Il Tribunale di Venezia, con Ordinanza 17 maggio 2021, si è pronunciato sul divieto di licenziamento previsto dalla normativa emergenziale per covid-19 (DECRETO-LEGGE 14 agosto 2020, n. 104), confermando il divieto di procedere con il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per i datori di lavoro che non abbiano fruito dei trattamenti di integrazione salariale previsti dalla normativa citata. Il Tribunale ha quindi dichiarato nullo il licenziamento poiché disposto in contrasto a norma imperativa comportante specifico divieto, sicché in applicazione dell’art. 18, co. 1, L. 300/70 ha condannato il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore nelle proprie mansioni ed risarcirlo del danno, quantificato in un’indennità pari alle retribuzioni perdute (calcolate sulla base della retribuzione globale mensile) dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione, detratto eventuale aliunde perceptum risultante da nuovi rapporti di lavoro, con condanna altresì della società resistente a corrispondere i contributi previdenziali relativi al medesimo periodo.
Di seguito il testo integrale dell’ordinanza del 17 maggio 2021.
Ordinanza 17 maggio 2021
TRIBUNALE DI VENEZIA
SEZIONE PER LE CONTROVERSIE DI LAVORO
Il Giudice del Lavoro, a scioglimento della riserva che precede, premesso che:
– (…) proponeva ricorso ex art. 1, co. 48, L. 92/12 deducendo di avere prestato attività lavorativa alle dipendenze di (…) ivi inquadrato come quadro dal 4.2.2013 per l’espletamento di mansioni di responsabile amministrativo, e che il rapporto di lavoro era cessato per licenziamento comminato in data 15.9.2020 per asserito giustificato motivo oggettivo;
– esponeva che il licenziamento era stato anticipato dall’attivazione della procedura di cui all’art. 7 L. 604/66 come da istanza del 13.3.2020, e che l’azienda lo aveva contemporaneamente esonerato dal rendere la prestazione lavorativa; di lì a breve peraltro la procedura era stata sospesa per effetto dell’entrata in vigore del DL 18/20;
– a seguito dell’introduzione del DL 104/20, (…) aveva sollecitato l’ITL a riattivare la procedura e, nelle more della decisione dell’ente a proposito della possibilità di procedere, la società aveva intimato il licenziamento in data 15.9.2020, mentre l’ITL pochi giorni dopo confermava la sospensione;
– il ricorrente assumeva la nullità del licenziamento per violazione del divieto di licenziamento come disposto dal DL 18/20 e prorogato dal DL 104/20 e comunque la sua illegittimità per carenza di giustificato motivo oggettivo stante la solo apparente soppressione del posto di lavoro cui egli era adibito, a favore peraltro della figura di Direttore Amministratore Finanza e Controllo cui venivano affidate in realtà le medesime mansioni da lui svolte, ed il mancato rispetto da parte dell’azienda dell’obbligo di cd. repêchage, nonché comunque per violazione del disposto dell’art. 7 L. 604/66, in quanto intimato in pendenza della relativa procedura;
– con il ricorso parte ricorrente contestava altresì la condotta di (…) che aveva omesso di corrispondergli le retribuzioni dal 15.3.2020 al 15.9.2020 imputando la sospensione dell’attività lavorativa a ferie, permessi e rol maturati e non goduti;
– concludeva dunque per la declaratoria di nullità del licenziamento o in subordine della sua illegittimità, con le conseguenti statuizioni, ed in ogni caso per la condanna della società a corrispondergli le retribuzioni omesse dal 15.3.2020 ed a ricostituirgli il monte feste/rol/festività;
– costituendosi in giudizio (…) s.p.a. sosteneva a sua volta la legittimità del licenziamento, a fronte dell’entrata in vigore del DL 104/20 che aveva limitato il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rispetto a quanto previsto dal DL 18/20 introducendo la possibilità di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo con riferimento alle aziende che, come (…) non avevano fruito degli ammortizzatori sociali introdotti dal medesimo DL 104/20, evidenziando profili di illegittimità costituzionale e di compatibilità con l’ordinamento comunitario di una diversa interpretazione; negava inoltre che la riorganizzazione alla base del giustificato motivo oggettivo dedotto nel licenziamento fosse puramente di facciata. Quanto alla sospensione della procedura di cui all’art. 7 L. 604/66, sosteneva che essa era stata illegittimamente mantenuta nonostante il DL 104/20 ne prevedesse la riattivazione per le aziende cui era consentito di procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
– approfondita anche con note la questione relativa all’ambito di applicazione del divieto di licenziamento ex DL 104/20, la causa veniva trattenuta in riserva all’udienza del 7.5.2021.
