La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 22809 del 2019, ha stabilito che è possibile la ripetizione del patto di prova nel caso in cui il datore di lavoro abbia la necessità di verificare, oltre alle qualità professionali, anche il comportamento e la personalità del dipendente relativamente all’adempimento della prestazione.
Il caso all’esame della Corte Suprema
La vicenda in esame è relativa ad un lavoratore, assunto con patto di prova da una società , in qualità di operatore di servizio (conducente di linea) in base a quattro contratti a tempo determinato, nel periodo dal luglio 2011 a settembre 2013; con contratto del 13.12.2013 il predetto era stato assunto a tempo indeterminato, con le medesime mansioni, e con un periodo di prova pari ad un anno, previsto dall’articolo 13 del regolamento all. A al Regio Decreto n. 148 del 1931.
La contestazione disciplinare
Al lavoratore era stata mossa contestazione disciplinare per avere il 10.10.2014, alla guida dell’autobus nella tratta (OMISSIS), con passeggeri a bordo, impegnato un passaggio a livello rimanendo tra le due barriere nel frattempo abbassatesi, si’ da essere stato costretto, per evitare lo scontro col treno, ad eseguire una retromarcia, urtando il portellone dell’autobus contro una delle barriere e danneggiando quest’ultima.
L’intimazione del licenziamento per mancato superamento della prova
Con lettera del 6.11.2014 la società aveva intimato il licenziamento ai sensi dell’articolo 47 del regolamento cit., sul rilievo che la condotta del dipendente, agente in prova, integrasse la fattispecie di cui all’articolo 44, n. 2 o, almeno, quella di cui al Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 42, n. 16, all. A.
Con la stessa lettera, lo (OMISSIS) era stato esonerato dal servizio ai sensi del Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 14, lettera b), all. A, per mancato superamento della prova.
La legittimità del patto di prova per la Corte d’Appello
Sebbene lo (OMISSIS) avesse già lavorato per lo stesso datore e con identiche mansioni, la Corte d’appello ha ritenuto legittimo il patto di prova e, a tal fine, determinante la espressa previsione dello stesso ad opera della legge (Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 9, all. A).
Ha valutato la condotta posta in essere dallo (OMISSIS) come riconducibile alle ipotesi per cui l’articolo 44, n. 2 cit. prevede la retrocessione, oppure a quella per cui l’articolo 42, n. 16, prevede la sospensione; ha ritenuto legittimo il licenziamento ai sensi dell’articolo 47 cit., secondo cui “gli agenti in prova che incorrano in una delle mancanze indicate negli articoli da 42 a 45, del presente regolamento possono essere licenziati in qualunque momento senza compenso alcuno”.
I motivi dell’impugnativa della sentenza innanzi alla Corte Suprema
Avverso tale sentenza il sig. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS) s.r.l., per avere la Corte d’appello ritenuta legittima l’apposizione del patto di prova al contratto di lavoro a tempo indeterminato senza tener conto dei periodi di servizio effettivo espletati dal lavoratore, con le stesse mansioni e lo stesso livello di inquadramento, in esecuzione di plurimi contratti a termine. Ha sostenuto infatti che l’articolo 9 del regolamento cit. (“le assunzioni del personale di ruolo vengono disposte, di regola, per il servizio di prova di cui al titolo III”) non dovrebbe trovare applicazione per il personale con pregresse esperienze lavorative presso la stessa società e con identiche mansioni.
Il ricorrente ha richiamato, poi, le pronunce della Cassazione e della Corte di Giustizia Europea sull’obbligo per i datori di lavoro di considerare i periodi di servizio, prestati con rapporto a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro e con le stesse mansioni o profilo di inquadramento, come unico periodo di lavoro per quanto riguarda le condizioni di impiego, l’anzianità di servizio ecc..
Ha sostenuto anche che in presenza di un patto di prova illegittimo non potesse trovare applicazione l’articolo 47 del regolamento allegato al regio decreto (che consente il recesso senza preavviso del lavoratore in prova anche se incorso in mancanze punibili con sanzioni conservative) e che per l’addebito contestato al lavoratore il regolamento non prevede la destituzione o il licenziamento per giusta causa
Il ragionamento della Corte Suprema
La Cassazione ha ritenuto fondate le motivazioni addotte dal lavoratore licenziato.
La Corte Suprema ha quindi affermato che, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata, l’articolo 9 dell’All. A al Regio Decreto n. 148 del 1931, nel prevedere che le assunzioni del personale di ruolo siano disposte “di regola” per il servizio di prova, non esclude che, ove la verifica dell’interesse di entrambe le parti a sperimentare la convenienza del rapporto sia già intervenuta con esito positivo per le stesse mansioni e per un congruo lasso di tempo, la ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro tra le medesime parti sia ammissibile solo se, in base all’apprezzamento del giudice di merito, vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare, oltre alle qualità professionali, anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute.