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Licenziamento intimato oralmente:

Al licenziamento intimato oralmente non è applicabile il termine di decadenza di cui all’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010, sicché il lavoratore può far valere in ogni tempo l’inefficacia del licenziamento, senza previa impugnativa stragiudiziale dello stesso. È quanto deciso dalla Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 22825 del 2015 (Presidente: P. Venuti; Relatore: A. Doronzo).

Il caso all’esame della Suprema Corte riguardava la seguente questione.

Una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole dal datore di lavoro in data 13.3.2015 e, secondo la sua prospettazione, tale provvedimento era stato determinato dal suo rifiuto di sottoscrivere un verbale di transazione concernente il pregresso rapporto di lavoro, regolato attraverso contratti di consulenza più volte prorogati e durato dal 6.11.2006 fino alla data del licenziamento verbale, disposto all’atto del suo rientro al lavoro dopo un periodo di astensione obbligatoria per maternità.

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La lavoratrice ricorrente chiedeva quindi al Tribunale di Roma l’accertamento e la declaratoria della nullità, o annullabilità o illegittimità del licenziamento verbale, la reintegrazione nel posto di lavoro, la condanna della società al pagamento delle retribuzioni dal licenziamento alla reintegra.

Il Tribunale accoglieva la domanda della lavoratrice e condannava la società alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro nonché al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione, oltre agli accesso di legge, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. La sentenza del Tribunale veniva altresì confermata dalla Corte di Appello di Roma a seguito di impugnazione da parte della società datrice di lavoro.

Contro tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro e la Suprema Corte, con la sentenza n. 22825/2015 di cui sopra, lo rigettava e condannava altresì la ricorrente al pagamento delle spese di lite.

(Fonte: Corte Suprema)

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