L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Circolare n. 5 del 2019 ha fornito agli Ispettori le prime linee guida da adottare durante l’attività di vigilanza finalizzata a scoprire e contenere e debellare il reato di sfruttamento lavorativo perpetrato nei confronti di coloro che – in difficoltà lavorativa o economica – restano vittime di tali gravi e pericolose situazioni e di intermediazione illecita di manodopera.
Ecco quanto si legge nella circolare n. 5/2019.
Dopo un congruo periodo di vigenza del nuovo art. 603 bis c.p. si è resa opportuna l’emanazione delle presenti Linee guida per l’attività di vigilanza in materia di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.
Si premette che le Linee guida vogliono rappresentare un mero contributo alle attività di indagine svolte dal personale ispettivo che, in ogni caso, dovrà tenere preliminarmente conto delle eventuali diverse indicazioni fornite dalle competenti Procure della Repubblica, sia sugli elementi utili alla configurazione del reato, sia sulle metodologie per l’acquisizione dei relativi elementi di prova.
Trattasi infatti di attività di polizia giudiziaria che, fatta salva una prima fase di indagine, va svolta in stretto coordinamento con le competenti Procure e i Carabinieri del Comando per la tutela del lavoro.
Si ricorda anzitutto che la riformulazione del citato art. 603 bis c.p. da parte della L. n. 199/2016 ha
previsto, fra l’altro, due distinte figure di incriminazione:
– quella della intermediazione illecita, che persegue chiunque “recluta” manodopera allo scopo di
destinarla al lavoro presso terzi in condizione di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
– quella dello sfruttamento lavorativo, con cui si punisce penalmente chiunque utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante la citata attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Con la L. n. 199/2016 vengono anche introdotte misure di carattere patrimoniale, dettate evidentemente
dalla consapevolezza che i reati in questione producono vantaggi economici.
Sebbene nel sentire comune il reato in questione è spesso associato alle attività svolte in agricoltura,
tuttavia, lo stesso è riscontrabile anche in ambiti diversi. Sono anzi sempre più frequenti comportamenti riconducibili alla fattispecie di reato di cui all’art. 603 bis c.p. nell’ambito di attività di servizi esercitate da talune imprese che realizzano forme di intermediazione illecita lucrando su un abbattimento abnorme dei costi del lavoro a danno dei lavoratori o degli Istituti previdenziali.
Non è altresì escluso che ipotesi di sfruttamento possano essere realizzate nell’ambito di una “associazione per delinquere” (art. 416 c.p.) o, addirittura, nell’ambito di “associazioni di tipo mafioso anche straniere” (art. 416 bis).
Elementi della fattispecie
Elementi costitutivi di entrambe le fattispecie di illecito sono dunque quello dello sfruttamento lavorativo – individuabile anche attraverso l’ausilio di alcuni indici di cui si dirà successivamente – e quello dell’approfittamento dello stato di bisogno.
Approfittamento dello stato di bisogno
Quanto all’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori è possibile anzitutto richiamare la giurisprudenza che ha approfondito la nozione, pur relativamente ad altre fattispecie di reato. In particolare tale elemento rappresenta una delle circostanze aggravanti del reato di usura (art. 644 c.p.) che si realizza quando la condotta illecita è posta in essere “in danno di chi si trova in stato di bisogno”.
Preliminarmente, per quanto riguarda “l’approfittamento”, lo stesso può ritenersi riconducibile alla strumentalizzazione a proprio favore della situazione di debolezza della vittima del reato, per la quale è sufficiente una consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali (v. Cass. civ., sent. n. 1651/2015).
Per quanto concerne lo “stato di bisogno” si ritiene di poter aderire anzitutto a quell’orientamento giurisprudenziale che ha chiarito come “lo «stato di bisogno» della persona offesa (…) non può essere ricondotto ad una situazione di insoddisfazione e di frustrazione derivante dall’impossibilità o difficoltà economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente, ma deve essere riconosciuto soltanto quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza di mezzi idonei a sopperire ad esigenze definibili come primarie, cioè relative a beni comunemente considerati come essenziali per chiunque” (Cass. pen., sent. n. 4627/2000).
Tale elemento del reato è stato altresì ricondotto ad “una condizione psicologica in cui la persona si trova e per la quale non ha piena libertà di scelta” (Cass. pen., sent. n. 2085/1993) e “non si identifica nel bisogno di lavorare, ma presuppone uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che pur non annientando in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale della persona” (Cass. pen., sent. n. 10795/2016).
