L’INL, con Circolare n. 1 del 2021 ha fatto il punto sul lavoro intermittente con particolare riguardo al campo di applicazione e al ruolo della contrattazione collettiva.
Ecco quanto si legge nella circolare n. 1/2021.
L’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con note prot. n. 930 e n. 931 del 1° febbraio 2021, ha fornito importanti indicazioni in ordine al campo di applicazione del lavoro intermittente, anche in ragione delle più recenti pronunce giurisprudenziali in materia.
Una prima indicazione riguarda il ruolo della contrattazione collettiva che, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 81/2015, è chiamata ad individuare le esigenze che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale “anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”.
Sul punto, il Ministero del lavoro si era già espresso con risposta ad Interpello n. 37 del 2008 e con nota n. 18194 del 2016, il cui contenuto, stando alle indicazioni ora venute dallo stesso Ministero, deve ritenersi tuttavia superato alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 29423 del 13 novembre 2019.
Pur riferendosi alla analoga disciplina dell’istituto contenuta nel d.lgs. n. 276/2003, la richiamata sentenza ha evidenziato che “l’art. 34, comma 1, d.lgs n. 276 del 2003 si limita, infatti, a demandare alla contrattazione collettiva la individuazione delle <esigenze> per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale; né un siffatto potere di veto può ritenersi implicato dal richiamato <rinvio> alla disciplina collettiva che concerne solo un particolare aspetto di tale nuova figura contrattuale e che nell’ottica del legislatore trova verosimilmente il proprio fondamento nella considerazione che le parti sociali, per la prossimità allo specifico settore oggetto di regolazione, sono quelle maggiormente in grado di individuare le situazioni che giustificano il ricorso a tale particolare tipologia di lavoro”.
La sentenza de qua mette dunque in evidenza la circostanza secondo cui alle parti sociali è affidata l’individuazione delle sole “esigenze” che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale ed anche il Ministero del lavoro ha posto in rilievo come “alle parti sociali non sia stato riconosciuto alcun altro potere al di fuori di tale particolare aspetto e, in special modo, il potere di interdire l’utilizzo di tale tipologia contrattuale nel settore regolato”.
Ne consegue dunque la necessità di conformarsi alla pronuncia della Suprema Corte, nel senso di non tener conto, nell’ambito dell’attività di vigilanza, di eventuali clausole sociali che si limitino a “vietare” il ricorso al lavoro intermittente.
In tali casi – ferme restando le indicazioni già fornite in altre occasioni in ordine all’inefficacia delle clausole contrattuali in materia di lavoro intermittente da parte di contratti sottoscritti da soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi – occorrerà quindi verificare se il ricorso al lavoro intermittente sia invece ammissibile in virtù della applicazione delle ipotesi c.d. oggettive individuate nella tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 ovvero delle ipotesi c.d. soggettive, ossia “con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.
Lavoro intermittente e autotrasporto
La anzidetta questione è collegata a quella concernente la possibilità di ricorrere al lavoro intermittente nel settore dell’autotrasporto.
Il Ministero del lavoro ha al riguardo chiarito che l’attuale contrattazione collettiva di settore non contiene specifiche previsioni in ordine alla individuazione delle “esigenze” per le quali è consentita la stipula del contratto intermittente.
Di conseguenza – ferma restando l’eventuale presenza di ipotesi c.d. soggettive – si deve fare riferimento alla citata tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 che, tra le attività da considerare di carattere discontinuo annovera, al punto 8, quella del “personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’ispettorato dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità”.
Stante la formulazione della disposizione (e la punteggiatura in essa utilizzata) il Ministero ha argomentato che la discontinuità è dunque riferibile alle attività del solo personale addetto al carico e allo scarico, quale ulteriore “sotto categoria” rispetto a quanti sono adibiti al trasporto tout court, “con esclusione delle altre attività ivi comprese quelle svolte dal personale con qualifica di autista”.
A questa interpretazione – ha altresì precisato il Ministero – non è di ostacolo la citata sentenza n. 29423/2019 la quale, come sopra accennato, si è limitata a stabilire il principio secondo cui non è previsto, in capo alla contrattazione collettiva, alcun potere di interdire il ricorso a tale tipologia contrattuale, senza dunque affrontare la questione interpretativa del punto 8 della tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923.
(Fonte: INL)