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Il Ministero del Lavoro, con Nota n. 18244 del 30.11.2021, ha risposto ad una serie di quesiti posti in merito alla disciplina degli ETS – Enti del Terzo Settore e relativi ai seguenti argomenti:

A) Ordinamento e amministrazione degli ETS;

B) Apporto del Volontariato ed in particolare al loro prevalente apporto per talune categorie particolari di ETS;

C) RUNTS, e cioè le funzioni che può esercitare il legale rappresentante di una rete associativa nei rapporti con gli Uffici del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS).

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Di seguito il testo della nota n. 18244/2021.

Sono pervenuti a questa Amministrazione diversi quesiti afferenti all’ordinamento e all’amministrazione degli Enti del Terzo settore (“ETS”); al ruolo dei volontari e, più specificamente, al loro prevalente apporto per alcune categorie particolari di ETS; alle funzioni esercitabili dal legale rappresentante di una rete associativa nei rapporti con gli uffici del Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS). I chiarimenti forniti con la presente costituiscono l’esito di un processo di approfondimento condotto da questa Direzione con gli stakeholders di riferimento. Ai fini di una migliore leggibilità del testo, ogni risposta al quesito viene preceduta da una sintetica esposizione della questione prospettata dal richiedente.

A) ORDINAMENTO E AMMINISTRAZIONE DEGLI ETS
A.1) Applicabilità della cooptazione ex articolo 2386 del codice civile ai componenti dell’organo di amministrazione delle associazioni del Terzo settore.

Si chiedono chiarimenti circa la possibilità per gli ETS costituiti in forma associativa, al venir meno (per decesso, decadenza, revoca, dimissioni ecc.) di uno o più componenti dell’organo di amministrazione, di applicare l’articolo 2386 cod. civ. alla luce dell’articolo 3, comma 2 del Codice del Terzo settore (“CTS”), a mente del quale “per quanto non previsto dal presente Codice, agli enti del Terzo settore si applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative disposizioni di attuazione” e dei molteplici espliciti rinvii contenuti nel medesimo CTS a norme del codice civile in materia di società di capitali (es. artt. 26, 27, 28 e 29 CTS).

La richiesta scaturisce dalla scarsità di disposizioni rinvenibili nel libro I del codice civile, in particolare in materia di associazioni, a fronte dei contenuti più dettagliati rinvenibili con riguardo agli enti costituiti in forma societaria.

L’art. 2386 cod. civ. dispone, in via ordinaria, che nelle società di capitali, qualora nel corso dell’esercizio vengano a mancare uno o più amministratori, i rimanenti provvedano alla loro sostituzione, con deliberazione approvata dal collegio sindacale, fino alla prima assemblea utile: quest’ultima può confermarli oppure revocarli.

La previsione è applicabile a condizione che la maggioranza degli amministratori rimanga di nomina assembleare. Ove gli amministratori nominati dall’assemblea dei soci risultino in parità o in minoranza, i consiglieri in carica devono convocare l’assemblea per la sostituzione dei componenti mancanti. Le suddette disposizioni non necessitano di una apposita previsione statutaria.

Sempre in via ordinaria, ma la disposizione è derogabile con apposita disposizione statutaria, i componenti cooptati scadono insieme a quelli originari, sicché al momento previsto si possa procedere al rinnovo dell’intero organo. È inoltre facoltà della società prevedere nello statuto che, a seguito della cessazione di taluni amministratori, decada l’intero consiglio. In questo caso l’assemblea è convocata d’urgenza dagli amministratori rimasti o, se previsto dallo statuto, dal collegio sindacale. Anche in caso di cessazione di tutti i componenti dell’organo di amministrazione la convocazione in via d’urgenza dell’assemblea spetta all’organo di controllo, che nel frattempo assicura l’ordinaria gestione. Il Codice civile non fornisce indicazioni sulle caratteristiche dei cooptati, la cui individuazione è rimessa agli amministratori in carica, ferma restando la necessaria approvazione da parte dell’organo di controllo circa le scelte effettuate.

L’articolato sistema civilistico sopra richiamato assicura che al venir meno di uno o più amministratori, anche in casi ripetuti, l’organo di amministrazione possa continuare ad operare senza procedere subito alla convocazione dell’assemblea, a meno che il numero di amministratori cessati non sia particolarmente rilevante o fatta salva una espressa volontà statutaria.

Ai fini dell’applicabilità anche agli ETS della disposizione sopra evocata, occorre esplorare la compatibilità della specifica disposizione con la disciplina in materia di ETS, dato che la stessa non è contemplata tra i vari articoli in materia di società di capitali cui il CTS espressamente rinvia. Sono richiamati, ad esempio, l’art. 2382 (cause di ineleggibilità e decadenza degli amministratori), l’art. 2475-ter (conflitto di interessi), gli artt. 2392 e ss. (regime delle responsabilità degli amministratori, dei dirigenti, del consiglio sindacale verso la società, i soci, i terzi), in quest’ultimo caso previa verifica di compatibilità.

Nel caso prospettato viene in rilievo, da un lato, l’esigenza di salvaguardare il principio di democraticità (di cui l’elettività degli amministratori da parte dell’organo assembleare, salvo eccezioni espresse, costituisce una specifica declinazione); dall’altro, quella di assicurare il regolare funzionamento dell’ETS, in quanto esso, inteso come capacità dell’ETS di autonomamente implementare il proprio oggetto sociale, costituisce una condizione necessaria affinché possano essere effettivamente realizzate le attività di interesse generale di cui all’articolo 5 del Codice, considerate dal legislatore meritevoli di particolare tutela.

L’art. 26, comma 1 del CTS prevede che nelle associazioni del Terzo settore la nomina degli amministratori spetti all’assemblea, fatto salvo il caso, nell’ipotesi di cui all’art. 25, comma 2, che la competenza non sia attribuita a diverso organo, fermi restando i principi di democraticità, pari opportunità e uguaglianza di tutti gli associati ed elettività delle cariche sociali; fatta salva inoltre l’ipotesi derogatoria di cui al comma 5, secondo cui la nomina di una quota minoritaria dei componenti può essere attribuita per statuto a particolari soggetti o a loro rappresentanze. In tal caso, è del tutto evidente l’impraticabilità della cooptazione ove gli amministratori cessati siano stati nominati ai sensi del comma 5, dato che la sostituzione non può che spettare al soggetto titolare del potere di nomina.

Al di fuori di tale specifica ipotesi di esclusione, la praticabilità dell’istituto della cooptazione appare comunque problematica per gli enti costituiti in forma associativa, dato che sulla base di questa, fino alla eventuale ratifica dell’assemblea, che potrebbe intervenire anche diversi mesi dopo l’insediamento, gli amministratori cooptati hanno i medesimi poteri di quelli eletti; e ciò al di fuori di una previsione del CTS del tutto netta nel collegare tra loro, richiamandoli unitariamente, i principi di elettività, democraticità, nomina assembleare (salvo deroghe espresse) uguaglianza e pari opportunità tra gli associati.

