Impresa agricola giovanile
Giovane agricoltore - DirittoLavoro

In Italia arrivano nuove agevolazioni per l’imprenditorialità che coinvolgono l’impresa agricola giovanile. Si tratta di incentivi atti a favorire il ricambio generazionale, pensati dunque per i giovani fino ai 40 anni d’età. 

Con la Legge n.36 del 15 marzo 2024 si intende incentivare l’impresa agricola giovanile, per rilanciare questo settore e al contempo favorire l’ingresso di giovani imprenditori sulla base delle Linee Guida europee. A tale scopo sono introdotte le definizioni di ‘impresa agricola giovanile’ e di ‘giovane imprenditore agricolo‘.

Chi sono i giovani imprenditori agricoli

L’impresa agricola giovanile si definisce così perché condotta da giovani con età compresa fra i 18 e i 40 anni. Oltre all’età, un altro parametro per definire questo tipo di attività imprenditoriale riguarda le qualifiche. In sostanza, un imprenditore agricolo deve essere formato e deve accedere per la prima volta a questo ruolo, per richiedere le agevolazioni. Per diventare imprenditore agricolo è indispensabile aver conseguito almeno uno dei titoli di studio indicati dalle normative italiane. Infine, per essere imprenditore requisito indispensabile è portare avanti l’attività agricola come titolare, oppure con soci che siano giovani, almeno per la metà.

Secondo quanto stabilito dalla nuova legge, sono messi a disposizione 15 milioni di euro all’anno (a partire dal 2024) per l’impresa agricola giovanile italiana. Tali risorse sono indirizzate ad interventi specifici chiariti nella norma. Nel dettaglio gli incentivi sono pensati per l’acquisto di terreni o di strutture necessarie per poter avviare un’attività agricola; per l’acquisto di beni strumentali utili per condurre l’attività agricola, con una linea prioritaria per quelli altamente innovativi; per spese che possano ampliare l‘unità minima produttiva; per l’acquisto di poli aziendali già operativi.

I principali incentivi per l’impresa agricola giovanile

Rispetto a queste disposizioni di legge, le Regioni possono intervenire entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale con le specifiche Linee Guida e bandi. È utile ricordare che rientrano tra i giovani agricoltori coloro che coltivano un fondo, che si occupano della selvicoltura, che allevano animali e che si occupano di tutte le attività ad esso collegate. Nello specifico, esistono anche delle opportunità specifiche, prevista dalla nuova legge, per l’impresa agricola giovanile. Tra questi si trovano: regime fiscale agevolato con aliquota sostitutiva al 12,5% per il primo insediamento, che ha una validità nel primo periodo di imposta e anche nei 4 successivi; agevolazioni sulla compravendita di fondi rustici; credito di imposta per partecipare a corsi formativi.

Un’informazione che merita di essere sottolineata riguarda il fatto che le nuove disposizioni fanno rifermento all’impresa agricola giovanile italiana, ma più in generale si può parlare di un’attenzione crescente verso il settore agricolo in tutta Europa. Inoltre, con l’entrata in vigore della nuova Politica Agricola Comune (PAC), sono perseguiti alcuni obiettivi di sostenibilità generale del settore agricolo nel Continente. Tra questi obiettivi proprio il ricambio generale e l’incentivo all’ingresso dei giovani nel settore agricolo in tutta Europa, che mira a garantire continuità ad un settore importante fino ad oggi appannaggio soprattutto delle generazioni più adulte. Infatti, l’invecchiamento dell’imprenditoria agricola è una sfida che riguarda tutti e che per questo merita di essere affrontata con mezzi adeguati.

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Sanità: l’Italia spende il 6,3% del Pil, mai così poco dal 2007

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medici sanità italia
Foto X @HuffPostItalia

La sanità italiana è in crisi. La pandemia di Covid non ha insegnato nulla. L’ultima relazione della Corte dei conti al Parlamento ha messo in fila i dati: il fondo sanitario nazionale è più che dimezzato rispetto a quello della Germania e di poco superiore alla metà nel confronto con quello della Francia. Quattordici scienziati hanno firmato un appello per il “salvataggio della sanità pubblica”. La premier Giorgia Meloni rivendica “la cifra record di 134 miliardi” del fondo sanitario di quest’anno ma le opposizioni sostengono l’esatto contrario lamentando i “tagli continui” al settore.

Il tutto accade alla vigilia di un Documento di economia e finanza che non avrà gli strumenti per dare una risposta alla sanità italiana. Anche perché la questione è strutturale, e travalica di parecchio gli spazi asfittici della politica quotidiana e del dibattito che l’accompagna. E con le sue dimensioni supera le singole responsabilità di questo o quel Governo, per abbracciare un’intera stagione politica e tecnica cadenzata da Esecutivi dalla vita media breve o brevissima. Una stagione nella quale scostamenti, prepensionamenti variegati e bonus hanno appeso i conti pubblici a un cappio sempre più grande di spesa rigida. Che strozza quella discrezionale, come appunto quella da dedicare a sanità, scuola e così via.

Sanità, pessimo stato di salute

Sono come sempre i numeri a offrire una strada chiara nel caos delle polemiche più o meno interessate dalla contingenza politica o economica. Primo: è vero che in valore assoluto il finanziamento pubblico alla sanità è cresciuto con la manovra. La quale, nonostante l’asfissia dei conti ha messo sul piatto 3 miliardi per quest’anno, 4 per il prossimo e 4,2 dal 2026. La conseguenza è che il contatore segna valori anche superiori a quelli indicati da Meloni.

È altrettanto certo però – sottolinea il Sole24Ore – che in finanza pubblica i valori nominali contano fino a un certo punto. Il parametro più rilevante è nel rapporto con il Pil. Qui il quadro si complica, soprattutto dopo gli ultimi calcoli dell’Istat che il 1° marzo scorso ha rivisto al rialzo le dimensioni del Pil italiano. Aggiornando i dati della NaDef 2023 alla luce della manovra e dei riconteggi Istat, il finanziamento alla sanità per quest’anno si attesta al 6,27% del Pil. Si tratta dei livelli più bassi dal 2007 a oggi.

L’8% del Pil sarebbe il minimo

Per tornare al 6,7% del prodotto, cioè ai livelli del 2022, servirebbero quindi 9,2 miliardi quest’anno e 9,4 il prossimo. Ancora più ciclopiche sono naturalmente le cifre necessarie per raggiungere l’8% del Pil, livello giudicato il minimo indispensabile dall’appello degli scienziati. Per arrivare a quel punto servirebbero 32 miliardi quest’anno, e 37,4 il prossimo, argomenta ancora il Sole24Ore. Numeri nemmeno immaginabili con i conti che si stanno faticosamente elaborando al ministero dell’Economia in questi giorni.

Un altro fattore aiuta a capire perché l’ancoraggio al Pil è significativo mentre i valori assoluti restituiscono un’ottica deformata. Si tratta dell’inflazione, che in questi anni ha svuotato di peso l’involucro dei dati nominali. I 136 miliardi del finanziamento di quest’anno sono infatti 13,9 in più rispetto ai fondi del 2021, e segnano quindi un aumento dell’11,4%.

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Studenti lavoratori: come funzionano i “permessi studio”

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Studenti lavoratori
Studentessa - DirittoLavoro

Per gli studenti lavoratori la legge prevede delle norme specifiche per consentire il diritto alla studio nel lavoro. Nel caso specifico si tratta di 150 ore a cui fa capo una normativa di riferimento. 

Il diritto allo studio è riconosciuto dallo Stato italiano con primario e fondamentale. Pertanto, nel caso degli studenti lavoratori esiste una normativa di riferimento che regola i ‘permessi studio‘. Nello specifico, nell’ambito del diritto del lavoro (Legge 300/1970 articolo 10) e del diritto allo studio, la legge italiana riconosce ai lavoratori dipendenti dei permessi sia per sostenere esami universitari che per sostenere altri esami di carattere scolastico. Nel dettaglio, il permesso non è subordinato all’esito dell’esame ma unicamente al suo sostenimento. A tal proposito il lavoratore è obbligato a presentare la documentazione che dimostri l’avvenuto esame al datore di lavoro. Inoltre, i permessi sono previsti anche per i privatisti non iscritti a corsi regolari di studio e anche se il dipendente fosse già in possesso di una laurea, ma iscritto nuovamente all’università.

Chi sono gli studenti lavoratori

Il diritto allo studio per gli studenti lavoratori è previsto dallo Statuto dei Lavoratori nella Legge 300 del 1970 all’articolo 10. In essa si legge: “I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali“. A tal proposito, è bene anche precisare che i ‘permessi studio’ sono retribuiti.

Come previsto dalla legge, il datore di lavoro può chiedere agli studenti lavoratori, che si assentano in permesso per motivi di studio, la relativa documentazione. Tale obbligo deve essere comunicato ai dipendenti tramite lettera scritta, oppure previsto nel regolamento aziendale, o ancora tramite un avviso affisso nei locali aziendali. Gli studenti lavoratori, per i giorni o le ore di permesso per motivi di studio hanno diritto alla retribuzione spettante in caso di regolare svolgimento dell’attività lavorativa. Inoltre, durante l’assenza si maturano anche ferie e permessi, TFR e mensilità aggiuntive. Importante, inoltre, che i periodi di astensione siano indicati nel calendario presenze del Libro Unico del Lavoro con un apposito giustificativo.

