mercoledì, Gennaio 15, 2025
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Tre pensionati su 10 ricevono meno di 1000 euro al mese

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Pensionati Italia 2024
Foto ansa/Massimo Percossi

Sono quasi 5 milioni (4,8 per l’esattezza) i pensionati italiani costretti a ricevere redditi da pensione inferiori a mille euro al mese. Quasi 3 su 10. L’Osservatorio Inps sulle prestazioni pensionistiche e i beneficiari nel 2023 segnala che tra questi quasi 1,7 milioni hanno assegni inferiori a 500 euro. Un livello nettamente al di sotto della soglia di povertà.

Il Rapporto si concentra sulle singole prestazioni e sul reddito complessivo da pensione e non sugli altri eventuali altri redditi dei pensionati ma la fotografia ci racconta quanto sia ampia la fascia di coloro che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. I pensionati che prendono oltre 2mila euro al mese comunque sono il 38,4% del totale ma assorbono il 60% della spesa. La spesa nel complesso dell’anno ha superato i 347 miliardi di euro con un aumento del +7,7% rispetto al 2022.

Pensionati, divario fra uomini e donne

Una crescita legata soprattutto al recupero dell’inflazione. Le pensioni rimangono quindi un grande capitolo di spesa per lo Stato italiano. Già super indebitato con quasi 3mila miliardi di euro di debito pubblico. I dati sui pensionati confermano il divario tra uomini e donne nei redditi da pensione. Sulla scia di quello che accade nel mercato del lavoro con i maschi che possono contare su carriere più lunghe e retribuzioni più alte. Oltre a tassi di occupazione medi più elevati.

Se l’importo medio annuo dei redditi percepiti in Italia è di 21.382 euro nel 2023, l’assegno medio da pensione incassato dagli uomini è superiore a quello delle donne del 35% con 24.671 euro contro 18.291. Con l’aumento dell’occupazione femminile questo divario dovrebbe ridursi e diminuire la fascia delle donne che possono contare solo su pensioni assistenziali e di reversibilità.

Nel 2023, fra i pensionati, le donne con pensioni inferiori a 1.000 euro al mese erano oltre 3 milioni, oltre una pensionata su tre. E tra queste quasi un milione (959.986) poteva contare su prestazioni da pensione per meno di 500 euro al mese: l’11,5% del totale. L’intervento del Governo Meloni sulle pensioni minime riguarda solo i trattamenti previdenziali.

Gli assegni pensionistici

Ovvero basati sul versamento dei contributi, e non quelle assistenziali, legate alle condizioni economiche disagiate, come ad esempio l’assegno sociale, o a invalidità non legate all’attività lavorativa. Dovrebbero essere coinvolte nel passaggio tra i 614,77 euro al mese ai 617,92 euro circa 1,8 milioni di assegni. Un intervento definito dal leader del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte una “beffa” e da altre parte dell’opposizione una “elemosina” che non recupera neanche il potere d’acquisto perso con l’inflazione.

Ci sono poi gli assegni pensionistici i più sostanziosi, quelli superiori a 5mila euro lordi al mese. Li percepiscono poco più di 400mila persone. Si tratta di assegni che si basano nella grande maggioranza di casi su un alto numero di anni di contributi e retribuzioni elevate da parte dei pensionati. Si spende più che per i 4,8 milioni di pensionati con i redditi più bassi, circa 34,4 miliardi a fronte di 33,5. Le prestazioni pensionistiche nel complesso sono 22.919.888, per la grande maggioranza Ivs (Invalidità vecchiaia e superstiti), pari a 17.752.596. Le indennitarie sono 627.143 e quelle assistenziali 4.540.149. Il punto è che nel corso dei prossimi anni aumenteranno sempre di più mentre si registra una quasi cronica carenza di giovani e di nuovi lavoratori assunti regolarmente.

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Criptovalute, l’Italia alza le tasse? Ecco i paradisi fiscali dei Bitcoin in Europa

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Bitcoin criptovalute
Foto Ansa/Epa Sascha Steinbach

Al termine del suo percorso legislativo, quando arriverà l’approvazione del Parlamento, la legge di bilancio 2025 conterrà, quasi certamente, un aumento della tassazione sulle criptovalute. Utilizzare Bitcoin, piuttosto che Ethereum, Binance Coin o altre monete virtuali costerà di più nel nostro Paese. Salvo retromarce dell’ultim’ora. L’aumento della tassazione sulle criptovalute potrebbe addirittura passare dall’attuale 26% al 42%.

Il quasi raddoppio del carico fiscale rischia ovviamente di disincentivare gli investimenti in tale settore. Ma cosa succede, invece, in altri Paesi vicini all’Italia? Esistono cripto-paradisi per i Bitcoin? Sì, eccome. Basti pensare alla Svizzera. La confederazione elvetica, a cominciare dalla vicina Lugano, offre i suoi servizi di protezione a tassazione sostanzialmente azzerata per i Bitcoin e le altre forme di denaro virtuale.

Criptovalute e paradisi fiscali

Ma non si deve dimenticare che una politica del genere la attuano senza problemi anche Cipro, Estonia, Malta e Slovenia. Cos’hanno in comune con la Svizzera? Assieme a essa sono i Paesi, o meglio, i 5 paradisi fiscali, dove nel 2024 i guadagni in conto capitale per le criptovalute non saranno tassati. Lo ha ricordato nei mesi scorsi la stampa elvetica, sottolineando come la Confederazione alpina si ponga quale punto di riferimento per gli investitori più spregiudicati.

Nello specifico, in Svizzera le plusvalenze sulle criptovalute, a partire dal primo marzo di quest’anno, continueranno infatti a non essere tassate. Nel caso in cui se ne faccia un uso limitato e basico. A spiegarlo, in uno studio, è stato il portale Hellosafe.ch, che si occupa di confrontare prodotti, servizi e finanche la tassazione.

La tassazione in Europa

Bisogna considerare che in Europa il grado di tassazione fiscale tra i diversi Paesi per quanto riguarda le criptovalute può variare dallo 0% al 52%. Un’enormità. L’aliquota media è pari al 19%, ed è chiaro che nel Vecchio Continente le politiche dei governi sui Bitcoin e le altre monete virtuali sono eccessivamente difformi.

Un esempio? In Germania si applica un tasso fino al 50,5%, in Danimarca fino al 52,06%; mentre in Italia il tasso fisso è del 26% (con esenzione per le plusvalenze inferiori a 2000 euro). E in Francia del 30% (esenzione se l’importo totale delle vendite imponibili è inferiore a 305 euro).

Cripto-Svizzera? Fino a un certo punto

Tornando invece alla Confederazione elvetica, bisogna precisare che l’esenzione dalle imposte vale per i privati nel caso di “compravendita di token di pagamento“, “assimilata alle transazioni con mezzi di pagamento tradizionali (valute)“, come spiega l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC). Dunque “nel quadro della sostanza privata delle persone fisiche, gli utili e le perdite derivanti da tali transazioni rappresentano utili in capitale esenti da imposta o perdite in capitale non deducibili“.

Due sono gli scenari che prevedono una tassa anche per le criptovalute. Il primo è relativo al patrimonio. Qui l’imposizione fiscale è applicata alle “plusvalenze derivanti dalle criptovalute se vengono utilizzate come mezzo di pagamento“. Imposta che varia per ciascun cantone, “tra lo 0,3 e l’1%“. In secondo luogo le plusvalenze derivanti dalle criptovalute possono essere soggette all’imposta sul reddito (a livello federale, cantonale e comunale), fino all’11.5%. “Se si effettua lo staking, il mining o l’airdropping di criptovalute, se si generano guadagni in criptovalute (..) o se si riceve il proprio stipendio sotto forma di criptovalute“.

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Furto di dati riservati, sotto inchiesta Del Vecchio jr. e Matteo Arpe

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Dda Milano traffico illegale banche dati
Leonardo Del Vecchio (a sinistra) e Matteo Arpe. Foto Ansa/Epa

Un gigantesco mercato illegale di dati e informazioni segrete rubate a fini spionistici e riguardanti politici, vip, giornalisti e imprenditori. Dati che un’organizzazione a delinquere avrebbe trafugato ad arte per poi rivendere a beneficio di vari soggetti, interessati ad attività di dossieraggio. È in sintesi il cuore di un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Milano e della Direzione nazionale antimafia (Dna) svolta dai carabinieri del nucleo investigativo di Varese.     

La notizia è rilevante anche perché sono finiti sotto inchiesta, fra gli altri, due personaggi pubblici importanti in Italia, accusati di aver commissionato ricerche di dati riservati. Ovvero Leonardo Maria Del Vecchio, il quarto dei sei figli del patron di Luxottica, che presiede Lmdv capital, e – a quanto scrivono le agenzie di stampa – il banchiere Matteo Arpe. L’indagine sul mercato nero dei dati riservati riguarda “alcuni presunti appartenenti un’organizzazione dedita principalmente, per finalità di profitto economico e di altra natura, all’esfiltrazione” di informazioni segrete e sensibili.

Le banche dati violate

Informazioni che si trovano all’interno di banche dati strategiche nazionali. Stiamo parlando dello Sdi, Sistema d’indagine, che contiene tutte le informazioni acquisite dalle forze di polizia. Del Serpico, Servizi per i contribuenti, in cui l’Agenzia delle Entrate fa confluire le dichiarazioni dei redditi dei cittadini, le transazioni bancarie, le utenze di luce e gas, gli investimenti finanziari. Dell’Inps e dell’Anpr, l’Anagrafe nazionale della popolazione residente. E infine del Siva, il Sistema informativo valutario, su cui convergono le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette alla Banca d’Italia.

Chi è stato spiato

Tra coloro che avrebbero subito il furto di dati personali, o che comunque sarebbero entrati nel mirino dell’associazione a delinquere, ci sarebbe anche il presidente del Milan e dell’Enel, Paolo Scaroni. E il presidente di Cassa depositi e prestiti, Giovanni Gorno Tempini.

L’inchiesta della Dda di Milano e della Dna ruota intorno all’agenzia di investigazione privata Equalize, di cui è socio di maggioranza il presidente di Fiera Milano (ente estraneo ai fatti) Enrico Pazzali, indagato, e socio di minoranza l’ex poliziotto della squadra mobile di Milano, Carmine Gallo, finito agli arresti domiciliari.

Nell’ordinanza da 518 pagine con cui il gip Fabrizio Filice ha disposto 6 misure cautelari figurano diversi giornalisti. Di cui l’organizzazione avrebbe spiato le conversazioni whatsapp, attraverso l’accesso abusivo ai loro telefoni, pc e tablet.

Melillo: “Maxi mercato dei dati

Il quadro che emerge” dall’indagine sul dossieraggio dei dati “è molto allarmante” ha detto il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, nel corso di una conferenza stampa a Milano il 26 ottobre. Melillo ha richiamato però alla “prudenza nelle valutazioni, perché – ha spiegato – la procura di Milano ha opportunamente scelto di proteggere le attività tecniche. E ha rinunciato a compiere, nel corso dell’investigazione, una serie di passi che ne avrebbero rivelato lo svolgimento. E questo fa sì che per molti versi l’indagine sia più sul punto di iniziare che di compiersi“.

La mole dei dati acquisiti attraverso le perquisizioni informatiche svolte in Italia e all’estero fa sì che questa indagine richiederà ancora molto tempo e molta fatica per consentirci di delineare i contorni di questa vicenda. Che tuttavia in sé appare estremamente allarmante per la dimensione imprenditoriale dell’esercizio di attività di acquisizione abusiva di dati personali e riservati. Stiamo iniziando a comprendere qualcosa di come funziona questo mercato clandestino delle informazioni riservate”, ha spiegato il procuratore.

Nordio: “Non siamo al sicuro

A quanto apprende l’Adnkronos il Copasir – il Comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti – si muoverà rispetto all’inchiesta. Come sempre in questi casi il Comitato si attiva per avere informazioni e tra l’altro si sta già occupando del tema della sicurezza delle banche dati con audizioni già previste. “Non saremo al sicuro fino a quando la tecnologia a nostra disposizione non sarà riuscita ad allinearsi con quella della criminalità“. Così il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in videocollegamento con CasaCorriere. Si tratta di una battaglia dura ma senza la quale non c’è speranza di sconfiggere la criminalità sul piano tecnologico.

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Totti torna a fare il calciatore? Ecco perché (e per chi) sarebbe un grosso affare

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Totti torna a giocare? la voci si rincorrono
Francesco Totti. Foto Ansa

A 48 anni anni Francesco Totti da giorni sta occupando le pagine di giornali e i post sui social con l’ipotesi di un suo ritorno in campo con un ‘misterioso’ club di serie A. “Due mesi e sarei in forma per almeno 30 minuti di gioco”, ha dichiarato il ‘Pupone’.

E, al di la delle diffidenze di medici e preparatori, l’idea solletica decisamente i pubblicitari italiani che non la scartano, anzi, rilanciano: “Totti in campo? Non sono il classico ‘allenatore della nazionale’, quindi non saprei quale tipo di apporto in campo potrebbe dare una superstar come lui al suo nuovo team, ma sicuramente gioverebbe alla visibilità del club a livello mondiale, il che tradotto in nuove sponsorizzazioni – ragiona con l’Adnkronos Cesare Casiraghi, uno tra i più noti pubblicitari italiani – significa decine di milioni di euro“.

Totti come lo vedono i pubblicitari

Anche 100 milioni di euro, tra incassi, diritti per l’immagine, docu-serie, merchandising, ospitate, viralizzazioni social da capogiro e trasferte-show milionarie. Ovviamente a ciò si dovrà aggiungere il ‘ritocco’ di cachet che dovrà sborsare l’attuale sponsor.

Sospetti da pubblicitario sul possibile club? “Lo vedrei bene per un club ‘minore’ di serie A, in primis al Monza, sottolinea, sempre ad Adnkronos, Davide Ciliberti spin doctor della società di comunicazione Purle & Noise. “Una squadra che si sta dando molto da fare anche dal punto di vista dell’immagine. Si tratta di un’attività peraltro agevolatissima dal proscenio televisivo e non solo che la proprietà può offrire al brand e ai suoi giocatori. E peraltro un trasferimento in ‘zona Biscione’ sarebbe anche ora anche più agevole dal punto di vista emotivo visto che la sua ex Ilary non lavora più a Mediaset“.

Oppure al Como, alle cui spalle ci sono gli indonesiani Robert e Michael Hartono che sommati detengono, raccontano le cronache, un patrimonio da oltre 50 miliardi di dollari. I due sono nella top 10 dei proprietari di società sportive più ricchi del pianeta. “A dispetto della loro età (83-84 anni), oltre alla fantastica ricchezza, hanno una forma mentis decisamente votata al marketing. E comunque aprirebbero al club comasco tutta la platea orientale“, osserva Ciliberti.