Operativamente, si osserva inoltre che l’eventuale ricorso alla cooptazione da parte degli amministratori non sarebbe subordinabile in maniera inderogabile, come nel caso dell’art. 2386 cod. civ., ad una preventiva approvazione da parte dell’organo di controllo dato che quest’ultimo, nelle associazioni di minori dimensioni, non è obbligatorio.

In un’ottica di sistema e con riferimento al principio di compatibilità, deve altresì osservarsi che mentre nel caso delle società di capitali la preminente esigenza, a tutela dell’interesse economico dell’impresa, della continuità della gestione potrebbe sia pure temporaneamente mettere in secondo piano i poteri assembleari, per le associazioni del Terzo settore l’elettività delle cariche da parte dell’assemblea, quale organismo democratico rappresentativo dell’intero corpo associativo, distinto dall’organo di amministrazione, rimane in ogni momento prioritaria in quanto caratterizzante e connaturata a tali tipologie di enti.

Pertanto, non si ritiene che per le associazioni del Terzo settore si possa ricorrere de jure alla cooptazione di uno o più amministratori in sostituzione di quelli eletti; appare inoltre non conforme al Codice del Terzo settore una espressa clausola statutaria in tal senso.

Ove la maggioranza dei componenti di nomina assembleare venga meno, indipendentemente dalla presenza di altri membri nominati ai sensi dell’art. 26, comma 5, l’assemblea dovrà essere convocata con la massima urgenza consentita, ferma restando la possibilità per lo statuto di collegare la decadenza dell’intero organo al verificarsi di un numero inferiore di cessazioni.

È invece chiaro che non configura cooptazione la diversa ipotesi, statutariamente prevista, in cui agli amministratori cessati subentrino i primi tra coloro che sono risultati “non eletti” in occasione delle procedure di nomina dell’organo, purché nell’ordine di preferenza da esse risultante. Tale previsione è pienamente legittima, in quanto capace di operare un corretto bilanciamento tra principio di democraticità ed esigenza di funzionamento dell’ETS.

Quanto agli effetti riconducibili all’eventuale cessazione del presidente, spetta agli statuti regolare la fattispecie, non necessariamente nel senso di una decadenza simultanea dell’intero organo di amministrazione: ad esempio prevedendo il subentro automatico del vice-presidente (eletto anch’esso dall’assemblea), una sostituzione attraverso l’elezione indiretta (ad esempio con una delibera dei componenti dell’organo di amministrazione elettivo che indichi un nuovo presidente al proprio interno tra i componenti di nomina assembleare) o il ricorso ad una nuova elezione, separata da quella dei restanti componenti. Occorre evidenziare in proposito il rischio, in caso di decadenza automatica dell’intero organo a seguito della cessazione del presidente, del blocco del funzionamento dell’organo amministrativo al quale, nelle more della ricostituzione, deve almeno essere consentito il compimento degli atti di ordinaria amministrazione.

Nel caso delle fondazioni, al contrario, il ricorso alla cooptazione potrebbe risultare praticabile, necessitando tuttavia di una espressa disposizione statutaria, compatibile con l’atto di fondazione. In mancanza, sarà applicabile non l’art. 2386 in via analogica, ma l’articolo 25 del codice civile che demanda all’autorità governativa, ovvero al competente Ufficio del RUNTS “la nomina e la sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell’atto di fondazione non possono attuarsi

 A.2) Facoltà di nomina degli amministratori delle ODV da parte di soggetti esterni.

Si chiede se le ODV possano prevedere la facoltà di delegare la nomina di una minoranza di amministratori ai soggetti esterni qualificati ai sensi dell’art. 26, comma 5 del CTS.

In proposito, deve ricordarsi la previsione di cui all’art. 34 del medesimo CTS (in quanto speciale, pertanto, prevalente rispetto all’art. 26, ai sensi dell’articolo 3, comma 1) secondo cui “tutti gli amministratori delle organizzazioni di volontariato sono scelti tra le persone fisiche associate ovvero indicate, tra i propri associati, dagli enti associati”. In qualità di associati dell’ODV o degli enti ad esso associati, i prescelti dovranno godere appieno dei diritti associativi, tra cui quello all’elettorato passivo; inoltre, nel caso in cui agli enti associati sia attribuito potere di indicare propri associati al fine di ricoprire cariche associative, tale indicazione potrebbe essere reversibile, comportando quindi una decadenza della nomina per venir meno dei requisiti. In tal caso l’ente associato dovrebbe indicare ulteriori associati ai fini del conferimento dell’incarico. Qualora sia l’ente associato che ha indicato uno o più componenti a fuoriuscire dalla base associativa dell’OdV, dovrebbe procedersi ad un’integrazione dell’organo sulla base dell’assetto associativo successivo alla fuoriuscita.

Premesso quanto sopra, l’ipotesi di cui all’art. 26 comma 5 trova spazi di applicabilità a condizione che siano rispettate le previsioni del citato articolo 34 comma 1. Ad esempio, gli statuti potrebbero affidare agli enti “qualificati” la nomina di una minoranza di amministratori; tale nomina, tuttavia non potrebbe prescindere dal possesso in capo al nominando della qualifica di associato dell’ODV (qualifica che assume quindi il valore di requisito di legge); oppure dovrebbe avvenire all’interno di una rosa di soggetti preindividuati dagli enti associati all’ODV, nell’ambito delle rispettive basi associative.

A.3) Ammissibilità nelle associazioni del Terzo settore di categorie di soci con diritti limitati.

Sono stati richiesti chiarimenti riguardo alla possibilità, per le associazioni del Terzo settore, di prevedere negli statuti o nei regolamenti attuativi dei medesimi, categorie di soci con diritti sociali limitati, in particolare con riguardo al cd. elettorato passivo. Nello specifico, è stato prospettato il caso del regolamento di un ente che distinguendo i soci in “soci effettivi”, “soci aggregati”, “soci privilegiati” e prevedendo che l’ingresso nell’ente avvenga solo su invito di uno o più soci, riserva ai soci effettivi la pienezza dei diritti e degli obblighi, compresa la possibilità di prendere parte alle attività dei livelli organizzativi dello stesso ente sovraordinati a quello del “circolo” o “club” di appartenenza; ai soci aggregati, talvolta individuati come tali a seguito di una partecipazione non regolare o saltuaria alle riunioni e alle iniziative sociali, il solo voto attivo, esercitabile esclusivamente all’interno del “club” o “circolo” di appartenenza, ma non negli organismi di livello superiore; ai soci privilegiati la partecipazione anche alle attività dei livelli sovraordinati rispetto a quello di appartenenza con il solo elettorato attivo. Inoltre, sempre nel caso prospettato, è stata evidenziata la presenza nello statuto di limitazioni quantitative alla presenza di soci aggregati e privilegiati, in modo da assicurare la prevalenza dei soci effettivi.

