La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza n. 841 del 2018, ha stabilito che ai fini dell’ avanzamento di carriera va conteggiato anche il periodo di astensione dal lavoro per maternità, è pertanto discriminatorio il comportamento del datore che non effettua tale inclusione.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta con l’articolo pubblicato oggi (14.3.2018) dal Sole 24 Ore (firma: G. Bifano e U. Percivalle; Titolo: “La maternità vale per la carriera”) che di seguito riportiamo.
È discriminatorio il comportamento del datore di lavoro che non conteggia, ai fini dell’avanzamento di carrriera automatico previsto dal contratto collettivo, i periodi di fruizione del congedo di maternità e di quello parentale.
Lo ha chiarito la Corte d’appello di Venezia con la sentenza 841/2018, facendo riferimento al Ccnl per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali, ma affrontando temi di respiro generale.
Due i punti focali della sentenza. Il datore di lavoro ha sostenuto la legittimità della propria condotta, sottolineando come la contrattazione collettiva applicabile faccia riferimento, ai fini della progressione di carriera, al requisito dell’«effettivo servizio» e non invece a quello dell’anzianità di servizio. Secondo l’azienda l’effettivo espletamento delle mansioni sarebbe stato necessario per l’accrescimento della professionalità, funzionale alla promozione e ciò risulterebbe coerente con il testo unico sulla maternità e sulla paternità (Dlgs 151/2001), che prevede come i periodi di fruizione dei congedi parentali debbano essere «considerati ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti». L’effettivo servizio costituirebbe “particolare requisito” che giustificherebbe il diverso trattamento.
La Corte, confermando la posizione già espressa dal tribunale, non è stata di questo avviso, ricordando come la Corte di giustizia della Ue si sia espressa in modo molto forte sul tema (sentenza 595 del 6 marzo 2014)
Anche senza affermarlo esplicitamente, la Corte ha chiarito come i «particolari requisiti» richiesti dal Ccnl per giustificare un trattamento differenziato, debbano consistere in qualcosa di più della mera maturazione di esperienza lavorativa, a pena di contraddire l’impianto stesso del principio di non discriminazione.
A conferma di tale conclusione la Corte ha proposto il secondo punto focale della sentenza, ossia che la natura discriminatoria del comportamento datoriale fosse dimostrata anche dal fatto che le assenze per malattia venivano comunque conteggiate quali periodi di servizio utili alla progressione di carriera.