Gli scommettitori puntano sul Pupone

Dal canto loro anche gli scommettitori sportivi, puntando sull’ex-bandiera della Roma collezionerebbero un bel gruzzolo dacché i bookmakers danno un suo ritorno a oltre 70 volte la posta. A tal proposito, insinuano il dubbio gli esperti del settore, potrebbe essere tutto una trovata, comunque pubblicitaria. Visto che l’ex capitano giallorosso -guarda caso – è ambassador di una notissima casa di scommesse internazionale.

Cosa fa Totti oggi

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo (l’ultima partita l’ha giocata il 28 maggio 2017), Francesco Totti ha saputo reinventarsi come testimonial pubblicitario per marchi importanti. Come Volkswagen, Heineken e Wind, tra il 2018 e il 2023. Non si è fatto mancare neppure la partecipazione a programmi come Che Tempo Che Fa con Fabio Fazio e nei reality La Notte dei Re o The Italian Dream e Celebrity Hunted. Ma, la scelta di puntare sulle attività promozionali senza adeguarsi al regime fiscale previsto per chi svolge in modo continuativo queste operazioni è stata un autogol, fa notare MilanoFinanza.

All’inizio dell’estate scorsa la Guardia di finanza ha acceso i riflettori sui contratti firmati dall’ex campione. E ha messo in evidenza la mancata apertura di una partita Iva per un periodo di 5 anni. La naturale conseguenza è stata un debito con il fisco di 1,5 milioni di euro. Il patrimonio di Totti ammonterebbe a circa 300 milioni di euro in base alle informazioni di Economy Magazine e Calcio e Finanza.

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Aramco, il colosso petrolifero contro la transizione energetica

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Aramco petrolio transizione verde
Foto X @getglobalgroup_

I progressi nella transizione energetica in Asia sono molto più lenti, meno equi e più complicati di quanto molti si aspettassero. È stato lapidario, lunedì 21 ottobre, l’amministratore delegato di Saudi Aramco, Amin Nasser, alla conferenza Singapore International Energy Week.

Il capo del colosso petrolifero mondiale chiede una reimpostazione delle politiche per i Paesi in via di sviluppo. Anche con la transizione, con l’espansione delle economie e l’aumento del tenore di vita, è probabile che il Sud globale veda una crescita significativa della domanda di petrolio per molto tempo. E anche se questa crescita si fermerà a un certo punto, è probabile che sia seguita da un lungo plateau, ha sottolineato il Ceo di Aramco.

Aramco e la transizione

Se così fosse, realisticamente sarebbero ancora necessari più di 100 milioni di barili al giorno entro il 2050“, ha detto Nasser ne suo discorso a Singapore. “Questo è un netto contrasto con coloro che prevedono che il petrolio scenderà, o dovrà scendere, a soli 25 milioni di barili al giorno per allora. Essere a corto di 75 milioni di barili al giorno sarebbe devastante per la sicurezza energetica e l’accessibilità economica“.

Stando al capo di Aramco, i Paesi dovrebbero scegliere un mix energetico che li aiuti a raggiungere le loro ambizioni climatiche alla velocità e nel modo giusto per loro. “La nostra attenzione principale dovrebbe essere rivolta alle leve disponibili ora“. Queste includono l’incoraggiamento degli investimenti nel petrolio e nel gas di cui i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno e che possono permettersi.

E la priorità della riduzione delle emissioni di carbonio associate alle fonti convenzionali. In tutto ciò migliorando l’efficienza energetica e sviluppando la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio (CCUS).

“Mai così tanta richiesta di petrolio”

Nonostante i trilioni di dollari investiti nella transizione energetica globale, la domanda di petrolio e carbone è ai massimi storici. Il che rappresenta un “colpo di grazia” per i piani di transizione energetica, ha affermato ancora Nasser. L’Asia, che consuma oltre la metà delle forniture energetiche mondiali, si affida ancora alle risorse convenzionali per l’84% del suo fabbisogno energetico.

Il passaggio ai veicoli elettrici (EV) in Asia, Africa e America Latina è in ritardo rispetto alla Cina, agli Stati Uniti e all’Unione Europea. Poiché i consumatori lottano con l’accessibilità economica e le preoccupazioni relative alle infrastrutture, secondo il Ceo di Aramco. Il progresso dei veicoli elettrici non ha alcuna influenza sul restante 75% della domanda globale di petrolio, ha detto Nasser. In quanto segmenti massicci come il trasporto pesante e la petrolchimica hanno poche alternative economicamente valide al petrolio e al gas.

Sempre stando ad Aramco, che in quanto colosso petrolifero è un’azienda che sembra avere molto interesse alla transizione green, i Paesi in via di sviluppo potrebbero aver bisogno di quasi 6.000 miliardi di dollari ogni anno per finanziare la transizione energetica. Perciò Nasser ha chiesto che abbiano maggiore voce in capitolo nella definizione delle politiche climatiche. “Ma la voce e le priorità dell’Asia, come quelle del più ampio Sud globale, sono difficilmente visibili nell’attuale pianificazione della transizione. E tutto il mondo ne sta subendo le conseguenze“.

