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Diritto del lavoratore invalido allo smart working durante l’emergenza covid

Assegno mensile invalidità e requisito inattività lavorativa

Il Tribunale di Grosseto, con ordinanza del 22 aprile 2020, offre un interessante punto di riflessione a proposito del riconoscimento del diritto di un lavoratore invalido allo smart working, durante l’emergenza da covid-19.

I fatti di causa.

Con ricorso ex art. 700 c.p.c., un dipendente di E. S.p.A. con contratto a tempo indeterminato e mansioni di addetto al servizio assistenza legale e contenzioso (inquadramento 5° livello del CCNL del settore commercio e terziario) lamentava che il datore di lavoro aveva illegittimamente rifiutato di adibirlo al lavoro c.d. agile, nonostante tutti i colleghi del suo reparto lo fossero già stati.

Evidenziava che, nell’attuale periodo di crisi sanitaria connessa ai noti problemi della diffusione del Covid19, avrebbe avuto diritto ad essere preferito nell’assegnazione alla modalità di smart working in ragione della previsione di cui all’art. 39, co. 2, D.L. 17 marzo 2020 n. 18 in quanto portatore di patologia da cui era derivato il riconoscimento di un’invalidità civile con riduzione della sua capacità lavorativa.

L’azienda invece si era limitata a prospettargli il ricorso alle ferie “anticipate”, da computarsi su un monte ferie non ancora maturato, in alternativa alla sospensione non retribuita del rapporto fino alla cessazione della lamentata incompatibilità (e, quindi, quantomeno fino al 30.4.2020, data della prevista nuova visita medica).

Si costitutiva in giudizio la E. S.p.A datrice di lavoro. rimarcando l’infondatezza del ricorso avendo essa proceduto alla scelta dei soggetti da collocare in lavoro agile all’epoca in cui il ricorrente si trovava in malattia e trovandosi, in seguito, nell’impossibilità di modificare l’organigramma del personale cui era consentito lavorare in remoto, salvo affrontare costi significativi in termini economici ed organizzativi in generale. Contestava poi l’ammissibilità di una condanna ad un facere infungibile, rilevava in definitiva l’insussistenza del fumus boni iuris e dello stesso periculum in mora quali requisiti necessari del ricorso cautelare in esame, invocandone quindi l’integrale rigetto anche in considerazione della circostanza che l’eventuale provvedimento giudiziale non avrebbe in ogni caso avuto validità per il periodo successivo al 2 maggio 2020, termine finale di operatività delle previsioni in tema di strumenti urgenti di contenimento della diffusione del virus.

IL RAGIONAMENTO DEL GIUDICE SULLA QUESTIONE DEL RIFIUTO AL LAVORO AGILE

Il dipendente svolgeva, come si è detto, mansioni di carattere impiegatizio occupandosi della gestione del contenzioso, in particolare degli insoluti. Si tratta, nello specifico, di un’attività cd. di back office o, in altri termini, di retro-sportello, cui è tipicamente estraneo il confronto diretto con il pubblico. Inoltre il lavoratore in questione è affetto da una grave patologia polmonare che ha determinato il riconoscimento di un’invalidità civile con decorrenza dal 6.12.2018 per la riduzione permanente della sua capacità lavorativa al 60% con riduzione anche della capacità di deambulazione.

Con comunicazione del 2.3.2020, il lavoratore chiedeva alla società datrice di lavoro di poter usufruire dello smart working in considerazione della “personale condizione patologica” (oltre che “degli eventi drammatici che stanno interessando il nostro paese”). A tale comunicazione il ricorrente allegava il verbale della commissione medica per l’invalidità civile ed a quella data egli non si trovava ancora in malattia (periodo iniziato dal 4.3.2020 e cessato al 20.3.2020)

