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Applicare i protocolli anti-covid potrebbe tutelare il datore di lavoro dal rischio penale del contagio dei lavoratori. È quanto introdotto dall’art. 29-bis della legge di conversione del Decreto Legge 8 aprile 2020 n. 23 (e cioè la Legge 5 giugno 2020 n. 40).

Come è noto l’art. 42 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 (il c.d. Cura Italia) ha stabilito che l’infezione da coronavirus in occasione di lavoro è qualificabile come infortunio sul lavoro.

Successivamente anche l’INAIL, con la Istruzione operativa 20 maggio 2020, ha cercato in qualche modo di meglio chiarire la posizione dei datori di lavoro, esposti al rischio di subire imputazioni penali e richieste di risarcimento da parte dei lavoratori, ma anche qui con scarsi risultati se non quelli di accrescere ancor di più i dubbi e i timori datoriali, vista la difficoltà estrema sia di far riferimento a misure specifiche di tutela nei luoghi di lavoro, sia l’estrema difficoltà a stabilire se un lavoratore si fosse effettivamente contagiato sul luogo di lavoro a causa di carenze di tutele da parte dell’azienda o altrove.

Dunque l’art. 29-bis della Legge 5 giugno 2020 n. 40, di conversione del D.L. 23/2020 pur non prevedendo esplicitamente una norma di salvaguardia penale di carattere generale ha affermato un importante principio e cioè:

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1. Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché  mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Ciò significa che il datore di lavoro, a norma dell’art. 2087 c.c., è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie per la salvaguardia della integrità fisica dei lavoratori, pur non specificando apertamente le misure concrete da adottarsi. Pertanto, in adesione a tale statuizione e relativamente al rischio di contagio Covid-19, per il datore di lavoro sarà sufficiente dimostrare di aver adempiuto al proprio obbligo di tutela dei lavoratori mediante l’applicazione e l’efficace mantenimento delle misure previste nel Protocollo Condiviso del 24 aprile 2020, nonché delle linee guida adottate dalle singole Regioni o dalla Conferenza Stato-Regioni e/o Province autonome. Quindi, in caso di richieste risarcitorie o imputazioni in processi penali, per il datore di lavoro sarà sufficiente dimostrare di aver adottato ed applicato in modo rigoroso tutti i protocolli e linee guida previsti in materia.

Naturalmente, risulta fondamentale che i lavoratori siano ampiamente e correttamente informati sulla natura e sugli effetti del virus, nonché sulle specifiche misure adottate dall’azienda (in relazione ovviamente al settore di riferimento) per la prevenzione del contagio. Altro aspetto non meno importante è la distribuzione documentata (a fini probatori in caso di contestazione) ai lavoratori dei dispositivi di protezione individuale – DPI, oltre all’obbligo del distanziamento sociale, ad evitare gli assembramenti, la sorveglianza sanitaria, ecc.

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