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Intelligenza Artificiale, il grande business del futuro

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Intelligenza Artificiale incontro Elkann-Altman
John Elkann dialoga con Sam Altman Cofondatore e CEO di OpenAi. Foto Ansa/Alessandro Di Marco

Rivoluzione in casa OpenAI: la start up a cui fa capo il motore d’Intelligenza Artificiale ChatGpt intende convertirsi da non profit a società a scopo di lucro. Un cambio che potrebbe significare concedere una quota del 7% all’amministratore delegato Sam Altman. Lo riportano il Wall Street Journal e l’agenzia Bloomberg citando alcune fonti.

Diventare una società a scopo di lucro è un importante cambiamento per OpenAI, fondata per sviluppare l’intelligenza artificiale a beneficio dell’umanità. Adesso invece si è trasformata in una tradizionale start-up che vende prodotti ai consumatori. Nella nuova società a scopo di lucro Altman e la divisione non-profit avrebbero delle partecipazioni. L’Intelligenza Artificiale è esplosa. Non soltanto come una realtà tecnologica via via più dominante ma anche come il business del futuro, con prospettive di guadagni milionari.

Intelligenza e…dimissioni

Intanto Mira Murati, la Chief technology officer di OpenAI, lascia la società. Nell’annuncio a sorpresa Murati precisa che assicurerà una transizione dolce. “Grazie di tutto. Le sono grato per quello che ci ha aiutato a costruire e raggiungere“, ha detto il Ceo Sam Altman.

Tutto ciò nei giorni in cui esce dalla fase di test, e si estende a 50 lingue, la modalità avanzata di ChatGpt nella versione a pagamento. In questa fase di estensione, però, non è disponibile nell’Unione europea dove vige una normativa stringente sul digitale che al momento ha indotto i big della tecnologia. Fra cui Apple, Meta e X a congelare alcune novità sull’Intelligenza Artificiale.

La modalità vocale avanzata è stata presentata da OpenAI in primavera e offre un assistente vocale più intelligente, in grado di comprendere quando l’utente lo interrompe e di adattare le risposte al tono emotivo. “Abbiamo aggiunto istruzioni personalizzate, memoria, cinque nuove voci e accenti migliorati. Può anche dire ‘Scusa il ritardo’ in oltre 50 lingue“, spiega la società di Sam Altman sul suo profilo X.

Cinque nuove voci artificiali

Il lancio prevede dunque 5 nuove voci: Arbor, Maple, Sol, Spruce e Vale, disponibili sia nella modalità vocale standard che in quella avanzata. La funzione è disponibile per tutti gli utenti di ChatGpt Plus e Team, mentre il rollout per i livelli Enterprise ed Edu avverrà la prossima settimana. Gli utenti dell’Intelligenza Artificiale sapranno se hanno ottenuto l’accesso grazie a un messaggio accanto all’opzione Voice Mode nell’interfaccia di ChatGpt. La modalità vocale avanzata al momento non sarà disponibile nel Regno Unito, Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein oltreché nell’Unione europea.

Incontro a Torino sull’AI

Nel frattempo a Torino si è svolto il meeting dell’Italia Tech Week, patrocinato da John Elkann, presidente di Stellantis. Lo stesso Elkann ha dialogato con Sam Altman, il Ceo di OpenAI. Molta la carne al fuoco nella discussione, come dialoghi sul cambiamento mondiale e le trasformazioni tecnologiche dell’Intelligenza Artificiale. Alla fine una stretta di mano fra i due per un ‘patto’: un accordo, un po’ ambizioso, per cambiare il mondo entro il 2050. Sul finale una dichiarazione di Elkann sul fatto che “il meglio deve ancora venire“.

In ogni caso adesso gli articoli dei giornalisti delle testate del Gruppo Gedi (Repubblica – l’Espresso) saranno disponibili per gli utenti di ChatGpt. “La partnership siglata con OpenAI fa parte del percorso di trasformazione digitale di Gedi” ha affermato Elkann. “E riconosce il suo ruolo di leadership nella produzione di contenuti di alta qualità all’interno del panorama editoriale italiano. Da oggi, gli utenti di ChatGpt potranno fare affidamento su articoli e analisi approfondite provenienti dalle nostre pubblicazioni, per ottenere informazioni di qualità su un’ampia gamma di argomenti, con particolare riferimento al contesto italiano“.

 

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Case, prezzi alle stelle in città: 1800 euro al mq di media

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Case cantieri abitazioni Italia
Foto Ansa/Daniel Dal Zennaro

Comprare case rappresenta oggi una dura sfida economica, non soltanto per molti italiani ma più in generale per i cittadini dei 38 Paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Soprattutto per quelli della Ue. E il fatto che la Banca centrale europea abbia tagliato i tassi d’interesse di 25 punti base per la terza volta in 4 mesi non è molto consolante. Sì, vero, il costo di mutui e prestiti è più basso ma i prezzi delle abitazioni sono cresciuti in media del 50% negli ultimi 10 anni.  

