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La III Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 4206 del 2018, ha accolto il ricorso di un imprenditore, condannato in via definitiva per l’omesso versamento di trattenute previdenziali, interpretando in maniera ampia alla depenalizzazione delle omesse ritenute.

E della decisione della III Sezione Penale della Corte Suprema ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (31.1.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: G. Negri; Titolo: “Depenalizzazione delle omesse ritenute senza inversione dell’onere della prova”) che di seguito riportiamo.

Depenalizzazione ampia per le omesse ritenute. Scatta sulle pronunce già passate in giudicato e per le mensilità contestate. Lo chiarisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 4206 depositata ieri. La Corte ha così accolto il ricorso presentato dalla difesa di un imprenditore che, condannato definitivamente per omesso versamento di trattenute previdenziali, si era visto respingere dal tribunale, chiamato in causa come giudice dell’esecuzione, la richiesta di revoca del decreto penale di condanna. Il tribunale aveva ritenuto che l’imprenditore, malgrado l’avvenuta (parziale) depenalizzazione dell’inizio 2016 non avesse tuttavia fornito prove del mancato superamento della soglia di punibilità con riferimento a tutte le altre mensilità dell’anno: la condanna infatti aveva riguardato una sola mensilità.

Una tesi che però non è sostenibile, sottolinea la Cassazione. Che innanzitutto ricorda che la sottrazione all’area del penalmente rilevante della condotta di omesso versamento di ritenute al di sotto della soglia di 10.000 euro all’anno riguarda anche fatti antecedenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 8 del 2016. Trattandosi poi di abolitio criminis, spetta al giudice dell’esecuzione la revoca della sentenza definitiva o del decreto penale di condanna.

In questo contesto, allora, il tribunale è andato oltre quanto avrebbe dovuto fare sul punto: non poteva cioè procedere a una rivisitazione del giudizio di merito. Avrebbe invece dovuto solo accertare la perdita di efficacia della norma incriminatrice nel caso esaminato dal momento che la violazione contestata per il mese di riferimento era ampiamente sotto la soglia di punibilità (arrivava infatti a poco di 3.500 euro).

Anche la circostanza che la norma incriminatrice sia stata abrogata solo in parte, poteva consentire al tribunale, se avesse voluto procedere a una ricognizione su tutto l’anno di riferimento, di valorizzare eventualmente nel caso già giudicato elementi della nuova disciplina (come, per esempio, il superamento delle soglie) «utilizzando nell’ambito di una sostanziale ricognizione del quadro probatorio già acquisito, elementi che, irrilevanti al momento della sentenza, fossero, alla luce del diritto sopravvenuto, divenuti determinanti per la decisione sull’imputazione contestata».

Non è possibile invece che si verifichi, per effetto dell’operazione di depenalizzazione, un’inversione dell’onere della prova come invece ritenuto dall’ordinanza impugnata. Tocca al pubblico ministero la contestazione di eventuali e ulteriori mensilità rimaste inevase che determinano il superamento della soglia di punibilità con riferimento all’annualità oggetto di contestazione.

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