L’Agenzia delle Entrate con Risposta n. 221 del 29.03.2021 ha precisato che gli sconti applicati ai dipendenti di un’azienda di abbigliamento non sono soggetti a tassazione poiché il prezzo scontato pagato dai lavoratori è pari al valore normale (ove per valore normale si intende: “il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”). E sul punto ha evidenziato l’Agenzia delle Entrate che il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto gratuitamente, dal momento che se, invece, per la cessione dello stesso il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale del bene ricevuto e le somme pagate.
Nella fattispecie in esame, si osserva poi che il prezzo pagato dai dipendenti della Società istante è superiore a quello pagato dai soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione. Pertanto, il prezzo pagato dal lavoratore dipendente non si configura quale corrispettivo simbolico che maschera l’erogazione di una retribuzione. Sulla base di tali considerazioni, ha concluso l’Agenzia delle Entrate non si ravvisa alcuno “sconto” fiscalmente rilevante, né materia fiscalmente imponibile, considerato che il lavoratore corrisponde il valore normale del bene al netto degli sconti d’uso.
Nessun rilievo emerge, poi, con riferimento al fatto che la riduzione di prezzo venga riconosciuta attraverso una card, configurandosi la stessa come uno «strumento tecnico attraverso il quale viene consentita la fruizione dello sconto».
Vediamo nel dettaglio la questione sottoposta al vaglio dell’Agenzia e la risposta fornita da quest’ultima al riguardo.
QUESITO
L’Istante è una Società operante nel mercato dell’abbigliamento.
Per la produzione dei propri prodotti la Società istante si rivolge a terzisti; i beni sono poi commercializzati tramite:
– punti vendita di proprietà, gestiti da propri dipendenti;
– negozi in franchising gestiti da dipendenti di partner commerciali;
– contratti di somministrazione (fornitura prodotti) gestito da dipendenti di partner commerciali.
Ciò premesso, con il principale intento di rafforzare il proprio “brand” e la propria presenza sul mercato, l’Istante ritiene importante veicolare i propri prodotti anche tramite il coinvolgimento della forza lavoro e, a tal fine, intende intraprendere una serie di iniziative nei confronti dei propri dipendenti.
In particolare, sarebbe intenzione della Società attribuire a tutti i propri dipendenti una “card” che consenta agli stessi di acquistare prodotti con uno sconto rispetto al prezzo di listino (in seguito, “card sconto“). La card sarebbe nominativa, non cedibile, utilizzabile esclusivamente dal dipendente e non cumulabile con iniziative analoghe adottate sul mercato (ad esempio allorquando la Società adotta delle campagne di sconto nei confronti della totalità della clientela).
Lo sconto sarebbe pari a circa il 25 per cento del prezzo di vendita finale del prodotto. Con specifico riferimento all’ammontare dello sconto viene precisato che:
– il dipendente pagherebbe un prezzo in ogni caso superiore rispetto a quello che la Società pratica nei confronti dei soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione, nonché maggiore rispetto al costo sostenuto dall’Istante;
– in alcuni periodi dell’anno lo sconto praticato al dipendente potrebbe essere di eguale importo rispetto a quello di cui si possono avvantaggiare gli altri clienti.
Con l’istanza di interpello in esame, l’Istante chiede se la concessione della “card sconto” ai propri dipendenti possa rappresentare per gli stessi un compenso in natura imponibile e, come tale, soggetto alla ritenuta in acconto Irpef prevista dall’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’Istante ritiene che nella fattispecie rappresentata non emerga alcun reddito imponibile in capo ai lavoratori e, pertanto, non debbano essere effettuate ritenute alla fonte ai sensi dell’articolo 23 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Ad avviso dell’Istante, attraverso la concessione della “card sconto” la Società intende rafforzare il senso di appartenenza all’azienda della propria forza lavoro.
Inoltre, è nell’interesse dell’Istante che il dipendente sia “promotore” dei beni venduti, pertanto la Società vuole incentivare i lavoratori ad acquistare propri beni piuttosto che quelli dei concorrenti. È, inoltre, indubbio che l’assegnazione della “card sconto” avrebbe una positiva ricaduta in termini di vendite, consentendo all’azienda di individuare una fascia di mercato, costituita dai propri dipendenti, sicuramente facilmente raggiungibile.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 51, comma 1, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), dispone che «Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
Tale disposizione sancisce, quale principio base, l’onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, ovvero l’assoggettamento a tassazione, in generale, di tutto ciò che il lavoratore dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro.
L’ampia locuzione legislativa ricomprende, oltre alla retribuzione corrisposta in denaro, anche quei “vantaggi economici” che i lavoratori subordinati possono conseguire ad integrazione della stessa. Trattasi, in particolare, di compensi in natura, consistenti in opere, servizi, prestazioni e beni, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro.
Al riguardo, il primo e il secondo periodo del comma 3 del medesimo articolo 51 prevede «Ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1 (…) si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’articolo 9. Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista».
In particolare, il citato articolo 9 al comma 3 prevede che per «Per valore normale (…) si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso».
In base alla lettera della disposizione riportata che fa espresso riferimento agli “sconti d’uso“, con la risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E è stato precisato che per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro.
Nel caso in cui il datore di lavoro commercializza e vende ai propri dipendenti beni o servizi ad un prezzo scontato, l’eventuale rilevanza reddituale deve essere considerata in base alle sopra esposte regole ordinarie che governano la categoria reddituale in esame, ovvero in ragione del principio di onnicomprensività enunciato dall’articolo 51, comma 1, del Tuir (cfr. risoluzione 29 maggio 2009, n. 137/E).
Al riguardo, come chiarito dal Ministero delle Finanze con circolare 23 dicembre 1997, n. 326 il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto gratuitamente, dal momento che se, invece, per la cessione dello stesso il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale del bene ricevuto e le somme pagate.
Nella fattispecie in esame, si osserva che il prezzo pagato dai dipendenti della Società istante è superiore a quello pagato dai soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione. Pertanto, il prezzo pagato dal lavoratore dipendente non si configura quale corrispettivo simbolico che maschera l’erogazione di una retribuzione.
Inoltre, lo sconto praticato ai dipendenti non supera quello applicato, in alcuni periodi dell’anno, agli altri clienti e non può essere cumulato con altre iniziative commerciali analoghe adottate in favore della clientela.
Sulla base di tali considerazioni, nella fattispecie rappresentata non si ravvisa alcuno “sconto” fiscalmente rilevante, né materia fiscalmente imponibile, considerato che il lavoratore corrisponde il valore normale del bene al netto degli sconti d’uso.
La rilevanza fiscale dello sconto applicato sul prezzo dei capi di abbigliamento acquistati dai dipendenti della Società istante genererebbe infatti, una disparità di trattamento tra i clienti dell’Istante che potrebbero acquistare la merce ad un prezzo scontato e i dipendenti della medesima Società che vedrebbero tassato il “vantaggio economico”.
Infine, la circostanza che lo sconto è riconosciuto al dipendente attraverso la “card sconto“, ad avviso della scrivente, non osta all’irrilevanza fiscale del “vantaggio economico”, dal momento che le caratteristiche della card, ovvero l’essere nominativa, non cedibile, utilizzabile esclusivamente dal dipendente e non cumulabile con iniziative analoghe adottate sul mercato, consentono di configurarla quale un mero strumento tecnico attraverso il quale viene consentita la fruizione dello sconto.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
(Fonte: Agenzia delle Entrate)