Secondo quanto riporta il Financial Times, la metà degli abitanti dei Paesi Ocse ha affermato di essere insoddisfatto della disponibilità di alloggi a prezzi accessibili. In effetti i costi delle case hanno subito un forte rialzo. Stando a Statista.com, dal 2015 i prezzi medi delle case nell’Unione europea sono aumentati di circa il 50%, contribuendo così a una significativa diminuzione degli acquisti. Nelle città italiane medio-grandi il prezzo medio al metro quadro di un’abitazione supera i 1.800 euro, con un incremento del +2,2% solo nell’ultimo anno.

A Firenze, città d’arte fra le più visitate al mondo, e a Milano, al centro dell’area geografica a più alta produttività d’Europa, i prezzi possono raddoppiare. O addirittura triplicare, rendendo questa spesa un obiettivo sempre più difficile da raggiungere. Nonostante la cultura dell’acquisto di case (prima casa e/o seconda) sia profondamente radicata, oggi molti giovani italiani si trovano di fronte a numerosi ostacoli economici per poter accedere alla proprietà, dovendo spesso ripiegare sull’affitto.

I costi degli affitti

Sempre stando a quanto indicato da Statista.com, alla fine del 2023 il costo medio di un affitto in Italia era di 12,7 euro al metro quadro. Con le grandi città a fare da protagoniste per via dei prezzi più alti e della forte concorrenza sul mercato immobiliare. I dati che abbiamo riportato, anche quelli sui prezzi delle case, sono citati dall’Agi e si riferiscono a un’indagine condotta sui siti internazionali da Espresso Communication per conto di APEP – Associazione Professionale per le Esecuzioni della Provincia di Padova.

In una dichiarazione all’Agi, Bruno Saglietti, notaio e presidente di APEP, ha detto che “le aste giudiziarie possono rappresentare una soluzione per coloro che incontrano difficoltà nell’acquisto di un’abitazione. Permettono un risparmio fino al 25% sul valore totale dell’immobile“. Fermo restando, però, che “i prezzi elevati non facilitano i giovani che devono trasferirsi per motivi di studio o lavoro. Costringendoli a ricorrere all’affitto: un sistema che possiamo considerare un vero investimento“.

Le case che vanno all’asta

A livello nazionale i dati dell’Associazione Professionale per le Esecuzioni mostrano che nei primi 6 mesi del 2024 la principale tipologia d’immobile in asta è stata l’appartamento. Si registra un aumento della partecipazione di cittadini privati alle aste rispetto allo stesso periodo del 2023. Quest’anno, infatti, la partecipazione di una persona fisica a un’asta immobiliare ha raggiunto l’82% dei presenti, rispetto al 76% dell’anno precedente.

Con l’attuale andamento del mercato immobiliare e i tassi d’interesse ancora elevati, è probabile che sempre più persone si rivolgeranno alle aste giudiziarie come una soluzione concreta per acquistare casa a prezzi più vantaggiosi” ha detto ancora Saglietti all’Agi. “In futuro, se questo sistema dovesse essere maggiormente supportato da politiche pubbliche, potrebbe diventare uno dei principali strumenti per chi cerca d’acquistare case in un contesto economico difficile“.

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L’Istat: “L’economia sommersa è in netta crescita in Italia”

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Economia illegale e sommersa rapporto Istat
Foto X @LaNotiziaTweet

L’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha pubblicato un report in base al quale nel 2022 il valore dell’economia non osservata, cioè sommersa, in Italia cresce di 17,6 miliardi. E così segna un aumento del +9,6% rispetto al 2021. L’economia sommersa – ovvero al netto delle attività illegali – si attesta a poco meno di 182 miliardi di euro, in crescita di 16,3 miliardi rispetto all’anno precedente. Le attività illegali sfiorano i 20 miliardi.

I lavoratori irregolari – senza contratto, pagati in nero – sono 2 milioni 986mila. Per quanto riguarda l’economia illegale, essa – rileva l’Istat – ha generato un valore aggiunto pari a 19,8 miliardi di euro, con un impatto dell’1,1%. Rispetto al 2021, il valore aggiunto dell’economia illegale è cresciuto di 1,2 miliardi, “accelerando la dinamica positiva già riscontrata l’anno precedente (+6,7% contro il +5,6%)“. I consumi finali di beni e servizi illegali sono cresciuti di 1,6 miliardi di euro, a 22,8 miliardi, corrispondenti all’1,9% del valore complessivo della spesa per consumi finali.

Il rapporto Istat

L’aumento è stato determinato per lo più dall’aggiornamento dell’indagine Ipsad (Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs, di fonte CNR)” spiega l’Istat. Un’indagine “che, per il 2022, ha segnalato un aumento delle prevalenze di utilizzo di eroina“. Con riferimento al periodo 2019-2022, proseguono gli autori del rapporto Istat, “le attività illegali hanno mostrato un aumento di 0,2 miliardi in termini di valore aggiunto. E di 0,6 miliardi in termini di spesa per consumi finali, con una crescita media annua, rispettivamente, dello 0,3% e dello 0,8%, portando nel 2022 il valore complessivo dell’economia illegale al di sopra dei livelli pre-pandemia“.

