L’Agenzia delle Entrate, con Risposta n. 371 del 24.05.2021, ha fornito un parere circa la deducibilità del rimborso dato a ciascun lavoratore dipendente in smart working delle spese sostenute per la connessione a internet con dispositivo mobile (c.d. “chiavetta internet”) o dell’abbonamento al servizio dati domestico.
Di seguito il testo della risposta n. 371/2021.
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
QUESITO
L’istante ALFA SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI rappresenta di essere intenzionata a dare avvio ad un programma sperimentale di lavoro agile (smart working), rimborsando a ciascun lavoratore dipendente il costo della connessione internet con dispositivo mobile (c.d. “chiavetta internet“) o dell’abbonamento al servizio dati domestico, al fine di consentire lo svolgimento della prestazione di lavoro da remoto ai sensi della legge n. 81 del 2017.
Premesso ciò, la società istante chiede chiarimenti in merito alla rilevanza di tale rimborso spese ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente e in merito al relativo regime di deducibilità ai fini del reddito d’impresa.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
La società istante ritiene che il rimborso da parte del datore di lavoro al singolo lavoratore delle spese da quest’ultimo sostenute per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati internet, attraverso un device mobile oppure un impianto fisso domiciliare, in quanto strumentale allo svolgimento dell’attività lavorativa, non costituisca retribuzione imponibile in capo al lavoratore dipendente ai sensi dell’articolo 51 del TUIR.
Tale soluzione, a parere dell’istante, sembra in linea con quella formulata dall’Agenzia delle entrate e contenuta nella risoluzione n. 357/E del 7 dicembre 2007, ancorché riferita alla diversa fattispecie del “telelavoro”.
La società istante ritiene, altresì, che il suddetto rimborso sia un componente di costo afferente alle spese per prestazioni di lavoro dipendente, integralmente deducibile dal reddito d’impresa ai sensi dell’articolo 95 del TUIR.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
I redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 49 del TUIR, sono disciplinati, ai sensi del successivo articolo 51, comma 1, dal principio di onnicomprensività, in applicazione del quale «tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro» costituiscono reddito imponibile per il dipendente.
In generale, quindi, anche le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente, salvo quanto previsto, per le trasferte e i trasferimenti, dai commi 5 e seguenti del medesimo articolo 51.
In relazione alla rilevanza reddituale dei rimborsi spese, si fa presente che l’Amministrazione Finanziaria con circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326 ha ritenuto, in generale, che possano essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro anticipate dal dipendente per snellezza operativa, ad esempio per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, ecc..
Inoltre, in relazione ai rimborsi documentati delle spese sostenute dal telelavoratore con risoluzione del 7 dicembre 2007, n. 357/E, richiamata dall’istante, si è ritenuto che le somme erogate per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non siano da assoggettare a tassazione essendo sostenute dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche dell’azienda messe a disposizione dal datore di lavoro e quindi poter espletare l’attività lavorativa.
In ragione di tali argomentazioni, il documento di prassi da ultimo citato ha precisato che il rimborso documentato dei costi relativi ai collegamenti telefonici configura l’ipotesi considerata dalla citata circolare n. 326 del 1997 di rimborso di spese di interesse esclusivo del datore di lavoro anticipate dal dipendente e, come tali, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.
Si fa presente, poi, che il legislatore al comma 4 dell’articolo 51 del TUIR ha individuato le ipotesi in cui le spese sostenute dal lavoratore e rimborsategli in modo forfetario, sono escluse dalla base imponibile (es. rimborso interessi mutuo; canone locazione fabbricati, ecc.).
Inoltre, con risoluzione 20 giugno 2017, n. 74/E la scrivente ha osservato che laddove, invece, il legislatore non abbia indicato un criterio ai fini della determinazione della quota esclusa da imposizione, perché riferibile all’interesse del datore di lavoro, i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.
In relazione alla fattispecie in esame, si osserva che il rimborso da parte del datore di lavoro non è relativo al solo costo riferibile all’esclusivo interesse del datore di lavoro, dal momento che l’istante rimborserebbe tutte le spese sostenute dal lavoratore per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati internet.
Inoltre, si rileva che la relazione tra l’utilizzo della connessione internet e l’interesse del datore di lavoro è dubbio in quanto il contratto relativo al traffico dati non è scelto e stipulato dal datore di lavoro che, limitandosi a rimborsarne i costi, rimarrebbe estraneo al rapporto negoziale instaurato con il gestore.
Inoltre, si osserva che dalla descrizione della fattispecie non emerge l’importo del costo che verrebbe rimborsato dal datore di lavoro, consentendo, pertanto, al dipendente un pieno accesso a tutte le funzionalità oggi fruibili e offerte dalla tecnologia presente sul mercato.
Sulla base di quanto osservato, quindi, si è dell’avviso che nella fattispecie descritta dall’istante, il costo relativo al traffico dati che la società istante intende rimborsare al dipendente, non essendo supportato da elementi e parametri oggettivi e documentati, non sembra poter essere escluso dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente e, conseguentemente, rileverà fiscalmente nei confronti dei dipendenti ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del TUIR.
Con riferimento ai profili IRES, si osserva quanto segue.
L’articolo 95 del Tuir dispone che «Le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori, salvo il disposto dell’articolo 100, comma 1».
Tale ultima disposizione prevede che «Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi».
Nel caso di specie, si è in presenza di un rimborso spese accordato al dipendente in smart working per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati internet (attraverso un device mobile oppure un impianto fisso domiciliare).
Il predetto rimborso spese, per quanto rappresentato in istanza, risulta sostenuto per soddisfare un’esigenza del dipendente, legata alle modalità di prestazione dell’attività in lavoro agile, che concorre ad assicurare la rispondenza della retribuzione alle esigenze del lavoratore.
In altri termini, nella misura in cui l’attivazione della connessione dati internet rappresenta un obbligo implicito della prestazione pattuita, si ritiene in linea generale che i predetti rimborsi siano deducibili, ai sensi dell’articolo 95, comma 1, del TUIR in quanto assimilabili alle «Spese per prestazioni di lavoro».
Nel rammentare che la legge 22 maggio 2017, n. 81 disciplina l’istituto dello smart working dettando «principi generali» e demandando gli ulteriori aspetti della regolamentazione ad eventuali accordi tra le parti e considerato che detta regolamentazione del rapporto di lavoro in concreto non risulta specificata o allegata all’istanza, il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto e restando, altresì, impregiudicato ogni potere di controllo dell’amministrazione finanziaria sugli aspetti di merito della regolamentazione.
(Fonte: Agenzia delle Entrate)