La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con Sentenza n. 13066 del 26 aprile 2022, ha stabilito che l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva dell’Unione europea n. 1999/70/CE, si applica anche al personale di livello dirigenziale.
La Corte adita, nella sentenza n. 13066/2022, ha innanzitutto precisato quanto segue.
La Corte di Giustizia, anche con la recente sentenza 16 luglio 2020, in causa C-658/18, ha ribadito che “l’accordo quadro si applica all’insieme dei lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro, purché questi siano vincolati da un contratto o da un rapporto di lavoro ai sensi del diritto nazionale, e fatta salva soltanto la discrezionalità conferita agli Stati membri dalla clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro per quanto attiene all’applicazione di quest’ultimo a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro nonché l’esclusione, conformemente al comma 4 del preambolo dell’accordo quadro, dei lavoratori interinali” (punto 116 che richiama il punto 109 della sentenza 19 marzo 2020, Sanchez Ruiz e a., C-103/18 e C-429/18).
La Corte ha precisato anche che, sebbene spetti agli Stati membri il compito di definire i termini “contratto di assunzione” e “rapporto di lavoro”, tuttavia il potere discrezionale concesso agli ordinamenti nazionali non può essere esercitato per escludere talune categorie di persone dalle tutele assicurate dall’Accordo quadro. Ne ha tratto la conseguenza che la riserva trova un limite nella necessità di rispettare l’effetto utile voluto dalla direttiva nonché i principi generali del diritto dell’Unione e ne ha desunto l’inapplicabilità dell’Accordo nella sola ipotesi in cui la qualificazione non sia arbitraria, in ragione della natura del rapporto in discussione “sostanzialmente diversa da quella che lega ai loro datori di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale, rientrano nella categoria dei lavoratori” (punto 48 della sentenza 10 marzo 2012, O’Brien, C-393/10 richiamata al punto 118 della decisione).
L’interpretazione delle norme Eurounitari, come è noto, è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa. A tali decisioni, infatti, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto dell’Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (cfr. fra le tante Cass. n. 2468/2016 e Cass. n. 22558/2016).
Dai principi sopra richiamati discende quindi che il rapporto dirigenziale, di natura subordinata secondo il diritto nazionale, rientra a pieno titolo nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE, perché lo stesso non può essere ricondotto a nessuna delle ipotesi di esclusione previste dal comma 2. Ed infatti di detta applicabilità la Corte Suprema non ha mai dubitato allorquando è stata chiamata ad applicare la clausola 4 dell’Accordo quadro ai rapporti dirigenziali a termine instaurati dalle amministrazioni pubbliche (cfr. Cass. n. 7440/2018 sull’applicazione della clausola 4 ai dirigenti sanitari assunti a tempo determinato; Cass. n. 5516/2015 e Cass. n. 20460/2018 sui dirigenti assunti a termine dagli enti locali ai sensi dell’articolo 110 TUEL).
In conclusione, dunque, ed applicando adeguatamente tali principi, anche il rapporto dirigenziale deve essere fatto rientrare a pieno titolo del campo di applicazione della direttiva: “i dirigenti sono legati al datore di lavoro da un rapporto di natura subordinata sotto questo aspetto in tutto e per tutto equiparabile a quello di cui sono titolari gli altri lavoratori e non rientrano in nessuna delle ipotesi di esclusione espressamente contemplate dalla normativa Eurounitaria”.