La resistente affida le motivazioni della presunta impossibilità di soddisfare la richiesta del lavoratore di assegnazione al lavoro agile a vaghe, quanto poco plausibili, difficoltà di carattere organizzativo ed ai conseguenti costi che la predisposizione dei mezzi per il lavoro da remoto sul pc aziendale del ricorrente avrebbe comportato; motivazioni, legate a costi e difficoltà, che, per un’importante società per azioni operante nel settore della fornitura di energia elettrica e gas sul territorio nazionale, appaiono pretestuose ed incomprensibili a fronte della già attuata misura in favore degli altri dipendenti del medesimo reparto del ricorrente e dei, ragionevolmente, circoscritti interventi necessari per mettere in condizioni il C. di lavorare da remoto. Tutto ciò tenuto altresì conto che, già in data 17.3.2020, il ricorrente aveva rappresentato all’azienda di aver provveduto all’installazione di una rete wi-fi mobile presso il proprio domicilio, chiedendo di poter ritirare il pc aziendale appositamente configurato; richiesta reiterata in data 20.3.2020 (venerdì), al termine del periodo di malattia ed in previsione del ritiro per il successivo lunedì.

Per il Giudice di Grosseto, risulta priva di pregio giustificatorio l’invocata contingenza secondo cui la società datrice di lavoro avrebbe provveduto a collocare in smart working solo i dipendenti che erano a lavoro nella settimana dal 9 al 13 marzo, periodo in cui il C. si trovava in malattia, poiché ben avrebbe potuto adottare per tempo le misure organizzative invocate dal ricorrente in previsione del suo rientro, laddove è pacifico che l’azienda ha adottato la modalità di smart working per i tutti i colleghi di reparto del ricorrente. Né la resistente società ha indicato le ragioni per le quali – oltre quelle organizzative, non apprezzabili, appena accennate – non avrebbe potuto fare a meno della presenza fisica in azienda del solo C. (e non anche degli altri colleghi di reparto che stanno lavorando da casa) o non avrebbe potuto, in ipotesi, prevedere criteri turnari tra il personale.

Non meno fragile, sempre secondo il Giudice di Grosseto, la tesi secondo cui il certificato medico del medico di temporanea inidoneità alla mansione specifica datato 3.4.2020 avrebbe imposto alla resistente di non adibire ad alcuna attività lavorativa il C.. Appare infatti evidente che il certificato si limita ad indicare l’allontanamento dal posto di lavoro in quanto, a causa delle patologie croniche polmonari preesistenti, il lavoratore non poteva essere sottoposto a rischi aggiuntivi di contrarre l’infezione da Covid19, che notoriamente grava proprio sull’apparato respiratorio. E per posto di lavoro, cui fa riferimento il certificato, non può che intendersi il luogo ove abitualmente il lavoratore presta l’attività lavorativa, ovvero la sede operativa di E. in Grosseto, non certo il domicilio, non essendo rilevabile alcun nesso diretto tra la patologia e l’attività lavorativa in sé, sebbene svolta in ambiente domestico e, come tale, protetto.

Il Giudice di Grosseto ha quindi analizzato la portata, rispetto alla vicenda in esame, delle previsioni in tema di lavoro agile dettate dalla recente normativa d’urgenza e in particolare quella di cui all’art. 39 D.l. 18/2020.