Come successivamente chiarito, anche su tale elemento – in quanto imprescindibile ai fini della applicazione dell’art. 603 bis c.p. – dovrà soffermarsi l’attenzione del personale ispettivo, che pertanto dovrà fornire i relativi elementi di prova. L’attività investigativa sarà comunque tanto più semplice da realizzarsi quanto più è evidente lo stato di “debolezza sociale” dei lavoratori, ciò che avviene non di rado in relazione all’impiego di personale straniero spesso extracomunitario.
Sfruttamento lavorativo
Ulteriore elemento costitutivo del reato è lo sfruttamento lavorativo. Secondo l’art. 603 bis costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più “condizioni”, da intendersi tuttavia quali condizioni “di lavoro” e non quali elementi condizionanti la sussistenza del reato. Sul punto va infatti evidenziato che le condizioni di cui si dirà di seguito costituiscono meri indici dello sfruttamento, peraltro alternativi, finalizzati ad indirizzare e approfondire gli accertamenti. Si tratta, nello specifico, dei seguenti indici:
– la “reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”. Al riguardo si ritiene utile precisare che la reiterazione va intesa come comportamento reiterato nei confronti di uno o più lavoratori, anche nel caso in cui i percettori di tali retribuzioni non siano sempre gli stessi in ragione di un possibile turn over. Inoltre, il riferimento ai contratti collettivi è evidentemente da intendersi ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni “comparativamente” più rappresentative, il che costituisce elemento di maggior garanzia per i lavoratori. Ciò anche in ragione del fatto che ogni altra disposizione di legge emanata negli ultimi decenni, che richiede l’applicazione di contratti collettivi a diversi fini, fa espresso riferimento ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali “comparativamente più rappresentative a livello nazionale” (v. ad es. l’art. 54 bis, comma 16, del D.L. n. 50/2017, secondo il quale nell’ambito del lavoro occasionale in agricoltura “il compenso minimo è pari all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo di lavoro stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”; oppure l’art. 7, comma 4, del D.L. n. 248/2007 secondo il quale, nel settore della cooperazione, vanno applicati “i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”);
– la “reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie”; trattasi sostanzialmente della negazione del diritto ai riposi previsti dagli artt. 7 (riposo giornaliero), 9 (riposo settimanale) e 10 (ferie annuali) del D.Lgs. n. 66/2003 e/o del diritto alla aspettativa obbligatoria, cioè del diritto di assentarsi dal lavoro in tutti i casi in cui è obbligatoriamente previsto (ad es. per gravidanza); anche in tal caso il comportamento reiterato, quale indice della sussistenza di una condizione di sfruttamento lavorativo, può ben realizzarsi nei confronti di lavoratori sempre diversi;
– la “sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro”; in tal caso, l’indice sarà tanto più significativo quanto più gravi saranno le violazioni di carattere prevenzionistico accertate, mentre avranno evidentemente meno “peso” eventuali violazioni di carattere formale o altre violazioni che non vadano ad incidere in modo diretto sulla salute e sicurezza del lavoratore o la mettano seriamente in pericolo. Viceversa, violazioni in materia di salute e sicurezza particolarmente gravi potranno dar luogo ad una aggravante specifica (v. infra) che, secondo il comma 4 n. 3 dell’art. 603 bis c.p., si realizza per “aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”. In relazione a tale indice si evidenzia che, a differenza di quelli esposti in precedenza, non è richiesta la reiterazione;
– la “sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”; in relazione a tale indice occorrerà verificare se la sua sussistenza non integri altresì gli estremi del reato di cui all’art. 600 c.p. (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù). Ipotesi di condizione lavorativa degradante possono rinvenirsi nelle situazioni di significativo stress lavorativo psico-fisico, ad es. quando il trasporto presso i luoghi di lavoro sia effettuato con veicoli del tutto inadeguati e superando il numero delle persone consentito così da esporli a pericolo; lo svolgimento dell’attività lavorativa avvenga in condizioni metereologiche avverse, senza adeguati dispositivi di protezione individuale; quando sia del tutto esclusa la possibilità di comunicazione tra i lavoratori o altri soggetti; quando siano assenti locali per necessità fisiologiche ecc.. La sorveglianza non è invece da intendersi nel senso letterale della parola, spesso essendo sufficiente una costante presenza fisica del datore di lavoro/fiduciario affinché nel lavoratore si generi il pensiero di essere controllato e quindi di dover produrre al fine di conservare il lavoro.
