L’INL, con la Circolare n. 10 del 2018, ha fornito indicazioni, condivise con condivise con il Ministero del Lavoro e P. S., con l’INPS e con l’INAIL, in ordine alla ipotesi in cui, nell’ambito di un appalto illecito, siano riscontrate inadempienze retributive e contributive nei confronti dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto.
In particolare, chiarisce come debba essere calcolata la contribuzione e la retribuzione dovuta e quali siano le modalità da seguire per il recupero nei confronti degli operatori economici interessati, anche in considerazione dell’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia.
Ecco quanto si legge nella circolare 10/2018 a proposito di appalto illecito e inadempienze retributive.
Al fine di assicurare uniformità di comportamento di tutti gli organi di vigilanza, si forniscono le seguenti indicazioni di carattere operativo, valide per gli accertamenti futuri e quelli non ancora definiti, condivise con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l’INPS e con l’INAIL, in ordine alla ipotesi in cui, nell’ambito di un appalto non genuino, siano riscontrate inadempienze retributive e contributive nei confronti dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto. In particolare, è emersa la necessità di chiarire come debba essere calcolata la contribuzione e la retribuzione dovuta e quali siano le modalità da seguire per il relativo recupero nei confronti degli operatori economici interessati, anche in considerazione dell’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia.
In via preliminare, quanto al regime sanzionatorio si rammenta che, con D.Lgs. n. 8/2016, le fattispecie di reato previste dall’art. 18, comma 5 bis, del D.Lgs. n. 276/2003 riguardanti le ipotesi di appalto privo dei requisiti previsti dall’art. 29, comma 1, sono state oggetto di depenalizzazione. Pertanto, le stesse integrano attualmente ipotesi di illecito amministrativo per le quali trova applicazione la sanzione amministrativa di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro sia nei confronti dello pseudo appaltatore che nei confronti del committente/utilizzatore (cfr. ML circ. n. 6/2016).
Il medesimo regime sanzionatorio trova applicazione anche qualora l’ appalto illecito sia stato posto in essere al fine di eludere, in tutto o in parte, i diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo, stante l’abrogazione espressa ad opera del D.Lgs. n. 81/2015 del reato di somministrazione fraudolenta di cui all’art. 28, D.Lgs. n. 276/2003.
Va tenuto presente, altresì, che la misura sanzionatoria di cui all’art. 18, comma 5 bis “esclude in radice la possibile applicazione delle sanzioni per lavoro nero e delle altre sanzioni amministrative legate agli adempimenti di costituzione e gestione del rapporto di lavoro”; in tali ipotesi esiste, infatti, una “tracciabilità” del rapporto di lavoro e dei connessi adempimenti retributivi e contributivi, anche se facenti capo ad un datore di lavoro che non è l’effettivo utilizzatore delle prestazioni (cfr. interpello ML n. 27/2014).
Tanto premesso, sul piano dei recuperi contributivi e retributivi connessi all’accertamento di un appalto illecito, appare opportuno evidenziare, innanzitutto, che il legislatore (cfr. art. 29, comma 3 bis, D.Lgs. n. 276/2003) ha lasciato alla libera iniziativa del lavoratore la costituzione del rapporto di lavoro nei confronti dell’effettivo utilizzatore della prestazione mediante ricorso ex art. 414 c.p.c. innanzi al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro.
Ciò significa che, a differenza di quanto sancito dalla previgente disciplina di cui alla L. n. 1369/1960, nelle ipotesi di appalto illecito la circostanza che il lavoratore sia considerato dipendente dell’effettivo utilizzatore della prestazione non è “automatica”, ma è subordinata al “fatto costitutivo dell’instaurazione del rapporto di lavoro su domanda del lavoratore” (cfr. Cass. sent. n. 25014/2015).
Ciò comporta che, in assenza della costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore per effetto del mancato esercizio dell’azione di cui all’art. 414 c.p.c. – al di fuori dell’ipotesi di imputazione automatica del rapporto di lavoro, ex art. 38, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015 – il provvedimento di diffida accertativa potrà essere adottato esclusivamente nei confronti dello pseudo appaltatore (ex art. 12, D.Lgs. n. 124/2004) in relazione quindi alle retribuzioni non correttamente corrisposte in ragione del CCNL dallo stesso applicato.
Sul piano invece del recupero contributivo va considerato che il rapporto previdenziale intercorrente tra datore di lavoro e Ente previdenziale trova la propria fonte nella legge e presuppone esclusivamente l’instaurazione di fatto di un rapporto di lavoro; come tale non consegue alla stipula di un atto di natura negoziale ed è indifferente alle sue vicende processuali essendo del tutto sottratto alla disponibilità delle parti (Cass. sent. n. 17355/2017 e n. 6001/2012). In altri termini, lo stesso recupero contributivo non può ritenersi condizionato dalla scelta del lavoratore di adire l’A.G. per ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore.
In ambito previdenziale, infatti, vale il principio secondo cui “l’unico rapporto di lavoro rilevante verso l’ente previdenziale è quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo” (Cass. sent. n. 20/2016, n. 463/2012).
Ne consegue, anche sulla base dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nella vigenza della L. n. 1369/1960, che gli obblighi di natura pubblicistica in materia di assicurazioni sociali, una volta accertato che la prestazione lavorativa è resa in favore dell’utilizzatore – che si configura, pertanto quale datore di lavoro di fatto – gravano per l’intero su quest’ultimo.
Il personale ispettivo, quindi, procederà alla determinazione dell’imponibile contributivo dovuto per il periodo di esecuzione dell’appalto avendo riguardo al CCNL applicabile al committente ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.L. n. 338/1989 e al conseguente recupero nei confronti dello stesso, fatta salva l’incidenza satisfattiva dei pagamenti effettuati dallo pseudo appaltatore. Tale impostazione, che prevede un coinvolgimento dello pseudo appaltatore nell’adempimento degli obblighi contributivi, è peraltro in linea con il principio tracciato dalla Corte Costituzionale in riferimento alla responsabilità solidale ex art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003 nella recente sentenza n. 254 del 6 dicembre 2017, in virtù della quale “la tutela del soggetto che assicura un’attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento”, a prescindere dalla fattispecie negoziale utilizzata (v. INL circ. n. 6/2018).
La sentenza della Corte Costituzionale sembra anzi consentire una interpretazione volta a non escludere dalle proprie responsabilità lo pseudo appaltatore, anche nelle ipotesi in cui quest’ultimo non abbia effettuato pagamenti spontanei in favore dei lavoratori.
I Giudici stabiliscono infatti che al fine di “evitare il rischio che i meccanismi di decentramento – e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione – vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale”, l’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 vada interpretato estensivamente (nel caso specifico il tema è stato quello della subfornitura).
In tal senso si ritiene pertanto che, qualora non vada a buon fine il recupero contributivo nei confronti del committente/utilizzatore, l’ammontare dei contributi possa essere richiesto in capo allo pseudo appaltatore, il quale non può ritenersi del tutto estraneo alle vicende accertate. Eventuali contenziosi che dovessero instaurarsi su tale specifico aspetto saranno comunque oggetto di attento monitoraggio.
Tali principi trovano applicazione nell’intera filiera degli appalti ed anche nei casi di affidamento dell’esecuzione dell’appalto da parte del consorzio a società consorziata (v. Cass. sent. 7 marzo 2008, n. 6208).
(Fonte: INL)