È noto che a partire dal mese di febbraio di quest’anno sono stati emanati numerosi provvedimenti emergenziali allo scopo di contenere la diffusione del Covid-19. Tutta la normativa straordinaria ed urgente cerca di coniugare la salvaguardia dell’attività lavorativa (soprattutto nei settori considerati essenziali, come quello relativo all’attività della resistente) con le esigenze di tutela della salute e di contenimento della diffusione dell’epidemia. In tale contesto, il ricorso al lavoro agile, disciplinato in via generale dalla legge 22 maggio 2017, n. 81, è stato considerato una priorità. Per ovvie ragioni, tale modalità lavorativa non può, né poteva, essere imposta in via generale ed indiscriminata; cionondimeno la stessa è stata, reiteratamente e fortemente, raccomandata ed addirittura considerata modalità ordinaria di svolgimento della prestazione nella P.A. (cfr. art. 87 D.L. 17 marzo 2020 n. 18). Inoltre, ai sensi dell’art. 39, co. 2, D.L. ult. cit., “ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81” (il comma precedente disciplina il diritto allo svolgimento di siffatta tipologia di lavoro nel caso di lavoratori, o loro familiari, nelle condizioni di cui all’art. 3, co. 3, della L. 104/1992). Non è contestato, e del resto risulta documentalmente, che il ricorrente si trovi in situazione di ridotta capacità lavorativa e abbia dunque titolo di priorità.

Il D.P.C.M. 10 aprile 2020 nel ribadire, alla lettera hh) dell’art. 1, la volontà di promuovere il lavoro agile “raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente e dall’art. 2, comma 2.” Il che equivale a dire che, laddove il datore di lavoro privato sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile, e (come nel caso in esame) ne abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute.

In altre parole, la resistente non assume l’impossibilità di ricorrere allo smart working e, del resto, come già ricordato, è incontestato che tutti i colleghi del ricorrente siano stati già messi nelle condizioni di svolgere il loro lavoro impiegatizio presso il domicilio. Ne deriva che non risultano in assoluto pertinenti argomentazioni o motivazioni che facciano leva sulla circostanza che le previsioni normative emergenziali si siano limitate a mere raccomandazioni o a fare riferimento alla semplice possibilità del ricorso al lavoro agile allo scopo di escludere, con ciò, la configurabilità di qualsivoglia dovere o responsabilità su parte datoriale in tal senso. Non si intende qui certo sostenere che vi sia un generalizzata previsione normativa cogente, ma semplicemente che, accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere allo smart working, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore, tantomeno laddove vi siano titoli di priorità legati a motivi di salute. Con ciò impregiudicata ogni riserva di valutazione nel merito connessa al legittimo esercizio del potere di iniziativa imprenditoriale costituzionalmente garantito.

Non è tuttavia sottratta al riscontro giudiziale la specifica verifica se il datore di lavoro, nel far ricorso al lavoro agile, abbia ingiustificatamente penalizzato il singolo lavoratore o pretermesso diritti garantiti ex lege.

Si ritorna così all’unica argomentazione offerta in proposito da parte resistente ovvero la circostanza che il C. si trovava in malattia allorché è stato organizzato lo smart working in azienda con le connesse difficoltà e costi di una successiva riorganizzazione che tenesse conto del suo, ampiamente prevedibile ed addirittura espressamente anticipato, rientro a lavoro. In merito alla fragilità ed inaccoglibilità di siffatte argomentazioni deve concludersi che l’azienda, senza sforzo apprezzabile, ben avrebbe potuto mettere il lavoratore invalido N.C. in condizioni di operare da remoto.

La promozione del godimento delle ferie appare, del resto, una misura comunque subordinata – o quantomeno equiparata, non certo primaria – laddove vi siano le concrete possibilità di ricorrere allo smart working e il datore di lavoro privato vi abbia fatto ricorso.

Non solo.

Nel caso specifico il lavoratore, aderendo al precipuo invito del datore di lavoro in relazione al contingente periodo emergenziale, ha usufruito delle ferie maturate, relative sia all’anno precedente che a quello in corso, laddove la società ha inteso indurlo a far ricorso anche a ferie non ancora maturate, a valere quindi sul monte futuro. Il che, non solo non trova fondamento normativo alcuno, ma si profila, già in astratto, contrario al principio generale per cui le ferie (maturate) servono a compensare annualmente il lavoro svolto con periodi di riposo, consentendo al lavoratore il recupero delle energie psicofisiche e la cura delle sue relazioni affettive e sociali, e pertanto maturano in proporzione alla durata della prestazione lavorativa. In quanto tale, il godimento delle (id est, il diritto alle) ferie non può essere subordinato nella sua esistenza e ricorrenza annuale alle esigenze aziendali se non nei limiti di cui all’art. 2109, co. 2, cod. civ. e nel rispetto delle previsioni dei singoli contratti collettivi, avuto riguardo ai principi costituzionali affidati all’art. 36 della carta.