Si ricorda che, per quanto riguarda alcuni indici di sussistenza dello sfruttamento lavorativo, esiste inoltre un presidio sanzionatorio amministrativo, ad es. in relazione alle violazioni al D.Lgs. n. 66/2003. In tali casi occorrerà adottare evidentemente i relativi provvedimenti ma ciò non comporta la necessità di notificare la sanzione amministrativa prima della comunicazione di reato alla competente Procura della Repubblica – che va inoltrata “senza ritardo” (art. 347 c.p.p.) – atteso che tali adempimenti seguono procedure e tempistiche differenti. Nella notizia di reato sarà sufficiente evidenziare l’accertamento di uno o più indici segnalando alla Procura che gli stessi, qualora sanzionati in via amministrativa, saranno oggetto di separata verbalizzazione e notificazione di illecito.
Aggravanti speciali
Si ricorda che l’art. 603 bis c.p. prevede inoltre che “se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato” (comma 2) e che “costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro” (comma 3).
Attività investigativa
Si ribadisce che l’attività investigativa deve essere pianificata, tranne che nelle ipotesi di arresto in flagranza, con i Magistrati delle competenti Procure della Repubblica ed i Carabinieri del Comando per la tutela del lavoro e deve essere finalizzata a ricostruire l’intera filiera e accertare l’esistenza degli elementi che integrano il reato di cui all’art. 603 bis c.p.; va poi ricordato che rispetto al reato in questione, oltre all’arresto in flagranza, è prevista:
– la possibilità di ricorso alle intercettazioni (v. art. 266 c.p.p.);
– la confisca obbligatoria delle “cose che servirono o furono destinate alla commissione del delitto e dei proventi da esso derivanti” (anche per equivalente) in caso di condanna o patteggiamento (v. infra);
– la confisca allargata per sproporzione di denaro, beni oltre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui risulti titolare in valore sproporzionato al reddito dichiarato o alla propria attività economica (v. infra).
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Nel caso dell’intermediazione illecita, l’accertamento deve essere effettuato sia nei confronti dell’intermediario, sia nei confronti dell’utilizzatore; tuttavia nei confronti di quest’ultimo, secondo l’esperienza maturata, sarà evidentemente più semplice ricercare gli indici di sfruttamento previsti dall’art. 603 bis c.p..
Identificazione dell’intermediario
In riferimento all’attività dell’intermediario occorre in primo luogo procedere ad una sua identificazione attraverso le banche dati a disposizione (C.C.I.A.A. in particolare) per appurare:
a) se lo stesso opera sotto una ragione sociale ed in caso affermativo qual è l’oggetto dell’impresa; b) se dispone di autorizzazioni alla somministrazione o intermediazione di lavoro;
c) se ha rapporti economici (censiti ufficialmente) con imprenditori operanti nel settore interessato dallo sfruttamento;
d) se è intestatario di veicoli, verificandone la tipologia e la targa (in particolare nell’ambito dell’agricoltura);
e) qual è l’attività lavorativa o imprenditoriale (se ve ne è una) ufficialmente esercitata.
Identificazione dell’utilizzatore e collegamenti con l’intermediario
Nel caso in cui siano acquisiti indizi di una attività di intermediazione illecita si procederà, coinvolgendo i Carabinieri del Comando per la tutela del lavoro, all’accertamento degli utilizzatori presso i quali il personale è inviato e le modalità con cui ciò avviene.
In tale fase, qualora non si sia già proceduto, occorrerà relazionarsi con la competente Procura, anche al fine di ottenere indicazioni sulle modalità di acquisizione degli elementi di prova inerenti la platea degli utilizzatori (ad es. intercettazioni telefoniche e possibile sequestro degli apparati utilizzati nella corrispondenza elettronica per la trascrizione di conversazioni sospette).
L’ulteriore fase investigativa è rappresentata da una attenta attività di osservazione volta ad accertare il collegamento tra l’intermediano e l’utilizzatore, le reali condizioni di lavoro, quelle alloggiative (se ai lavoratori viene fornito alloggio), i metodi di sorveglianza (se le lavorazioni si svolgono all’aperto), il numero di lavoratori reclutati, la loro età ecc.
Perquisizioni, sequestri e rilievi
Qualora gli accertamenti già effettuati abbiano consentito l’acquisizione di importanti indizi di colpevolezza, occorre procedere all’effettuazione di perquisizioni e al successivo sequestro di documentazione e dispositivi informatici (con estrazione di copia forense), nonché della c.d. doppia contabilità formata dall’intermediario e dall’utilizzatore.
Contestualmente alle perquisizioni, a seconda dei casi, vanno effettuate delle videoriprese o fotografie all’interno dei locali ove si svolgono le lavorazioni o presso cui i lavoratori sono eventualmente alloggiati, allo scopo di documentare le condizioni di lavoro e di vita.
