La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 5948 del 2018, ha stabilito che il premio fedeltà versato al lavoratore prossimo alla pensione va tassato come normale emolumento.
Vediamo nel dettaglio i fatti di causa con l’articolo pubblicato oggi (13.3.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Fimra. G. Piagnerelli; Titolo: “Il premio fedeltà per non fare andare in pensione i lavoratori sconta i contributi”) che di seguito riportiamo.
Il premio fedeltà corrisposto dall’azienda al prestatore in prossimità della pensione è assoggettato a contribuzione come normale emolumento. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza 5948/2018.
Il giudizio – La Corte richiamando il precedente giudizio di merito ha puntualizzato che la finalità dell’erogazione è, infatti, quella di stimolare la permanenza del lavoratore e quindi in un certo modo di “fidelizzarlo”, non ha certamente lo scopo di favorirne l’esodo, con conseguente assoggettabilità a contribuzione dell’indennità in questione. Secondo la Cassazione non appaiono condivisibili le argomentazioni della ricorrente in ordine al fatto che l’indennità veniva erogata alla cessazione del rapporto, poiché ciò che rileva, ai fini dell’assoggettabilità del premio alla contribuzione, non è il momento della corresponsione, ma esclusivamente la sua natura giuridica che è strettamente legata alla sua finalità, già ampiamente messa in evidenza dalla Corte d’Appello di Milano e che consente di ritenere che il premio “tre mensilità” non si sottrae alla regola generale della contribuzione di ciò che viene erogato in costanza di rapporto di lavoro.
Il precedente – La sentenza è significativa anche perché richiama un precedente in materia che sicuramente aiuta a comprendere la materia e secondo cui «il premio fedeltà, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianità di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, che è un emolumento in denaro corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro e non una liberalità concessa una tantum e non collegata al rendimento del lavoratore o all’andamento aziendale – deve essere incluso nella retribuzione imponibile a fini contributivi, in quanto la suddetta nozione, dettata dall’articolo 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153 è più ampia rispetto alla nozione civilistica di retribuzione comprendendo non solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutto ciò che il lavoratore ricevo o abbia diritto di ricevere dal datore di lavoro, in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo le voci espressamente escluse dallo stesso articolo 12». L’azienda, quindi, che omette il versamento sullo speciale trattamento incappa nell’evasione contributiva.