Mobilità dei pubblici dipendenti:
È stato pubblicato sulla G.U. del n. 216 del 17 settembre 2015 il DPCM del 26 giugno 2015 relativo alla mobilità dei pubblici dipendenti e contenente norme sulla “Definizione delle tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsi dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione del personale non dirigenziale” con allegate le relative Tabelle.
Tale Decreto verrà utilizzato per regolare la mobilità dei dipendenti pubblici tra un comparto e l’altro delle Pubblica Amministrazione in previsione della riforma delle Province.
È questo l’argomento affrontato in un articolo di approfondimento pubblicato oggi (18.9.2015) sul Sole 24 Ore (Firma: Gianni Trovati; Titolo: “Province, primi passi per la mobilità”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Arriva in Gazzetta Ufficiale il decreto con le «tabelle di equiparazione», che serve a disciplinare la mobilità dei dipendenti pubblici tra un comparto e l’altro della Pa ed è quindi essenziale per attuare un pezzo importante della riforma delle Province: quello che dovrebbe spostare fino a 8mila persone dagli organici degli enti di area vasta alle altre Pubbliche amministrazioni, ministeri in primis (il primo bando è quello del ministero della Giustizia, che secondo la legge dovrebbe accogliere fino a 2mila persone nei prossimi due anni).
Previsto fin dalla riforma Brunetta ma mai attuato, il provvedimento è stato rilanciato l’anno scorso dal decreto-Madia (Dl 90/2014) ed è al centro delle polemiche sindacali. Nel testo si prevede infatti che ai dipendenti che si spostano in mobilità non volontaria (per la mobilità volontaria, finora residuale, è scontato che si accettino le regole della Pa di destinazione) sarà garantito l’eventuale trattamento accessorio più favorevole solo per le voci «con carattere di generalità e natura fissa e continuativa». La riforma Delrio prevedeva un sistema diverso, rappresentato dal cosiddetto “zainetto” nel quale il dipendente in mobilità si sarebbe dovuto portare le risorse «in godimento all’atto del trasferimento» (comma 96 della legge 56/2014). I tagli miliardari a Province e Città metropolitane, ha spiegato però nei mesi scorsi Palazzo Vidoni in una nota, non permette di togliere altri fondi a questi enti, e da qui nasce il nuovo meccanismo. La garanzia sulle voci fisse e continuative, aggiunge il decreto pubblicato in Gazzetta, si attiva quando l’amministrazione ricevente individua la copertura finanziaria: a questo scopo possono però essere usati anche gli «spazi assunzionali», e dal momento che le regole vincolano di fatto il turn over al riassorbimento degli ex provinciali, secondo il Governo non ci dovrebbero essere problemi.
Non sarebbe facile, del resto, giustificare il mantenimento di indennità particolari (per esempio quelle di turno, o legate a «specifiche responsabilità») nate da fattori assenti nella nuova destinazione. Ai sindacati, che ai tempi della riforma Delrio avevano spinto sull’emendamento dello “zainetto” per assicurare la garanzia totale sulle buste paga, il nuovo sistema però non piace per niente, e le previsioni annunciano ricorsi in tutti i casi che si riveleranno “problematici”. Ad alimentare il contenzioso potrà essere anche il fatto che a livello contrattuale manca una definizione univoca per individuare le voci «fisse e continuative», che però esiste sul piano previdenziale.
Nel mosaico dell’attuazione manca ora il decreto con i criteri generali per la mobilità, all’esame della Corte dei conti. E, soprattutto, mancano in otto Regioni le leggi di redistribuzione delle funzioni: perché fino a quando non sarà chiaro quali funzioni le Province devono continuare a svolgere, non sarà possibile individuare puntualmente gli “esuberi” da spostare.