CONCLUSIONI – ILLEGITTIMITA’ DELLE SCELTE DATORIALI

Deve quindi concludersi che, nello specifico contesto come sopra riassunto, il rifiuto di ammettere il ricorrente allo smart working e la correlata prospettazione della necessaria scelta tra la sospensione non retribuita del rapporto e il godimento forzato di ferie non ancora maturate si profilano illegittimi.

SUL PERICULUM IN MORA

Sussiste altresì il cd. periculum in mora atteso che il ricorrente, non potendo rientrare fisicamente in azienda almeno fino al 30.4.2020 ed avuto riguardo al tempo ordinariamente occorrente per fare valere i propri diritti in via ordinaria, si troverebbe di fronte alla scelta tra due distinte, ingiustificabili, rinunce: alla retribuzione o al godimento annualmente ripartito delle ferie come via via maturate in ragione del lavoro prestato. In entrambi i casi con sicura compromissione di diritti fondamentali ed intangibili del lavoratore.

Tale comprovata, specifica, circostanza di fatto induce a ritenere sussistente il pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile e dunque esistente il concreto pericolo di lesione di beni patrimoniali e non patrimoniali non integralmente risarcibili per equivalente.

ESITO – ACCOGLIMENTO DEL RICORSO – RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO DEL LAVORATORE ALLO SMART WORKING

Alla luce di tutte le superiori argomentazioni il ricorso deve essere accolto con la seguente, necessaria, precisazione temporale.

Non è possibile accedere ad una tutela, che trova il proprio fondamento nell’attuale legislazione emergenziale, con estensione più ampia di quella che la stessa legislazione prevede e consente. In altri termini, le misure di salvaguardia della salute e di contenimento della pandemia sono state gradualmente introdotte, confermate o estese sempre avuto riguardo alla situazione sanitaria contingente. De iure condito, l’orizzonte temporale invalicabile è costituito dalla data del 2 maggio 2020 per cui l’eventuale estensione del lavoro agile in favore del C. non potrà che essere rimessa ad una nuova valutazione, avuto riguardo alle sopravvenienze normative ed agli apprezzamenti riservati, nello specifico, al medico competente.

In ragione della peculiarità della vicenda e della necessità di assicurare il rispetto della presente pronuncia con effetto immediato a fronte della brevità dell’arco temporale (allo stato) residuo con riferimento alla cogenza di essa, si ritiene che sussistano le condizioni per la concessione del richiesto strumento di coercizione indiretta ex art. 614 bis cpc con lo scopo di incentivare l’adempimento dell’obbligo imposto, cui la resistente si è dimostrata refrattaria pur a fronte delle reiterate richieste del ricorrente lavoratore invalido.

Nello specifico, tenuto conto della natura della prestazione, del danno prevedibile, delle condizioni personali e patrimoniali delle parti, si ritiene equo fissare la somma dovuta nella misura richiesta di 50 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento.

P.Q.M.

il Tribunale, sul ricorso ex art. 700 cpc proposto da N. C., così provvede:

– ordina ad E. S.p.A., con effetto immediato e sino al 2 maggio 2020, di consentire al ricorrente N. C. lo svolgimento delle mansioni contrattuali in modalità di smart working;

– fissa nella misura di euro 50 al giorno la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento;

– condanna parte convenuta E. S.p.A. alla rifusione in favore di parte ricorrente delle spese di lite, che liquida in Euro 2.850 per compensi professionali, oltre spese forfettarie, IVA e CPA come per legge.

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