Le attività illegali nel 2022

Secondo quanto ancora indica l’Istat, a determinare la crescita delle attività illegali “è stata per larga parte la dinamica del traffico di stupefacenti. Il valore aggiunto ha raggiunto 15,1 miliardi (+1 miliardo rispetto al 2021), mentre la spesa per consumi finali si è attestata a 17,2 miliardi di euro (+1,3 miliardi). Nello stesso periodo si è registrata anche una crescita dei servizi di prostituzione. Nel 2022 il valore aggiunto e i consumi finali sono aumentati, rispettivamente, del 4,3% e del 4,0%, portandosi a 4,0 e 4,7 miliardi“.

L’attività di contrabbando di sigarettenel 2022 rimane marginale, rappresentando una quota – sul complesso delle attività illegali – del 3,4% del valore aggiunto (0,7 miliardi di euro) e del 3,6% dei consumi delle famiglie (0,8 miliardi di euro). Nel periodo 2019-2022, l’indotto connesso alle attività illegali, principalmente riconducibile al settore dei trasporti e del magazzinaggio, è passato da un valore aggiunto di 1,4 miliardi a 1,6 miliardi“.

I lavoratori irregolari e sfruttati

Tornando invece al tema dei lavoratori in nero, quindi irregolari e spesso anche sfruttati, il rapporto Istat rileva come nel 2022 fossero 2,9 milioni. Cittadini in prevalenza occupati come lavoratori dipendenti (circa 2,1 milioni). Rispetto al 2021, il lavoro irregolare è rimasto sostanzialmente stabile, segnando un incremento pari a +0,1% (poco meno di 3mila Ula). Nell’ultimo anno si riscontra una riduzione di 0,5 punti percentuali del tasso di irregolarità per le unità di lavoro dipendenti e di 0,3 punti percentuali per quelle indipendenti.

In generale, l’incidenza del lavoro irregolare resta più rilevante nel terziario (14,6%) e raggiunge livelli particolarmente elevati nel comparto degli Altri servizi alle persone (39,3%), dove si concentra la domanda di prestazioni lavorative non regolari da parte delle famiglie. Molto significativa risulta la presenza di lavoratori irregolari in agricoltura (17,4%), nelle costruzioni (12,4%) e nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (14,5%).

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Auto elettriche: solo 2 italiani su 10 pronti a comprarle

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Auto elettrica Italia
Foto Ansa/Stefano Secondino

Altro che mobilità green: le auto elettriche non sfondano. Costano troppo, mancano quasi completamente le stazioni di ricarica, alcuni pezzi di ricambio hanno prezzi esagerati. Ed è anche per questo che oltre il 60% degli italiani sono attenti allo sviluppo sostenibile ma soltanto il 16% opterebbe per veicoli completamente elettrici.

Lo rivela la quarta edizione dello studio Future of Automotive Mobility di Arthur D. Little. Si tratta di una fotografia dettagliata dei principali mercati che mette in luce le principali tendenze e sfide del settore a livello globale. Basato su una ricerca che ha coinvolto oltre 16mila consumatori in 25 Paesi, lo studio dimostra come le previsioni fatte nell’ultimo decennio rispetto a una mobilità connessa, autonoma, condivisa ed elettrica siano ancora lontane dalla realtà. Molto lontane.

Non piace l’auto troppo autonoma

Nonostante la transizione verso auto e mobilità elettrica stia comunque accelerando, il 44% degli attuali guidatori di veicoli a combustione interna (ICE), a livello globale, intende mantenere lo stesso tipo di motore per il prossimo acquisto. Se quindi, da un lato i veicoli sono sempre più connessi, i consumatori nutrono ancora preoccupazioni legate alla sicurezza rispetto a soluzioni spinte di guida autonoma. Preferiscono un’assistenza alla guida rispetto a una guida autonoma totale.

Lo studio evidenzia anche un crescente divario. Da un lato ci sono i mercati automobilistici ‘maturi’ di Nord America, Europa e Nord Est Asiatico: i consumatori sono meno propensi a innovazioni legate alla digitalizzazione e alla guida autonoma. E poi ci sono i mercati emergenti come Cina, India, Sud-Est Asiatico e Medio Oriente, dove la proprietà dell’auto continua a crescere e i consumatori sono più aperti alle nuove tecnologie.

Sul fronte elettrificazione dell’auto, i mercati maturi (esclusi gli Stati Uniti) stanno rapidamente adottando veicoli elettrici, mentre nei mercati emergenti, a eccezione della Cina, l’adozione procede più lentamente. Il campione di utenti analizzato rappresenta oltre l’80% delle immatricolazioni globali di auto nuove, e si basa su 10 milioni di osservazioni individuali.