Tanto premesso, osserva il giudicante:
– va verificata la sussistenza o meno, per (…) del potere di procedere a licenziamento in data 17.9.2020, considerato che si tratta di licenziamento comminato per giustificato motivo oggettivo per il quale la procedura ex art. 7 L. 604/66 era iniziata il 13.3.2020, subito prima dell’entrata in vigore del DL 18/20 del 17.3.2020, ed intimato nella vigenza del successivo DL 104/20;
– è pacifico tra le parti che il DL 18/20 avesse reso obbligatoria, anche con riferimento alla società convenuta, la sospensione della procedura attivata ex art. 7 L. 604/66 (in base all’art. 103, e poi dall’art. 46 come modificato) e vietato di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo per 60 giorni, incrementati in seguito a 5 mesi dal 17.3.2020 (in base all’art. 46);
– in concomitanza con la scadenza del termine prevista dall’art. 46 DL 18/20 è entrato in vigore il DL 104/20, pubblicato il 15.8.2020, il cui art. 14, alla rubrica “Proroga delle disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo”, così stabiliva: “1. Ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 del presente decreto resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. 2. Alle condizioni di cui al comma 1, resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge. 3. Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c., ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.”;
– si tratta allora di verificare se … dal momento dell’entrata in vigore del DL 104/20 – e fino al 29.10.2020, con cui all’art. 12 co. 9 e ss. del DL 137/20 è stato reiterato il divieto generale di licenziamento -, potesse procedere al licenziamento, oppure se anche alla stessa restasse precluso di poter procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo;
– in fatto è pacifico che essa al momento del licenziamento ed anche successivamente non avesse fruito di CiG ai sensi dell’art. 1 del DL 104/20 né dell’esonero contributivo di cui all’art. 3 DL medesimo;
– (…) ha inoltre dedotto e chiesto di provare l’insussistenza in suo capo dei presupposti per fruire degli ammortizzatori sociali in questione, per non aver subito sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa “per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (cfr. art. 1 DL 104/20 ed art. 19 DL 18/20);
– pur dandosi atto che l’interpretazione circa il contenuto dell’art. 14 DL 104/20 é piuttosto dibattuta in dottrina, ed in carenza di precedenti giurisprudenziali specifici, reputa il giudicante che detta norma, nel disporre la proroga del divieto di procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo per i “datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 del presente decreto”, vietasse il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia a) ai datori di lavoro che avevano iniziato a fruire della Cassa Integrazione cui all’art. 1 DL 104/20 ovvero dell’esenzione contributiva di cui all’art. 3 del medesimo decreto, senza esaurirli, sia b) ai datori di lavoro che non ne avevano ancora fruito (con riferimento alla sola Cassa Integrazione, evidentemente, posto che l’esenzione contributiva dell’art. 3 presupponeva la fruizione di cassa integrazione tra maggio ed giugno 2020); per entrambi, con limite temporale massimo individuato al 31.12.2020, data finale della possibilità di fruire degli ammortizzatori sociali in questione;
– in questa prospettiva risulta irrilevante verificare se in capo alla resistente ricorressero o meno i presupposti per poter fruire della Cassa Integrazione di cui all’art. 1 DL 104/20;
– a favore dell’interpretazione sopra indicata depone innanzitutto
– il tenore letterale della norma, considerato che entrambe le tipologie di datori di lavoro sopra specificate rientrano nella definizione di legge quali datori di lavoro che non hanno fruito integralmente degli ammortizzatori;
– il carattere residuale delle ipotesi in cui è consentito il licenziamento, che si ricava anche dalle fattispecie cui, secondo il comma 3, il divieto di licenziamento non opera: la “cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività”, la presenza di un “accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo”, il “caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione”;
