La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 980 del 2020, ha stabilito che in caso di procedimento disciplinare nei confronti di un lavoratore, la malattia non giustifica l’assenza all’audizione richiesta per rendere oralmente le proprie giustificazioni.
Ecco di seguito i fatti di causa.
Con sentenza in data 10 aprile 2018, la Corte d’appello di Bologna rigettava il reclamo proposto da (OMISSIS) (dipendente dal 1983 di (OMISSIS) s.p.a., che dal novembre 1999 al luglio 2014 era stato assegnato al servizio commerciale prima come coordinatore e poi responsabile della filiale di (OMISSIS), quindi direttore dell’ufficio postale (OMISSIS)) avverso la sentenza di primo grado, che, in accoglimento dell’opposizione datoriale avverso l’ordinanza ai sensi della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 49 accertava la legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 28 settembre 2015, rigettando l’impugnazione del lavoratore e le sue conseguenti domande di condanna reintegratoria e risarcitoria.
Il ragionamento della Corte d’Appello…
A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la tardività della contestazione disciplinare (con lettera del 3 agosto 2015), in applicazione del principio di “immediatezza relativa”, tenuto conto della delicatezza e complessità degli accertamenti e dell’arco temporale (tra il 28 dicembre 2012 e il 16 ottobre 2014) di emissione di carte prepagate (OMISSIS), alla luce della tempistica osservata dalla società datrice in relazione alla conoscenza avuta della perquisizione domiciliare del 6 febbraio 2015 nel procedimento penale a carico di (OMISSIS); ed essa negava pure la violazione del suo diritto di difesa per la mancata audizione personale richiesta, a causa di assenza per malattia nelle due date fissategli, senza che peraltro il lavoratore comunicasse ulteriori giustificazioni scritte, sebbene a ciò invitato dalla società datrice. Nel merito, la Corte felsinea accertava siccome provato, in esito ad attento e argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, l’addebito disciplinare contestato di abuso della posizione gerarchica sovraordinata nell’induzione di alcuni colleghi, quanto meno dal 14 luglio 2014 in quanto direttore dell’ufficio postale (OMISSIS), all’attivazione di sette (delle cinquanta) carte prepagate (OMISSIS), tutte rinvenute nella perquisizione domiciliare ed emesse in violazione della procedura interna, in particolare in assenza degli intestatari o comunque senza la loro volontà. Essa riteneva tale comportamento, di grave inadempimento agli obblighi contrattuali, in contrasto con il codice etico aziendale e integrante il reato di uso indebito di carta di pagamento o di credito senza esserne titolare (Decreto Legislativo n. 231 del 2007, articolo 55, comma 9) nei confronti di (OMISSIS) (che aveva poi rimesso la querela), in violazione dell’articolo 52 e, per assimilazione, di alcune ipotesi dell’articolo 54 (lettera a, c, k) CCNL Poste.
…e quello della Corte Suprema
Ad avviso della Corte Suprema, quindi, i giudici del merito hanno (correttamente) ritenuto corretto e in buona fede il comportamento del datore il quale, dopo aver differito il primo incontro, avevano preavvertito il lavoratore che non avrebbero concesso un ulteriore rinvio “per non incorrere in decadenza per tardività del provvedimento di recesso, sulla base dell’articolo 55 del Ccnl per dipendenti di Poste Italiane.”.
Come è noto, il lavoratore, nell’ambito di un procedimento disciplinare, può chiedere di essere ascoltato oralmente dal datore di lavoro, ma per contro non ha il diritto al differimento dell’incontro in caso di malattia che non implichi la possibilità assoluta di allontanarsi temporaneamente da casa. Infatti, ad avviso della Corte Suprema, “lo stato di malattia non integra di per sé solo, un’impossibilità assoluta del lavoratore, che versi in esso, ad allontanarsi da casa, potendo anzi svolgere persino una diversa attività lavorativa e non è, pertanto, condizione ostativa a presenziare all’audizione orale. Occorre, piuttosto, la specifica allegazione e prova della natura ostativa dello stato morboso all’allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura) perché sia integrata l’esigenza difensiva «non altrimenti tutelabile”.