La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 25312 del 2018 ripercorre la disciplina relativa al provvedimento di sospensione dal lavoro, censurando i criteri generici di scelta decisi dall’azienda “nella individuazione del personale, non sana la situazione neppure l’accordo sindacale” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 12.10.2018).
Ecco i fatti di causa.
Con sentenza n. 796/2013 la Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato … s.r.l. al pagamento in favore di … della somma di Euro 22.485,86 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a titolo di retribuzioni dirette, indirette e differite, dovute in conseguenza della illegittima sospensione in CIGS.
Il Giudice di appello ha ritenuto la genericità dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere indicati nella comunicazione di cui all’art. 1, comma 7, L.n. 223/1991, di apertura della procedura di CIGS atteso che essi che facevano riferimento alla “professionalità”, “fungibilità”, “poliprofessionalità” senza specificare i concreti parametri ai quali ancorare la relativa verifica; ha, inoltre, osservato che non risultava neppure rigorosamente predefinito l’ambito di applicazione della CIGS sia con riguardo alle professionalità coinvolte, (“… principalmente riferita all’attività produttiva auto”), sia con riguardo al numero dei lavoratori interessati; (“tale intervento riguarderà mediamente 105 lavoratori”);
Analoga genericità ha rinvenuto con riguardo ai criteri per la rotazione posto che nel verbale di accordo e nel verbale di esame congiunto del 14.12.2006 si leggeva che per il primo quadrimestre essa avrebbe riguardato i lavoratori principalmente nell’ambito dei reparti auto 510, 515, 526, senza alcuna precisazione, in via preventiva, di quali altri lavoratori avrebbero potuto essere interessati in via residuale; si leggeva, inoltre, che una limitata e parziale rotazione avrebbe interessato lavoratori monoreddito con carichi di famiglia compatibilmente con le possibilità offerte dalle attività lavorative residue, senza indicare né le ragioni di tale decisione, né i parametri di riferimento per individuare i possibili destinatari sia in termini numerici sia in termini di fungibilità rispetto alle attività lavorative residue.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorreva per cassazione la società datrice di lavoro che veniva rigettato.
La Corte Suprema, per quel che qui interessa, ha ribadito che in tema di procedimento per la concessione della CIGS la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base al quale pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati dalla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L.n. 223/1991, art. 1, comma 7.
Tale violazione non può ritenersi sanata, sempre ad avviso della Corte, neppure dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare.
Pertanto la rilevata inidoneità dei criteri indicati nella comunicazione di apertura a consentire la individuazione dei lavoratori interessati dalla sospensione, determinando la illegittimità della procedura di CIGS, è sufficiente a radicare l’interesse ad agire del lavoratore che sulla base di tale illegittima procedura sia stato sospeso.