– rispetto alle tesi secondo cui dovrebbero ritenersi escluse dalla platea dei datori di lavoro destinatari del divieto di licenziamento quelle aziende che non hanno acceduto agli ammortizzatori sociali di cui agli artt. 1 e 3 DL 104/20 per scelta o perché non legittimate – in quanto non soggette a sospensione o riduzione di attività a causa Covid -, paiono per contro insuperabili, ad avviso del giudicante, le seguenti obiezioni:
– se si escludessero dall’ambito soggettivo del divieto i datori di lavoro che, pur potendo accedere agli ammortizzatori, non vi hanno fatto ricorso, si farebbe dipendere l’ambito del divieto da una decisione unilaterale dell’azienda, disancorandola da elementi obiettivi; inoltre, si creerebbe la possibilità per il datore di lavoro di procedere al licenziamento per poi fruire degli ammortizzatori stessi – possibilità prevista all’epoca fino al 31.12.2020 -;
– se si escludessero anche solo i datori di lavoro che non hanno utilizzato la Cassa Integrazione di cui all’art. 1 DL 104/20 perché non hanno patito sospensioni o riduzioni di attività causa Covid (presupposto di legge per la fruizione della Cassa Integrazione di cui all’art. 1), si creerebbe anche in questo caso la possibilità per il datore di lavoro di procedere al licenziamento per poi fruire degli ammortizzatori stessi, in virtù di una modificazione dello stato di fatto; inoltre, per tale strada si dovrebbe ammettere che anche i datori di lavoro che hanno già iniziato a fruire degli ammortizzatori sociali ex DL 104/20 possano licenziare, una volta venuto meno lo stato di sospensione o riduzione dell’attività causa Covid;
– quanto all’incongruenza, dedotta da parte resistente, che si realizzerebbe per le società che non possono accedere agli ammortizzatori sociali, consistente nel non poter porre i lavoratori eccedentari in Cassa Integrazione, si osserva che tale situazione è solo apparentemente propria dei datori di lavoro che non fruiscono degli ammortizzatori in questione, perché coloro che vi fanno ricorso non possono procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo neppure per i settori/reparti estranei alla Cassa Integrazione;
– risulta del resto ragionevole che il legislatore abbia inteso, in un momento storico in cui si prospettava di poter riprogrammare la ripresa dell’attività lavorativa ed economica in uno scenario di basso rischio pandemico, bilanciare le esigenze generali dei lavoratori e delle imprese correlando il divieto di licenziamento all’ampliamento dei presupposti, durata e tipologia degli ammortizzatori sociali, a superamento del precedente divieto generale di licenziamento, ma pur sempre in una prospettiva di bilanciamento dei costi-benefici riferiti alla generalità dei lavoratori ed aziende;
– si reputa manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 DL 104/20, così come interpretato, prospettata da parte resistente in relazione al disposto degli artt. 41, 3 e 117 Cost., considerato:
– quanto al contrato con l’art. 41 Cost., l’utilità sociale quale limite espresso al diritto all’iniziativa economica privata (cfr. art. 41, co. 2, Cost.), nonché le esigenze di bilanciamento non solo con il diritto al lavoro e con la tutela dei lavoratori, ma anche con le esigenze di tenuta sociale, che avrebbero potuto essere messe in seria difficoltà dalla liberalizzazione del potere di licenziamento, e che giustificano dunque il contemperamento dei contrapposti diritti operato dalla norma in questione; si tenga inoltre presente che il divieto di licenziamento in questione era previsto come operativo fino al 31.12.2020, termine ricavabile indirettamente ma chiaramente dal termine previsto per la fruizione degli ammortizzatori di cui agli artt. 1 e 3 DL 104/20;
