Reversibilità piena alle giovani vedove:
La Corte Costituzionale ha stabilito la reversibilità piena e duratura anche in caso di matrimoni durati meno di 10 anni tra coniugi con almeno 20 anni di differenza e ha così stabilito la illegittimità della norma contro le “giovani badanti” applicata alle pensioni liquidate dal 2012 con la Sentenza n. 174 del 2016.
A parlarci di reversibilità piena alle giovani vedove è anche l’articolo pubblicato oggi (15.7.2016) dal Sole 24 Ore (Firma: Matteo Prioschi, Fabio Venanzi; Titolo: “Matrimonio corto, pensione piena”) che vi proponiamo.
Ecco l’articolo.
Le giovani vedove (o vedovi) di ultrasettantenni hanno diritto a ricevere lunghe e “ricche” pensioni. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza 174/2016 depositata ieri, ha stabilito l’illegittimità della norma “anti (giovani) badanti” applicata alle pensioni liquidate dal 2012 nel caso di matrimoni durati meno di dieci anni tra persone con almeno vent’anni di differenza.
Nell’attribuire rilievo all’età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alle differenza di età tra i coniugi, argomentano i giudici, si introduce una regolamentazione irragionevole e incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità.
La norma (articolo 18, comma 5, del decreto legge 98/2011) ha previsto, a decorrere dal 2012, che le pensioni di reversibilità fossero erogate al coniuge superstite in misura ridotta qualora il matrimonio fosse stato contratto a una età superiore a 70 anni da parte del coniuge deceduto titolare della pensione, tra le due persone ci fosse una differenza di età anagrafica superiore a 20 anni e che il matrimonio fosse durato meno di dieci anni.
La quota di pensione di norma spettante al coniuge superstite è del 60%, ma la presenza di tutti i requisiti sopra citati comportava la riduzione del trattamento del 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto al limite di dieci. Secondo la relazione tecnica alla legge 111/2011 (di conversione del Dl 98/2011), il provvedimento riguarda circa 8.000 pensioni, meno del 4% di quelle liquidate ai superstiti ogni anno. Peraltro il taglio si fa sentire solo su 5.500-5.600, perché negli altri casi la decurtazione fa scattare l’integrazione al minimo che in parte compensa il taglio.
La norma voleva arginare il fenomeno sempre più crescente dei matrimoni di comodo. Ma a questo riguardo la Corte costituzionale osserva che è stata enfatizzata la «patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo». Questa considerazione, secondo i giudici, non tiene conto dell’evoluzione del costume sociale e nemmeno dell’allungamento dell’aspettativa di vita.
A nulla è servito prevedere, da parte del legislatore, che il taglio dell’assegno non operasse in presenza di figli minori, studenti o inabili.
L’ampia portata della norma – non contemperando i diversi diritti oggetto di tutela della carta fondamentale – ne determina l’intrinseca irragionevolezza, anche con riferimento all’aumento dell’aspettativa di vita e con il fondamento solidaristico posto a fondamento della pensione di reversibilità in favore del coniuge rimasto in vita. In altri termini la prestazione non può essere collegata a elementi esterni al rapporto giuridico (appunto il matrimonio) qual è il fattore della durata del rapporto coniugale. Inoltre tale collegamento tra “contratto” e prestazione pensionistica non ha portata generale e quindi è in palese contrasto con i principi di eguaglianza.
Né può essere invocata la disciplina applicabile alle pensioni di reversibilità nei confronti del coniuge titolare di assegno divorzile. In questo caso, infatti, la durata del matrimonio non incide sulla determinazione del trattamento pensionistico (che rimane al 60% del trattamento di riferimento) ma entra in gioco solo qualora il deceduto lascia più coniugi ed ex coniugi, al fine di attribuire pro quota l’assegno ai soggetti aventi diritto.