Questo nuovo anno 2024 potrebbe segnare un punto di svolta per il fenomeno degli influencer e del loro potere di condizionamento sulle scelte dei cittadini consumatori. Sia in Italia che all’estero. Mentre nel nostro Paese assistiamo alla ‘caduta degli dei’, per così dire (basti pensare a Chiara Ferragni sotto inchiesta a Milano per truffa aggravata sul caso del pandoro Balocco), in America aumentano i deinfluencer.
Se il modello è in fondo lo stesso, quello cioè di influenzare come opinion maker scelte e gusti dei follower al fine di orientare più persone possibile verso i propri obiettivi, i deinfluencer sono l’altra faccia della medaglia degli influencer. Invece che cavalcare i trend, sfidano le tendenze del momento per promuovere un consumo più sostenibile ed etico.
Il deinfluencer non sponsorizza prodotti. Li critica. E si interroga sull’impatto che possono generare sui comportamenti d’acquisto dei consumatori. Quindi segnala ai propri follower questo o quel negozio, questo o quel marchio, o quella storia imprenditoriale che a suo giudizio merita il favore dei consumatori. In questo modo i deinfluencer arrivano ad avere centinaia di migliaia di seguaci online, spesso molto attenti e critici verso i loro stessi opinion leaders.
Il “lavoro” del deinfluencer
Oltreoceano tra i deinfluencer emergenti c’è Derek Guy, noto anche come “il ragazzo dell’abbigliamento maschile” su X. È uno scrittore e commentatore canadese, molto di moda nel suo paese. Come citato anche dall’agenzia di stampa statunitense Bloomberg, ha spiegato in una serie di 27 post la differenza tra un maglione di cashmere che costa 50 dollari e uno che potrebbe costarne fino a 5mila. Guy sottolinea ovviamente che fra i due capi esistono grandi differenze in termini di qualità: morbidezza, elasticità, lunghezza del filato, longevità. Ma ne analizza gli impatti sull’ambiente e sul benessere degli animali comparandoli con il fast fashion.
Derek Guy sembra incarnare a tutti gli effetti il fenomeno dei de-influencer che sui social dicono ai loro follower cosa non comprare. Rifiutano le tendenze del momento e il consumismo sfrenato. O le leggi imposte dal marketing di massa. Spesso cominciano i loro post e reel con la domanda con “Ne vale davvero la pena?“.
Verso un consumo meno acritico?
Un altro esempio è quello di Tanner Leatherstein, diventato virale su Instagram e TikTok. Questo deinfluencer ha usato le sue doti di artigiano e la sua conoscenza dei pellami per smontare borsette da migliaia di euro dichiarandone alla fine il reale valore. Nei video che pubblica usa taglierini, solventi, forbici e lime per distruggere e sezionare ogni singolo componente degli oggetti in questione, chiedendo ai consumatori se il prodotto vale davvero la cifra richiesta dal brand di lusso in oggetto.
Il fenomeno del deinfluencer non è nuovo, in realtà, nel mondo dei social. Tuttavia è emerso come tendenza in consolidamento appena un anno fa. Anche Andrea Cheong, deinfluencer con oltre 390.000 follower fra Instagram e TikTok mostra nei negozi come leggere le etichette. Per cuciture, fodere e materiali vari. Lo stesso Derek Guy tenta sui social di scoraggiare il consumismo sconsiderato. Chissà se anche in Italia alcuni consumatori non cominceranno presto ad avere una visione più critica e consapevole in fatto di scelte.