L’INL, nota n. 473 del 22 marzo 2021, ha fornito risposta ad un quesito concernente la possibilità di applicare il regime sanzionatorio previsto dall’art. 1, comma 913, della L.n. 205/2017 nei casi di mancata esibizione, da parte del datore di lavoro, di documentazione attestante il pagamento della retribuzione con strumenti tracciabili, anche a fronte di dichiarazione del lavoratore che confermi di non essere stato pagato in contanti.
Di seguito il testo della nota 473/2021.
In relazione alle modalità attraverso le quali i datori di lavoro possono effettuare la corresponsione della retribuzione e alle procedure di contestazione della violazione di cui al citato art. 1, commi 910 – 913, della L. n. 205/2017, si richiamano le note n. 4538 del 22 maggio 2018, n. 5828 del 4 luglio 2018 e n. 7369 del 10 settembre 2018.
Al riguardo particolare rilevanza, ai fini della soluzione del quesito posto, deve essere attribuita alla disposizione, introdotta all’ultimo periodo del comma 912, secondo cui “la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione”.
In senso del tutto analogo, non appare possibile accordare rilevanza, ai fini dell’esclusione della responsabilità del datore di lavoro, alla dichiarazione resa dal lavoratore che confermi di essere stato pagato con gli strumenti previsti dal comma 910, in assenza della relativa prova ricavabile dalla tracciabilità intrinseca di tali mezzi di pagamento.
A ben vedere è proprio in ragione della precipua capacità di tali strumenti di fornire prova del loro utilizzo che il legislatore li ha imposti ai fini del pagamento delle retribuzioni.
Per tale motivo, la Scrivente ha avuto modo di precisare, nelle citate note, che l’osservanza dell’obbligo normativo è strettamente connesso alla effettiva tracciabilità delle operazioni di pagamento e alla loro possibile verifica da parte degli organi di vigilanza.
Ciò in particolare in riferimento a quei mezzi di pagamento che – sebbene non esplicitamente consentiti dalla legge – sono stati ritenuti comunque idonei ad assolvere alla funzione antielusiva della norma, in quanto pur sempre tracciabili, come ad esempio il pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente o conto di pagamento ordinario, soggetto alle dovute registrazioni e non un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento, come prescritto dalla lett. c) del comma 910 (cfr. nota 7369 del 10 settembre 2018).
Sussiste peraltro, per le medesime ragioni, in capo al datore di lavoro, un obbligo di conservazione della documentazione – in particolare delle ricevute di versamento – anche nei casi di versamenti effettuati su carta di credito prepagata intestata al lavoratore, non collegata ad un IBAN (ricompresa tra gli “strumenti di pagamento elettronico” previsti dalla lett. b del comma 910 dell’art. 1 – cfr. nota n. 5828 del 4 luglio 2018), al fine di garantire l’effettiva tracciabilità delle operazioni eseguite, anche attraverso la loro esibizione agli organi di vigilanza.
Resta salva, nelle ipotesi di dubbia corresponsione della retribuzione attraverso gli strumenti prescritti, la precisazione contenuta nella nota n. 7369 del 10 settembre 2018, che rimette pur sempre alla valutazione del personale ispettivo – sulla base delle circostanze del caso concreto e degli elementi acquisiti in sede di accertamento – l’eventuale attivazione delle ivi indicate procedure per le verifiche presso gli Istituti di credito, differenziate a seconda del sistema di pagamento adottato, anche per escludere “la corresponsione della retribuzione in contanti direttamente al lavoratore” e conseguentemente la sussistenza della fattispecie illecita prevista dalla norma.
(Fonte: INL)