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La Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Penale, con la sentenza n. 3658 del 2018 ha precisato che in caso di omissione contributiva, l’età avanzata e l’aver creato numerosi posti di lavoro sono “elementi di per sé sufficienti per irrogare la pena nella misura minima prevista per il reato di omesso versamento delle ritenute.

Ma vediamo nel dettaglio la decisione della Suprema Corte, con l’articolo pubblicato oggi (26.1.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: L. Ambrosi; Titolo: “Per chi crea lavoro omessi contributi con sanzioni ridotte”) che di seguito riportiamo.

L’età avanzata e l’aver creato numerosi posti di lavoro sono elementi di per sé sufficienti per irrogare la pena nella misura minima prevista per il reato di omesso versamento delle ritenute.

A fornire questo importante principio è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 3658 depositata ieri. Il legale rappresentante di una società veniva condannato dal tribunale per il reato di omesso versamento delle ritenute (ex articolo 10 bis Dlgs n. 74/2000).

La Corte di appello confermava la condanna. L’imputato ricorreva così in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, l’omessa valutazione da parte del giudice territoriale della crisi di liquidità che aveva impedito il pagamento entro i termini previsti delle ritenute fiscali. Secondo la difesa, non solo non poteva configurarsi il reato per assenza dell’elemento soggettivo, ma anche per non aver considerato nella quantificazione della pena l’età avanzata e i numerosi posti di lavoro creati negli anni attraverso l’attività imprenditoriale svolta dalla società.

La Suprema corte ha innanzitutto rilevato che per il reato di omesso versamento delle ritenute è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’erario le somme dovute sulle erogazioni di emolumenti a dipendenti e professionisti.

L’amministratore è, così, tenuto ad accantonare il necessario, ripartendo le risorse disponibili tra i beneficiari e l’erario e ciò anche se può comportare l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare. Lo stato di insolvenza di un’impresa, quindi, non libera il sostituto di imposta al proprio obbligo, poiché se corrisponde degli emolumenti è tenuto anche al versamento delle relative ritenute. Peraltro anche il sopravvenuto fallimento non può considerarsi una scriminante.

I giudici di legittimità hanno poi affrontato la questione della pena, affermando alcuni interessanti princìpi. La difesa evidenziava che, dinanzi all’età avanzata superiore a 70 anni e alla creazione di numerosissimi posti di lavoro, la pena doveva coincidere con il minimo edittale.

La Cassazione ha ritenuto che effettivamente il giudice territoriale si era limitato ad affermare che la pena fosse già stata irrogata in una misura prossima ai minimi edittali, senza considerare quanto eccepito dalla difesa dell’imputato in merito alla creazione dei posti di lavoro ed alla avanzata età che imponevano l’irrogazione del minimo edittale. La decisione è stata così rinviata ad altra sezione della Corte di appello per una nuova valutazione del trattamento sanzionatorio.

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