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Il periodo di comporto è un aspetto cruciale del contratto di lavoro, determinando il tempo massimo di assenza per malattia consentito al lavoratore prima di incorrere in conseguenze come il licenziamento. Questo articolo esplora la definizione, i criteri di calcolo, le differenze tra settore pubblico e privato e le implicazioni per le malattie croniche.

Definizione e significato del periodo di comporto

Il periodo di comporto è una disposizione contrattuale che stabilisce il tempo massimo nel quale un lavoratore può assentarsi dal lavoro a causa di malattia mantenendo il diritto alla propria posizione lavorativa.

Questo limite temporale è fondamentale poiché determina un equilibrio tra le esigenze aziendali di continuità lavorativa e il diritto del lavoratore alla cura della propria salute.

In pratica, durante il periodo di comporto, l’azienda non può licenziare il dipendente per assenze legate a motivi di salute.

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La durata del periodo di comporto è generalmente stabilita dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) di riferimento, che può variare a seconda del settore e del livello contrattuale.

È importante comprendere che il comporto non copre necessariamente ogni tipo di assenza, ma si focalizza specificamente su quelle giustificate da motivi medici.

Inoltre, questo periodo non è indeterminato: una volta raggiunto il limite massimo, senza ulteriori congedi humanitari, il datore di lavoro può legittimamente avviare il processo di risoluzione del contratto di lavoro.

Criteri di calcolo del periodo di comporto

Il calcolo del periodo di comporto può avvenire tramite due principali modalità riconosciute: singolo e continuativo oppure frazionato.

Nel primo caso, il periodo considerato è continuo e si riferisce ad una singola malattia che occupa consecutivamente i giorni di assenza.

Nel secondo caso, il periodo di comporto viene calcolato sommando le giornate di assenza non continuative ma riferibili alla stessa patologia in un determinato arco temporale, generalmente annuale.

In alcuni contratti, il periodo di comporto può essere differenziato in base all’anzianità di servizio del lavoratore o alla sua categoria professionale, rendendo quindi il calcolo piuttosto variegato e personalizzato.

Inoltre, i CCNL hanno spesso disposizioni specifiche che regolamentano anche eventuali proroghe o interruzioni del periodo di comporto, ad esempio nel caso di malattie legate all’ambiente lavorativo.

Questo significa che per un corretto calcolo è essenziale la conoscenza dettagliata delle clausole del contratto collettivo e del tipo di contratto individuale del lavoratore.

Differenze tra settore privato e pubblico

La gestione del periodo di comporto tra il settore privato e pubblico presenta delle differenze significative che rispecchiano in parte le diverse politiche di gestione dei diritti dei lavoratori.

Periodo di comporto
Periodo di comporto, che cosa è? (diritto-lavoro.com)

Nel settore privato, i contratti collettivi di lavoro delineano in modo specifico e dettagliato la durata del periodo di comporto, lasciando però margini di discrezionalità rispetto a fattori come la frequenza delle assenze e la tipologia di malattia.

Al contrario, nel settore pubblico, le regole possono risultare più standardizzate e riflettere una maggiore uniformità nazionale, anche se spesso si prevede una riduzione della retribuzione a fronte di prolungate assenze.

Nonostante ciò, il principio fondante resta lo stesso: garantire un equilibrio tra le necessità organizzative e il diritto del lavoratore alla salute.

Un’altra differenza rilevante tra i due settori riguarda le modalità di retribuzione durante il periodo di comporto, con variazioni nei termini e nelle modalità di pagamento delle indennità di malattia.

Tali diversità esprimono l’intenzionalità dei diversi ordinamenti di offrire differenti coni di tutela, adeguati al contesto lavorativo di riferimento.

Estensione del comporto per malattia cronica

Le malattie croniche rappresentano un caso specifico in cui il periodo di comporto può essere oggetto di estensione o adattamento.

Generalmente, per queste tipologie di patologie, la normativa sul lavoro prevede disposizioni particolari che tengono conto della ricorrenza e della durata delle assenze, che possono essere indotte dalla malattia stessa o dalle cure necessarie per gestirla.

La giurisprudenza e le aziende possono adottare soluzioni flessibili per estendere il periodo di comporto o modificarne le condizioni, offrendo ulteriori tutele per evitare il licenziamento a causa di assenze prolungate.

Questo richiede un’attenta valutazione da parte del datore di lavoro, che spesso deve bilanciare il principio di equità con le necessità organizzative dell’azienda.

È altresì importante il ruolo delle leggi in materia di disabilità e inclusione, che possono garantire ulteriori salvaguardie per i lavoratori affetti da patologie croniche, portando eventualmente a rivedere il contratto sulla base di valutazioni più personalizzate.

Conseguenze del superamento del comporto

Il superamento del periodo di comporto comporta conseguenze significative, principalmente la possibilità per il datore di lavoro di procedere al licenziamento del lavoratore per giustificato motivo oggettivo.

Questa possibilità discende dalla necessità dell’azienda di poter garantire la continuità del servizio o della produzione, trovandosi, di fatto, impossibilitata a sostituire temporaneamente il dipendente impossibilitato a rientrare.

Tuttavia, prima dell’avvio della risoluzione del contratto, il datore è tenuto a notificare formalmente il lavoratore, specificando le ragioni e tenendo conto delle possibili tutele aggiuntive, come quella per i portatori di handicap o malattie gravi riconosciute.

In alcuni casi, l’azienda può decidere di adottare politiche più concilianti, offrendo al dipendente la possibilità di un reinserimento ad altre condizioni contrattuali o il trasferimento ad altre mansioni adatte alla sua attuale condizione fisica.

Queste alternative mostrano l’importanza di gestire con attenzione la fase conclusiva del comporto per evitare contenziosi legali o danni reputazionali sia per l’azienda sia per il lavoratore stesso.

 

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