Cosa prevede la legge

Il diritto ai permessi si estende a tutte le tipologie di contratto di lavoro subordinato: a termine, indeterminato, part-time e apprendistato. Esclusi dalla misura, invece, i contratti a chiamata. Inoltre, è interessante sottolineare che, oltre al permesso allo studio per gli studenti lavoratori, la legge prevede anche congedi per la formazione continua e per la formazione extra-lavorativa. Nel primo caso i lavoratori hanno diritto ad assentarsi per seguire corsi predisposti dalle strutture competenti o dall’azienda.

Nel secondo caso, invece (ovvero i congedi per la formazione extra-lavorativa), spettano a chi ha almeno 5 anni di anzianità aziendale. In questo caso il congedo può essere concesso per completare la scuola dell’obbligo, oppure per conseguire un titolo di studio di secondo grado, diploma universitario o laurea. Altresì, il congedo per la formazione extra-aziendale è consentito per partecipare ad attività formative diverse da quelle finanziate dall’azienda. Infine, occorre specificare che il congedo non può eccedere gli undici mesi, che siano continuativi o frazionati.

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Milano, in via Monte Napoleone l’acquisto di un immobile più alto di sempre: 1,3 miliardi

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Milano Monte Napoleone 8 moda
Foto Ansa

Non poteva che avvenire a Milano l’acquisto di un immobile per una cifra mai vista sinora nella storia d’Italia: 1,3 miliardi di euro. Quasi 3mila miliardi di vecchie lire. È infatti questa la cifra che ha sborsato Kering, il gruppo internazionale del lusso che ha tra i suoi i brand Gucci, Yves Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen. Una cifra con cui Kering ha rilevato definitivamente la società proprietaria dell’iconico e storico immobile di via Monte Napoleone 8, ovvero Reale Compagnia Italiana.

L’azienda, controllata da Blackstone Property Partners Europe, è ora di Kering che così rileva anche il prestigiosissimo palazzo settecentesco che ne costituiva la sede. Un gioiello dell’architettura milanese realizzato dall’architetto Giuseppe Piermarini, lo stesso che fece il Teatro alla Scala. Il palazzo, che risale al 1783, è noto come Palazzo del Monte: dette il nome alla strada dopo che Napoleone fu accolto come liberatore del Nord Italia dagli austriaci.

Milano, la storia del mega palazzo

L’investimento – si legge in un comunicato del gruppo Kering – si inquadra all’interno della strategia immobiliare selettiva della multinazionale del lusso. Essa intende assicurarsi posizioni altamente prestigiose e ambite per le sue Maison. Ma la moda è il regno dei contrasti più violenti. Così, nelle ore in cui il gruppo di François Henri Pinault si appropria di un pezzo di Via Monte Napoleone, il Tribunale di Milano mette sotto amministrazione giudiziaria la società Giorgio Armani Operations. E ipotizza un oliato meccanismo di appalti e sub-forniture a opifici abusivi dove i lavoratori erano ampiamente sfruttati perché producessero capi di abbigliamento e non solo.

Tornando invece a uno degli incroci più importanti del Quadrilatero della moda, il palazzo settecentesco acquisito per 1,3 miliardi si sviluppa su 5 piani, per un totale di 11.800 metri quadrati di superficie lorda. L’immobile comprende più di 5mila metri quadrati di superficie commerciale, una delle più ampie di via Monte Napoleone. Kering continua a privilegiare una gestione proattiva del proprio portafoglio immobiliare, con l’obiettivo di breve-medio termine di mantenere una quota di partecipazione all’interno delle sue principali proprietà. Il tutto al fianco di co-investitori presenti attraverso specifici veicoli di investimento.

La maggiore operazione su un asset in Italia

Questa transazione rappresenta un ottimo risultato per i nostri investitori” ha sottolineato sottolinea James Seppala, Capo Real Estate Europa di Blackstone. “Dimostra la straordinaria richiesta di immobili di alta qualità nei mercati più solidi“. Nel commentare l’acquisto da parte del gruppo Kering di Via Monte Napoleone 8 a Milano, Seppala ha rilevato peraltro che si tratta della più grande transazione di un singolo asset mai effettuata in Italia. La transazione dovrebbe concludersi entro il luglio 2024.

