La Sezione Lavoro del Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 230 del 19 maggio 2022, ha dichiarato legittimo il licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto.
Nelle sue motivazioni, il Magistrato adito ha precisato quanto segue.
Il nostro ordinamento prevede numerose cautele che assistono il rapporto di lavoro dei soggetti disabili e che ne favoriscono l’inserimento lavorativo in un’ottica solidaristica, secondo una disciplina che impone al datore di lavoro un serie di oneri aggiuntivi, rispetto ai lavoratori non disabili, diretti a consentire l’espletamento della prestazione lavorativa dell’invalido in modo compatibile con il suo stato di disabilità. Pertanto, non è possibile rinvenire nella parità di disciplina del comporto, tra disabili e non, alcun elemento di discriminazione, sul presupposto che, ove risultino osservate le citate disposizioni, la prestazione resa dal disabile è adeguata alle sue capacità lavorative, allo stesso modo di qualsiasi altro lavoratore non affetto da disabilità. Come, infatti, puntualmente osservato dalla Suprema Corte, “alla stregua della L. n. 482 del 1968, art. 10, comma 1, (sulla disciplina generale delle assunzioni obbligatorie), il quale stabilisce l’applicabilità agli assunti in quota obbligatoria del normale trattamento economico e giuridico, è da escludere la detraibilità dal periodo di comporto delle assenze determinate da malattia ricollegabile allo stato di invalidità (Cass. 20 marzo 1990, n. 2302; Cass. 16 aprile 1986, n. 2697)“; dovendosi semmai la diversità di tutela ricondursi ai principi generali in tema di adempimento contrattuale (art. 2087 c.c.) ed al loro diverso atteggiarsi nel caso di un rapporto di lavoro instaurato con un prestatore invalido, assunto obbligatoriamente a norma della L. 2 aprile 1968, n. 482, dovendo, in tal caso, il datore di lavoro, che a norma dell’ex art. 2087 c.c. deve adottare tutte le misure necessarie per l’adeguata tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, in osservanza delle disposizioni della detta legge, far si che le mansioni alle quali il lavoratore invalido viene adibito siano compatibili con la sua condizione (Cass. 4 aprile 1989, n. 4626; Cass. 18 aprile 200, n. 5066; Cass. 7 aprile 2011, n. 7946; Cass. n. 17720/2011). Pertanto una volta assolto, nei termini sopra indicati, l’obbligo di garanzia della salubrità delle condizioni di lavoro, rapportate, in termini di correttezza e ragionevolezza, alle particolari condizioni di salute del disabile assunto come invalido civile, nessuna diversità di trattamento tra soggetti invalidi e non affetti da disabilita è più consentita, quanto alla determinazione del periodo di comporto.
In questo senso giova rammentare che lo scopo delle regole dettate dall’art. 2110 c.c. per l’ipotesi di assenza determinata da malattia del lavoratore è quello di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e del lavoratore a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento, riversando sull’imprenditore, in parte e per un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente, per modo che il superamento del dato temporale è condizione sufficiente a legittimare il recesso, non essendo necessaria alcuna prova di giustificato motivo oggettivo né di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa o di adibire il lavoratore a mansioni diverse.
L’interesse del lavoratore, anche disabile, a conservare il posto di lavoro deve quindi essere ponderato in relazione sinallagmatica con quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che le assenze cagionano all’organizzazione aziendale. E’ infatti indispensabile soppesare gli interessi giuridicamente rilevanti delle parti del rapporto di lavoro: da un lato l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente con il suo stato fisico e psichico, in una situazione di oggettiva ed incolpevole difficoltà; d’altro Iato l’interesse del datore a garantirsi comunque una prestazione lavorativa utile per l’impresa, tenuto conto che l’art. 23 Cost. vieta prestazioni assistenziali, anche a carico del datore di lavoro, se non previste per legge (Cass. SS.UU. n. 7755/1998) e che la stessa direttiva 2000/78/CE, al Suo considerando 17, “non prescrive … il mantenimento dell’occupazione … di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione”.
Il contemperamento di questi due interessi confliggenti trova poi, nel nostro ordinamento, la sua sede naturale nella contrattazione collettiva: sono quindi le parti sociali ad individuare in che misura e fino a che punto possa riversarsi sull’imprenditore il rischio della assenza dal lavoro del dipendente per malattia.
In conclusione dunque il giudice ha ritenuto legittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto.