Introduzione alla Sezione “Contratto a termine”
Nei decenni passati l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro era consentita soltanto in via residuale e con limiti assai rigorosi, oggi invece costituisce una pratica molto diffusa e regolamentata ex novo dal D.L.vo n. 368 del 06.09.2001, emanato in attuazione della Direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES.
Il testo originario del D.L.vo n. 368/2001 nel corso degli anni è stato più volte modificato soprattutto per quanto concerne la durata massima del contratto; tali modifiche poi sono intervenute in particolare a seguito della approvazione della Riforma del mercato del lavoro (c.d. Riforma Fornero), attuata con L.n. 92 del 28 giugno 2012.
Ulteriori modifiche al testo sono poi intervenute a causa della crisi economica ed occupazionale che negli ultimi anni ha colpito in misura molto pesante il mercato del lavoro e soprattutto i giovani. Tali modifiche introdotte con il D.L. n. 76 del 28.06.2013, converito con modificazioni in L.n. 99 del 09.08.2013, hanno infatti “alleggerito” alcuni vincoli presenti nel D.L.vo n. 368/2001.
Nonostante le modifiche effettuate nel corso degli anni alla disciplina di questo modello di rapporto di lavoro e il suo largo utilizzo, non va dimenticato che esso resta pur sempre un rapporto di lavoro “speciale”. Infatti, come disciplinato dall’art. 1, comma 1, del D.L.vo n. 368/2001 “E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo“. Mentre per alcuni casi particolari, che verranno illutrati più avanti, la stipulazione di contratti a tempo determinato è assolutamente vietata dalla legge.
Quindi il largo utilizzo che se ne è fatto nel corso di questi ultimi anni di questa forma di contratto ha fatto si che si sia attenuata la concezione del contratto a termine come forma di rapporto di lavoro in qualche modo “straordinaria”, infatti le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo che devono obbligatoriamente sussistere, come sopra si diceva, per l’utilizzo del contratto a termine, sono valide anche se riferibili all’attività ordinaria del datore di lavoro.
Tali circostane non sono sfuggite al Ministero del lavoro e agli altri Enti Previdenziali e Assistenziali i quali hanno ritenuto superato “l’orientamento volto a riconoscere la legittimità dell’apposizione del termine soltanto in presenza di una attività meramente temporanea , così come, d’altronde, sono superati i caratteri della “eccezionalità”, “straordinarietà” ed “imprevedibilità” propri delle ragioni giustificatrici“ . Pertanto, “se appare plausibile che si ricorra alla stipulazione di un contratto a termine per l’esecuzione di prestazioni che non abbiano di per sé il carattere della “temporaneità”, non per questo le ragioni giustificatrici non si dovranno palesare come oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive dell’intento perseguito dal legislatore volto ad evitare qualsiasi volontà discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro“. In conclusione dunque “la temporaneità della prestazione è, semplicemente, la dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza delle esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive poste a fondamento della stipulazione del contratto a tempo determinato. Il contratto a termine dovrà pertanto essere considerato lecito in tutte le circostanze, individuate dal datore di lavoro sulla base di criteri di normalità tecnico-organizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non si può esigere necessariamente una assunzione a tempo indeterminato o, il che è lo stesso, l’assunzione a termine non assuma una finalità chiaramente fraudolenta sulla base di criteri di ragionevolezza desumibili dalla combinazione tra durata del rapporto e attività lavorativa dedotta in contratto“ (Circolare del Ministero del Lavoro n. 42/2002).