L’esame della questione prospettata impone una valutazione sotto due differenti profili, alla luce delle disposizioni del Codice riguardanti rispettivamente il diritto di voto come espressione della partecipazione alla determinazione degli indirizzi, alle decisioni e all’individuazione dei componenti degli organi sociali, siano essi amministrativi o rappresentativi di secondo livello in condizioni di uguaglianza con gli altri soci, anche nel caso in cui gli statuti contemplino l’esistenza di differenti categorie di essi (rientra in tale ambito il cd. voto attivo) e il diritto di poter concorrere a ricoprire una carica associativa (cd. voto passivo) o la funzione di rappresentante della propria base.

Innanzitutto, i principi di democraticità, pari opportunità e uguaglianza di tutti gli associati, principi inderogabili di tutti gli enti del Terzo settore costituiti in forma associativa, impongono agli statuti di assicurare a qualunque associato, indipendentemente dalla suddivisione della base associativa in “categorie” differenziate tra loro, la possibilità di partecipare, in condizioni di parità con gli altri, alla definizione degli indirizzi associativi e alla composizione degli organi sociali. Quanto sopra, per ragioni organizzative, trova al di sopra dei 500 soci non una deroga, ma una diversa modalità di espressione, consentendo, ad esempio, una ripartizione dei compiti tra l’assemblea e uno o più organi di secondo livello, composti non dai singoli associati ma dai rispettivi rappresentanti, democraticamente eletti dalla “base”. Pertanto, è assolutamente contrario ai principi del Codice che solo alcuni associati (quelli che nel caso sopra esposto erano definiti “effettivi” ed eventualmente i cd. “privilegiati”) abbiano la pienezza dell’elettorato attivo. Ciò è chiaramente ricavabile dall’elencazione dei sopra richiamati principi inderogabili di cui all’art. 25 comma 2, in combinato disposto con l’articolo 24 comma 2 (“ciascun associato ha un voto”).

Nel caso in cui l’assetto dell’ente contempli la previsione di un organo deliberativo di secondo livello sovraordinato all’assemblea, composto dai rappresentanti eletti dal livello associativo di base, il fatto che solo i suoi componenti, i cd. “delegati” partecipino alle deliberazioni del livello superiore, risponde alle caratteristiche dell’organo stesso e più in generale è funzionale alla struttura organizzativa dell’intero ente. Nel caso in cui l’ente preveda anche l’ammissione di soci minorenni, questi ultimi, per ragioni oggettive potrebbero non essere in grado di prendere parte in prima persona ad alcune delle attività dell’ente (si pensi ad esempio alle associazioni che svolgano anche attività di protezione civile) o non essere in grado di partecipare all’amministrazione dell’ente in quanto privi della capacità di agire; l’esclusione dal diritto di partecipare alle deliberazioni comuni, anche per il tramite dei soggetti investiti della potestà genitoriale, significherebbe ledere immediatamente il loro “status” di socio (si veda in proposito la nota n. 1309 del 6 febbraio 2019, pubblicata sul sito istituzionale all’indirizzo https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/Terzo-settore-e-responsabilita-sociale-imprese/focuson/Riforma-terzo-settore/Pagine/Circolari-orientamenti-ministeriali-Codice-Enti-Terzo-settore.aspx ed i principi ivi richiamati).

Un’eventuale riduzione dei diritti associativi, inoltre, non potrebbe farsi discendere da una partecipazione non assidua alle attività sociali, sia che esse consistano ad esempio nel presenziare ad eventi associativi o alle sedute assembleari, sia che abbiano la natura di prestazioni volontarie (che per definizione devono essere spontanee). I diritti di partecipazione sottintendono infatti anche la facoltà di astenersi temporaneamente dalla stessa o di sceglierne liberamente l’intensità. Cosa diversa sono gli obblighi che il socio assume aderendo all’associazione, ovvero quelli di rispetto dello statuto e dei regolamenti associativi, di correttezza nei rapporti con gli altri associati e con gli organi associativi, di regolare versamento della quota associativa; obblighi la cui violazione nei casi e con le forme previsti dallo statuto può essere motivo di perdita della qualità di socio.

Quanto al cd. voto passivo, il principio di uguaglianza deve essere contemperato, secondo criteri di ragionevolezza, con il possesso dei requisiti che consentano al candidato di svolgere l’incarico per il quale viene eletto. Tali requisiti sono in primis quelli legati alla piena capacità di agire: se da un lato non è ragionevole privare il minorenne legittimamente ammesso nella base associativa del diritto di prendere parte alle decisioni sociali (prevedendo che il voto possa essere esercitato dal titolare della potestà genitoriale), dall’altro è comprensibile che un socio non possa assumere incarichi associativi comportanti specifiche responsabilità se non è pienamente e legalmente titolato ad assumerle. Si pensi ad esempio all’impossibilità di assumere l’incarichi di amministratore per chi risulti in una delle situazioni ostative previste dall’art. 2382 cc (art. 26, comma 2 CTS); o alla previsione statutaria di ulteriori requisiti al possesso dei quali sia condizionata l’assunzione dell’incarico: il CTS li riassume sotto la formula “specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza”, prevedendo che gli stessi possano essere mutuati da “codici di comportamento redatti da associazioni di rappresentanza o reti associative del Terzo settore”. Tra essi, a titolo di esempio possono rientrare le previsioni di inconferibilità/incompatibilità nei confronti dei titolari di incarichi di natura politica, amministrativa, sindacale (anche per non trascinare l’ente in situazioni di direzione controllo o coordinamento da parte dei cd. “enti esclusi”); l’incompatibilità con incarichi associativi presso enti diversi o diversi livelli organizzativi del medesimo ente; la necessità di requisiti di professionalità (anche sotto forma di pregressa conoscenza dell’associazione, di precedente effettiva partecipazione alle attività dell’ente o di maturazione di precedenti esperienze in livelli organizzativi subordinati o in altre associazioni), l’assenza di condanne per reati diversi da quelli previsti dall’art. 2382 del c.c. ecc. Tali previsioni, finalizzate al miglior assolvimento dei compiti e delle funzioni connesse all’incarico, non violano l’uguaglianza e le pari opportunità tra i soci purché siano assistite dai canoni della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’adeguatezza e non siano tali da riservare di fatto l’accesso alle cariche e quindi alla gestione dell’associazione solo a una ridotta “rosa” di soggetti preindividuati o individuabili così da consentire loro il controllo e la gestione esclusiva dell’ente prevenendo ogni possibilità di ricambio interno. Alla stessa logica non discriminatoria ma anzi funzionale alla contendibilità delle cariche, vanno ricondotte eventuali previsioni statutarie che limitino il numero dei mandati consecutivi in capo agli eletti.

