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Licenziamento disciplinare: il giudice deve valutare la gravità della condotta:

La Corte Suprema, con la sentenza n 18124 del 2016, ha stabilito che in caso di licenziamento disciplinare il giudice deve in ogni caso analizzare se la gravità del comportamento del dipendente è idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia del datore a prescindere dalle previsioni del CCNL.

E di licenziamento disciplinare di cui alla sentenza n. 18124/2016 della Corte Suprema, ci parla anche l’articolo pubblicato oggi (20.9.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Giuseppe Bulgarini d’Elci; Titolo: “Verifica puntuale per il licenziamento disciplinare”) che vi proponiamo.

Ecco l’articolo.

La previsione da parte del contratto collettivo di un determinato comportamento inadempiente riconducibile a un’ipotesi di giusta causa di licenziamento non esime il giudice dal dovere di analizzare la gravità della condotta ascritta al lavoratore in tutti i suoi profili oggettivi e soggettivi.

La Corte di cassazione ha affermato questo principio nella sentenza 18124/2016 in cui è stato precisato che le tipizzazioni di condotte inadempienti offerte dalla contrattazione collettiva non possono esaurire l’indagine cui è chiamato il giudice, al quale è richiesto di valutare l’addebito disciplinare nel contesto specifico in cui si colloca la prestazione lavorativa. A tale proposito, rimarca la Corte, devono essere verificati, tra gli altri elementi della fattispecie concreta, la natura delle mansioni richieste, la presenza di precedenti disciplinari, il carattere doloso o colposo dell’inadempimento e le probabilità che il lavoratore possa reiterare l’illecito.

Nel solco di questo ragionamento, la Corte osserva che la necessità di non arrestarsi alle previsioni del contratto collettivo risulta tanto più urgente nel caso in cui le disposizioni contrattuali non facciano riferimento a una tipizzazione espressa, ma siano connotate da un grado, più o meno elevato, di elasticità e di indeterminatezza.

Nel caso esaminato dalla Cassazione il contratto collettivo, sulla scorta del quale il datore di lavoro ha disposto il licenziamento, recita che «il lavoratore ha l’obbligo di tenere una condotta conforme ai civici doveri», nonché «di conservare diligentemente le merci e i materiali».

La contestazione mossa alla dipendente, tra le cui mansioni rientrava quella del maneggio denaro, consisteva nell’aver sottratto quasi la metà dell’incasso giornaliero del punto vendita. In primo e in secondo grado il licenziamento è stato confermato, ritenendo che l’ipotesi dell’addebito ascritto alla dipendente è stata dimostrata in giudizio e rientrava nelle previsioni che il contratto collettivo sanziona con la misura del licenziamento per giusta causa.

La Corte di cassazione è di diverso avviso e ritiene che, tanto più in presenza di una enunciazione del contratto collettivo che non presenta un grado di specificità tale da ricomprendere in termini puntuali l’ipotesi inadempiente attribuita alla dipendente, il giudice sia tenuto a verificare se, alla luce di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi della fattispecie, possa dirsi irrimediabilmente lesa la fiducia del datore di lavoro nell’esattezza dei futuri adempimenti.

Sulla scorta di questi rilievi, la Cassazione ha rinviato alla corte territoriale affinchè si proceda a un nuovo esame attraverso una verifica non limitata alle disposizioni del contratto collettivo, bensì volta ad analizzare tutti i vari aspetti, oggettivi e soggettivi, che hanno caratterizzato il caso concreto.

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