Blackstone ha acquisito la proprietà nel novembre 2021 come parte di una più ampia acquisizione di portfolio. Aveva cioè acquistato Reale Compagnia Italiana, storica società immobiliare milanese. Blackstone Property Partners Europe Holdings è stato assistito da Kryalos SGR che ha svolto ruolo di advisor. Inoltre anche da BNP Paribas, Barclays, Eastdil Secured, J.P. Morgan Securities, RBC Capital Markets e SMBC Nikko Capital Markets Limited. Per la parte legale Simpson Thacher & Bartlett e PedersoliGattai e per quella fiscale e finanziaria PwC.

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Bonus gasolio 2024, al via le domande

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Bonus gasolio 2024 risparmi
Foto X @qui_finanza

Sono accessibili dal 1° aprile, giorno di Pasquetta, le pratiche per ottenere il bonus gasolio 2024: è possibile risparmiare fino a 200 euro. C’è dunque il recupero delle accise del primo trimestre 2024 sul gasolio e l’HVO acquistato per l’autotrasporto a fini commerciali. Il contributo lo si potrà richiedere in denaro o sotto forma di compensazione. Ammonterà a 214,18 euro ogni mille litri di diesel consumato in questi primi tre mesi.

L’agevolazione è accessibile dal 1° al 30 aprile 2024. La domanda può essere presentata direttamente sul sito Internet dell’Agenzia, seguendo il percorso Accise; Prodotti energetici; Benefici per il gasolio da autotrazione; Benefici gasolio autotrazione 1° trimestre 2024. Se non si può presentare in forma digitale, è possibile presentarla in forma cartacea, riproducendola però su strumenti come pen drive Usb, Cd-rom o Dvd da presentare congiuntamente.

Bonus gasolio, come funziona

Nel caso di imprese nazionali, a ricevere le dichiarazioni per il bonus gasolio deve essere l’Ufficio delle Dogane territorialmente competente rispetto alla sede operativa dell’impresa. Oppure, nel caso di più sedi operative, quello competente rispetto alla sede legale dell’impresa o alla principale tra le sedi operative. Nel caso di imprese europee, invece, che hanno l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia, le dichiarazioni vanno presentate all’Ufficio delle Dogane territorialmente competente rispetto alla sede di rappresentanza dell’impresa. Per individuare l’Ufficio delle Dogane territorialmente competente è possibile consultare l’elenco pubblicato sul sito delle dogane.

Per quanto riguarda, invece, le imprese al di fuori dell’Unione europea, resta da vedere se sono obbligate alla presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia. In caso affermativo saranno soggette alle decisioni di ciascun esercente unionale.

Nell’istanza di richiesta del bonus gasolio si deve indicare se si intende ricevere il contributo in denaro (in questo caso vanno specificati Bic e Iban) o mediante compensazione nel modello F24 utilizzando il codice tributi 6740. Per usufruire del rimborso è obbligatoria l’indicazione nella fattura elettronica della targa del veicolo rifornito da impianti di distribuzione carburanti (nota Agenzia delle Dogane n. 64837 del 7.6.2018). Le dichiarazioni andranno poi trasmesse tramite il Servizio Telematico Doganale – EDI da parte dei soggetti abilitati.

A chi spetta il contributo

Possono richiedere il bonus gasolio coloro che esercitano attività di trasporto merci con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate. Cioè persone fisiche o giuridiche iscritte nell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi. A richiedere il bonus possono essere persone fisiche o giuridiche munite della licenza di esercizio dell’autotrasporto di cose in conto proprio. O anche imprese stabilite in altri Stati membri dell’Unione europea e in possesso dei requisiti previsti. Possono richiederlo anche coloro che esercitano attività di trasporto di persone, cioè enti pubblici o imprese pubbliche locali; imprese esercenti autoservizi interregionali di competenza statale. Imprese esercenti autoservizi di competenza regionale e locale; imprese esercenti autoservizi regolari in ambito comunitario.

Italia, il paese con più distributori

In questo contesto l’Italia ha 22.600 distributori di carburante, ed è il paese europeo che ne ha di più, sopra la Germania (che ne ha 14.500), la Spagna e la Francia. Sono i dati di Faib Confesercenti, associazione di categoria dei benzinai, in occasione della sua assemblea per il 60° di fondazione. Il nostro Paese ha un parco auto che conta oltre 40 milioni di autovetture circolanti, secondo solo alla Germania. In Italia, inoltre, si registra una diffusione del metano sopra la media europea. Siamo il Paese leader in Europa per punti vendita di questo carburante (oltre 1300) e per autovetture circolanti. Al secondo posto c’è la Germania, con circa 835 punti vendita, ma con un circolante di 100mila autoveicoli, contro 1 milione in Italia.

 

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