L’osservanza dei principi di pari opportunità e uguaglianza tra i soci non consente invece di escludere dal voto passivo specifiche categorie di soci.

La differenziazione tra categorie può essere fatta con riferimento alla scelta degli appartenenti ad una specifica categoria di garantire un maggior impegno rispetto alla generalità degli associati (ad esempio con un supporto economico maggiorato rispetto alla quota associativa ordinaria); oppure di prevedere una differenziazione sotto il profilo della tipologia di attività da svolgere (ad es. nel caso in cui determinate attività, sia pure svolte a titolo volontario e quindi gratuito, necessitino, in virtù della specifica disciplina, di una qualifica o un titolo professionale per essere svolte); ma non può comportare in capo a chi non appartenga ad esse una riduzione o limitazione dei diritti associativi di partecipare alle decisioni e concorrere alla determinazione degli indirizzi dell’ente.

Una volta assunta la carica, è indubbio che il titolare si sia volontariamente assoggettato alle responsabilità e agli obblighi che essa comporta, diversi da quelli della generalità dei soci: sono da ritenersi quindi legittime le eventuali disposizioni statutarie che prevedano la decadenza automatica degli amministratori che senza valide giustificazioni non partecipino ad un certo numero consecutivo di riunioni dell’organo di cui fanno parte.

Si coglie l’occasione per evidenziare che le limitazioni statutarie al numero dei soci o alla numerosità di una categoria di soci rispetto alle altre nonché la necessità ai fini dell’adesione di una presentazione da parte di uno o più soci non rispettano il principio secondo cui le associazioni del Terzo settore devono avere carattere aperto: la presenza di limitazioni (numeriche o personali) nei confronti di quanti, ritenendo di condividere le finalità associative e essendo disposto ad assoggettarsi ai doveri statutari chiedano di aderire, è ammissibile per i circoli privati, comunque tutelati dal principio di costituzionale di libertà associativa e costituiti ai sensi dell’art. 36 del codice civile; non per le associazioni del Terzo settore. Sul tema dell’ammissione dei soci si fa rinvio alla precedente nota della scrivente n. 1309 del 6 febbraio 2019, disponibile al seguente indirizzo https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2019/Nota-n-1309-del06022019-discriminazioni-ammissione-associati.pdf.

B) APPORTO DEL VOLONTARIATO
B.1) Criteri da utilizzare ai fini del calcolo nelle ODV e nelle APS delle percentuali di cui rispettivamente agli articoli 33 comma 1 e 36 ultimo periodo del Codice del Terzo settore.

Come è noto, ai sensi degli artt. 32, comma 1 e 35, comma 1, le ODV e le APS si caratterizzano – a differenza di altre tipologie di ETS – per il fatto di avvalersi prevalentemente, nello svolgimento delle rispettive attività, dell’operato volontario dei propri associati diretti e indiretti. La costituzione di rapporti di lavoro incontra vincoli sia funzionali che numerici, con una formulazione più stringente nel caso delle associazioni di volontariato, che si aggiungono a quelli generali previsti in altre parti del CTS: questi ultimi riguardano, ad esempio, il cd. salary gap ex articolo 16 e i limiti retributivi ex articolo 8, comma 3, lett. b).

Al riguardo è stato richiesto alla scrivente se sia utilizzabile o meno, con riferimento ai volontari, il cd. “criterio per teste”. In proposito, il dato numerico cui fare riferimento e rispetto al quale ricavare le percentuali di cui agli articoli richiamati è quello dei volontari iscritti nel registro dei volontari dell’ente ed eventualmente in quelli degli enti aderenti di cui effettivamente l’ente si avvalga. Il criterio capitario, considerata la variabilità delle situazioni prospettabili e l’esigenza di non gravare gli enti, e in particolare quelli di piccole dimensioni, di eccessivi oneri amministrativi, è utilizzabile e consente altresì di tener conto in maniera positiva dell’apporto di ciascun volontario pur nella consapevolezza che l’impegno fornito da ciascuno sarà variabile per effetto delle influenze e condizionamenti di una molteplicità di fattori anche di natura esterna. Soccorre in tal senso anche il dato letterale delle due norme oggetto di esame, che parlano del “numero” dei volontari (o, nel caso delle APS, anche degli associati) in rapporto al “numero” dei lavoratori.

Si evidenzia che il ricorso al criterio capitario ai fini del calcolo del rapporto percentuale lavoratori/volontari ai sensi degli articoli 33 e 36 del CTS, diverso da quello utilizzato ai fini del calcolo dei costi dell’ente previsto ai sensi del D.M. 19 maggio 2021 n. 107, in tema di attività diverse, non introduce un elemento di contraddittorietà intrinseca al sistema ma trova la propria giustificazione nel differente ambito entro cui i due criteri sono applicati: nel primo caso, disciplinato direttamente dalla fonte primaria (CTS), viene in rilievo un elemento strutturale qualificante le due tipologie di ODV e APS; nel secondo caso, disciplinato da fonte secondaria, deve essere soddisfatta l’esigenza di ricondurre l’apporto volontario ad una dimensione economica – ancorché figurativa – misurabile che rende necessario il ricorso al diverso parametro delle ore/uomo di attività volontaria effettivamente svolta, da calcolarsi sulla base delle retribuzioni lorde equivalenti. In tale ipotesi, infatti, viene preso in considerazione l’elemento funzionale attinente allo svolgimento di attività diverse da quelle di interesse generale. In questa prospettiva, l’onere amministrativo- contabile aggiuntivo che ne deriva è giustificabile, in primo luogo perché lo svolgimento delle attività diverse è facoltativo per l’ente; in secondo luogo, perché lo stesso non può superare precisi limiti quantitativi, il rispetto dei quali deve essere scrupolosamente documentato. Il medesimo criterio (numero di ore/uomo di attività di volontariato effettivamente svolta, poi moltiplicato per la retribuzione oraria lorda ricavabile dai contratti collettivi) è presente anche nel D.M. 5 marzo 2020 recante “Adozione della modulistica di bilancio degli enti del Terzo settore”, ai fini del calcolo dei costi e proventi figurativi (si veda in proposito il glossario sulle poste di bilancio in appendice ai modelli di bilancio allegati al D.M. medesimo e l’esempio ivi riportato). Anche in questo caso, il maggiore dettaglio richiesto si sposa con il carattere facoltativo dell’inserimento dei costi e dei proventi figurativi, secondo quanto specificato nelle note ai modelli “B” e “D” allegati al D.M. 5 marzo 2020.

 B.2) Nozione di lavoratore da utilizzare ai fini del computo delle percentuali nelle ODV e nelle APS di cui rispettivamente agli articoli 33 comma 1 e 36 ultimo periodo del Codice del Terzo settore.