Informazioni sui rapporti di lavoro
Occorre quindi acquisire, anche presso gli Istituti previdenziali e le organizzazioni sindacali, elementi utili alla dimostrazione degli indici di sfruttamento previsti in particolare dai n. 1 e 2 del comma 3 dell’art. 603 bis c.p.
Al riguardo va premesso che sono sempre meno i casi che coinvolgono lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno e comunque lavoratori, siano essi italiani o stranieri, privi di regolare assunzione. L’evoluzione del fenomeno si caratterizza infatti per una apparente legalità, tant’è che in alcuni casi esiste addirittura un contratto di somministrazione di lavoro con un somministratore fornito di autorizzazione e ai lavoratori è consegnato un prospetto paga da cui si evince un apparente rispetto di orari e trattamento economico previsti dalla contrattazione collettiva. Può dunque accadere che il datore di lavoro abbia predisposto documentazione amministrativa e contabile tale da fornire una rappresentazione del rapporto di lavoro notevolmente diversa dal suo effettivo svolgimento. A titolo esemplificativo, pertanto, le ore effettivamente lavorate e la retribuzione effettivamente percepita potrebbero essere assolutamente diverse da quelle documentate e non si possono escludere casi in cui i pagamenti siano tracciati (ad es. attraverso bonifico) e il lavoratore sia costretto a restituire una parte della retribuzione; in tali ipotesi, sarà evidentemente necessario verificare anche la sussistenza del reato di cui all’art. 629 c.p. (estorsione).
L’audizione dei soggetti sottoposti alle indagini, nell’immediatezza dell’accesso sul luogo di lavoro, avviene di norma ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p. sotto forma di dichiarazioni spontanee. Un vero e proprio interrogatorio dell’indagato avviene invece nella fase di svolgimento delle indagini preliminari, uno dei principali momenti in cui si concretizza il coordinamento fra la Procura e la Polizia giudiziaria. In tale occasione, solitamente, il Procuratore formula un addebito a carico dell’indagato, invitandolo a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375 c.p.p. ed eventualmente delegando la P.G. al suo svolgimento.
Proprio in tale contesto potrà quindi essere sollecitata la collaborazione dell’indagato, al fine di chiarire anche la posizione di altri soggetti, ricordando quanto previsto dall’art. 600 septies 1 e dall’art. 603 bis 1, c.p.. Il primo prevede una diminuzione di pena “nei confronti del concorrente che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti”. La seconda disposizione prevede una diminuzione di pena “nei confronti di chi, nel rendere dichiarazioni su quanto a sua conoscenza, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite”.
Risulta naturalmente fondamentale l’audizione dei lavoratori coinvolti, dai quali è necessario acquisire non solo delle “sommarie informazioni” circa la propria attività, ma ogni notizia utile a comprovare sia la condizione di sfruttamento sia lo stato di bisogno, sebbene ciò non sia sempre agevole in quanto spesso soggetti a forme di intimidazione da parte dell’intermediario e/o del datore di lavoro.
A tal riguardo, qualora si tratti di personale extracomunitario privo di permesso di soggiorno, è opportuno ricordare loro alcune disposizioni di favore previste dall’ordinamento. In particolare l’art. 18 del D.Lgs. n. 286/1998 prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno “per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale” che, peraltro, “consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l’iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età”. Analogamente l’art. 22, comma 12 quater, del medesimo decreto stabilisce che “nelle ipotesi di particolare sfruttamento
lavorativo di cui al comma 12-bis” – che a sua volta richiama anche l’art. 603 bis c.p. – “è rilasciato dal Questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno”; anche tale documento, “consente lo svolgimento di attività lavorativa e può essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo” (art. 22, comma 12 sexies, D.Lgs. n. 286/1998).
Proprio in ragione della particolare vulnerabilità dei soggetti vittime del reato di cui all’art. 603 bis c.p., possono trovare applicazione alcuni istituti processuali che appare utile ricordare:
– incidente probatorio ex art. 392, comma 1 bis, c.p.p.;
– parte offesa risentita in dibattimento ex art. 190 bis c.p.p. solo su fatti diversi dall’incidente probatorio;
– audizione protetta in dibattimento ex art. 498 c.p.p.;
– audizione protetta in incidente probatorio ex art. 398, comma 5, c.p.p.;
– possibilità di ricorrere all’ausilio di esperto (psicologo) per l’esame.
