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L’INL – Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 9294 del 2018, ha risposto ad un quesito circa la corretta applicazione della sanzione per mancato versamento della retribuzione con strumenti tracciabili ai sensi dell’art. 1, comma 913, L.n. 205/2015 – Maxisanzione per lavoro nero.

Ecco quanto si legge nella nota 9294/2018.

Con riferimento alla richiesta di parere in oggetto, concernente la corretta applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 1, comma 913, L. n. 205/2017, nelle ipotesi di irrogazione del provvedimento di maxisanzione per lavoro “nero”, ai sensi dell’art. 3, comma 3, D.L. n. 12/2002 – d’intesa con l’Ufficio Legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – si rappresenta quanto segue. Come noto, in forza del citato comma 913, a partire dal 1° luglio u.s trova applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro nei confronti dei datori di lavoro o dei committenti che corrispondono ai lavoratori la retribuzione, ovvero ogni anticipo di essa, senza avvalersi degli strumenti di pagamento espressamente indicati dal citato comma 910. Il Legislatore ha altresì chiarito, al comma 912, il campo di applicazione della disposizione individuandolo in “…ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142”. Con nota prot. n. 5828 del 4 luglio 2018, lo Scrivente ha precisato che l’illecito si configura ogniqualvolta venga corrisposta la retribuzione in violazione del comma 910 dell’art. 1 L. n. 205/2017, secondo la periodicità di erogazione che, di norma, avviene mensilmente. Ciò premesso, si evidenzia che la fattispecie oggetto del quesito riguarda l’ipotesi in cui gli organi ispettivi abbiano accertato l’impiego di lavoratori “in nero” e riscontrato altresì che la remunerazione dei medesimi lavoratori sia avvenuta in contanti e non mediante gli strumenti di pagamento prescritti dal citato comma 910. In tali casi, benché debba ritenersi piuttosto remota la possibilità che il lavoratore “in nero” venga remunerato utilizzando strumenti “tracciabili”, non può di per sé escludersi l’applicazione della sanzione prevista dal comma 913, che in ogni caso discende del comportamento antigiuridico adottato ed è posta a tutela di interessi non esattamente coincidenti con quelli presidiati dalla c.d. maxisanzione per lavoro “nero”. Del resto, laddove il Legislatore ha voluto escludere l’applicazione di ulteriori sanzioni in caso di contestazione della maxisanzione lo ha fatto espressamente (l’art. 3, comma 3 quinquies, D.L. 12/2002 come modificato dal D.Lgs. n. 151/2015 prevede espressamente l’inapplicabilità delle sanzioni di cui “all’articolo 19, commi 2 e 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nonché le sanzioni di cui all’articolo 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”). Va tuttavia evidenziato che, stante il tenore letterale del comma 910, l’illecito si configura solo laddove sia accertata l’effettiva erogazione della retribuzione in contanti; peraltro, atteso che nelle ipotesi di lavoro “nero” la periodicità della erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, in ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro in “nero” sono state effettuate. Resta ferma, infine, l’adozione della diffida accertativa per il caso in cui, accertata la corresponsione della retribuzione, quantunque in contanti, la stessa risulti inferiore all’importo dovuto in ragione del CCNL applicato dal datore di lavoro.

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