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La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 26603 del 2019, ha reso il seguente principio di diritto in tema di trasferimento del lavoratore per fruizione delle tutele di cui alla legge 104: “per valutare se il lavoratore che fruisce dei permessi per assiste il familiare con handicap in situazione di gravità in base all’articolo 33, comma 5, della legge 104/1992, abbia diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, può essere valorizzato il suo comportamento pregresso”

Occorre la valutazione delle intenzioni delle parti

La Cassazione, in pratica, ha ritenuto “indice della pacifica intenzione di voler prestare continuativa assistenza al familiare con handicap grave il fatto che, nel periodo che ha preceduto la richiesta di trasferimento della sede di lavoro, la dipendente avesse usufruito di un periodo di maternità, di successivi otto mesi di distacco sindacale e, infine, di ulteriori sei mesi di congedo straordinario”.

Le considerazioni della Corte Suprema

“L’astensione ininterrotta dal lavoro protrattasi per oltre due anni da parte della lavoratrice – dapprima per maternità, quindi per distacco sindacale e, infine, per congedo straordinario – è sintomatico, secondo la Cassazione, della volontà di organizzare la propria esistenza in modo da poter continuare ad accudire il familiare affetto da grave handicap e seguirlo nelle attività della vita quotidiana e nelle terapie”. (dal Sole 24 Ore – Quotidiano del Lavoro del 24.10.2019).

In ossequio a tale ragionamento per la Cassazione è legittima la richiesta della lavoratrice, rientrata in servizio dopo un lungo periodo di sospensione, “di trasferimento in una sede prossima al domicilio del familiare da assistere”. La contemporanea conferma della esistenza di sedi disponibili ove poter ricollocare il dipendente determina, il diritto indiscutibile alla scelta della sede di lavoro più vicina, ai sensi dell’articolo 33, comma 5, della legge 104/1992.

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Cosa dice la Legge 104

Come è noto la norma citata prevede che il lavoratore che assista una persona con handicap grave abbia diritto, laddove possibile, di scegliere la sede di lavoro che gli consenta di avvicinarsi al domicilio della persona da assistere.  Invece nel caso all’esame della Suprema Corte, la società datrice di lavoro riteneva che il trasferimento richiesto dalla dipendente non fosse possibile per ragioni di natura economica ed organizzativa, e dunque ragioni prevalenti rispetto alle esigenze legate alla vita privata della dipendente.

Su tali presupposti la società datrice di lavoro aveva impugnato la sentenza di appello che, in accoglimento della domanda avanzata dalla lavoratrice, aveva confermato la condanna della società a trasferire la dipendente nella sede più vicina al domicilio della persona da assistere.

La decisione

La Cassazione sul punto, come si è detto, ha precisato che nel bilanciamento dei contrapposti interessi, laddove emerga che la lavoratrice, alla luce del suo comportamento pregresso, aveva organizzato la propria esistenza allo scopo di poter accudire continuativamente la suocera, a prevalere debba essere il diritto del dipendente a scegliere la sede disponibile più vicina al domicilio del familiare con handicap.

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