Licenziamento collettivo annullabile e non nullo se violati i criteri di scelta
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza 14 aprile 2021, n. 9828, ha stabilito che il licenziamento collettivo è annullabile (e non nullo) tutte le volte in cui siano violati i criteri di scelta dei lavoratori, con la conseguenza che l’azione di annullamento non può essere proposta da chiunque, bensì solo dai lavoratori nei cui confronti tale violazione abbia influito sulla collocazione in mobilità e non da tutti i lavoratori licenziati.
In tema di licenziamento collettivo, ha ribadito infatti la Corte, il relativo annullamento per violazione dei criteri di scelta ai sensi della L. n. 223 del 1991, articolo 5, non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma soltanto da coloro che, tra essi, abbiano in concreto subito un pregiudizio per effetto della violazione, perché avente rilievo determinante rispetto alla collocazione in mobilità dei lavoratori stessi (Cass. 13871 del 22/05/2019; Cass. n. 24558 dell’1.12.2016).
Tale giurisprudenza, muove dalla premessa secondo cui l’invalidità del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta rientra nel novero dell’annullabilità ex articolo 1441 c.c., comma 1 e non in quello della nullità, talché l’azione per l’annullamento può essere proposta non da chiunque vi abbia interesse (inteso in termini di interesse ad agire) ma soltanto da parte dei titolari dell’interesse di diritto sostanziale.
In base a tale insegnamento, nell’ipotesi di annullabilità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta, l’annullamento non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma soltanto da quelli in ordine ai quali la violazione abbia influito sulla collocazione in mobilità del lavoratore.
La Corte ha poi ricordato che ai sensi della L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 3, il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, è inefficace soltanto qualora sia intimato senza l’osservanza della forma scritta o in violazione delle procedure richiamate dall’articolo 4, comma 12, ed è annullabile per violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, della medesima disposizione.
Il comma 12, statuisce che le comunicazioni di cui al comma 9, siano prive di efficacia ove effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dalla norma e che gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2, possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo. Orbene, appare evidente già dalla piana lettura dell’assetto normativo richiamato che, al di là delle ipotesi di licenziamento privo della forma scritta inefficace de jure già in base ai principi generali – possa ipotizzarsi il difetto di efficacia della comunicazione inerente il recesso soltanto qualora non risultino rispettate le procedure previste dalla legge e posto che eventuali vizi relativi alla comunicazione alle rappresentanze sindacali di cui dell’articolo 4 medesimo, comma 2, possono in ogni caso essere sanate nell’ambito dell’accordo sindacale che venga concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.
D’altro canto, della L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 3, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 46, stabilisce che qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 1 e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui del predetto articolo 18, comma 7, terzo periodo. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui del medesimo articolo 18, comma 4.