Aumento dei costi per i contratti di solidarietà:
Il d.lgs. n. 148 del 2015 sulla riforma degli ammortizzatori sociali ha comportato un aumento dei costi per i contratti di solidarietà (intorno al 12% per le imprese), ma nonostante ciò resta comunque l’ammortizzatore più conveniente per i datori di lavoro anche se, in taluni casi, risulta di difficilmente applicabile.
Questo l’argomento affrontato da un articolo pubblicato oggi (14.12.2015) dal Sole 24 Ore (Firma: Enzo De Fusco; Titolo: “Contratti di solidarietà più costosi”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Dopo la riforma degli ammortizzatori sociali il contratto di solidarietà ha un costo maggiore per le imprese rispetto al passato, che si attesta mediamente al 12%, mentre il lavoratore subisce una minore integrazione(in media del 25 per cento) della retribuzione persa. Per le retribuzioni più alte, però, l’indennità può ridursi anche del 50 per cento.
Nonostante queste restrizioni, il contratto di solidarietà (che è ora una causale della Cigs) continua però a essere l’ammortizzatore più conveniente per le imprese, anche se in alcuni casi di difficile gestione sul piano organizzativo.
La riforma degli ammortizzatori (Dlgs 148/2015) è stata realizzata sul presupposto di una generale razionalizzazione delle risorse economiche e di un più contenuto utilizzo di questi strumenti.
In questo quadro restrittivo non c’è dubbio che le maggiori penalizzazioni le abbia subite proprio il contratto di solidarietà, che nella precedente disciplina aveva accumulato numerosi vantaggi rispetto agli altri ammortizzatori.
Tuttavia, la riforma ha completamente ristrutturato il sistema e dunque la convenienza dell’uno o dell’altro ammortizzatore va vista sia sul piano economico, sia sul piano delle opportunità gestionali.
Diversamente dal passato, le aziende che utilizzano il contratto di solidarietà sono obbligate a versare un contributo addizionale. Nel primo anno l’azienda subisce un maggiore costo fisso rispetto al passato del 9%, che aumenta progressivamente al 12% nel secondo anno e al 15% nel terzo anno. A titolo di esempio, su una retribuzione media di 22mila euro, per ciascun mese e per ciascun lavoratore, l’azienda dovrà pagare un contributo addizionale di circa 41 euro, che sale a circa 71 euro per una retribuzione annua di 40mila euro.
Non solo. Il contributo addizionale deve essere calcolato sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate. In passato, invece, il contributo – che era richiesto per gli altri ammortizzatori – doveva essere calcolato sul minor valore rappresentato dalla integrazione salariale riconosciuta e non sul salario perso.
Resta confermato che – a differenza degli altri ammortizzatori – nel contratto di solidarietà il Tfr per la retribuzione persa rimane a carico della gestione pubblica e non del datore di lavoro, a condizione però che non siano avviati licenziamenti nei 90 giorni successivi al termine della solidarietà.
Il lavoratore, invece, sulla retribuzione persa per effetto della solidarietà subirà un impatto economico molto negativo rispetto al passato che è direttamente proporzionale all’aumentare della retribuzione.
Infatti, sempre su una retribuzione di 22mila euro, l’Inps riduce l’integrazione rispetto al passato di circa il 25% (si veda l’esempio a fianco). Più sale la retribuzione dei lavoratori coinvolti, più è alto il divario, fino ad arrivare al 50% in meno per una retribuzione annua di 40mila euro. La penalizzazione deriva dal fatto che, con il nuovo regime, al lavoratore si applica lo stesso massimale previsto per la cassa integrazione.
La modalità di utilizzo del contratto di solidarietà ha subito alcune modifiche. In primo luogo, possono essere coinvolti solo i lavoratori che nella unità produttiva (e non più sull’intera azienda) interessata dalla solidarietà abbiano svolto almeno 90 giorni di effettivo lavoro (circolare 24/2015 del ministero del Lavoro).
Inoltre, esiste un doppio limite da rispettare:
il primo è di livello aziendale, ossia la riduzione media oraria computando tutti i lavoratori interessati dalla solidarietà non può essere superiore al 60% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile (limite presente anche in passato);
il secondo riguarda il lavoratore e si tratta di una novità, dal momento che per ciascuno la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 70% nell’arco dell’intero periodo per il quale il contratto di solidarietà è stipulato.
Pertanto, mentre il limite aziendale va misurato al massimo su un periodo non superiore al mese, il limite riferito al lavoratore deve essere rispettato in media sull’intero periodo autorizzato del contratto.
Infine, la durata del nuovo contratto di solidarietà non può essere superiore a 36 mesi in un quinquennio mobile, con la particolarità che se viene utilizzato alternandolo con altri ammortizzatori (Cigo e Cigs), i primi 24 mesi contano la metà.