La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con una importante sentenza del 6 febbraio 2018 (causa C-359/16), ha messo un freno ai distacchi illeciti di personale per usufruire di una previdenza meno costosa rispetto al paese di provenienza.
Scopriamo nel dettaglio la vicenda all’esame della Corte UE, con l’articolo pubblicato oggi (7.2.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: G. Falasca; Titolo: “Distacchi falsi, previdenza rivedibile”) che di seguito riportiamo.
La Corte di giustizia dell’Unione europea mette un freno ai distacchi illeciti di personale attuati da uno Stato all’altro per applicare un regime previdenziale meno costoso rispetto a quello del Paese in cui si svolge la prestazione.
Con la sentenza emessa ieri dalla Corte (causa C-359/16) è stato affermato un principio molto importante: se c’è un distacco transnazionale di lavoratori, i giudici del Paese ospitante possono escludere l’applicazione del certificato di previdenza sociale emesso dal Paese di origine, qualora emerga l’esistenza di una frode.
La vicenda nasce in Belgio, dove gli ispettori del lavoro hanno scoperto che un’impresa edilizia utilizzava – tramite un subappalto fittizio – lavoratori distaccati da imprese bulgare.
Questi lavoratori non pagavano i contributi previdenziali in Belgio, in quanto erano in possesso dei certificati – rilasciati dal Paese di origine – attestanti l’iscrizione al regime previdenziale bulgaro. Una volta accertata la natura fittizia delle imprese distaccanti, le autorità belghe hanno presentato all’istituzione bulgara competente una domanda motivata di riesame o revoca dei certificati, ma tale iniziativa non ha avuto l’esito sperato.
Anche senza questa revoca, la Corte d’appello belga ha condannato i soggetti responsabili dell’operazione, ritenendo che i certificati rilasciati dal Paese di provenienza potevano essere disconosciuti per la loro origine chiaramente fraudolenta.
Tale decisione sembra in contrasto con il regolamento 987/2009, il quale riconosce carattere vincolante del certificato previdenziale e la competenza esclusiva dell’istituzione emittente riguardo alla valutazione della sua validità, ma la sentenza della Corte di giustizia legittima la decisione. La sentenza richiama innanzitutto il principio di leale collaborazione, in virtù del quale il Paese che emette un certificato previdenziale ha l’obbligo di procedere a una corretta valutazione dei fatti e di garantire l’esattezza delle indicazioni figuranti nel documento.
Per dare corretta applicazione al principio, l’istituzione competente dello Stato che ha rilasciato il certificato deve riconsiderare la correttezza del documento ed, eventualmente, revocare il certificato qualora l’istituzione competente dello Stato ospitante manifesti riserve in ordine all’esattezza dei fatti che gli hanno dato origine.
Secondo la Corte, se questa revisione non viene operata dall’istituzione emittente, il giudice dello Stato ospitante può ignorare i certificati, qualora abbia elementi sufficienti per ritenere provata l’esistenza di una frode.
Questa facoltà non è tuttavia indiscriminata: le persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di certificati irregolari devono essere messe in condizione di smentire tali accuse, ricevendo tutte le garanzie necessarie ad attuare un equo processo.