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La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 26021 del 2018 “fa chiarezza sulla insinuazione al passivo delle quote di TFR maturate presso l’azienda affittuaria” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore).

Vediamo nel dettaglio i fatti di causa.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 660/2016, ha respinto il gravame contro la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale l’INPS, quale gestore del Fondo di Garanzia per la tutela contro l’insolvenza dei datori di lavoro, era stato condannato al pagamento in favore di … del TFR e di quanto dovuto per le ultime tre mensilità di retribuzione.

In fatto è accaduto che il … già dipendente della …srl fin dal 2003, fosse transitato ex art. 2112 c.c., tra il 2009 e il 2010, alle dipendenze di … srl, resasi affittuaria dell’azienda; il rapporto di lavoro con l’affittuaria era poi cessato il 2.10.2010 ed egli era stato retrocesso presso l’originario datore di lavoro, nel frattempo fallito, la cui curatela lo aveva licenziato il 3.10.2010. Il … aveva quindi fatto insinuazione al  passivo del fallimento … l’intero credito, anche per le quote di TFR maturate presso l’affittuaria, sul presupposto che la società fallita ne rispondesse comunque quale coobbligata in solido, chiedendo all’INPS il pagamento di quanto dovuto, a copertura dell’insolvenza, in via previdenziale.

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La Corte d’Appello di Milano, nel respingere l’appello, da un primo punto di vista confermava che, con la retrocessione dell’azienda, il rapporto di lavoro, seppure per un solo giorno, era tornato in capo alla società fallita; d’altra parte, secondo l’orientamento giurisprudenziale fino ad allora invalso, la (retro) cessionaria era unica debitrice del TFR, mentre le ultime tre mensilità riguardavano ancora il rapporto con l’affittante fallita, sicché di tutti gli importi di cui sopra rispondeva l’INPS, secondo il sistema previdenziale facente capo al c.d. Fondo di Garanzia.

Avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione l’INPS che veniva rigettato.

Per quel che qui interessa, l’INPS nel suo ricorso ha sostenuto che, nel momento in cui il credito per TFR maturi presso un datore di lavoro insolvente, l’accesso al Fondo di Garanzia resterebbe subordinato alla previa escussione degli eventuali obbligati solidali, quali i precedenti titolari dell’azienda trasferita che siano tenuti, anche solo pro quota, per il medesimo debito. Tuttavia, ha sostenuto la Cassazione, né la L.n. 297/1982, né il d.lgs. 82/1990 prevedono in alcun modo un obbligo di preventiva escussione degli eventuali coobbligati, ma tutelano invece in modo immediato e diretto il diritto previdenziale alla copertura del credito da TFR, che sia sorto, presso il datore di lavoro insolvente, con la definitiva cessazione del rapporto di lavoro: come è reso palese anche dal fatto che l’art. 2 L. 297 cit. stabilisce che “trascorsi quindici giorni” dal deposito dello stato passivo o dalla pronuncia della sentenza in sede di opposizione ad esso – e quindi dopo una dilazione esclusivamente temporale – il lavoratore possa ottenere a domanda il relativo pagamento. Essendo stato da tempo superato l’inquadramento dell’obbligazione del Fondo nei termini della solidarietà di esso con il datore di lavoro (Cass. n. 10875, 20675 del 2013) e non risultando previsto alcun altro requisito (beneficio d’ordine; beneficio di escussione), non ha quindi fondamento la tesi sulla natura sussidiaria dell’obbligazione.

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