Sempre ai fini del rispetto dei rapporti percentuali riportati nelle medesime disposizioni del CTS, occorre individuare con chiarezza il concetto di lavoratore ivi richiamato: soccorre in tal senso la previsione di cui all’articolo 8, comma 6, lettera r) del D.M. n. 106 del 15.9.2020, con riguardo alle procedure di iscrizione al RUNTS, nella quale si è ritenuto di limitare il computo ai soggetti dotati di una posizione previdenziale, quindi ai lavoratori dipendenti e ai parasubordinati, tenendo conto della maggior stabilità e continuità dei rapporti che li riguardano, con esclusione pertanto dei lavoratori occasionali o di quanti svolgono una tantum prestazioni lavorative di carattere autonomo. Difatti, l’inclusione anche di questi ultimi tra i lavoratori (ovvero al numeratore del rapporto lavoratori/volontari di cui alla norma) potrebbe comportare l’equiparazione di situazioni recanti oggettiva disomogeneità.

Inoltre, è opportuno chiarire che il dato in questione, in coerenza con gli articoli del Codice in esame, che fanno letteralmente riferimento ai “lavoratori impiegati nell’attività” ed al fine di non alterare la rappresentazione fornita, deve essere depurato dalle situazioni di coloro che pur formalmente aventi un rapporto di lavoro con l’associazione, si trovano in posizione di comando presso altro ente, i cd. “comandati o distaccati out” (si pensi ad esempio alla previsione di cui all’art. 6, comma 1 della legge 30 marzo 2001, n. 152, recante la disciplina degli istituti di patronato, secondo cui questi possono avvalersi di lavoratori dipendenti delle organizzazioni promotrici comandati con provvedimento notificato alle competenti amministrazioni).

I “comandati o distaccati out”, in linea con le previsioni contenute nelle linee guida sul bilancio sociale contenute nel D.M. del 4 luglio 2019 (al § 6 n. 4) e nel già citato D.M. n. 107/2021 in materia di criteri e limiti delle attività diverse (art. 3, comma 4) devono ritenersi esclusi dal dato rappresentato nel RUNTS, in quanto sostanzialmente neutrali ai fini del computo delle soglie. Con uguale coerenza devono invece ritenersi da includere i cd. “comandati/distaccati in”, in quanto operanti effettivamente all’interno dell’ente e in grado di incidere sullo svolgimento delle attività, tanto di interesse generale quanto diverse.

L’esclusione sarà possibile, naturalmente, a condizione che i predetti comandi/distacchi siano adeguatamente formalizzati, documentabili, ed effettuati nel rispetto delle previsioni di legge. A tale proposito, si precisa che eventuali verifiche circa la sussistenza di tali condizioni anche tramite la richiesta della documentazione di riferimento, non debbano essere effettuate dagli uffici del RUNTS in via ordinaria nel corso del procedimento di iscrizione o a seguito di comunicazione degli aggiornamenti periodici dei dati; ma possano essere disposte in sede di controllo periodico ai fini del permanere della sussistenza dei requisiti, ferma restando la possibilità che gli Uffici del RUNTS possano procedere ad accertamenti d’ufficio, anche sulla base delle attività svolte da altre amministrazioni ai sensi dell’art.23 comma 1 lett. d) del già citato D.M. n. 106/2020.

B.3) Possibilità che gli associati di una ODV svolgano per conto della stessa una prestazione lavorativa retribuita (di natura dipendente o autonoma).

Con riguardo alla possibilità per le ODV di ricorrere, nei limiti di cui all’articolo 33, a prestazioni retribuite svolte dai propri associati, si ritiene preliminarmente utile sintetizzare le argomentazioni sulla base delle quali il richiedente ipotizza la possibilità di una risposta positiva.

In primo luogo, il richiedente argomenta che la facoltà di ricorrere alle prestazioni lavorative (quindi retribuite) dei propri associati – attribuita esplicitamente alle associazioni di promozione sociale dall’articolo 36 del CTS – non incontra, per le ODV, un divieto espresso nell’articolo 33 comma 1. Ciò pur restando fermo il divieto generale in capo a quanti svolgano nei confronti di un determinato ente prestazioni volontarie, di svolgere al contempo anche attività retribuite.

In assenza di apposite previsioni di legge, il richiedente sostiene che non potrebbe militare contro la possibilità che l’associato svolga prestazioni retribuite in favore dell’ente di appartenenza, un eventuale richiamo a quanto già previsto dall’articolo 3, comma 3 della legge n. 266/1991, che specificamente imponeva la gratuità alle prestazioni degli associati.

Neppure si potrebbe, sempre secondo il richiedente, considerare consentita la retribuibilità delle prestazioni degli associati solo a fronte di una effettiva previsione di legge (come nel caso delle APS), in quanto da un lato tale interpretazione, ove applicata a tutti gli enti del Terzo settore con l’unica eccezione delle APS comporterebbe a suo avviso una disparità di trattamento tra le APS e tutti gli altri enti del Terzo settore; dall’altro la stessa colliderebbe con il principio di libertà contenuto nella Costituzione, secondo cui tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge dovrebbe essere consentito.

A fronte delle sopra riferite argomentazioni, la scrivente, nel formulare le proprie osservazioni, ritiene preferibile ricorrere al criterio interpretativo della logica sistemica del quadro normativo complessivo del Codice del Terzo settore, caratterizzato, oltre che da elementi comuni connotanti l’intero complesso degli enti appartenenti al Terzo settore, da differenziazioni interne tra le varie tipologie di essi.

Il Terzo settore infatti, pur delimitato da un perimetro definito dal legislatore, non presenta affatto, al proprio interno, una totale uniformità tra le varie tipologie di assetti possibili al proprio interno: spetta anzi agli enti stessi, facendo uso dell’autonomia ad essi riconosciuta, individuare (anche variandola nel tempo se necessario) la tipologia organizzativa che meglio consente a ciascuno di essi, in un determinato momento della propria vita, lo svolgimento delle attività prescelte e la realizzazione delle finalità generali proprie degli ETS ma declinate da ciascuno secondo le proprie specificità e la propria storia e identità, poste alla base del rapporto associativo e/o della destinazione patrimoniale.

 Anche la continuità storica tra gli istituti precedentemente regolati dalle leggi n. 266/1991 e n. 383/2000 e quelli attualmente disciplinati rispettivamente dal capo I e dal capo II del titolo V del Codice non è priva di significato: il legislatore codicistico non ha inteso snaturare gli istituti esistenti quanto piuttosto inserirli tutti, secondo criteri logico-sistemici, all’interno di una cornice unitaria in grado di superare le precedenti frammentazioni, sovrapposizioni e incongruenze, di ricomprendere le forme più recenti, di consentire e agevolare eventuali percorsi modificativi ed evolutivi degli enti, percorsi prima consentiti solo a prezzo della perdita della qualificazione o comunque di conseguenze particolarmente onerose.