– quanto al contrasto con l’art. 3 Cost., parte resistente sostiene l’irrazionalità dell’interpretazione qui preferita perché assegnerebbe il medesimo divieto per situazioni differenti – con riferimento ad aziende che hanno beneficiato di minori costi del lavoro attraverso gli ammortizzatori sociali, rispetto ad aziende che di tali strumenti non hanno beneficiato -, addirittura prevedendo per le prime un termine di efficacia del divieto di licenziamento minore. In realtà quest’ultimo punto non è condivisibile posto che nell’interpretazione prospettata il termine di efficacia del divieto di licenziamento avrebbe dovuto essere (si è visto infatti come la norma sia stata modificata il 29.10.2020 reintroducendo un divieto generalizzato di licenziamento collettivo e per giustificato motivo oggettivo) per tutti i datori di lavoro al 31.12.2020, salvo che nelle more il datore di lavoro avesse fruito integralmente degli ammortizzatori sociali, che non necessariamente dovevano essere utilizzati continuativamente; quanto all’operare del divieto di licenziamento anche per le aziende che non fruiscano degli ammortizzatori sociali, come già argomentato la scelta legislativa pare ragionevole in ottica di bilanciamento generale degli interessi contrapposti delle aziende e dei lavoratori, ed in considerazione dell’interesse generale ad evitare le ripercussioni sociali che una gran quantità di licenziamenti comminati nello stesso periodo avrebbero potuto provocare, anche considerata la maggiore capacità di sopportare eventuali inefficienze organizzative da parte delle aziende che hanno dimostrato di non necessitare il ricorso all’aiuto statale; si ribadisce inoltre che anche per le aziende che hanno accesso agli ammortizzatori di cui al DL 104/20 il divieto di licenziamento non è, necessariamente, “a costo zero” perché – oltre ai contributi da versare per ricorrere alla Cassa Integrazione – il divieto di licenziamento opera anche per gli ambiti aziendali eventualmente non oggetto di sospensione/riduzione di attività;
– per le ragioni fin qui esposte reputa il giudicante che la normativa in questione non contrasti neppure con l’art. 117 Cost. in relazione ai principi espressi all’art. 16 della Carta Europea ed all’art. 3 del Trattato sull’Unione Europea;
– per tutto quanto fin qui argomentato, il licenziamento comminato dalla resistente al (…) va dichiarato nullo, in quanto disposto in contrasto a norma imperativa comportante specifico divieto, sicché ex art. 18, co. 1, L. 300/70 (…) va condannata a reintegrare il ricorrente nelle proprie mansioni ed a corrispondergli un risarcimento del danno quantificato in un’indennità pari alle retribuzione perdute – computate sulla scorta di una retribuzione globale mensile di Euro 5.603,86 come indicato in ricorso in coerenza con le buste paga in atti – dalla data di efficacia del licenziamento (13.3.2020, cfr. comunicazione di licenziamento sub doc. 16 ric.) all’effettiva reintegrazione, detratto eventuale aliunde perceptum risultante da nuovi rapporti di lavoro, con condanna altresì della società resistente a corrispondere i contributi relativi al medesimo periodo;
– con riferimento alla domanda di condanna di parte resistente alla corresponsione della retribuzione non versata al ricorrente fin dal 13.3.2020, ed alla ricostituzione del monte ferie permessi e rol, essa rimane assorbita dalla precedente statuizione, considerato che il risarcimento del danno per licenziamento illegittimo “copre” il periodo dall’efficacia del licenziamento – collocata al 13.3.2020 come da comunicazione di licenziamento sub doc. 16 ric. – alla reintegra.
Le spese di lite sono compensate tra le parti attesa l’assoluta novità della questione di causa.
per questi motivi
il G.L., accertata la nullità del licenziamento intimato da (…) spa al ricorrente, ex art. 18, co. 1, L. 300/70 condanna detta società a reintegrare nel proprio posto di lavoro ed a risarcirgli il danno corrispondendogli indennità pari alle retribuzioni medio tempore perdute – computate in base alla retribuzione globale di fatto mensile pari ad Euro 5.603,86 – dal momento di efficacia del licenziamento (1.3.3.2020) all’effettiva reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum come in motivazione, ed al pagamento dei contributivi previdenziali ed assistenziali per il medesimo periodo.
Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Si comunichi.
Venezia, 17 maggio 2021.