In ipotesi in cui il lavoratore abbia svolto mansioni equivalenti (e non si verifichi nè la stipulazione in deroga presso la D.T.L., nè sussista una diversa clausola nel contratto collettivo), il periodo di 36 mesi – scaduto il quale il contratto si trasforma, ex nunc, in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (a partire cioè dal 31° giorno successivo al raggiungimento del 36°mese di rapporto di lavoro a tempo determinato tra le medesime parti), si computa sommando a prescindere dalle pause, che rimangono quindi escluse dal computo, come segue:
A) contratti a termine successivi;
B) periodi di missione nell’ambito di un contratto di somministrazione a t.d.;
C) proroghe e rinnovi dei suddetti contratti.
Pertanto, in caso di mansioni non equivalenti non va applicata la sommatoria dei rapporti pregressi, ma si utilizzeranno conteggi separati.
Per quanto riguarda il concetto di equivalenza tra le nuove e le precedenti mansioni occorre tener presenti sia il profilo oggettivo che soggettivo, laddove con tali definizioni si intendono:
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equivalenza oggettiva: ossia l’inclusione delle mansioni (sia “vecchie” che “nuove”) nel medesimo inquadramento contrattuale e nel medesimo livello retributivo;
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equivalenza soggettiva:ossia la possibilità offerta dalle nuove mansioni di utilizzare e perfezionare il corredo di nozioni, abilità ed esperienze precedentemente acquisite dal lavoratore.
In tema di mansioni equivalenti è intervenuto anche il Ministero del Lavoro che con la Circolare n. 13/2008 ha precisato che “l’equivalenza non deve essere intesa in termini di mera corrispondenza del livello di inquadramento contratuale tra le mansioni svolte precedentemente e quelle contemplate nel nuovo contratto, ma occorre verificare (come evidenziato nelle sentenze di Cassazione 11 aprile 2005, n. 7351 e 12 aprile 2005, n. 7453) i contenuti concreti delle attività espletate“. Inoltre il Ministero ha altresì evidenziato che la Suprema Corte ha attribuito alla contrattazione collettiva il potere di individuare la nozione di “equivalenza” attraverso le clausole c.d. di infungibilità, volte a consentire un impiego più flessibile del lavoratore, almeno per sopperire “a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione di nullità del comma 2, dell’art. 2103 del codice civile“.