Il mercato dei veicoli in Italia

E l’Italia? Alla Stampa Giancarlo Agresti, Partner di Arthur D. Little Italia, ha rilasciato alcune dichiarazioni. “Dal 2015, anno in cui è stato lanciato il primo studio sul futuro dell’automotive, anche in Italia è sempre più evidente che il futuro non possa prescindere dall’impegno verso la sostenibilità e la digitalizzazione del settore. Tuttavia, ancora numerosi ostacoli si incontrano nel percorso verso la completa transizione a una mobilità connessa, autonoma, condivisa ed elettrica. L’edizione 2024 del nostro studio analizza ed esplora le principali sfide e opportunità del settore automobilistico, e ci aiuta a comprendere le scelte dei consumatori per poter identificare le migliori soluzioni per il pubblico e il privato”.

In Italia, il 75% dei consumatori sceglie una “nuova auto” per il prossimo acquisto: si tratta di una percentuale significativamente più alta rispetto alla media europea, dove soltanto il 60% opta un’auto nuova. Dal punto di vista della sostenibilità, per oltre il 60% degli intervistati la sostenibilità è importante o anche molto importante al momento dell’acquisto del prossimo veicolo (rispetto al 50% della media Europea).

Gli italiani restano fortemente legati alla proprietà dell’auto. Con il 63% degli intervistati che non rinuncerebbe al proprio veicolo, pur prendendo in considerazione l’ampia offerta di nuovi servizi di mobilità. Questo dato è in linea con i mercati europei e altri mercati maturi. Mentre nei mercati emergenti i consumatori sono più propensi a rinunciare (25% in India, 40% nel sud-est asiatico) alla proprietà.

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Studenti, contro il caro-affitti si prediligono i piccoli atenei

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Università Torino caro affitti studenti
Foto Ansa/Alessandro Di Marco

Alla ripresa dell’anno accademico nelle Università italiane, nel corrente mese di settembre, gli studenti si trovano alle prese col caro-affitti delle case. Una stanza, per non parlare di un monolocale o di un appartamento, costa sempre di più. C’è una speculazione brutale e apparentemente senza limiti soprattutto nelle grandi città italiane. 

Torna dunque d’attualità il tema dei costi degli affitti per le stanze degli studenti, con i relativi aumenti dei costi. Rispetto al 2023, il costo medio degli affitti per una stanza singola è cresciuto del +7%. In parte la ragione è legata all’aumento della domanda, cresciuta del +27%. Milano si conferma tra le città più care, con una crescita dei costi degli alloggi per gli studenti in media pari al +4% rispetto all’anno scorso. A Roma in media il costo di una stanza è poco più alto di 500 euro. Ma ci sono zone dove si arriva a 600 euro al mese. In linea con la capitale è Bologna. Anche nel capoluogo dell’Emilia Romagna i prezzi per gli studenti sono astronomici.

Immatricolazioni in crescita

A Firenze il prezzo medio per una stanza singola è 493 euro, leggermente più basso. Si registrano aumenti anche a Venezia, Padova, Torino, Verona, Napoli. Se è vero dunque che a Roma e Milano una stanza per studenti può arrivare a costare fino a 700 euro al mese, secondo un’indagine di Immobiliare.it, è altrettanto vero che gli universitari italiani non si perdono d’animo.

Adattandosi al caro-affitti, gli studenti hanno messo in atto una nuova strategia che potrebbe sul lungo termine favorire un abbassamento dei prezzi. Ovvero stanno cambiando le loro preferenze in fatto di atenei. Nella tale città il caro-affitti per gli studenti è opprimente? Si cambia Università e ci si sposta in un’altra città.

I dati diffusi dal Censis qualche mese fa, incrociati con quelli di Immobiliare.it, mostrano un quadro interessante. Le immatricolazioni degli studenti sono in crescita, ma a beneficiarne sono soprattutto gli atenei più piccoli, situati in centri meno costosi e più vicini alle residenze familiari.

Più studenti negli atenei del Sud

Si registra infatti un vero e proprio boom di nuovi iscritti nelle Università del Sud e delle Isole (+4,2%), seguite da quelle del Nord-Est (+1,2%). In calo, invece, le immatricolazioni di studenti negli atenei del Centro (-3,6%) e del Nord-Ovest (-2,5%), aree geografiche che ospitano le grandi città universitarie, da sempre prese d’assalto. Ma oggi meno attraenti per gli studenti attenti al bilancio.

Tra i grandi atenei statali con un numero di studenti compreso tra 20mila e 40mila, a svettare in cima alla classifica stilata dal Censis è l’Università della Calabria, seguita da Pavia, Perugia, Parma, Cagliari e Salerno. Milano Bicocca si piazza solo al settimo posto e Roma Tre al 14° posto. La scelta degli studenti, dunque, non si basa più tanto sulla fama del tale ateneo o del tal altro. Bensì tiene conto di molteplici fattori, tra cui la vivibilità della città, le possibilità di accesso a borse di studio, gli indici di occupabilità post-laurea e, naturalmente, il costo della vita.

Tra i grandi atenei, l’Università di Palermo fa un notevole balzo in avanti, guadagnando ben tre posizioni rispetto all’anno precedente e posizionandosi al 4° posto nella graduatoria del Censis. Sul podio, invece, troviamo l’Università di Padova, seguita dall’Università di Bologna e dalla Sapienza di Roma. Settima posizione per l’Università di Torino.

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