Ciò non deve intendersi, in concreto, come un’attenuazione delle distinzioni esistenti tra le diverse tipologie di enti (ciascuna di esse, al contrario, mantiene la propria identità, ad esito di un lungo percorso storico e giuridico), quanto piuttosto nell’individuazione, a fianco di enti caratterizzati da disciplina più rigorosa, di enti meno rigidamente regolamentati; nella modulazione, per ciascuna delle diverse tipologie, di un regime differenziato sulla base di caratteristiche specifiche, mantenendo peraltro un complessivo favor del legislatore verso lo svolgimento, con modalità sussidiarie rispetto a quelle degli enti pubblici, per finalità ritenute meritevoli, senza fini di lucro, di un range di attività, puntualmente individuate come di interesse per la collettività.

Sulla base di questa logica, a fronte di specifiche differenze tra gli enti, la previsione di regimi diversificati, fondatisulla correlazione tra benefici e vincoli, sulla proporzionalità tra i primi e i secondi, sul mantenimento di questi ultimi, ove necessari a preservare, pur aggiornandole, identità specifiche frutto di situazioni risalenti nel tempo, non può essere considerata fonte di discriminazione.

Alla luce di quanto sopra, è possibile formulare alcune considerazioni relative alle ODV e APS e alla loro particolare collocazione rispetto ai restanti enti del Terzo settore. Entrambe hanno forma giuridica necessariamente associativa; per entrambe sono previste analoghe limitazioni relativamente alla tipologia di enti che possono accedere alle rispettive basi associative, così da garantire una prevalente omogeneità tra la qualificazione delle stesse e quelle dei relativi enti aderenti; per entrambe (e solo per esse), nell’ambito delle associazioni del Terzo settore, è posto l’ulteriore requisito della necessaria prevalenza dell’operare volontario delle persone associate o di quelle associate agli enti che ad essi aderiscono; solo per esse, conseguentemente, opera il limite al ricorso di prestazioni retribuite. Deve dedursene, nella logica sistematica prima richiamata, che in tali tipologie, diversamente da quanto previsto per gli altri ETS, la presenza dei volontari è necessaria e non soltanto eventuale. La regola generale è infatti che gli ETS “possono” avvalersi di volontari (art. 17 comma 1), mentre la regola specifica, comune ad entrambe, è che le stesse debbano avvalersene, nell’operare, “in modo prevalente”. In altri enti a disciplina specifica, le imprese sociali, collocate all’estremo opposto di una ideale linea sulla quale collocare le varie tipologie di enti, la regola è ribaltata: le imprese sociali “possono” avvalersi di volontari, ma il numero degli stessi non può superare quello dei lavoratori; rispetto alle prestazioni di questi ultimi, inoltre, le prestazioni dei volontari devono mantenere caratteri di complementarità e non sostituibilità (art. 13 comma 2 del d.lgs. n.112/2017).

Oltre agli elementi che accomunano ODV e APS rispetto ai restanti ETS, deve prestarsi attenzione alle distinzioni tra le due tipologie poste dal Codice.

Con specifico riguardo ai limiti numerici posti dal Codice, nel caso delle ODV il limite è unico (rapporto dipendenti/volontari); per le APS vi è la possibilità di far riferimento al rapporto dipendenti/volontari o in alternativa al rapporto dipendenti/associati. Tali limiti, quindi, dando concreta attuazione alle disposizioni sulla prevalenza già rinvenibili nelle precedenti leggi 266/1991 e 383/2000 sopra evidenziate, introducono una differenziazione specifica, a cui si aggiungono ulteriori distinzioni. Le ODV svolgono le proprie attività “prevalentemente in favore di terzi”, le APS possono operare indifferentemente “in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi”. Con riguardo agli assetti organizzativi e alle cariche sociali, tutti gli amministratori delle ODV devono essere scelti all’interno della compagine associativa e ad essi non può essere attribuito alcun compenso; per le attività di interesse generale svolte dalle ODV, esse possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Viceversa, non si rilevano disposizioni analoghe a carico delle APS.

Anche relativamente alle imposte indirette e al regime fiscale, ODV e APS pur differenziandosi entrambe dalla generalità degli altri ETS, in virtù di alcune disposizioni comuni (art. 86), sono tuttavia destinatarie di disposizioni specifiche per ciascuna tipologia (art. 82 comma 3, art. 84, art. 85).

In sintesi, nell’ambito del Terzo settore, ODV e APS, quali enti a disciplina particolare, oltre ad essere accomunate da taluni elementi di similitudine, divergono tra loro per caratteristiche e per la presenza di disposizioni specifiche. Tra le caratteristiche comuni, la necessaria prevalenza delle attività svolte volontariamente dagli associati e la connessa individuazione, per entrambe, di limiti al ricorso a prestazioni lavorative retribuite, disposizioni non rinvenibili nella disciplina degli altri enti.

Nel quadro normativo complessivo sopra analizzato, la disposizione che consente alle APS di avvalersi delle prestazioni lavorative retribuite dei propri associati, collocata all’art. 36 e quindi avente carattere speciale, non è presente nella corrispondente disciplina relativa alle ODV (art. 33, ugualmente avente carattere speciale). Conseguentemente l’estensione alle ODV della facoltà consentita alle APS risulta problematica.

Ciò, in primo luogo, perché come ben noto, il carattere speciale di una norma riguardante uno specifico ente non è suscettibile di estensione per analogia a soggetti diversi da quelli per cui la stessa è posta; in secondo luogo, perché se in via analogica è teoricamente possibile colmare un eventuale vuoto normativo presente nella disciplina di una determinata fattispecie recuperando aliunde una determinata disposizione, non è invece consentito alterare la portata di una disposizione esistente ed ex se completa, rispetto alla quale dovrebbe al contrario valere la regola secondo cui “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.

In altri termini, se il legislatore avesse voluto disciplinare uniformemente le due situazioni avrebbe avuto davanti a sé due strade: tanto prevedere in entrambi i casi la facoltà, quanto in entrambi i casi ometterla: in entrambe le ipotesi, la lettura sarebbe stata la stessa per entrambi gli istituti. Dato che così non è stato, in quanto solo nell’articolo 36 risulta presente la disposizione facoltizzante, il ricorso all’analogia risulta forzato e non praticabile sulla base di una lettura che tenga conto della logica e della specialità di ciascuno dei due istituti. Pertanto, non risulta legittimata, stante la differente formulazione delle relative disposizioni, la piena equiparazione dei due regimi.

Con riferimento invece ai restanti enti del Terzo settore, il silenzio del legislatore assume un significato ancora diverso: se nel caso di APS e ODV il legislatore ha posto limiti e vincoli alla possibilità di avvalersi del lavoro retribuito degli associati, nulla prevedendo con riferimento alle altre tipologie di enti, anche a disciplina particolare, deve ritenersi che nei confronti di tali tipologie trovi spazio il generale principio di autonomia degli enti all’interno dei limiti stabiliti dalla legge.