Occorre altresì evidenziare alcune cautele da adottare nel caso in cui il lavoratore intervistato sia uno straniero privo di regolare permesso di soggiorno, ciò al fine di non vanificare il successivo sviluppo processuale della attività di indagine. Va infatti ricordato che, in tali casi, lo stesso lavoratore è imputabile ai sensi dell’art. 10 bis del D.Lgs. n. 286/1998, secondo il quale “salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro”. Ne deriva che la sua audizione debba essere preceduta:
– dall’avviso al difensore di ufficio / di fiducia;
– dall’avviso ex art. 64, comma 3 lett. b) e c), c.p.p. (facoltà di non rispondere ad alcuna domanda; in caso di dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone).
Quanto alle domande da sottoporre ai lavoratori coinvolti occorre evidenziare la necessità di sottoporre domande specifiche, evitando domande che possano nuocere alla sincerità della risposta o che tendano a suggerirla. Per quanto concerne la verbalizzazione, la stessa riguarderà sia la domanda che la risposta per esteso, evitando pertanto la formulazione “ADR” (a domanda risponde).
In allegato (ALL. 1) è riportata una griglia di massima di domande da sottoporre alle vittime del reato di cui all’art. 603 bis c.p., evidentemente da selezionare in base al caso concreto e finalizzate alla acquisizione degli elementi costitutivi della fattispecie.
Coinvolgimento di soggetti terzi
È bene porre attenzione alle condotte di soggetti terzi che abbiano consentito o agevolato la realizzazione del reato di cui all’art. 603 bis c.p., pur non qualificabili espressamente come intermediari.
Come già rappresentato, lo sfruttamento del lavoro può realizzarsi anche nell’ambito di rapporti commerciali tra imprese, in particolare nell’ambito di una prestazione di servizi oggetto di un contratto di appalto, laddove l’impresa appaltatrice, nel garantire forti risparmi ai committenti, approfitti dello stato di bisogno dei lavoratori abbattendo considerevolmente i costi del lavoro attraverso la corresponsione di retribuzioni “in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”. In tale contesto andrà ad esempio valutato il comportamento del personale incaricato dalla società appaltatrice di offrire i servizi ai futuri committenti sottoscrivendo i relativi preventivi, il quale potrà rendersi anch’esso responsabile di un comportamento penalmente rilevante.
Le indagini andranno estese anche alle imprese (indipendentemente dal possesso della personalità giuridica) utilizzate come mezzo per la consumazione dei delitti in questione, considerato che le condotte di cui all’art. 603 bis c.p. sono valutate anche ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.
Indagini patrimoniali
È sempre necessario effettuare un calcolo, anche approssimativo, dei guadagni ottenuti dall’intermediario in forza di quanto corrisposto dagli utilizzatori (e talvolta dai lavoratori stessi) e di quelli ottenuti dagli utilizzatori a seguito del mancato o ridotto versamento di retribuzione, contribuzione ed imposte sui rapporti di lavoro.
Tali somme dovranno essere sequestrate, a fine di confisca, ai responsabili dei reati anche ai sensi dell’art. 603 bis 2 c.p. quale profitto del reato; dovranno inoltre essere cercati, in assenza di denaro liquido, anche beni di pari importo, considerato che tale disposizione consente la confisca per equivalente.
A tale ultimo fine dovranno essere eseguite accurate indagini patrimoniali sui redditi e sulla consistenza del patrimonio delle persone indagate e delle imprese da loro amministrate. I relativi risultati saranno infatti utili sia per l’esecuzione del sequestro per equivalente di cui all’art. 603 bis 2 c.p., sia per l’esecuzione del sequestro preventivo finalizzato all’esecuzione della confisca di cui all’art. 240 bis c.p. (confisca in casi particolari).
Conclusione delle indagini
Nel momento della conclusione delle indagini, sarà comunque necessario preservare da eventuali atti di danneggiamento i beni aziendali per consentire l’eventuale applicazione dell’art. 3 della L. n. 199/2016, secondo il quale “il giudice dispone, in luogo del sequestro, il controllo giudiziario dell’azienda presso cui è stato commesso il reato, qualora l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del complesso aziendale. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale”.
In tali casi il Legislatore richiede al Giudice di nominare un amministratore (o anche più di uno) il quale “affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda ed autorizza lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa” e “controlla il rispetto delle norme e delle condizioni lavorative la cui violazione costituisce, ai sensi dell’articolo 603-bis del codice penale, indice di sfruttamento lavorativo, procede alla regolarizzazione dei lavoratori che al momento dell’avvio del procedimento per i reati previsti dall’articolo 603 bis prestavano la propria attività lavorativa in assenza di un regolare contratto e, al fine di impedire che le violazioni si ripetano, adotta adeguate misure anche in difformità da quelle proposte dall’imprenditore o dal gestore”.
(Fonte: INL)