C) RUNTS
C.1) Comunicazione al RUNTS dei soggetti che ricoprono cariche sociali, con indicazione di poteri e limitazioni (articolo 48, comma 1 CTS).

Sono stati chiesti chiarimenti sull’applicazione dell’articolo 48, comma 1 del CTS, con riferimento agli organi sociali di livello nazionale delle reti associative o di associazioni di grandi dimensioni, nel caso particolare in cui oltre ad un organo assembleare di tipo congressuale, convocato ad intervalli periodici pluriennali e ad un organo “assembleare” operante nell’intervallo temporale intercorrente tra due congressi, siano presenti due distinti organi collegiali tra i quali siano ripartite funzioni, pur di differente “peso”, comunque riguardanti o riconducibili all’amministrazione e/o gestione dell’ente, evidentemente caratterizzato da notevole complessità.

Nell’esempio prospettato, che si riporta sommariamente a fini esplicativi, considerata la portata generale delle questioni prospettate, l’articolazione dell’ente prevede:

1) un Congresso dei delegati, che ogni 4 anni elegge gli organi di garanzia e il Consiglio nazionale;

2) un Consiglio nazionale (oltre 120 membri), cui sono demandate l’approvazione delle modifiche statutarie, l’approvazione dei bilanci, le nomina dei componenti l’organo di controllo e del revisore dei conti, l’approvazione dei regolamenti, l’elezione del Presidente nazionale, l’espressione della “fiducia” o della revoca dell’organo esecutivo ristretto (Presidenza nazionale), l’emanazione degli indirizzi associativi;

3) una Direzione nazionale (oltre 20 componenti, parte dei quali privi del diritto di voto) avente competenze di programmazione e di verifica delle attività intraprese in attuazione degli indirizzi del Consiglio, di promozione di progetti operativi, di costituzione di organismi operativi, di approvazione annuale delle affiliazioni, di adozione di provvedimenti di scioglimento degli organi territoriali e di commissariamento delle relative strutture;

4) una Presidenza nazionale, organo collegiale con le attribuzioni esecutive tipiche di un consiglio di amministrazione.

In tale ipotesi, a fronte dei chiarimenti richiesti ai fini dell’individuazione e della comunicazione al RUNTS dei soggetti che ricoprono cariche sociali, deve evidenziarsi come sulla base della norma debbano ritenersi esclusi dall’onere di conoscibilità i singoli componenti dell’organo denominato Consiglio nazionale, in quanto esso si configura, per funzioni statutariamente attribuite, quale organismo assembleare di secondo livello; si ritiene altresì che non sussistano dubbi sulla necessità di comunicazione delle cariche sociali con specifica di poteri ed eventuali limitazioni, relativamente ai componenti dell’organo denominato Presidenza nazionale; con riguardo alla c.d. Direzione nazionale, si rileva che compiti quali la programmazione delle attività, la costituzione di organismi operativi, la deliberazione sulle affiliazioni e l’adozione di provvedimenti di scioglimento e commissariamento delle articolazioni territoriali, generalmente attribuiti all’organo amministrativo, confermino l’esistenza di un effettivo riparto delle prerogative proprie della funzione amministrativa propriamente detta tra la Direzione Nazionale e la Presidenza Nazionale; da tale riparto discende che l’onere informativo dell’art. 48 riguardi anche la Direzione Nazionale.

C.2) Possibilità per le reti associative di assumere la rappresentanza degli enti ad esse aderenti ai fini dell’iscrizione al RUNTS e dello svolgimento degli adempimenti conseguenti attraverso le proprie articolazioni territoriali.

Con riferimento alla previsione di cui all’art. 47, comma 1 del Codice, secondo cui la domanda di iscrizione nel RUNTS può essere presentata “dal rappresentante legale dell’ente o della rete associativa cui l’ente eventualmente aderisca”, con le modalità di cui all’ articolo 8, comma 2 del D.M. 15 settembre 2020, a termini del quale l’associazione aderente alla rete può demandare alla rete associativa, nella persona del legale rappresentante di questa, la presentazione della domanda di iscrizione al RUNTS, si chiede se il mandato in questione possa essere conferito dall’ente interessato all’iscrizione al legale rappresentante dell’articolazione territoriale della rete associativa alla quale, sul territorio di riferimento “sono delegate le funzioni proprie” della rete stessa; consentendo quindi a detto rappresentante legale dell’articolazione territoriale di presentare la richiesta di iscrizione al RUNTS in nome e per conto dell’ente aderente. Analoga richiesta viene effettuata con riferimento alla possibilità che il legale rappresentante dell’articolazione territoriale suddetta possa, sempre in luogo del rappresentante legale dell’ente nazionale e per conto dell’ente di base aderente, provvedere alle comunicazioni e ai depositi documentali richiesti ai fini della corretta tenuta della posizione di quest’ultimo presso il RUNTS, ai sensi dell’art. 20, comma 2, lett. a) del d.m. 106/2020, attuativo dell’articolo 48 del Codice.

In proposito, si osserva che la citata disposizione dell’articolo 47 comma 1, legittimante il rappresentante legale della Rete associativa, discende dal peculiare ruolo che il legislatore affida alle reti associative, quali enti titolati, come previsto dall’art. 41, comma 1, lett. b) del medesimo Codice, a svolgere nei confronti dei relativi associati, attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione e supporto, promuovendone e accrescendone la rappresentatività presso i soggetti istituzionali, tra i quali rientrano indubbiamente anche gli uffici territorialmente preposti alla gestione del RUNTS.

Ai sensi dell’articolo 41, comma 7, inoltre, alle reti associative è consentito disciplinare il proprio ordinamento interno, la propria struttura di governo, la composizione e il funzionamento degli organi sociali per assicurare al meglio, alla luce dell’autonomia organizzativa riconosciuta a tutti gli enti del Terzo settore, nel rispetto del Codice, lo svolgimento delle proprie funzioni, sempre “nel rispetto dei principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali“.

Coerentemente con la collocazione a vari livelli dei soggetti istituzionali, anche la speciale autonomia statutaria riconosciuta alle reti associative può prevedere l’adozione di modelli organizzativi che prevedano “una pluralità di livelli (nazionale, regionale, provinciale, locale)” (secondo quanto esplicitato nella circolare n. 2/2021 di questo Ministero, consultabile all’indirizzo https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2021/Circolare-n-2-del05032021-reti-associative.pdf)  rispetto a ciascuno dei quali la funzione di rappresentanza può trovare collocazione, essendo svolta a cura di quegli enti che pur caratterizzati “da una propria identità soggettiva distinta” rispetto all’ente rete associativa ne costituiscono, per propria natura e finalità, “i livelli organizzativi intermedi” (ibidem). Tali presupposti, a condizione di trovare corrispondenza nel ruolo di rappresentanza sul territorio affidato a tali organizzazioni territoriali dallo statuto della rete, vale a dire dell’ente qualificato come tale, possono legittimare, per i suddetti enti “intermedi”, oltre alla fruizione delle deroghe di cui all’articolo 41, commi 8, 9 e 10, l’esercizio, nei confronti degli enti aderenti, della funzione di rappresentanza presso i soggetti istituzionali anche nel senso del sopra citato articolo 47, comma 1.

In tal caso, la relativa competenza è esercitata, su mandato dell’ente interessato all’iscrizione, dal rappresentante legale dell’ente intermedio, che allo stesso modo potrà assolvere agli adempimenti derivanti in capo all’ente di base dall’iscrizione nel RUNTS (comunicazioni, depositi documentali ecc.).

Deve evidenziarsi come tale possibilità discenda dalle funzioni attribuite dalla legge alla rete associativa che quest’ultima abbia statutariamente previsto di esercitare a livello territoriale attraverso i propri organismi e livelli intermedi; non dal conferimento di un mandato con rappresentanza effettuato dal rappresentante legale dell’ente di base ad una determinata persona fisica sulla base del cd. “intuitus personae“.

Operativamente, quindi, il dettato di cui all’articolo 8 comma 2, secondo cui la domanda di iscrizione è presentata, “su mandato” dell’ente di base, dal rappresentante legale della rete associativa cui l’ente aderisce, sarà soddisfatto attraverso la contestuale presentazione al competente ufficio del RUNTS, in allegato all’istanza:

a) dell’attestazione di adesione dell’ente rappresentato alla rete associativa, rilasciata dal rappresentante legale dell’ente qualificato come rete e contenente l’individuazione, per tipologia (es. comitato provinciale, comitato regionale ecc.) dell’ente intermedio al quale secondo gli assetti statutari della rete sono attribuite le funzioni di rappresentanza di cui all’articolo 47 comma 1 del Codice nei confronti degli enti di base aventi la sede legale sul territorio di propria competenza;

b) della manifestazione di volontà dell’ente di base di avvalersi per la presentazione dell’istanza della Rete associativa cui esso aderisce, anche sotto forma di delega alla rete medesima, sottoscritta dal legale rappresentante dell’ente da iscrivere (senza necessità di menzionare specificamente l’ente che in concreto costituisce l’articolazione della rete incaricata, al livello territoriale individuato nell’attestazione, di svolgerne le funzioni). Non è quindi necessaria la stipula di un vero e proprio contratto di mandato essendosi già manifestata la volontà delle parti (rete associativa e ente aderente) rispettivamente al momento dell’accettazione dell’adesione alla rete e del rilascio della delega.

C.3) Possibilità per le reti associative di svolgere le funzioni di rappresentanza degli enti ad esse aderenti nelle more del perfezionamento della propria iscrizione nella sezione E) del RUNTS.

L’ultimo quesito verte sulla possibilità di considerare le APS a carattere nazionale, in attesa del perfezionamento della trasmigrazione al RUNTS, come reti associative ai fini dell’eventuale presentazione di istanze di iscrizione per conto degli enti ad esse aderenti.

I richiedenti propongono due ordini di argomentazioni:

a) la previsione dell’articolo 101, comma 3 del Codice secondo cui il requisito dell’iscrizione al RUNTS si intende soddisfatto da parte delle Reti associative attraverso la loro iscrizione ad uno dei registri previsti dalle normative di settore;

b) la previsione di cui all’articolo 32 del dm 106/2020 riguardante la prima popolazione della sezione “reti associative”, secondo cui le APS nazionali non devono avanzare una specifica richiesta di iscrizione alla relativa sezione e) del RUNTS in quanto l’Ufficio del RUNTS, prese in carico le informazioni relative agli enti di propria competenza, assume le informazioni necessarie a verificare il possesso dei requisiti di cui all’art. 41, procedendo quindi all’eventuale perfezionamento dell’iscrizione nella suddetta sezione.

Le argomentazioni prospettate presentano aspetti condivisibili, richiedendo tuttavia ulteriori precisazioni.

Preliminarmente, risulta condivisibile l’osservazione secondo cui diversi enti, iscritti alla data del 22 novembre 2021 al Registro nazionale delle APS, presentano, sulla base delle informazioni risultanti all’Ufficio gestore del suddetto registro, requisiti che consentono, nel periodo transitorio, di considerarle quali Reti associative ai sensi dell’art. 41, comma 1, lettere a) e b) e come tali in grado di svolgere funzioni di rappresentanza ai sensi dell’art. 47 commi 1 e 2 del Codice nei confronti dei relativi aderenti. La definizione di Associazioni nazionali di cui alla l. 383/2000, normativa ai sensi della quale hanno conseguito l’iscrizione al Registro nazionale delle APS non è tuttavia pienamente sovrapponibile a quello di Reti associative; pertanto, potranno essere individuate come Reti associative esclusivamente:

– Le APS nazionali iscritte alla data del 22/11/2020 e non aventi procedimenti di cancellazione in essere, che alla medesima data risultavano associare, sulla base della documentazione agli atti dell’Ufficio statale del RUNTS (in attesa del consolidamento dei dati provenienti dagli ulteriori Uffici, non consultabili tramite il sistema prima del perfezionamento dei relativi procedimenti) almeno 100 APS iscritte al Registro nazionale ai sensi dell’art. 5 del d. m. 471/2001 in qualità di articolazioni territoriali o circoli ad esse affiliati;

– Le ODV di cui all’articolo 31 comma 12 del d. m. 106/2020 individuate a cura della divisione III di questa Direzione Generale.

Non potranno essere invece considerate quali reti associative, nelle more del consolidamento nel RUNTS dei dati provenienti dalla trasmigrazione, soggetti che pur già in possesso della qualifica di APS nazionali ai sensi della ormai abrogata l. 383/2000, non soddisfino almeno transitoriamente il requisito della numerosità degli enti aderenti come risultante dai dati in fase di trasmigrazione da parte della scrivente.

Per agevolare gli Uffici del RUNTS nello svolgimento dei relativi adempimenti, l’elenco di tali enti temporaneamente qualificabili quali reti associative sarà pubblicato a breve sul sito istituzionale del Ministero al fine di consentire agli Uffici del RUNTS di esaminare le richieste di iscrizione da essi presentate.

Resta fermo che la temporanea qualificazione come Reti associative degli enti di cui al sopra richiamato elenco non pregiudica una successiva verifica puntuale di tutti i requisiti previsti dalla normativa ai fini del perfezionamento dell’iscrizione, essendo funzionale esclusivamente al regolare procedere delle operazioni di presentazione delle domande da parte degli enti di nuova iscrizione.

Considerata la portata generale del contenuto della presente nota, la stessa verrà pubblicata anche sul sito istituzionale www.lavoro.gov.it alla pagina “Circolari e orientamenti ministeriali sul Codice e sugli Enti del Terzo Settore”.

(Fonte: Ministero del Lavoro)

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